di Alfredo Ranavolo
A Washington si presenta un progetto di legge, a New Delhi scatta il panico. Effetti della globalizzazione. Ce ne sono tanti, non è più una novità. Certo non piacciono al democratico Tim Bishop e al repubblicano David McKinley, autori di una proposta che, in quanto bipartisan, ha grandi possibilità di diventare legge.
BASTA CALL CENTER ALL’ESTERO. Il deputato newyorchese e quello della West Virginia hanno dichiarato personale guerra al lavoro esternalizzato. Il loro Call center worker and consumer protection act prevede una serie di norme volte a penalizzare le aziende che decidono di portare fuori dei confini americani i loro servizi di vendita telefonica, assistenza ai clienti e affini. Ed è noto che, da qualche anno a questa parte, il Paese che ospita un gran numero di call center americani è l’India, grazie anche all’ottimo inglese parlato da una grossa fetta dell’enorme popolazione. I tanti lavoratori del gigante asiatico al servizio di aziende made in Usa sono, dunque, in agitazione. Ma non sono i soli. La tendenza a esternalizzare questo tipo di servizio ha coinvolto sempre più Paesi: Messico, Cina, Arabia Saudita, Egitto, Repubblica Ceca. Nel 2011 la destinazione di maggior tendenza per l’implementazione di un call center sono state le Filippine.
NIENTE INCENTIVI PER CHI ESTERNALIZZA. «L’outsourcing è uno dei flagelli della nostra economia e combattendolo noi cerchiamo di favorire l’occupazione» ha spiegato Bishop. Innanzitutto il progetto di legge prevede totale trasparenza da parte delle società che allestiscono call center, le quali dovranno avvertire i clienti che ne fanno uso se stanno per mettersi in contatto con Bangalore o con Portland. Inoltre saranno obbligate a fornire sempre l’alternativa, a richiesta, di dirottare la chiamata su un ufficio posto all’interno dei confini nazionali, stando alle indiscrezioni dell’Huffington Post. Il che comporterebbe, dunque, un costoso raddoppio del servizio, facendo venire meno del tutto la convenienza che si ha nel portare all’estero questo tipo di servizio. intende escludere le società che all’estero da facilitazioni di qualsiasi tipo e finanziamenti agevolati.
Toccherà al segretario del Lavoro tenere l’elenco completo dei datori di lavoro che impiegano telefonisti all’estero. Chi si vorrà aggiungere a tale lista dovrà notificarlo almeno 120 giorni prima di avviare il nuovo ufficio off-shore.
FUGA COI CONTRIBUTI. La battaglia di Bishop e McKinley ha il sostegno deciso del Communications workers of America (Cwa), un sindacato che raccoglie 150mila lavoratori dei call center. A ben vedere, ancora una piccola parte rispetto ai 4 milioni di persone occupate in questo settore negli Stati Uniti, il 3% del totale della forza lavoro americana.
Il Cwa ha pubblicato all’inizio di dicembre un corposo studio sui danni che l’esternalizzazione dei call center all’estero ha provocato in patria. In esso vengono additate aziende come la Sykes Enterpirses e la Travelocity che hanno portato i propri servizi telefonici in India pochi anni dopo aver intascato generosi contributi pubblici (si parla di cifre che si avvicinano e talvolta superano i 2 milioni di dollari) da municipalità dell’Oregon o della Virginia per aprire tali attività sul territorio. Scaduto il vincolo che accompagnava le somme ricevute, le valige sono state presto fatte.
LA BANDA DEI SOTTRATTORI DI PIN. Ma non è solo ai livelli occupazionali che il sindacato fa riferimento per stigmatizzare la pratica di esportazione delle attività di call center. Lo studio cita numerosi casi di cronaca, nei quali il servizio al cliente si è tramutato in una truffa al cliente. Si va dai 426mila dollari sottratti ai correntisti di Citibank e ai 420mila sgraffignati da un solo impiegato a quelli della Hsbc, alle accuse nei confronti di circa 100 lavoratori di aver blandito possessori di carte di credito con false promesse di bonus e omaggi per aumentare le vendite. Un altro caso ha riguardato la vendita di dati bancari segreti a un giornalista, un altro ancora la minaccia di diffusione di dati sanitari.
SE NON È TRUFFA È SCARSO CONTROLLO. E quando non c’è fraudolenza, ci sarebbero comunque gli scarsi standard di sicurezza a compromettere la privacy e gli averi della clientela. Secondo uno studio di PricewaterhouseCoopers (in realtà ormai un po’ datato: 2005), l’83% delle società indiane di outsourcing ha un sistema di controllo che è un colabrodo. Le Filippine sarebbero messe ancora peggio. Con questi argomenti, la presa del Call center worker and consumer protection act pare assicurata, a meno che la potenza di fuoco del mondo corporate, che grandi benefici ha tratto dall’esternalizzazione, non si riveli ancora superiore.