Tlc: Campagna Nazionale per una moratoria contra le delocalizzazioni dei Call Center!
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Romania o Albania, soprattutto. Ma anche Brasile, Tunisia o Argentina. Chi dovesse rivolgersi al call center di qualsiasi operatore italiano ha sempre più probabilità che la propria richiesta venga evasa da operatori di quei paesi. Nulla da obiettare, ovviamente, sull’attività chi sarà dall’altra parte della cornetta. Tuttavia le scelte di Wind, Telecom, Vodafone e compagnia che, per risparmiare sul costo del lavoro, hanno deciso di trasferire all’estero una parte delle chiamate, mettono a rischio almeno 4mila posti nei call center italiani. A lanciare l’allarme è il sindacato delle telecomunicazioni Cgil dopo numerosi segnali arrivati dai delegati di tutta Italia. Da qui un lungo lavoro da cui è nata una prima mappa delle delocalizzazioni (vedi in fondo all’articolo). Al momento non è possibile quantificare con precisione quanti siano i lavoratori che operano all’estero per aziende italiane, e questo è già un primo indicatore di come in questo settore manchi trasparenza. La certezza è che in queste settimane vanno predisponendosi i sistemi operativi e le postazioni, molte delle quali partiranno col nuovo anno.
LA CATENA DEI SUBAPPALTI. Le esternalizzazioni non si svolgono sotto forma di appalto diretto: i grandi committenti (Telecom, Sky, Fastweb, Vodafone ecc) operano infatti tramite subappalti con i loro principali fornitori (tra cui Almaviva, Comdata, Teleperformance, E-Care e Wsc) e sono poi questi ultimi a traslocare oltre confine. Va chiarito che, almeno sulla carta, gli obiettivi sarebbero differenti: ci sono quelli dei committenti, che per risparmiare indicono gare al massimo ribasso spingendo indirettamente gli outsourcer a lasciare l’Italia. L’obiettivo di questi ultimi è opposto: rimanere sul mercato interno risulterebbe infatti più redditizio e permetterebbe di operare su territori meglio controllati senza il rischio di rimanere ostaggio dei committenti. C’è poi una terza ipotesi, cioè che i diversi livelli del subappalto possano in qualche modo accordarsi, in particolare con aiuti nella fase di start-up e nella formazione. A conti fatti, il costo del lavoro dei paesi emergenti è circa un quarto di quello italiano e spostarsi lì potrebbe convenire a molti.
IL CASO SICILIA. L’emergenza lavoro rischia di travolgere tutto il comparto già nei prossimi mesi e soprattutto al Sud. Specie in Sicilia, dove al call center non lavorano soltanto gli studenti che vogliono arrotondare ma anche molti padri di famiglia. “Da qui a pochi mesi rischia di saltare tutto”, afferma Giovanni Pistorio, segretario regionale Slc Cgil, il quale ci ricorda che nell'isola c’è anche un altro problema: “I call center che resistono sul mercato nazionale si stanno spostando in altre regioni d’Italia che garantiscono condizioni migliori per il sostegno alla formazione”, prosegue Pistorio. L’azienda più grande del settore nell’isola principale è Almaviva, il cui ufficio stampa tranquillizza: “Anche se i margini sono risicati al momento non è prevista cassa integrazione” né “sono in vista situazioni di difficoltà particolare”. A rischio, però, ci sarebbe il call center Wind di Catania che secondo fonti sindacali rischia di chiudere i battenti già l’anno prossimo.
GENOVESI (SLC): SERVE UNA MORATORIA. “Una moratoria contro ogni delocalizzazione di attività di customer care e di lavorazioni di back office per i prossimi anni”. È quanto chiede il segretario nazionale della Slc Cgil, Alessandro Genovesi, ricordando che la sigla di categoria sta mettendo in piedi una campagna nazionale “che nei prossimi mesi ci vedrà impegnati a tutti i livelli”. Alla luce di questi dati, il dirigente sindacale parla poi di uno “scandalo nello scandalo”. Da un lato, dice, “assistiamo da parte di diverse aziende come Telecom, H3g e Bt a una politica di riduzione dei livelli occupazionali interni; dall’altra, vi è una politica di sistematica riduzione di attività fino a oggi lavorate in casa (per esempio, Telecom) su cui potrebbero essere riconvertiti gli esuberi dichiarati. Un’evidente contraddizione”. Tra le altre richieste della Slc: "Un intervento sul fisco per sostenere l’occupazione, soprattutto al Sud, e un avviso comune sugli appalti che salvi i livelli salariali e sancisca tutele occupazionali minime”.
LA MAPPA DELLE DELOCALIZZAZIONI. Wind ha annunciato il trasferimento di attività in Romania e in Albania per un equivalente di almeno 300-400 lavoratori: dirigenti di società romene sono già in contatto con il centro di lavoro di Pozzuoli e il tutto dovrebbe partire nel 2010. H3g, società guidata da Vincenzo Novari, già oggi lavora in outsourcing circa la metà delle chiamate grazie a contratti con aziende di Tirana, Bucarest e Tunisi per un totale di 400 operatori (tra cui la Wsc). Nel corso di un recente incontro con i sindacati, l’azienda ha comunicato che intende lavorare in house esclusivamente i clienti a “cinque stelle”. Al momento, sono in corso trattative per portare ad almeno 600 il totale della forza lavoro estera (sviluppo in Argentina). Nel caso di Bt, invece, la catena del subappalto è quanto mai complessa da ricostruire; ciò che si può affermare è che oggi sono circa un centinaio gli operatori in Romania e in Albania. Vodafone-Tele 2: tramite i suoi principali fornitori (Comdata, Comdata Care, E-Care, Transcom) sono già attivi subappalti in Romania per circa 300 addetti, e in programma ci sono ulteriori ampliamenti; in corso di definizione ci sarebbero anche altri subappalti in Albania. Quanto a Telecom Italia, una stima di massima identifica in almeno 500-600 i lavoratori che opereranno per l’azienda in Tunisia (dove sono già iniziate le selezioni del personale), Albania e Romania, mentre ci sono trattative con un’azienda operante in Turchia. Per Fastweb ci sono diverse attività in subappalto sono attualmente lavorate sempre in Albania e in Romania, anche se per soli picchi produttivi da parte di fornitori. Infine Sky: attualmente i suoi clienti a maggior valore sono dirottati su call center operanti in Albania per circa 200 operatori.
Da: Rassegna.it
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