Oggi vogliamo ricordare una bella persona, Francesco Virlinzi.
«La passione per la musica è stata senza dubbio il filo conduttore di tutta la sua vita», disse a Step1 qualche anno fa la madre, Nica Midulla. Da piccolo si addormentava con i Beatles e non con le ninne nanne come tutti i bambini. Poi, a ventisei anni, fondò la band Sansone e i filistei di cui era il chitarrista. Spendeva tutti i suoi soldi in dischi e concerti. Amava fotografare le rockstar che seguiva durante i live; tra queste, Bruce Springsteen, Tracy Chapman, gli U2, Elvis Costello, i Rolling Stones e i R.E.M, con cui instaurò uno splendido rapporto e che riuscì a far suonare a Catania nel 1995. Le sue foto sono diventate un libro, il R.E.M. book, e una mostra, Live ’80.
Negli anni novanta ha fondato la Cyclope records, etichetta discografica indipendente che ha lanciato musicisti come Carmen Consoli, i Flor, Mario Venuti, Brando e Moltheni. Con la sua etichetta Checco riuscì a raccogliere il fermento musicale della città etna facendola diventare quella che Rolling Stones e Bill Board definirono la Seattle d’Italia.
Con la Cyclope records fece di una passione una professione; creò un’etichetta a Catania, ma guardava alle tendenze musicali mondiali. Credeva che la crescita della sua etichetta dovesse passare per la contaminazione tra diverse influenze musicali. «Ha organizzato a Catania concerti bellissimi di artisti che non conoscevano nemmeno l’esistenza della nostra città. Ha inserito Catania nei circuiti musicali e radiofonici; la musica della Cyclope la passarono pure alcune radio di New York. A Brando e ai Flor de Mal fece incidere il primo disco ad Austin, negli Stati Uniti. Gli piaceva e lo riteneva fondamentale, creare queste collaborazioni tra artisti di realtà diverse».
Quattordici anni fa, però, il sito della Cyclope records fu oscurato per una settimana in segno di lutto per la prematura scomparsa di Francesco che aveva solamente 41 anni il 28 novembre del 2000 morì a New York dopo una lunga malattia. Poco dopo l’etichetta ha cessato di esistere.
Roberto Sammito
La madre: «Lo tengo in vita con la musica»
Chi la conosce bene descrive Nica Midulla con tre parole: una mamma rock. Per Catania, poi, è la mamma di chi in città il rock ce l’ha portato: Francesco Virlinzi, storico produttore di Carmen Consoli e dei Flor de mal, di Mario Venuti e di Brando. Checco, l’amico di Bruce Springsteen e Michael Stipe, l’uomo che è riuscito a portare i Rem in concerto allo stadio Cibali, il dj che riempiva la pista della discoteca mettendo il boss al posto della disco-music. Domani sarebbe stato il suo compleanno, avrebbe compiuto 55 anni. Invece, se n’è andato a New York, il 28 novembre del 2000. Da quattordici anni, Nica Midulla gli rende omaggio con un tributo. Invita musicisti e vecchi amici di Francesco, persone che lo conoscevano e vogliono ricordarlo. Quest’anno, nel corso di una serata privata, rigorosamente chiusa al pubblico e alla quale si partecipa solo su invito, ci saranno Erica Mou e Mauro Ermanno Giovanardi. «Il primo tributo l’abbiamo fatto alla villa Bellini – ricorda – Fu una serata magica: c’erano le stelle cadenti e l’Etna in eruzione. La stessa sera, in concerto a Taormina c’era Bob Dylan. Ma noi a Catania avevamo duemila persone». Nica racconta la storia del suo impegno da una casa che è diventata un monumento al figlio: l’ingresso è tappezzato delle (belle) foto che lui faceva, le pareti sono piene di scatti della sua vita, della sua passione, dei suoi concerti. Nello studio in cui lei lavora – «Menomale che ho imparato il computer», ride, forte dei suoi settant’anni passati – c’è una polaroid di sua figlia Simona, Bruce Springsteen e Francesco, tutt’e tre abbracciati e sorridenti.
«Mamma, raccontalo cos’hai fatto nell’85», sorride Simona Virlinzi, due anni più piccola del fratello, alta, riccia e atletica. «Dillo come hai lasciato tuo marito per andare per due settimane in giro per l’America». Nica ricambia il sorriso: «Sono i ricordi più belli della mia vita, quelli di quei giorni negli Stati Uniti – dice – Bruce Springsteen aveva conosciuto Francesco alcuni anni prima, e ci aveva invitati a seguire il suo tour; mio figlio si faceva voler bene in fretta, non parlava granché l’inglese ma si buttava, aveva una grande cultura musicale ed era carismatico, gli artisti rimanevano incantati da questo giovane siciliano che sapeva così tanto e aveva così tanta voglia di fare e di ascoltare». The boss era stato la prima passione musicale del giovane Virlinzi: «Il primo concerto grosso di Francesco fu proprio il suo: era il 1981, cinque ragazzi e una ragazza, io, prendevano il treno Catania-Zurigo per andare a sentire dal vivo il disco The River», racconta la sorella. «Ho sempre lasciato i miei figli liberi di fare e di sperimentare, e ai concerti ci andavamo assieme – precisa Nica – Li avevo avuti da giovane, quando loro avevano 20 anni io ne avevo 40, non è che li seguivo perché volessi controllarli, li seguivo perché volevo divertirmi». E loro ne erano contenti. Probabilmente perché quella passione per la musica veniva tutta dalla mamma.
«Quando era piccolo, la ninnananna di Francesco era il primo 33 giri dei Beatles. Ma lui la musica ce l’aveva nel dna: non ha mai voluto una macchinina, voleva solo dischi». Aveva studiato pianoforte e suonava la chitarra, «era intonato, ma voce non ne aveva e lo sapeva», eppure per qualche anno, dall’86 all’89, era stato l’anima della band Sansone e i filistei. Poi ha iniziato a fare il produttore. «C’erano tanti studi di registrazione, ma io non ricordo altre etichette», afferma Nica Midulla. «Francesco ce l’ha messa tutta per portare a Catania la cultura musicale, anche in ambienti diversi». C’era, per esempio, la discoteca Charlie Brown, vicino casa loro, all’epoca in via Martino Cilestri: «Francesco aveva 14 anni quando mi chiese per la prima volta di poter scendere, il pomeriggio, per andare a sentire che pezzi passavano. Scoprii dopo che i pezzi li passava lui, e lo ha fatto per vent’anni». All’inizio prendeva i dischi che aveva a casa, li metteva in grandi buste e li portava direttamente in pista: «Faceva delle sacche grandi così e si divertiva, gli piaceva far divertire la gente e preferiva i pomeriggi giovani». Poi questa mamma rock sospira: «Finito lui è finita la musica a Catania ed è finito tutto».
Erano altri tempi, c’era un altro interesse per l’arte: «Ricordo pomeriggi a casa nostra che cominciavano alle tre e finivano alle otto, a parlare fitti fitti di musica. Oggi i giovani le fanno queste cose? Oggi c’è questa passione, questa voglia di ricerca, questo bisogno di ascoltare un disco dopo l’altro? Non si può vivere solo di quello che c’era venti o trent’anni fa, no?». Ma si può ricordare quello che c’era, per andare avanti: «Faccio mille cose, mi riempio la vita d’impegni e di musica, tutto per non pensare che ho perso un figlio». Nica Midulla si è inventata vari mestieri: organizza concerti ed eventi. E mostre, come quella del 2006: «Si chiamava Live 80 e raccoglieva un’ottantina di fotografie che Francesco aveva scattato ai concerti ai quali è andato nel 1980, appunto».
L’idea dei concerti tributo è nata pochi mesi dopo la morte di Francesco Virlinzi: «Per il suo compleanno, lui organizzava delle grandi feste aperte a tutti. Mentre luglio si avvicinava, mi si faceva il cuore piccolo piccolo a pensare che quell’anno non sarebbe successo niente». Dal primo anno alla villa Bellini sono passati quattordici anni: ci sono stati Malika Ayane e Arisa, ma anche Pacifico, Carmen Consoli, Mario Venuti, Jovanotti, Kaballà, Marina Rei e molti altri. Tra questi, Niccolò Fabi: «Fu lui a suggerire, qualche anno fa, di cominciare a fare il concerto in casa, la location di adesso: è più impegnativo, ma anche più personale», sostiene Nica Midulla, elencando le cose da fare per l’evento di domani. «Ci sono persone che dopo la morte di un figlio si chiudono completamente, non vogliono parlarne, non vogliono nemmeno sentirne il nome – conclude la donna – Ognuno ha il suo modo di elaborare il dolore e io ho scelto il mio: raccontandolo e occupandomi di musica tengo in vita Francesco, non solo per me ma anche per tutti gli altri».
Di Luisa Santangelo