20 agosto 2015

Le assenze per malattia non giustificano il licenziamento

Assentarsi per malattia - 52 giorni nel corso di quattro anni - non è un motivo sufficiente per giustificare un licenziamento per scarso rendimento. Battendo su questo principio, la Cassazione ha riaperto la battaglia legate tra un conducente dell’Atm di Milano e l’azienda dei trasporti. La Corte d’appello riunita in diversa composizione, rimanendo nei binari tracciati dai supremi giudici, dovrà tornare a esaminare il ricorso del dipendente privato del posto di lavoro a causa dei turni saltati per ragioni di salute. In primo grado il tribunale milanese aveva dato torto all’autista, e ragione ad Atm, ritenendo che le assenze per malattia erano dimostrative dello scarso rendimento in servizio, contestazione alla base di un licenziamento ritenuto corretto.
Ora la questione andrà rivista, mettendo in discussione la decisione del datore di lavoro. “L’ipotesi dello scarso rendimento è diversa e separata da quella delle ripetute assenze per malattia”, sottolineano gli ermellini, “inoltre, mentre lo scarso rendimento è caratterizzato da colpa del lavoratore, non altrettanto può dirsi per le assenze dovute a malattia. E poiché è stato intimato per scarso rendimento dovuto essenzialmente all’elevato numero di assenze - ma non tali da esaurire il periodo massimo previsto - il recesso in oggetto si rivela ingiustificato”.

Tfr azienda insolvente: chi lo paga?

In caso di cessazione del rapporto di lavoro al dipendente deve essere riconosciuto un trattamento di fine rapporto che, se non pagato dal datore di lavoro, è garantito dal Fondo di Garanzia dell’Inps.
A chiarire la questione è la sentenza numero 7585 del 1 aprile 2011 della Corte di Cassazione in cui si stabilisce che il Fondo di Garanzia dell’Inps si sostituisce al datore di lavoro non solo qualora sussiste il fallimento ma anche quando il datore di lavoro si dimostra insolvente.
Il pagamento del Tfr che spetta al lavoratore al momento della cessazione del rapporto di lavoro avviene in ogni caso ed è, quindi, garantito.
Secondo quanto disposto dal comma 5 dell’articolo 2 della legge numero 297 del 1982, anche quando non sussiste tecnicamente il fallimento dell’azienda, quando il datore di lavoro non adempie alla corresponsione del Tfr il lavoratore può chiedere il pagamento del trattamento di fine rapporto al Fondo di Garanzia dell’Inps.
La pronuncia del 2011 della Corte di Cassazione sin riferisce al caso dei una lavoratrice cui il datore di lavoro non aveva riconosciuto il pagamento del tfr maturato. Inizialmente la richiesta presentata al Fondo di Garanzia era stata rigettata poiché non era presente la dichiarazione di fallimento da parte del datore di lavoro, ma la Corte di Cassazione ha ribaltato la sentenza in appella volendo ancora una volta tutelare i lavoratori.
La seconda sentenza, la 15369 del 2014, pronunciata dalla Cassazione civile ha confermato fugando ogni dubbio che il Tfr deve essere erogato dal Fondo di Garanzia dell’Inps anche se l’azienda è insolvente, anche in assenza della dichiarazione di fallimento.


Fine dei co.co.pro.?

Addio ai contratti di collaborazione a progetto: forse più noti con la loro abbreviazione, i co.co.pro. non potranno più, a partire dall’entrata in vigore del decreto attuativo del Jobs act, il terzo, essere attivati, andando così a esaurimento. L’intenzione del Governo è quella di “rottamarli”, per usare le parole dello stesso Renzi, facendoli così confluire nel nuovo contratto a tempo indeterminato a tutele crescenti. La stipula di contratti di collaborazione sarà quindi sottoposta a limiti più rigorosi: in caso di prestazioni personali, continuative ed etero-organizzate dall’impresa per quanto riguarda luoghi e tempi di lavoro, essa verrà direttamente esclusa e sostituita con il contratto a tutele crescenti. Dal primo gennaio del 2016 simili collaborazioni potranno essere ricondotte a lavoro subordinato: compito che spetta direttamente al giudice o a un ispettore del lavoro. “Potranno”, perché, è certo, non tutte le 416mila collaborazioni a progetto (stime dell’Associazione 20 Maggio) approderanno liberamente al contratto a tempo indeterminato, senza contare poi il rischio di eventuali “furbate” a opera dei datori, che, dato il tetto dei compensi innalzato a 7000 euro, potrebbero mascherare con i “supervoucher” il lavoro dipendente.
Non mancano inoltre le eccezioni: per i contratti di collaborazione a progetto non sono infatti previste limitazioni nel caso in cui si dovesse trattare di lavoratori iscritti ad albi professionali, così come per le società sportive dilettantistiche e a specifici settori regolamentati da accordi collettivi stipulati dalle organizzazioni sindacali (è il caso dei call center): questi lavoratori continueranno infatti a lavorare a progetto, senza poter sperare in un’assunzione vera e propria. Sottolinea Aldo Bottini, presidente di Agi (l’associazione degli avvocati giuslavoristi italiani), che rimarrà infatti - ma con un perimetro sempre più ristretto - la cosiddetta zona grigia, situazioni cioè in cui sarà il giudice stesso a dover decidere tra le due parti in causa. I commessi e i pony express addetti alle consegne ed inquadrati in gran parte dalle aziende spedizioniere come collaboratori a progetto, ne sono un esempio: dal 1 gennaio potranno anche loro rivendicare un contratto dipendente. Fondamentalmente quindi, un pony express o un corriere, che in genere lavorano in regime di collaborazione con le aziende spedizioniere, il cui contratto dovesse scadere il 1° febbraio, lavorerà fino a questa data come collaboratore, dopodiché la sua collaborazione dovrà essere trasformata in un contratto di lavoro subordinato.

Congedo parentale: scatta la novità della fruizione a ore

Mamma è papà potranno assentarsi dall’ufficio anche solo per poche ore. E’ questa la novità introdotta nel Testo Unico maternità/paternità della legge di Stabilità 2013 che contempla la possibilità di richiedere (e ottenere) un congedo parentale a ore. La misura che, stando alle prime informazioni circolate, avrebbe dovuto riguardare solo il 2015 diventerà, con ogni probabilità, permanente.
Ma cosa prevede esattamente? La possibilità, per i genitori che ne faranno specifica richiesta, di astenersi dal luogo di lavoro solo per alcune ore, secondo modalità che dovranno essere concordate con il datore di lavoro. Ma niente paura: se il capo dovesse mostrarsi poco propenso a concederlo, il dipendente potrà comunque usufruire del nuovo congedo. Senza “mercanteggiare”, però, sul numero delle ore di astensione che dovranno necessariamente coincidere con la metà dell’orario medio giornaliero (in pratica, mezza giornata di lavoro).

La richiesta del nuovo congedo (che va ad aggiungersi ai già esistenti giornalieri e mensili) dovrà essere presentata, al datore di lavoro, con un margine di anticipo di almeno due giorni e dovrà contenere indicazioni puntuali sul periodo in cui si intende usufruire dello strumento. Per ottenerlo, basterà collegarsi al sito dell’Inps e inoltrare una specifica richiesta on line. Oppure telefonare al Call Center integrato o chiedere aiuto e assistenza ai Patronati che offrono, da oggi, servizi telematici ad hoc.

Incidente in itinere nel tragitto casa-lavoro: vale il domicilio


Per il risarcimento dovuto dall’Inail in caso di infortunio nel tragitto “casa-lavoro”, bisogna considerare solo il percorso quotidianamente effettuato dal dipendente, anche se il luogo di partenza non è la residenza, ma solo il domicilio. Pertanto, se un giorno il dipendente parte da un altro luogo (per esempio la seconda casa), ove ha fissato la residenza, ma si tratta appunto di luogo diverso da quello abitualmente utilizzato per recarsi sul lavoro, non potrà ottenere alcun risarcimento nel caso di infortunio.   La legge prevede la possibilità di indennizzo, da parte dell’Inail, tutte le volte in cui il lavoratore abbia subito un danno nel percorso tra casa e lavoro. È il cosiddetto infortunio in itinere, soggetto comunque a specifiche regole e limiti (leggi: “Infortunio in itinere”). In estrema sintesi, si può dire che, per aver diritto all’indennizzo, il dipendente deve essere stato nell’impossibilità di utilizzare mezzi pubblici, deve aver scelto il percorso più breve, non deve aver scelto percorsi alternativi (per esempio, per svolgere altre commissioni), non deve aver percorso tragitti diversi da quello “casa”-“lavoro”.   Per “casa” non si intende, però, necessariamente la residenza, ma solo il luogo di abituale partenza per recarsi al lavoro, anche se coincide con il semplice domicilio. È questa l’interpretazione fornita dalla giurisprudenza della Cassazione [1].   Nessun risarcimento, dunque, spetta se l’incidente si verifica non lungo il tragitto che ordinariamente il lavoratore percorre per recarsi dalla propria abitazione al posto di lavoro e viceversa. Insomma, il percorso ordinariamente seguito per andare a lavorare non deve essere diverso da quello seguito il giorno del sinistro.   Il lavoratore infine non deve comportarsi in modo imprudente. Viene quindi escluso il risarcimento per aver deciso di viaggiare nelle ore notturne, effettuando una scelta non giustificata e non razionale che comporta un rischio “elettivo”, assunto senza che ve ne fosse la benché minima necessità. Questo basta ad escludere la copertura antinfortunistica e a qualificare il comportamento tenuto come imprudente. -

Tlc: Azzola su fusione Wind – 3 Italia: bene consolidamento, ora ripensare politiche di settore

“L’atteso annuncio della fusione tra Wind e 3 Italia è una notizia positiva perché anche nel nostro Paese era necessario procedere a un consolidamento del mercato per garantire gli ingenti investimenti che le imprese di telecomunicazioni dovranno realizzare nei prossimi anni.” così dichiara Michele Azzola, segretario nazionale Slc Cgil.
“La fusione non va considerata come un elemento a se stante ma va vista in prospettiva nell’ambito del ripensamento dell’intero settore delle TLC che – aggiunge Azzola – negli ultimi anni, divorato da una competizione sui prezzi senza paragoni in altri mercati europei, ha incentrato tutte le sue politiche sulla riduzione dei costi, rallentando gli investimenti necessari e peggiorando la qualità complessiva del servizio offerto ai clienti.”
“Questa condizione ha generato, nell’ultimo triennio, un decadimento della qualità del lavoro con numerose crisi occupazionali che si sono aperte e una generale perdita di diritti e salario per tutto il personale impiegato nel settore, con il ritorno, attraverso la politica degli appalti, a forme di lavoro irregolare e mal retribuito e costi sociali enormi, in termini di ammortizzatori.”
“La fusione deve diventare l’occasione per ribaltare la politica della riduzione dei costi – prosegue il sindacalista – e  sviluppare una competizione che metta al centro del processo il cliente, focalizzando politiche di servizi innovativi e di qualità con cui  assicurarsi la fidelizzazione.”
“Il giudizio sulla fusione non potrà, però, prescindere dall’illustrazione del piano industriale del nuovo colosso italiano delle TLC, con particolare riferimento alle ricadute occupazionali che il progetto comporterà e agli strumenti di gestione che si intenderanno adottare.”

“E’ evidente che se la fusione dovesse comportare tagli occupazionali inaccettabili, vedrà il sindacato schierarsi con i lavoratori per modificarne l’impostazione – conclude Azzola. Se, come noi speriamo, il piano sarà incentrato sugli interventi di riequilibrio necessari e sulla scelta di strumenti da adottare che evitino ricadute traumatiche sui lavoratori, troverà il sindacato pronto a fare la sua parte. Per questi motivi, già dai prossimi giorni procederemo a chiedere ai vertici delle due società un apposito incontro.”

Telperformance comunicato Slc Cgil

Con la stipula del Contratto di Solidarietà si è chiusa la vertenza che ha tenuto in forte apprensione le lavoratrici ed i lavoratori di Teleperformance.
L’intesa ripristina una normalità contrattuale sancendo la definitiva uscita dall’accordo sottoscritto nel gennaio del 2013 ed introduce elementi di efficientamento operativo completamente in linea con quanto fatto sino ad oggi nelle altre azienda del settore.
In queste settimane molto si è discusso, spesso a sproposito, di flessibilità, come SLC-CGIL riteniamo prioritario riacquisire da subito un clima di fiducia fra i lavoratori, vero presupposto per il rilancio dell’azienda ed elemento imprescindibile per qualsiasi possibile intervento futuro sull’organizzazione del lavoro.
Ora bisogna concentrare gli sforzi affinchè il settore dei call center in outsourcing arrivi ad una regolamentazione che, unica, può davvero portare Teleperformance, come gli altri call center in outsourcing, verso una condizione di maggiore stabilità e prospettive di futuro reali.
Il raggiungimento di un accordo che portasse l’azienda a revocare la decisione di societarizzare il call center di Fiumicino, lasciando le sedi di Taranto e Roma ad un futuro decisamente difficile, non era affatto scontato. Un ruolo importante è stato giocato dalle lavoratrici e dai lavoratori delle tre sedi che hanno fatto sentire costantemente la loro presenza consapevole e convinta e dalla mediazione attiva della struttura del Ministero del Lavoro e della Sottosegretaria Teresa Bellanova in particolare.

La Segreteria Nazionale di SLC-CGIL

02 agosto 2015

Telecom: comunicato Slc su incontro al Mise

Telecom Italia ha confermato ieri all’incontro presso il Ministero dello Sviluppo Economico quanto già annunciato nei giorni scorsi.
Oltre a confermare i 1700 esuberi strutturali (nelle aree di staff, nel cross activity di Open Access, nella Directory Assistance e nell’informatica), l’azienda ha formalizzato la propria offerta per non societarizzare la divisione caring services : il riconoscimento da parte sindacale di ulteriori 1300 esuberi, l’accordo sul controllo individuale della produttività (ma non era superato dagli eventi??), passaggi di personale verso altri settori aziendali e l’attivazione dell’art. 4 della “Legge Fornero” per il pensionamento anticipato.
Come SLC-CGIL non abbiamo potuto che ribadire ciò che andiamo dicendo da settimane.
L’esistenza di esuberi strutturali in Telecom Italia, dopo quattro anni di ammortizzatori sociali e un accordo molto complesso come quello del 27 marzo 2013 finalizzato proprio al superamento delle eccedenze, è del tutto pretestuosa. Noi abbiamo espresso da subito la nostra assoluta disponibilità ad affrontare il tema delle eventuali riprofessionalizzazioni in ambito delle aree di staff attraverso un percorso di analisi serio di un mondo composito. Tutto il resto continua ad avere un intollerabile aspetto di strumentalità trattandosi di aree dove si è massicciamente intervenuti negli ultimi 4 anni sia con il ricorso agli ammortizzatori sociali sia con programmi di reinternalizzazione di attività.
Un capitolo a parte merita poi la vicenda del caring. Qui le piroette aziendali diventano addirittura ardite. “Pur confermando che nel caring non ci sono esuberi” (citiamo letteralmente documenti sindacali in circolazione in queste ore) ci sembra di poter dire che, semplicemente, viene dato un prezzo all’ennesimo scambio. Una societarizzazione oramai del tutto inverosimile diventa il pretesto per imporre ai lavoratori un sacrificio economico che oggi, dopo le manovre degli ultimi 4 anni, è del tutto incomprensibile ed ingiusto. Con lo sfregio ulteriore della richiesta di procedere comunque ad un accordo sul controllo individuale dopo aver spiegato al mondo, per bocca del capo del personale, che quello non era più il problema del caring.
Il tema purtroppo è molto semplice. In queste ore qualche volenteroso sta andando in giro a dire che, in fondo, con qualche ora di solidarietà ci si compra la tranquillità. Noi ci chiediamo molto semplicemente di quale tranquillità stiamo parlando. La SLC-CGIL non è contro gli ammortizzatori sociali come sostiene qualcuno (che poi scrivere una cosa simile è francamente ridicola, potrebbe equivalere al dichiararsi contrario all’invenzione della penicillina da parte di un medico), semplicemente non accettiamo che l’ammortizzatore sociale sia ormai derubricato in Telecom Italia al rango di una sorta di “tassa” annuale. Così facendo si perde totalmente il senso delle cose. La SLC-CGIL ha firmato e firmerà ancora accordi sugli ammortizzatori sociali se questi hanno un senso e sono finalizzati al superamento di crisi occupazionali. In Telecom ormai qualcuno pensa di poter utilizzare gli ammortizzatori come una sorta di doping permanente. Non vorremmo che si stia acquistando semplicemente l’eutanasia dell’azienda. In queste ore l’Amministratore Delegato di Enel dichiara ad un giornale molto vicino al Governo che la banda Larga la realizzeranno loro grazie a 35 milioni di nuovi contatori digitali installati in tutte le case del Paese. Bene, se questo è il disegno deve essere chiaro a tutti, A TUTTI, che si è deciso che Telecom Italia nell’immediato futuro sarà destinata ad forte ridimensionamento, se non alla smobilitazione. Il ministro dello Sviluppo Economico anziché benedire questa operazione di lenta eutanasia dovrebbe dare spiegazioni chiare sul futuro di una azienda che noi ci ostiniamo a considerare strategica. Magari preoccupandosi di chiedere al nuovo azionista di riferimento francese di chiarire quanto prima il progetto di sviluppo per l’azienda.
Tutto questo mentre ormai l’azienda adotta politiche commerciali fallimentari che non aggrediscono i segmenti pregiati del mercato, con una rete vendita non sempre adeguata ed una organizzazione del lavoro in ambito open access (quindi un settore vitale per l’azienda) tutt’altro che perfetta a tutto vantaggio degli appalti esterni e con evidenti ritorni negativi sulla qualità complessiva del servizio (anche qui qualcuno dalla memoria molto corta dimentica l’estrema onerosità delle multe prese dall’azienda per questioni regolatorie, multe non certo imputabili ai lavoratori ma riconducibili a precise scelte del management).
E’ chiaro che così un’azienda non va da nessuna parte. Quale piano di sviluppo veramente credibile si può fare in questo modo?
Il 4 agosto, con questi presupposti, la SLC-CGIL come già dichiarato al tavolo ministeriale non percorrerà la strada tracciata da altri in queste ore. In quella riunione infatti non si farà altro che chiedere al sindacato di certificare l’esistenza di 3000 esuberi, prendendo peraltro un impegno per l’utilizzo di ammortizzatori sociali di cui, né oggi ne presumibilmente il prossimo 4 agosto, si conoscono nè il funzionamento né la reale onerosità per i lavoratori. Alla fine dell’eventuale ammortizzatore sociale l’azienda si troverà comunque 3000 esuberi certificati da parte sindacale. Se invece Telecom dovesse rinsavire e volesse occuparsi davvero dello sviluppo dell’azienda, comprese le manovre di riprofessionalizzazione utili anche se difficili da gestire con i lavoratori interessati, la SLC-CGIL è pronta da adesso.
La Segreteria nazionale di SLC-CGIL

Telecom: Azzola, Ministro Guidi appiattita su posizioni azienda
“Mentre nel paese permangono tantissime vertenze che attendono il governo per una loro soluzione, il Ministro Guidi decide di convocare un tavolo per Telecom Italia in assenza di ogni crisi aziendale. La proposta dell’azienda di contenere il costo del lavoro attraverso il ricorso allo strumento della solidarietà per 3.000 unità è ai margini delle procedure di legge, in quanto la discussione odierna ha dimostrato l’assenza di ogni esubero tra quelli dichiarati dall’azienda ma non individuati materialmente, scaricando così per il quinto anno consecutivo i costi sulla collettività.” Così dichiara Michele Azzola, segretario nazionale di Slc Cgil, all’uscita dal tavolo al Mise.
“Il governo ritiene apprezzabile la disponibilità aziendale a ritirare una societarizzazione farsesca che viene minacciata da anni per ricattare lavoratori e istituzioni, e ritiene apprezzabile la scelta degli strumenti individuati (il contratto di solidarietà, per altro già usato per 4 anni da Telecom), proponendo infine un nuovo appuntamento presso il Mise per il 4 agosto, alla presenza del coordinamento delle Rsu, per avvicinare le posizioni delle parti e raggiungere un’intesa sulle proposte formulate dall’azienda.”
“Slc Cgil dichiarando la non condivisione sulle premesse avanzate dal governo che dimostrano un appiattimento sulle posizioni delle grandi imprese, tale da derogare alla legislazione vigente, ha dichiarato la propria indisponibilità a sedersi al tavolo sin quando non sarà ripristinata una corretta procedura che consenta, sulla base delle leggi vigenti, una discussione di merito sugli esuberi – prosegue il sindacalista.
“Per l’ennesima volta Telecom cerca di scaricare sui costi sociali la propria incapacità di rispondere alle sfide di mercato – conclude Azzola – ponendo un ricatto al governo che non ha approvato le norme sulla solidarietà espansiva, ricatto che il governo ha pesantemente subito. Tutto questo con la responsabilità di chi decide di centrifugare 3000 esuberi in assenza di qualsiasi strumento di gestione, vista la mancata entrata in vigore della riforma degli ammortizzatori sociali.”