30 aprile 2015

Pensioni, sopra 1500-1700 lordi. Stato deve restituire mld. Lo farà? Come? Quando?

La Corte Costituzionale ha stabilito che un pezzo di legge Fornero, quello che ha bloccato le pensioni nel 2012 e il 2013, è illegittimo. Significa per lo Stato un buco imprevisto da 5 miliardi e per milioni di pensionati che devono arrivare dei soldi. Soldi in restituzione e anche soldi in più nelle prossime pensioni, che andranno adeguate con il riconoscimento degli scatti bloccati dalla Fornero.
Non si tratta di soldi a pioggia per tutti i pensionati. La sentenza in questione, infatti, riguarda solo le pensioni sopra tre volte quella minima, ovvero pensioni da circa 1500-1700 euro lordi al mese. Riguarda loro perché solo a loro è stata, con la Fornero del “Salva Italia” bloccata la perequazione, ovvero quell’automatismo che adegua le pensioni all’inflazione facendole salire di un tot l’anno.
Difficile, quasi impossibile, pensare che questi soldi arriveranno subito. Per motivi diversi. In primo luogo l’enormità della cifra complessiva (5 miliardi sono più del gettito di una rata della vecchia Imu) e per una serie di motivi tecnici. Uno per esempio è che prima di restituire bisogna ricalcolare quanto e a chi. Un calcolo che va fatto per milioni di pensionati per due anni. Una prima stima complessiva dice che dovranno essere restituiti circa 1.8 miliardi relativi al 2012 e altri 3 relativi al 2013. Ma un conto sono le stime, altro conto i singoli rimborsi.
La sentenza, sulla carta, impone che restituzione ci sia. Ma non dice quando e soprattutto come. Ai pensionati, insomma, verrà richiesto di avere pazienza. Anche perché al Governo toccherà il compito di scegliere come materialmente dare questi soldi. Una possibilità, la più logica ma non è detto che sia quella scelta, è a rimborso. Semplicemente per ogni pensionato viene calcolato il dovuto e quindi versato. Attenzione, però, il ricalcolo comprende anche le tasse: non sarà ovviamente una restituzione al netto.


Disoccupazione torna a salire. Istat: a marzo al 13%


Il tasso di disoccupazione torna a salire a marzo: cresce di 0,2 punti percentuali (da febbraio) al 13%. Lo comunica l’Istat nei dati provvisori, precisando che la risalita arriva dopo i cali registrati a dicembre e a gennaio e la lieve crescita a febbraio. Si tratta del livello più alto dal novembre scorso (13,2%).
La disoccupazione giovanile (calcolata solo sui giovani in cerca di lavoro) a marzo risale oltre il 43%: il tasso segna un aumento di 0,3 punti percentuali a quota 43,1%, dal 42,8% di febbraio. Lo rileva l’Istat nei dati provvisori. Si tratta del livello più alto da agosto scorso.
A marzo le persone in cerca di occupazione sono 3,302 milioni, in aumento dell’1,6% da febbraio. Nello stesso mese gli occupati sono 22,195 milioni, in calo dello 0,3% su base mensile. Stabile la forza lavoro a 25,497 milioni di unità.

SCIOPERO LA7: ADESIONE SUPERIORE AL 60%


"Ad ora l'adesione allo sciopero di oggi, proclamato da Slc-Cgil e Uilcom-Uil a La7, sarebbe superiore al 60%, con punte del 90% presso gli studi di Via Novaro a Roma". Così dichiara Barbara Apuzzo, segretaria nazionale Slc Cgil.
"L'alta adesione allo sciopero ha provocato uno stravolgimento del palinsesto: il TG è stato trasmesso da Milano, e ha pre-registrato tutti i programmi sinora trasmessi. Prendiamo peraltro atto dell’evidente attacco al sindacato, ed alla Cgil in particolare proprio nel giorno dello sciopero, che traspare dai servizi preparati ad hoc e messi in onda oggi – prosegue la sindacalista.
“Ad ulteriore riprova di tale atteggiamento Cairo, in un’intervista a La Repubblica di oggi, manifesta la propria "sorpresa" nel constatare che "invece che gioire per le certezze che già hanno" (il posto di lavoro), i lavoratori osino chiedere "quanto oggi non possono avere". Il riferimento è al giusto riconoscimento economico legato alla produttività, quella che, per inciso, concorre al tanto sbandierato risanamento aziendale, e al riconoscimento di diritti uguali per tutti i lavoratori.
“Sembra proprio che l’editore Cairo si sia dimenticato che in Italia esistono ancora dei diritti, tra cui, oltre a quelli costituzionali allo sciopero e al lavoro da circa 70 anni ad oggi, anche ad un dignitoso salario ed alle tutele previsti dallo statuto dei lavoratori siglato ben 45 anni orsono – ricoreda Apuzzo. Ricordiamo pertanto a Cairo che l'agitazione di oggi è stata indetta a causa dell’indisponibilità del Gruppo a trovare forme di accordo per l'estensione dei diritti e delle tutele ai neo-assunti e ai precari, e per il rinnovo del secondo livello di contrattazione".

“Un ringraziamento va invece alle lavoratrici e ai lavoratori di La7 – conclude Apuzzo - che hanno aderito in massa a questo sciopero e alle Rsu che hanno lavorato in modo splendido per favorirne la riuscita: lottare per difendere i propri diritti e per estenderli ai più deboli come hanno fatto i lavoratori di La7, è veramente il modo migliore per festeggiare il 1º Maggio.”

29 aprile 2015

"Il Gioco del Telefono - nella giungla dei call center italiani" - Rainews24


di Giulia Di Stefano - Delocalizzazioni, gare al massimo ribasso, mancanza di regole: il settore call center, in Italia, impiega circa 80mila lavoratori ma è in profonda crisi. Un viaggio-inchiesta dalla Lombardia alla Sicilia per scoprire le situazioni più critiche.


Editoria: Apuzzo (Slc Cgil), governo ha reali intenzioni di rilanciare e risanare settore?

"Da mesi chiediamo al Sottosegretario Lotti una convocazione per discutere della tanto annunciata riforma dell’editoria evidenziando, insieme a numerose altre associazioni, anche datoriali, l’urgenza di trovare nell’immediato risposte concrete per le cooperative editoriali e non profit che domani rischiano di dover portare i libri in tribunale - cosi' dichiara Barbara Apuzzo segretaria nazionale Slc Cgil.
"Il 30 aprile le aziende devono chiudere i propri bilanci 2014 e senza certezze riguardo all’ammontare delle risorse che il governo mette a disposizione attraverso il Dip.to per l’Editoria la loro chiusura sarà inevitabile, determinando la perdita di centinaia di posti di lavoro e la soppressione di ulteriori presidi di democrazia, a garanzia di quel pluralismo che una legge di riforma del settore dell’editoria deve garantire."
"Parliamo di un fabbisogno di circa 70 milioni di euro annui per i contributi 2014 e 2015 - prosegue la sindacalista- cifra non impossibile da reperire, considerato che su quali interventi siano possibili si è già aperta una riflessione all’interno della commissione del Dipartimento Editoria."
"A questo punto dunque va verificata la volontà politica di procedere in direzione del risanamento e del rilancio di un settore - conclude Apuzzo- che, lo dicevamo prima, alimenta e d voce alla democrazia del nostro paese, ben sapendo che tra il dire e il fare, questa volta non può esserci il mare."

NOTA DI REDAZIONE:

Nella foto la Segretaria Nazionale della Slc Cgil Barbara Apuzzo

23 aprile 2015

Comunicato Unitario: Call&Call receda dalla decisione di chiudere la sede di Milano


Il 22 aprile si è svolto a Milano il coordinamento unitario delle RSU del Gruppo Call&Call a seguito della dichiarazione di cessazione delle attività del sito di Milano ed il conseguente licenziamento di 186 lavoratrici e lavoratori.
Il Coordinamento Unitario delle RSU, di concerto con le Segreterie Nazionali e Territoriali, ha fortemente condannato, nel metodo e soprattutto nel merito, questa decisione. Risulta totalmente incomprensibile la scelta aziendale, soprattutto alla luce degli sforzi fatti proprio sul sito milanese per contenere i costi e migliorare l’efficacia e la qualità dell’organizzazione del lavoro. Così come la questione della poca sostenibilità economica della sede di Milano è poco credibile, anche perché l’azienda dovrebbe spiegare il motivo per il quale ha utilizzato in questi mesi il contratti di solidarietà in modo del tutto trascurabile, riducendo in questo modo la possibilità di contenere i costi.
Non sfugge al coordinamento l’estrema difficoltà nella quale si trova il settore dei call center in outsourcing e le aziende che ne fanno parte. L’estrema gravità del momento, appesantita ulteriormente dall’assenza di regole e dalla poca incisività del Governo nella risoluzione della crisi del settore, ha visto il sindacato confederale fortemente schierato in questi mesi a difesa dell’occupazione sottoscrivendo accordi difficili, difensivi che hanno fatto si ché il perimetro occupazionale del comparto dei call center in outsourcing, sebbene sotto attacco, non subisse ridimensionamenti. E’ evidente che queste difficoltà oggettive non possano non interessare anche Call&Call, un’azienda alla quale va comunque dato atto di aver scelto di non de localizzare attività all’estero, ma è altrettanto evidente che, per il sindacato, la strada scelta dalla dirigenza aziendale di drammatizzare e di dividere l’azienda pensando di poter “sfogliare la margherita”attaccando oggi Milano e domani altre sedi sia totalmente sbagliata. Una strada oltretutto in totale controtendenza rispetto al sistema di relazioni industriali impostate sino ad ora in azienda.
Sulla base di queste considerazioni la Segreterie Nazionali e territoriali e tutte le RSU di Call&Call respingono la decisione aziendale di chiudere la sede di Milano e ne chiedono quindi il ritiro. Nel contempo chiedono all’azienda di aprire subito un confronto complessivo sullo stato di tutto il Gruppo, rendendosi disponibili a ricercare soluzioni che possano migliorare la qualità e la produttività aziendali complessive, rigettando le facili scorciatoie di interventi sulla mera compressione del costo del lavoro e dei diritti e ritenendo inaccettabile che si possa pensare di scaricare le difficoltà di un mercato senza regole su una parte di lavoratori.
In mancanza di risposte tempestive il sindacato affiancherà alle azioni messe in campo su Milano una serie di ulteriori iniziative che coinvolgeranno il resto dei lavoratori di Call&Call.
Roma, 23 Aprile 2015
Le Segreterie Nazionali
SLC-CGIL FISTEL-CISL UILCOM-UIL UGL TELECOMUNICAZIONI
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Jobs act, il call center licenzia 186 persone a Milano
Chiudere lo stabilimento alle porte di Milano, mandare a casa 186 persone e nel frattempo assumerne altre fra Roma e la Calabria approfittando delle agevolazioni previste dalle nuove norme inserite nel Jobs act. Ottenendo così un doppio risultato: prendere giovani con contratti meno costosi e più flessibili e ottenere gli sgravi fiscali del governo. La denuncia arriva dalle categorie del settore comunicazione di Cgil, Cisl e Uil.
La storia arriva da Cinisello Balsamo e l’azienda è la Call&Call Milano srl, un call center che si occupa dei servizi di customer care per tre importanti società finanziarie e bancarie italiane: Ing Direct, Agos Ducato e Fiditalia. Il gruppo Call&Call nasce nel 2002 proprio a Cinisello (dove tuttora risiede la holding): da qui la società si espande su tutto il territorio nazionale e oggi ha in tutto 2.500 dipendenti e fattura 57 milioni all’anno, come si legge sul sito della stessa società. Solo che il 10 aprile scorso il consiglio di amministrazione dell’azienda ha aperto la procedura di licenziamento collettivo per la chiusura del sito.
Già da luglio il personale di Cinisello era in contratto di solidarietà di tipo difensivo, riuscendo così a evitare il licenziamento di 41 persone. «Ma con una mossa spregiudicata — dice Sara Rubino (Slc Cgil) — la proprietà, senza aver mai comunicato le difficoltà legate alla gestione del contratto di solidarietà, ha dirottato parte del flusso di lavoro su altre sedi del gruppo, anche assumendo nuovo personale con il contratto a tutele crescenti e senza averci dato risposte rispetto a ciò che già vedevamo e di cui chiedevamo informazioni».
Ma come fa un’impresa che attiva la legge 223, cioè la procedura per i licenziamenti collettivi, ad assumere contemporaneamente nuovi lavoratori in altre zone d’Italia? «Il sistema sta in piedi perché Call&Call ha costituito più società, come in un gioco di scatole cinesi: c’è Call&Call Milano srl, Call&Call La Spezia srl, Call&Call Lokroi srl», spiega Adriano Gnani (Uilcom Uil). Quindi quella milanese può risultare effettivamente in crisi, a differenza di quella di Roma, o di Locri, o della Spezia. La perdita annuale su Cinisello sarebbe di 500mila euro: «Colpa dei costi eccessivi del lavoro, secondo l’azienda. Questo nonostante lo stipendio medio degli operatori sia sui 1.200 euro mensili, che però con i nuovi assunti possono scendere a 1.000».
La versione della holding è che «negli ultimi anni ci sono state perdite di esercizio significative non più sostenibili a seguito di un calo delle commesse e in presenza di costi generali incompatibili con il nuovo contesto di mercato, soprattutto per una fra le pochissime imprese del settore che ha scelto di non spostare lavoro italiano in offshoring e, dunque, non ha potuto mediare l’incidenza del costo del lavoro ricorrendo alla delocalizzazione. Da qui la necessità non più rinviabile di attivare la procedura di mobilità, trattandosi di una situazione strutturale e non congiunturale». Già lo scorso 10 aprile i lavoratori avevano reagito alla comunicazione con uno sciopero: adesso l’intenzione è trasformare una vertenza locale in una questione che riguardi nel complesso la società.

Immigrazione: Cgil, governo non sprechi occasione Consiglio europeo


www.cgil.it
"Non è con le opzioni militari né con il rafforzamento dei dispositivi di sicurezza alle frontiere che si può affrontare la tragedia umanitaria che stiamo vivendo. Il presidente del Consiglio ha fatto bene a chiedere la convocazione urgente del Consiglio europeo, ma ora non deve sprecare questa occasione prestandosi a soluzioni pericolose e inefficaci". Così Vera Lamonica, segretaria confederale della Cgil, a seguito delle dichiarazioni di Matteo Renzi alla Camera in merito alla posizione che il governo terrà domani al vertice straordinario dell'Ue sull'emergenza immigrazione.

"Il raddoppio di Triton, il cui impegno resterebbe comunque molto al di sotto di quello di Mare nostrum, non risolve il problema fondamentale della sua missione: il suo scopo deve infatti consistere nella ricerca e nel soccorso, cosa non affatto chiara", sostiene Lamonica. "In secondo luogo - continua - evitare che le persone muoiano in mare non può voler dire lasciarle morire sulla terraferma, dove gli occhi dell'Europa non arrivano. Non bisogna difendersi DAI disperati, ma difendere I disperati, questo deve essere l'obiettivo dettato dai valori della politica, dell'etica e della civiltà dell'Europa".

"Affrontare l'emergenza e individuare una soluzione a livello europeo significa anche e soprattutto condivisione dell'accoglienza. Fino a quando i ricollocamenti umanitari dipenderanno dalla volontarietà dei singoli stati - spiega la dirigente sindacale - la risposta sarà finta". "È fondamentale invece intervenire nei luoghi di partenza e di transito, e per questo continuiamo a chiedere l'apertura di canali umanitari. È evidente a tutti - prosegue - che la stabilizzazione della Libia non è a portata di mano e che la necessaria azione per la pace in tutte le aree interessate da conflitti, oltre a non aver bisogno di improbabili interventi militari, implica tempi più lunghi rispetto all'urgenza di salvare le vite torturate di donne, uomini e bambini che non sono immigrati, ma profughi e richiedenti rifugio e asilo".

"Corridoi umanitari, Mare nostrum europeo, superamento del regolamento di Dublino tre: sono queste le richieste avanzate ieri da decine di organizzazioni e associazioni nelle piazze di tutta Italia. Si ascoltino loro - conclude Lamonica - e non le forze del populismo e della demagogia che speculano sui morti e sulla sofferenza umana".



Telecom Italia Comunicato SLC "Caring Services" 22 aprile 2015

Caring Services: il tempo è finito, è necessario che tutti siano chiari e ognuno si assuma le proprie responsabilità.
Sono trascorsi tre mesi dal risultato del referendum che ha respinto l’ipotesi di accordo sul caring e più di due mesi dalla comunicazione dell’Amministratore Delegato che annunciava l’intenzione aziendale di voler procedere alla societarizzazione del caring di Telecom.
In questo periodo Slc Cgil, assumendo il risultato del voto del referendum, ha provato a individuare soluzioni che consentissero di riaprire la trattativa e definire un’intesa che eviti la societarizzazione nel rispetto del pronunciamento dei lavoratori.
Con senso di responsabilità Slc non ha assunto posizioni unilaterali, evitando di creare nuove lacerazioni nel rapporto tra le organizzazioni sindacali e, soprattutto, con l’azienda.
Con tale modalità, Slc ha avanzato una proposta di modifica dell’impianto del Cloud delle competenze, individuato come l’elemento che ha portato alla bocciatura dell’accordo da parte dei lavoratori.
Il faticoso lavoro di ricucitura intrapreso ha portato l’azienda ad avanzare alcune proposte, in linea con le richieste di Slc, che tuttavia non sono state giudicate sufficienti per riaprire la trattativa. I veti incrociati, le resistenze che da più parti sono poste alla ripresa del confronto, la mancata convocazione del coordinamento (non si riunisce più dal 18 dicembre 2014) rendono necessario un cambio di strategia e, soprattutto, richiedono che la discussione sia realizzata in maniera trasparente e con la totale consapevolezza da parte dei lavoratori.
E’ del tutto inaccettabile proseguire in un confronto in cui gli interessi dei lavoratori non siano la priorità, impedendo in tale modo di riprendere un’iniziativa unitaria da portare in assemblea per chiedere un preciso mandato sul prosieguo della vertenza.
In tale contesto, La Segreteria Nazionale di SLC, unitamente ai membri del coordinamento eletti nelle proprie liste, ha deciso di avanzare le proposte di modifica che ritiene di apportare al testo dell’ipotesi sottoscritta il 18 dicembre, con le quali avviare una campagna di assemblee su tutto il caring, che dovrà concludersi entro i primi giorni del mese di maggio, per ottenere un mandato a riaprire la trattativa e impedire la societarizzazione. Le assemblee dovranno pronunciarsi, attraverso il voto degli iscritti, sulla proposta e sul percorso con le iniziative di lotta a sostegno della vertenza.
Analogamente, dovrà essere previsto che un eventuale nuovo accordo debba essere approvato dal voto dei lavoratori.
Il mandato sarà accompagnato dall’apertura delle procedure di raffreddamento, necessarie per addivenire alla dichiarazione di sciopero da effettuarsi nel mese di maggio a sostegno della riapertura della vertenza.
Nel merito la proposta che Slc avanza è la seguente:
partendo dal modello iniziale occorre specificare con maggiore determinatezza la finalità formativa dell’impianto. Il progetto del cloud delle competenze è quindi confermato, con la previsione che:
il dato non sia visibile alla sala regia (il progetto richiede a quest’ultima di essere a conoscenza degli skill dei lavoratori presenti per fare il routing delle chiamate);
la visualizzazione del dato non sia continua ma definita attraverso un periodo di monitoraggio (di cui il lavoratore deve essere a conoscenza) alternato a periodi di non monitoraggio. La puntuale definizione dell’alternanza deve consentire di ridurre al minimo il periodo di analisi;
i dati dovranno essere gestiti da una nuova funzione specifica di cui non farà parte la linea gerarchica del lavoratore. Tale struttura dovrà definire l’elaborazione degli skill e gli interventi formativi necessari;
il dato del lavoratore potrà essere oggetto di analisi solamente all’interno dell’incontro previsto dall’ipotesi di accordo;
i dati raccolti dovranno essere cancellati trascorso un periodo definito.
Terminato il percorso di assemblee, SLC ritiene che l’Azienda debba riconvocare immediatamente un tavolo di confronto per individuare le soluzioni necessarie a raggiungere un’intesa. In assenza, apparirebbe evidente la volontà aziendale di voler procedere verso la societarizzazione del caring e ciò non può che determinare l’assoluta volontà di Slc di opporsi a tale processo attivando tutte le iniziative di lotta necessarie a contrastarlo.
Continuare a strumentalizzare il voto dei lavoratori e utilizzare l’arma dei veti per impedire di trovare una soluzione sono azioni non più sostenibili. La bocciatura dell’accordo è la risultanza del clima con cui si lavora all’interno del caring, delle forti pressioni che vengono esercitate, della scarsa attenzione che si riserva a procedure e software non sempre adeguati a garantire elevate produttività. Pertanto, sarà necessario individuare anche soluzioni in grado di migliorare il “benessere” abbassando il livello di stress da lavoro correlato presente.
Telecom deve decidere quale atteggiamento adottare e definire in maniera inequivocabile se scommettere sul coinvolgimento del proprio personale.
Slc sarà a fianco dei lavoratori con una vertenza che coinvolgerà, a partire da una prima iniziativa di lotta proclamata per il personale del caring, l’insieme dell’azienda in cui Telecom sta procedendo con forzature unilaterali a riorganizzazioni che non sono state definite con il sindacato. Analogamente, le informazioni trasmesse ai dipendenti in merito al piano d’impresa, sulle strategie inerenti al personale, a oggi non negoziate con le OO.SS, non potranno essere implementate in assenza di un vero coinvolgimento dei rappresentanti dei lavoratori.
E’ giunto il tempo della responsabilità e della trasparenza, chi non volesse parteciparvi ha il dovere di comunicarlo ai lavoratori.
 La Segreteria Nazionale Slc-Cgil

13 aprile 2015

Bonus Bebè 2015, modalità di presentazione della domanda

Il decreto attuativo del bonus per le neomamme è arrivato in Gazzetta Ufficiale. Il provvedimento, previsto dalla Legge di Stabilità, era atteso da fine gennaio. Nel decreto si stabilisce come l’Inps abbia 15 giorni di tempo per mettere a punto i modelli attraverso cui inviare domanda per ricevere l’assegno.
“La domanda per l’assegno è presentata all’Inps per via telematica secondo modelli predisposti dall’Istituto entro il quindicesimo giorno dalla pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale del presente decreto”, si legge nel testo uscito nella G.U. del 10 aprile. Si prevede anche che l’Inps assicuri “le modalità più idonee per facilitare l’accesso alla misura da parte dei nuclei familiari, anche mediante le proprie sedi territoriali, il contact center e procedure telematiche assistite”.
Quanto ai tempi entro cui presentare la domanda, nel dpcm viene riportato come possa essere avanzata “dal giorno della nascita o dell’ingresso nel nucleo familiare a seguito dell’adozione del figlio”. Inoltre viene specificato che
“ai fini della decorrenza dell’assegno dal giorno della nascita o dell’ingresso nel nucleo familiare a seguito dell’adozione, la domanda deve essere presentata non oltre il termine di 90 giorni dal verificarsi dell’evento ovvero entro i 90 giorni successivi all’entrata in vigore del presente decreto”.
Nel caso in cui la domanda sia presentata oltre i tempi previsti,
“l’assegno decorre – si chiarisce – dal mese di presentazione della domanda”. L’incentivo alla natalità, viene ricordato nel decreto, passa attraverso un assegno pari ad 960 euro per figlio, ovvero 80 euro mensili, per le famiglie con un Isee non superiore ai 25 mila euro. Per i nuclei sotto 7.000 euro il bonus raddoppia. L’assegno è concesso fino al terzo anno di età o d’ingresso nel nucleo familiare a seguito dell’adozione. Nel decreto viene anche riportato l’arco temporale di validità del bonus, che opera per “per ogni figlio nato o adottato tra il 1 gennaio 2015 e il 31 dicembre 2017″.

Il decreto, un dpcm, è composto da sei articoli e porta le firme del premier Matteo Renzi, oltre che dei ministri dell’Economia, Pier Carlo Padoan, del Lavoro, Giuliano Poletti, e della Salute, Beatrice Lorenzin (siglato il 27 febbraio, registrato dalla Corte dei Conti il 31 marzo). .

12 aprile 2015

In Ufficio fa Freddo? Ci si può Rifiutare di Lavorare

Quante volte avrete pensato che nel vostro Ufficio, Azienda o Posto di Lavoro si soffrisse troppo il Freddo o il Caldo? Sicuramente molto spesso, infatti è fatto risaputo che i Datori di Lavoro Italiani non curano più di tanto l’Ambiente di Lavoro in cui Lavorano i propri Dipendenti, ma da oggi il Lavoratore che si trova a svolgere la propria Attività Lavorativa in condizioni Climatiche non ottimali può astenersi dal Lavoro ed essere Retribuito al tempo stesso, a stabilirlo è una Sentenza della Cassazione.
La Corte di Cassazione tramite la sentenza 20 gennaio – 1 aprile 2015, n. 6631 ha fatto chiarezza sulle Condizioni di Lavoro dei Dipendenti affermando che quando in azienda fa troppo Freddo o in generale le Condizioni Climatiche non sono ideali per poter svolgere l’Attività Lavorativa, l’astensione dei dipendenti è più che legittima poichè il datore di Lavoro (l’Azienda) è tenuto, per legge a garantire le condizioni idonee per la tutela della salute e della sicurezza sul posto di lavoro.
Nel caso in cui i Dipendenti decidano di non recarsi al Lavoro l’azienda non può in nessun modo effettuare delle trattenute sullo stipendio per il mancato svolgimento dell’Attività Lavorativa questo perchè lo Stop non è avvenuto per volontà dei dipendenti, ma per una impossibilità oggettiva a svolgere le normali attività di Lavoro.
Quindi la retribuzione dei Dipendenti in casi del genere deve essere in misura integrale, senza alcun tipo di decurtazione.
Diventa quindi compito del Datore di Lavoro effettuare regolare manutenzione degli impianti di Climatizzazione al fine di garantire un Ambiente di Lavoro che non arrechi nessun tipo di pericolo per la Salute dei Lavoratori, infatti la disorganizzazione dell’azienda in questo senso non deve e non può ripercuotersi sui Dipendenti e sulla loro salute è altresi compito dell’Azienda assicurare e garantire le condizioni necessarie a tutelare l’integrità fisica e la personalità morale.

Cass. sent. n. 6631/15 dell’1.04.2015

Tlc: comunicato Call&Call chiude la sede di Milano

Call&Call ha aperto oggi le procedure di legge per la chiusura della sede di Milano con il conseguente licenziamento di 186 lavoratrici e lavoratori.   Una decisione sbagliata contro la quale SLC‐CGIL, FISTEL‐CISL e UILCOM‐UIL, a tutti i livelli si opporranno e che    compromette lo stato dei rapporti sindacali in tutto il Gruppo.   Fino ad oggi Call&Call si è positivamente contraddistinta per un approccio costruttivo e per l’impegno, profuso anche a livello di settore, per trovare soluzioni normative che stabilizzino il mondo dei customer. Questa decisione rappresenta una cesura violenta, soprattutto se si considera che, proprio sulla sede di Milano, i lavoratori ed il sindacato hanno negli ultimi mesi dato ampiamente prova di voler farsi carico delle difficoltà del sito sottoscrivendo un oneroso accordo che ha introdotto i Contratti di Solidarietà ed altre manovre per il recupero di efficienza e produttività. Già in queste ore sulla sede di Milano si stanno predisponendo tutte le iniziative di contrasto, nel frattempo le Segreterie Nazionali aprono lo stato di agitazione su tutte le sedi con la conseguente interruzione delle relazioni sindacali ( a riguardo si invitano tutte le strutture sindacali ad interrompere in ogni sede qualsiasi percorso relazionale in corso).   Il prossimo 22 aprile si riunirà a Roma il Coordinamento Unitario delle RSU di Call&Call per decidere il percorso da intraprendere collegialmente per contrastare la decisione aziendale.

Le Segreterie Nazionali di SLC‐CGIL, FISTEL‐CISL e UILCOM‐UIL

Addio Telecom: si passa automaticamente a TIM: ecco cosa cambia


Telecom ne sta dando comunicazione all’interno delle proprie bollette: non quindi con una raccomandata, non con una telefonata. Dal primo maggio tutti i contratti con Telecom saranno “volturati” a TIM: un passaggio automatico che comporterà anche l’applicazione di nuove tariffe. In pratica i contratti che gran parte degli italiani hanno sottoscritto saranno disattivati e trasferiti al nuovo operatore. Chi non ci sta, deve comunicare immediatamente la volontà di recedere, altrimenti subirà gli aggravi. Ma procediamo con ordine.

Passaggio automatico da Telecom a Tim
Chi ha stipulato un contratto di telefonia fissa o mobile con Telecom tra meno di un mese, e precisamente dal prossimo 1° maggio 2015, verrà ceduto a TIM. In buona sostanza, senza che l’utente faccia nulla, il suo contratto telefonico passerà automaticamente al nuovo gestore. Le novità che comporta questo trasferimento non sono di poco conto.

Bollette ogni mese, non più bimestrali
Si parla, innanzitutto, di bollette mensili e non più bimestrali come sono attualmente. Quindi, ogni mese si riceverà il conto da pagare o (per chi lo ha richiesto) l’addebito automatico in conto (cosiddetta domiciliazione della bolletta).

Nuove tariffe
Cambiano anche le tariffe. In particolare, va via il canone fisso dalle nostre bollette (attualmente pari a 18,54 euro) e, a fronte di ciò, saremo soggetti a delle tariffe fisse e standard secondo quattro diversi piani:

– chi ha un contratto solo voce (ossia traffico telefonico senza internet) passerà automaticamente (se non dichiarerà altre intenzioni) all’opzione “Tutto Voce” e pagherà 29 euro al mese con chiamate illimitate sia verso numeri fissi che mobili.

– chi ha un contratto voce e adsl (ossia, insieme alla tradizionale linea telefonica ha anche il collegamento internet) passerà automaticamente (se non dichiarerà altre intenzioni) all’opzione “Tutto” e pagherà 44,90 euro al mese, con chiamate e adsl a 7 mega illimitati. Qui la situazione è sostanzialmente identica a quella attuale, per cui non ci saranno sostanziali rincari.
Chi però è con Telecom da più di dieci anni, riceverà uno sconto su questa tariffa e pagherà solo 29 euro per il primo anno e 39 euro per i successivi.

In entrambi i casi, gli utenti, se non esprimeranno alcuna opzione, saranno vincolati alla nuova tariffazione. Ma potranno sempre chiedere il passaggio a un altro tipo di contratto. Sono infatti previste due ulteriori opzioni:

– “Voce” destinata a chi fa poche telefonate e non usa internet: in questo caso si paga 19 euro al mese e un costo al minuto di 10 centesimi per le chiamate su cellulare e verso fisso, senza scatto alla risposta e tariffazione a scatti ogni sessanta secondi.

– “Tutto Fibra” destinata a chi ama le connessioni web superveloci: in questo caso, a fronte della trasformazione della linea adsl in una a fibra ottica, si pagherà 44,90 euro per il primo anno e 54,90 per i successivi.

Come recedere da TIM
Resterà ferma la possibilità, per chi non si senta soddisfatto delle predette opzioni, di passare a un operatore telefonico diverso da TIM. Ma attenzione: la richiesta andrà fatta entro il 31 maggio 2015. Diversamente il passaggio a TIM sarà automatico. L’utente, in particolare, dovrà inviare una raccomandata a.r. comunicando o il passaggio a un altro gestore di telefonia oppure la cessazione completa dell’utenza. In entrambi i casi non potranno essere applicate penali o costi di migrazione.


09 aprile 2015

Giuseppe Oliva eletto oggi nuovo coordinatore regionale Nidil Cgil Sicilia

www.cgilct.it
Giuseppe Oliva, 35 anni, di Catania, è il nuovo coordinatore regionale Nidil Cgil Sicilia. Oliva è stato eletto oggi a Palermo dal direttivo regionale della struttura sindacale della CGIL che rappresenta dal 1998 i lavoratori in somministrazione (ex interinali) ed i lavoratori atipici, in presenza di Michele Pagliaro, segretario generale Cgil Sicilia, e del segretario generale Nidil Cgil nazionale Claudio Treves; presente alla riunione anche il segretario generale della Cgil di Catania Giacomo Rota.
Oliva, dipendente del call center Almaviva, inizia la sua attività di dirigente sindacala nel 2009 assumendo incarichi di direzione politica per la Slc Cgil Catania, e nel 2010 ha assunto l'incarico di segretario generale Nidil Cgil Catania, e dal 2013 ricopre pure l'incarico di responsabile Mercato del lavoro della Cgil di Catania.

La sua attività sindacale è caratterizzata nell'impegno a difesa del diritto al lavoro stabile dei lavoratori precari e a sostegno quindi della loro inclusione nel mondo del lavoro. Negli ultimi anni, inoltre, Giuseppe Oliva ha gestito l'importante questione relativa alle domande d'accesso agli ammortizzatori sociali in deroga, anche nel rapporto con l'utenza ed è significativo che quasi metà degli aventi diritto, in questo periodo, è stato proprio assistito dall'apposito sportello attivo alla Cgil di Catania. Oliva è oggi il più giovane tra coloro che ricoprono un incarico di direzione regionale nella Cgil siciliana.

Lorenzo Orlando, 44 anni, tecnico della Telecom Italia venerdì 3 aprile muore sul lavoro!


Si getta nel vuoto dal terrazzo (al 6° piano) al cortile della sede aziendale di Via Manuzio, nel quartiere di San Fruttuoso a Genova.
Lorenzo e’ fratello di mia moglie Danila. E per la differenza di eta’ e per il tempo condiviso il nostro rapporto e’ molto vicino a quello che intercorre tra “padre e figlio”. In quel volo, pertanto, muore anche una parte di me.
E’ per lui, per la sua memoria e per la sua dignità che - nonostante il dolore straziante che mi affligge - sto trovando la forza di scrivere questa nota. Nel rispetto della sua vita e del suo gesto estremo.
La prima cosa che vorrei smentire e’ quanto riportato sulla cronaca genovese del Secolo XIX del 4 aprile 2015 (allegato). Non e’ vero che Lorenzo soffra abitualmente di crisi depressive. In oltre vent’anni di lavoro alla Telecom Italia… i giorni di assenza per malattia si contano sulle dita di una mano. La sua presenza al lavoro e’ regolare e continua. Lontano, quindi, dalla media italiana di 23 giorni annui di assenteismo sul lavoro, correlato al “mal di vivere”. Non solo. In vita sua non e’ mai stato in cura da specialisti in neurologia o psichiatria. Lo può confermare il suo medico che gli prescrive solo una settimana fa, per la prima volta in 44 anni, un leggero psicofarmaco perché da un po’ di giorni Lorenzo non riesce a dormire, a causa di un crescente stato di ansietà dovuto al lavoro.
Lorenzo, infatti, da quando aveva cambiato (a meta’ gennaio) ufficio e funzioni alla Telecom manifesta un’intensa preoccupazione di non farcela, di non essere in grado di svolgere i propri compiti. Il suo lavoro, purtroppo, si trasforma in una fonte di stress e paura. Causa principale di quei disturbi d’ansia e depressione che Lorenzo inizia ad avere. Ma non a palesare apertamente. Ad esempio mettendosi in malattia. Neppure se sta male. Forse per la paura di compromettere il mantenimento del posto di lavoro. Oppure per la sua etica un po’ “giapponese” del lavoro.
Il disagio di Lorenzo inizia a manifestarsi con l’insonnia, la fatica di perseguire i molteplici interessi e un senso di inadeguatezza sul lavoro. Sono tipici disturbi depressivi che derivano da componenti sia biologiche, sia sociali. Nella sfera lavorativa questi disturbi possono essere favoriti dalla mancanza di supporto sociale e da problemi relazionali. Non ho elementi per valutare il contesto organizzativo e relazionale di Telecom Italia in cui Lorenzo lavora……… Al contempo non ho difficoltà ad affermare che sempre di più molti ambienti lavorativi esasperano la competizione, creando situazioni ansiogene e depressive o aggravandole nel caso siano già presenti in una persona.
Senza strumentalizzazioni, ma a ragion veduta, e’ ipotizzabile pertanto l’esistenza di un nesso causale tra la sua morte e il contesto lavorativo (con sempre meno persone per compiti e responsabilità crescenti) in cui operava negli ultimi mesi alla Telecom Italia. Una vicenda che a qualcuno fa ricordare la tragica sequenza di suicidi, di qualche anno fa, alla France Télécom o alla Renault.
Nelle ultime parole di Lorenzo, scritte su un foglio cartonato lasciato nella cucina di casa, si ritrovano le ragioni che lo hanno spinto al suicidio. La corrispondenza con i disturbi depressivi lavoro-correlati e’ impressionante:
1. L’alterazione dell'umore verso forme di profonda tristezza (“Mi tolgo la vita, non provo più nessuna passione”).
2. L’isolamento come incapacità di comunicare con gli altri (“a lavorare mi sono isolato da tutti”).
3. La riduzione dell'autostima e il senso di colpa (“perdo la memoria, non sono in grado di fare il mio lavoro per causa mia”).
4. Il bisogno di autopunizione (“Non merito di vivere, un abbraccio vi voglio bene”).

Gianni Alioti

04 aprile 2015

Lavoro: da Strasburgo rigidi paletti sul controllo a distanza


l controllo a distanza dei lavoratori, uno degli aspetti più controversi e criticati del Jobs Act, trova ora un pesante altolà: dal Consiglio d'Europa arriva infatti un esplicito divieto ai datori di lavoro di 'spiare' i dipendenti e di interferire nella vita privata di chi lavora per loro. Lo afferma una raccomandazione del comitato dei ministri del Consiglio d'Europa - riportata dall'Ansa - che mira a proteggere la privacy dei lavoratori di fronte ai progressi tecnologici che permettono ai datori di lavoro di raccogliere e conservare ogni tipo di informazione.

Più nel dettaglio, il Consiglio d’Europa afferma che ai datori di lavoro è vietato usare qualsiasi tecnologia al solo scopo di controllare le attività e i comportamenti dei dipendenti, ma soprattutto che nel caso si renda necessario utilizzare telecamere, o altri sistemi di sorveglianza, questi non dovranno mai essere posizionati in zone dove normalmente i dipendenti non lavorano, come spogliatoi, aree ricreative, o mense.

Altro aspetto importante evidenziato dal Consiglio d’Europa: il lavoratore ha sempre il diritto di sapere quali dati il 'padrone' sta raccogliendo su di lui e perché, e ha anche il diritto di visionarli, di chiederne la correzione, e addirittura la cancellazione. Nella raccomandazione vengono elencate anche tutte le informazioni che un datore di lavoro non può chiedere al dipendente o a chi vuole assumere, e i limiti che deve rispettare nel comunicare, anche all'interno della stessa azienda, i dati raccolti.

Dunque, seppure non si tratti di una norma con valore vincolante, la raccomandazione ha un peso importante, anche perché potrà essere usata davanti ai tribunali nazionali, e poi eventualmente alla Corte di Strasburgo, da chi ritenga violata la sua privacy.


PS: Tanto per chiarire la posizione del Consiglio Europeo sul controllo individuale e anche sull'utilizzo di telecamere, o altri sistemi di sorveglianza

02 aprile 2015

Paternò, scongiurati licenziamenti per i dipendenti Qè

«Non c’è alcuno rischio di perdita di posto di lavoro. I trecento lavoratori assunti a tempo indeterminato del call-center Qè possono stare tranquilli. È in atto una trasformazione dell’azienda, la quale inquadrata nell’ambito del settore dei servizi assumerà ben presto i caratteri di un'impresa legata al settore industriale». Ad affermalo Giovanni Pistorio, segretario provinciale della Cgil, il quale assieme al collega Antonio D’Amico, segretario generale della Fistel-Cisl, sta seguendo la metamorfosi dell’azienda bresciana Qè, dopo l’uscita di scena dell’imprenditore paternese Franz Di Bella che deteneva il 28 per cento delle azioni.

Una assemblea sindacale tenutesi all'interno delle due strutture dell’azienda in contrada Monafria e in contrada Tre Fontane ha provocato molta preoccupazione tra i lavoratori, tra i quali molti giovani tra i 20 e 35 anni. «Abbiamo fatto un miracolo, abbiamo evitato dei licenziamenti - ha dichiarato Antonio D’Amico - erano a rischio un centinaio di posti di lavori in quanto esuberi. Grazie alla trasformazione di azienda legata al ramo industriale, possiamo ottenere un aiuto attraverso gli ammortizzatori sociali; con l’introduzione della cassa integrazione, una volta ottenuta, avremmo una riduzione del monte ore, ma nessuna licenziamento», assicura il sindacalista. Che conclude: «Bisogna elogiare l’imprenditore che investe sul territorio etneo e in particolar su Paternò. Un imprenditore che avrebbe potuto investire fuori dall’Italia e risparmiare tantissimo».

Sulla vicenda è intervenuto anche il primo cittadino di Paternò, Mauro Mangano: «Vista la grandissima importanza che l’azienda riveste, dal punto di vista occupazionale, nel territorio paternese, mi sono immediatamente messo in contatto con le organizzazioni sindacali che stanno seguendo le vicende dei lavoratori. I sindacati mi hanno assicurato che si stanno studiando delle strategie per evitare ripercussioni negative per gli operatori del call center, mettendo a punto delle soluzioni per il rilancio dell’azienda - afferma - Il Qè rappresenta ormai da diversi anni un importante elemento di sviluppo per il nostro territorio, per questo chiedo ai vertici dell’azienda di fornire ulteriori chiarimenti in merito alle azioni che si stanno intraprendendo per evitare che venga compromesso il futuro dei numerosi operatori che vi hanno trovato impiego».

Anche l’imprenditore Franz Di bella, uno degli ex soci uscito dalla società, ha specificato che «dal momento in cui ho dato le dimissioni dall'azienda ho inviato il socio di maggioranza a non operare licenziamenti. Per salvaguardare i lavoratori ho proposto la riduzione dell’orario».

Nota di redazione:

Nella foto Giovanni Pistorio, segretario confederale della Cgil Catania

Milano 2 aprile 2015: Positive teller? No, più sindrome da burnout…

La sindrome da burnout è una reazione allo stress, una patologia che colpisce le persone che esercitano professioni d'aiuto, tra cui gli operatori di call center. Carichi eccessivi di lavoro, assenza di autonomia e di riconoscimenti generano un progressivo esaurimento emotivo del lavoratore.
In questi giorni continuano le assemblee aziendali sul Caring con l’illustrazione del Piano Industriale e una narrazione tutta in positivo.
I racconti dei positive teller aziendali, in cui i lavoratori non sono più definiti un costo, stridono con le reali condizioni di lavoro e soprattutto con le decisioni prese dal vertice, tra cui la societarizzazione del Caring.

Una cultura aziendale realmente volta a valorizzare i lavoratori del Caring dovrebbe partire da alcuni elementi basilari come: l’introduzione di pause dall’attività di risposta, innanzitutto per il 187 e il 119; la pratica della job-rotation attraverso un’equa distribuzione del back-office e una gestione organica di tutte le attività di off-line; l'adozione di procedure e sistemi informatici migliori che agevolino il lavoro invece che complicarlo; la facilitazione della conciliazione tra tempi di vita e tempi di lavoro, ad esempio rendendo maggiormente fruibili le ferie.
Invece si inventano sempre nuovi elementi di rigidità, come l’introduzione di un tetto massimo di 3-4 giorni di ferie residue dopo il periodo estivo. Le incongruenze aziendali sul 119 si manifestano chiaramente con l'implementazione della piattaforma genesys. Il cambio della barra telefonica dovrebbe comportare solo una differente gestione di alcuni applicativi, come illustrato dagli stessi vertici aziendali nazionali.
Risulta però che, nascondendosi dietro alla modifica tecnica, l'azienda voglia invece intascare un aumento di produttività. Il cambio della barra telefonica nulla ha a che vedere con l'indicazione aziendale di non utilizzare più l'ACW. Per garantire livelli di servizio adeguati, l'ACW deve continuare ad essere utilizzato in autonomia dagli operatori, nel rispetto dei processi e delle procedure, per portare a compimento le attività resesi necessarie per soddisfare le richieste esplicitate dal cliente nel corso del contatto telefonico.
Se l'azienda intende incassare aumenti di produttività, invece di ricorrere a tali espedienti scorretti, si sieda al tavolo a trattare soluzioni che, garantendo la sostenibilità del Caring, ne scongiuri definitivamente la societarizzazione.

Nel corso degli ultimi due anni l'azienda ha modificato sostanzialmente l'organizzazione del lavoro nel mondo del Credito con la creazione di un'apposita struttura e il tentativo d'introdurre la Figura Unica. Progetti che ad oggi appaiono sempre più' lacunosi e impoveriti e che nella sostanza si limitano all'aver internalizzato volumi sempre più crescenti di traffico a scapito delle attività' di credito in back-office, che oggi occupano uno spazio marginale (soprattutto sul nostro territorio).
L'attività' di phone collection deve essere effettuata in tempi rapidi, con risposte sintetiche e senza poter fornire un servizio di reale qualità. La situazione è tale che ad esempio, in ambito Consumer fisso, per fare in fretta non è consentita nemmeno la consultazione dei sistemi informatici di riferimento e, per approfondimenti, il cliente viene invitato a contattare il Servizio 187. Risulta ormai chiaro cosa intendeva l'azienda per Figura Unica, una semplice unificazione dei settori per realizzare, anche qui, un aumento di produttività attraverso la reinternalizzazione massiccia dell’attività di sollecito a scapito della professionalità e motivazione di chi, fino a ieri, era denominato "specialista del credito"
Incredibile che in questo contesto si riconduca ai lavoratori il mancato conseguimento degli obiettivi di incasso senza aver dato loro modalità operative utili a tale scopo.
Ricordiamo che, durante i lavori della Commissione Credito Business, nel 2013, e poi della Commissione Credito Consumer, nel 2014, venne più e più volte citato il nuovo Sistema Unico che avrebbe aiutato a lavorare meglio e con più efficacia: l’azienda lo magnificò, citando le cifre spese per realizzarlo. Si sarebbe dovuto collaudare alla fine del 2013, poi alla fine del 2014. Ma se ne sono perse le tracce.
Dove è finito il Sistema Unico del Credito e quanti soldi inutili sono stati spesi? L’azienda vuole più produttività, ma perché non realizza strumenti efficaci?

Il tema della sostenibilità del Caring, della necessità di trovare soluzioni che incrementino la produttività, a noi è chiaro. Le soluzioni che cerca di praticare l’azienda sono a volte insostenibili per i lavoratori (es. azzerare l’ACW al 119), a volte addirittura controproducenti (puntare solo sui solleciti non fa raggiungere gli obiettivi di incasso).

Si smetta davvero di pensare ai lavoratori del Caring come costi da tagliare e si riapra il tavolo delle trattative, non solo per scongiurare la societarizzazione, ma anche per discutere seriamente sul tema della produttività. Non vorremmo che finisse come al DAC dove nelle scorse settimane è stato escogitato un nuovo modo per "vivacizzare" l'ambiente, assegnando ai vari gruppi di lavoro nomignoli in funzione della produttività raggiunta. E’ così che i nostri colleghi sono stati suddivisi in novelli Cucciolo Gongolo e Dotto a seconda della performance ottenuta. E’ così che l’azienda intende salvarci?

SLC-CGIL LOMBARDIA RSU SLC-CGIL TELECOM MILANO e LOMBARDIA

01 aprile 2015

Call center, i sindacati a Renzi: "Cambiare subito le regole del settore"

di Federica Meta
Un intervento legislativo efficace per evitare la perdita di posti di lavoro. È l’appello che lanciano i sindacati all’indomani della presentazione dell’indagine conoscitiva sui call center presentata dalla commissione Lavoro della Camera.

“Il combinato disposto dell’assenza delle clausole sociali, presenti in tutti gli altri Paesi Europei, e degli incentivi per la nuova occupazione stanno producendo una sistematica sostituzione dell’occupazione esistente con cambi di appalto sui servizi in essere che hanno generato già migliaia di esuberi – sottolinea Michele Azzola, segretario nazionale Slc Cgil - Aver deciso di incentivare le assunzioni ha avuto come conseguenza, nello specifico del settore, che le aziende che si presentano ex novo alle gare, con personale che costa oltre il 30% in meno rispetto a chi già gestisce il servizio, vincono gli appalti escludendo il personale che garantisce il servizio stesso. Le Gare del comune di Roma e Milano, Fastweb, Poste Italiane, Enel hanno già prodotto migliaia di esuberi”.

Per Azzola in assenza di un intervento legislativo in questa direzione “nei prossimi mesi assisteremo alla sostituzione di tutto il personale che opera nei call center  generando drammi sociali in tutta la penisola”.

“Il Governo non può restare insensibile a questa situazione e l’annuncio fatto dal ministro Poletti nell’audizione al Senato alcuni giorni or sono e l’impegno del sottosegretario Teresa Bellanova a inserire clausole sociali nel settore deve tradursi nel più breve tempo possibile in una norma di legge – continua i sindacalisti - Un intervento che, da solo, sarebbe in grado di modificare il modello industriale su cui oggi è fondato il mondo dei Call Center, garantendo un migliore livello di qualità del servizio ai clienti, una ripresa degli investimenti sulle nuove tecnologie la garanzia della continuità occupazionale del personale occupato”.

“Decidere di non intervenire condannerebbe i lavoratori ad un futuro già scritto e il Paese ad avere servizi di scarsissima qualità – conclude Azzola - Insieme al rispetto della legge sulle delocalizzazioni, che assegna al clienti la facoltà di scelta sulla localizzazione dell’operatore che interviene sui propri dati, tali interventi collocherebbero finalmente l’Italia al pari degli altri Paesi europei”.

Sulla stessa lunghezza d’onda anche la Uilcom. “Se il Governo vuole fattivamente dimostrare, come invece ufficialmente dichiara, di avere veramente a cuore i Call Center e gli 80mila lavoratori e lavoratrici che vi operano – spiega il segretario nazionale, Fabio Gozzo - non c’è più tempo da perdere ed è necessario un provvedimento di legge immediato che metta in atto contemporaneamente , oltre alla già attuata riduzione dell’Irap, alcune azioni sistemiche già emerse al tavolo aperto al Mise da oltre un anno , che lo studio presentato puntualmente ha evidenziato”.


“Considerata la peculiarità del comparto che opera esclusivamente su commesse di terzi, si tratta di indirizzare gli incentivi del job act anche, e soprattutto, verso il mantenimento dell’occupazione, piuttosto che sulla creazione di nuova; di configurare per i cambi di appalto “clausole sociali” – sottolinea Gozzo - di indirizzare le gare pubbliche , e quelle di aziende controllate dallo stato o che operano su concessione, verso il criterio “dell’offerta economicamente più vantaggiosa” invece del “massimo ribasso”; per contrastare le delocalizzazioni, di rendere effettivo da subito quanto previsto dall’art. 24bis del D.L. 83/2012 finora rimasto clamorosamente inapplicato”.