La lettera con la quale Tim presenta il “suo” regolamento aziendale è alquanto singolare, per usare un eufemismo.
Il 6 ottobre l’azienda ha disdettato gli accordi collettivi del 14 e 15 maggio del 2008 che racchiudono gran parte della normativa di secondo livello: un contratto integrativo aziendale non certo ottenuto a costo zero dai lavoratori, ma frutto di vertenze che hanno permesso il realizzarsi di un accordo che oggi tutti riconoscono e difendono.
L’azienda reclama maggior rispetto da parte di tutti, sostenendo che tutto ciò stia avvenendo anche per difendere perimetro aziendale ed occupazione. Il padrone lancia il messaggio: si fa solo quello che dico io. Noi reclamiamo maggior rispetto per le lavoratrici ed i lavoratori e diciamo che c’è spazio per altro. Sembrerebbe di no!! Possono infatti definirsi proposte, quelle consegnate alle organizzazioni sindacali ed al coordinamento delle RSU il 6 ottobre e ribadite ancora il 23 gennaio?
LA DISDETTA DI UN CONTRATTO E’ UN ATTO DIROMPENTE E NON UN INVITO AL DIALOGO!!
Il nuovo management ha forzato la mano da subito in una direzione non comprensibile a nessuno, se non ad una dirigenza aziendale che nella logica della riduzione dei costi ha innescato in un crescendo rossiniano un peggioramento del clima aziendale e dei rapporti delle relazioni industriali, sino all’epilogo grottesco del 6 ottobre.
Da quella data i canali relazionali con TIM sono rimasti chiusi e non certo per responsabilità del Sindacato. Abbiamo chiarito sin dal 21 ottobre, con un apposito comunicato, le nostre valutazioni su tutta questa vicenda (se mai ce ne fosse stato bisogno). E a distanza di mesi dobbiamo registrare che per una parte del tavolo esiste un’unica via percorribile: quella delle disdette unilaterali e della cancellazione di salario, diritti e tutele.
L’azienda, dopo il 6 ottobre 2016, ha convocato una sola altra volta il coordinamento nazionale delle RSU e le segreterie. E' stato il 23 gennaio data in cui, tanto per specificare qual era il clima di 'distensione', l'azienda ha esposto poche slides per confermare il 6 ottobre.
Facciamo notare a tutti gli attenti lettori come quest’azienda, così aperta e disponibile al dialogo, abbia veicolato nei giorni successivi all’incontro del 23 altre disposizioni non illustrate a nessuno, quasi fossero appendici trascurabili, quali la produttività individuale per il personale on-field (questa idea del cottimo in un’azienda di servizi, è così perversa quanto industrialmente inconcepibile), piuttosto che la normativa inserita a pag. 15 del regolamento che tratta il tema dei “permessi” per attività esterne all’azienda!
Crediamo basti questo per descrivere il reale atteggiamento della dirigenza dal 6 ottobre ad oggi.
Vogliamo invece ricordare ancora una volta l’impegno di tutte le lavoratrici e di tutti i lavoratori per contrastare le logiche di questa azienda: a partire dagli scioperi di novembre e del 13 dicembre, collegati tra di loro da tutta una serie di lotte quotidiane spontanee, sparse sul territorio nazionale.
Tutte queste lotte hanno parlato tutti i giorni ad un’azienda che sembra avere orecchie solo per quello che succede nella stanza del CDA mentre è totalmente sorda a quanto avviene nei luoghi di lavoro.
In azienda si respira quotidianamente un clima pesante e pessimo e la responsabilità sarebbe del sindacato perché non fa proposte? Oppure la colpa è di un sindacato che non fa le proposte che vuole l’azienda?
Stiamo reclamando un tavolo di pari dignità ormai da mesi, ricordando quali sono i nostri punti fermi di discussione ovvero: ritiro o congelamento della disdetta (non c’è nessuno che impedisca ad un’azienda di rivedere le proprie politiche se da queste ne giova tutta la struttura...); discussione vera su PdR passato e futuro; riorganizzazione generale a partire dal mondo Wholesale, ecc. E proprio per il mondo di Wholesale si deve attendere la delibera Agcom per capirne la portata e le ricadute sui territori. L’idea che un'azienda come TIM, con tutto quello che ha combinato nel recente passato, non possa aspettare qualche mese, è un' idea che richiama vecchie logiche: “intanto raschio il fondo del bidone e poi quello che arriverà ci penseremo” … tanto a pagare due volte di fila sarebbero i lavoratori, non certo il CdA ed il suo braccio armato!
Ancora oggi siamo in tempo per aprire tavoli seri su cui discutere. Il cambio di passo imposto dall’azienda, per motivi dettati dal mercato, non può essere il motivo e la scusa dietro cui trincerarsi e scaricare le responsabilità sul Sindacato, “reo” di aver rappresentato gli interessi dei lavoratori, interessi che dovrebbero essere, seppur con motivazioni diverse, anche quelli dell’azienda.
La Segreteria Nazionale di SLC-CGIL