Il 22 aprile si è svolto a Milano il coordinamento unitario delle RSU del Gruppo Call&Call a seguito della dichiarazione di cessazione delle attività del sito di Milano ed il conseguente licenziamento di 186 lavoratrici e lavoratori.
Il Coordinamento Unitario delle RSU, di concerto con le Segreterie Nazionali e Territoriali, ha fortemente condannato, nel metodo e soprattutto nel merito, questa decisione. Risulta totalmente incomprensibile la scelta aziendale, soprattutto alla luce degli sforzi fatti proprio sul sito milanese per contenere i costi e migliorare l’efficacia e la qualità dell’organizzazione del lavoro. Così come la questione della poca sostenibilità economica della sede di Milano è poco credibile, anche perché l’azienda dovrebbe spiegare il motivo per il quale ha utilizzato in questi mesi il contratti di solidarietà in modo del tutto trascurabile, riducendo in questo modo la possibilità di contenere i costi.
Non sfugge al coordinamento l’estrema difficoltà nella quale si trova il settore dei call center in outsourcing e le aziende che ne fanno parte. L’estrema gravità del momento, appesantita ulteriormente dall’assenza di regole e dalla poca incisività del Governo nella risoluzione della crisi del settore, ha visto il sindacato confederale fortemente schierato in questi mesi a difesa dell’occupazione sottoscrivendo accordi difficili, difensivi che hanno fatto si ché il perimetro occupazionale del comparto dei call center in outsourcing, sebbene sotto attacco, non subisse ridimensionamenti. E’ evidente che queste difficoltà oggettive non possano non interessare anche Call&Call, un’azienda alla quale va comunque dato atto di aver scelto di non de localizzare attività all’estero, ma è altrettanto evidente che, per il sindacato, la strada scelta dalla dirigenza aziendale di drammatizzare e di dividere l’azienda pensando di poter “sfogliare la margherita”attaccando oggi Milano e domani altre sedi sia totalmente sbagliata. Una strada oltretutto in totale controtendenza rispetto al sistema di relazioni industriali impostate sino ad ora in azienda.
Sulla base di queste considerazioni la Segreterie Nazionali e territoriali e tutte le RSU di Call&Call respingono la decisione aziendale di chiudere la sede di Milano e ne chiedono quindi il ritiro. Nel contempo chiedono all’azienda di aprire subito un confronto complessivo sullo stato di tutto il Gruppo, rendendosi disponibili a ricercare soluzioni che possano migliorare la qualità e la produttività aziendali complessive, rigettando le facili scorciatoie di interventi sulla mera compressione del costo del lavoro e dei diritti e ritenendo inaccettabile che si possa pensare di scaricare le difficoltà di un mercato senza regole su una parte di lavoratori.
In mancanza di risposte tempestive il sindacato affiancherà alle azioni messe in campo su Milano una serie di ulteriori iniziative che coinvolgeranno il resto dei lavoratori di Call&Call.
Roma, 23 Aprile 2015
Le Segreterie Nazionali
SLC-CGIL FISTEL-CISL UILCOM-UIL UGL TELECOMUNICAZIONI
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Jobs act, il call center licenzia 186 persone a Milano
Chiudere lo stabilimento alle porte di Milano, mandare a casa 186 persone e nel frattempo assumerne altre fra Roma e la Calabria approfittando delle agevolazioni previste dalle nuove norme inserite nel Jobs act. Ottenendo così un doppio risultato: prendere giovani con contratti meno costosi e più flessibili e ottenere gli sgravi fiscali del governo. La denuncia arriva dalle categorie del settore comunicazione di Cgil, Cisl e Uil.
La storia arriva da Cinisello Balsamo e l’azienda è la Call&Call Milano srl, un call center che si occupa dei servizi di customer care per tre importanti società finanziarie e bancarie italiane: Ing Direct, Agos Ducato e Fiditalia. Il gruppo Call&Call nasce nel 2002 proprio a Cinisello (dove tuttora risiede la holding): da qui la società si espande su tutto il territorio nazionale e oggi ha in tutto 2.500 dipendenti e fattura 57 milioni all’anno, come si legge sul sito della stessa società. Solo che il 10 aprile scorso il consiglio di amministrazione dell’azienda ha aperto la procedura di licenziamento collettivo per la chiusura del sito.
Già da luglio il personale di Cinisello era in contratto di solidarietà di tipo difensivo, riuscendo così a evitare il licenziamento di 41 persone. «Ma con una mossa spregiudicata — dice Sara Rubino (Slc Cgil) — la proprietà, senza aver mai comunicato le difficoltà legate alla gestione del contratto di solidarietà, ha dirottato parte del flusso di lavoro su altre sedi del gruppo, anche assumendo nuovo personale con il contratto a tutele crescenti e senza averci dato risposte rispetto a ciò che già vedevamo e di cui chiedevamo informazioni».
Ma come fa un’impresa che attiva la legge 223, cioè la procedura per i licenziamenti collettivi, ad assumere contemporaneamente nuovi lavoratori in altre zone d’Italia? «Il sistema sta in piedi perché Call&Call ha costituito più società, come in un gioco di scatole cinesi: c’è Call&Call Milano srl, Call&Call La Spezia srl, Call&Call Lokroi srl», spiega Adriano Gnani (Uilcom Uil). Quindi quella milanese può risultare effettivamente in crisi, a differenza di quella di Roma, o di Locri, o della Spezia. La perdita annuale su Cinisello sarebbe di 500mila euro: «Colpa dei costi eccessivi del lavoro, secondo l’azienda. Questo nonostante lo stipendio medio degli operatori sia sui 1.200 euro mensili, che però con i nuovi assunti possono scendere a 1.000».
La versione della holding è che «negli ultimi anni ci sono state perdite di esercizio significative non più sostenibili a seguito di un calo delle commesse e in presenza di costi generali incompatibili con il nuovo contesto di mercato, soprattutto per una fra le pochissime imprese del settore che ha scelto di non spostare lavoro italiano in offshoring e, dunque, non ha potuto mediare l’incidenza del costo del lavoro ricorrendo alla delocalizzazione. Da qui la necessità non più rinviabile di attivare la procedura di mobilità, trattandosi di una situazione strutturale e non congiunturale». Già lo scorso 10 aprile i lavoratori avevano reagito alla comunicazione con uno sciopero: adesso l’intenzione è trasformare una vertenza locale in una questione che riguardi nel complesso la società.