30 ottobre 2013

Frequenze, Catricalà frena: "Non è il momento giusto per l'asta"

di Antonello Salerno
Il percorso che porterà all’asta delle frequenze "ex beauty contest" sarà probabilmente più lento di quanto si prevedesse prima dell’estate. Soltanto pochi giorni fa i grandi player delle Tlc avevano lasciato intendere di non potersi permettere grandi spese, chiedendo genericamente “garanzie sugli investimenti”. E oggi il viceministro alla Sviluppo, Antonio Catricalà, sembra aver raccolto e preso in seria considerazione quel segnale.

Parlando a margine dell’appuntamento per l’89sima giornata mondiale del risparmio, Catricalà ha fatto il punto della situazione: “Siamo in Commissione europea e abbiamo mandato il bando, ora aspettiamo che si esprimano in due diverse direzioni, su concorrenza e comunicazione. Ma non c'è tutta questa fretta per fare l'asta, perché non so se sia il momento migliore per vendere frequenze che valgono molto, mentre i soldi scarseggiano".

Una presa di posizione che va a modificare quanto lo stesso Catricalà aveva annunciato a luglio, quando aveva iniziato a prefigurare il percorso che avrebbe portato alla nuova assegnazione delle frequenze. “Finché non avremo un preventivo assenso della Commissione sullo schema di bando e di disciplinare di gara - aveva confermato anche in quell’occasione - non potremo procedere”.

Piuttosto è necessaria una spectrum review. “Al di là della gara - aveva detto Catricalà la scorsa estate - c’è da fare un discorso generale sulla risistemazione dello spettro radioelettrico per vedere come si possono risolvere i problemi interferenziali che si sono manifestati finora”.

In quell’occasione il viceministro con delega alle Tlc si sera anche spinto un po’ più in profondità: “Come tutti sanno, sullo sfondo c’è la vicenda della banda 700. Noi punteremo a garantire l’utilizzo coprimario della banda 700 tra tv e servizi di telecomunicazione. D’altra parte, però, non può essere che il settore delle tv locali sia di nuovo l’agnello sacrificale. Perché l’emittenza locale rappresenta un valore pluralistico non facilmente sostituibile”. 




Che fine farà Telecom? Telefonica non ha risposto

Le promesse che Telecom Italia rimarrà italiana, che verranno portati avanti il piano industriale e gli investimenti nella fibra ottica e nel 4G, che l’occupazione in Italia sarà salvaguardata, che Telefonica non va temuta perché è un socio industriale: più che un appuntamento di chiarimento sulle sue strategie e sui suoi piani più immediati per Telecom Italia, quella dell’amministratore delegato di Telefonica Cesar Alierta oggi a Palazzo Chigi è stata una specie di missione rassicurazione. Almeno a giudicare, vista l’assenza di un comunicato ufficiale, dalle poche frasi rifilate da Alierta ai giornalisti uscendo da Palazzo Chigi.

Rassicurazione soprattutto in relazione alle molte voci levatesi in queste settimane contro lo sbarco degli spagnoli, piuttosto che nei confronti di Palazzo Chigi: il presidente del Consiglio, Enrico Letta, ed il viceministro alle Comunicazioni, Antonio Catricalà, sin dall’inizio della vicenda hanno assunto una posizione decisamente attendista che non era difficile interpretare come un sostanziale semaforo verde alla crescita degli spagnoli in Telco.

Interpretazione confermata, del resto, dalle voci uscite da Palazzo Chigi subito dopo l’incontro secondo cui le nuove norme dell’Opa, che nelle intenzioni dei senatori Mucchetti e Matteoli avrebbero dovuto fermare Telefonica, sono rinviate a data da destinarsi.

La riuscita (per gli obiettivi che si era proposta) della missione “diplomatica” di Alierta è stata evidentemente facilitata dal fatto che, sempre a detta del presidente di Telefonica, i temi più caldi, quelli su cui più vivace è stato lo scontro di queste settimane, sono rimasti fuori dal portone della sede del governo.

Infatti, almeno a quanto ha dichiarato ai giornalisti uscendo dal palazzo del governo il presidente di Telefonica, non sono stati toccati i temi dello scorporo della rete, della vendita di Tim Brasil, del coinvolgimento dei piccoli azionisti in un’operazione finanziaria che lascia a bocca asciutta la stragrande maggioranza degli azionisti di Telecom Italia. Che devono, al massimo, accontentarsi di vedere il loro titolo salire sotto le ondate della speculazione del momento ed incrociare le dita sperando che i giochi ribassistici dell’ex patron di Wind Naguib Sawiris siano mal escogitati.

Tuttavia, le parole di Alierta non bastano a sgombrare i molti lati ancora oscuri.

Cosa significa che Telecom Italia resterà italiana? Nulla, se non si darà una risposta sensata a questa affermazione. Che non si farà la fusione con Telefonica, con tutto quel che ne consegue per i gli azionisti fuori dalla scatola cinese Telco? Che la rete non verrà trasportata in Spagna non vi sono dubbi, ma scelte di investimento, fornitori, strategie di mercato e di sviluppo, centri di ricerca e tutto il resto dove saranno? Il corpo di Telecom starà per forza in Italia, ma la testa?

Cosa vuole dire che non verrà toccata l’occupazione in Italia? Sappiamo tutti quale ristrutturazione attende l’azienda. È un modo di dire che l’occupazione verrà tagliata (per dismissione) in Argentina e Brasile?

Il piano di investimenti continuerà. Tuttavia, per rispondere alle esigenze dello “sviluppo tecnologico e della crescita dell'economia” fatte proprie dallo stesso Alierta bisognerà pigiare sull’acceleratore degli investimenti, non mantenere una marcia che già ora si fatica a reggere. Si finanzieranno con la vendita di Tim Brasil? E a che prezzo? Conveniente per Telecom Italia o per gli equilibri brasiliani di Telefonica? E l’idea di scorporare la rete o di societarizzarla è accantonata del tutto?


Sono queste le domande cui ci piacerebbe avere risposte. Purtroppo, mancano ancora. Il prossimo appuntamento è al cda del 7 novembre. Speriamo che serva per avere un po’ più di luce.

Teatro Bellini, Cgil: "Rischio paralisi"

CATANIA - "Siamo estremamente preoccupati per le sorti del Teatro Massimo "Bellini" e ciò a causa degli intollerabili ritardi con cui la Regione Sicilia sta provvedendo alla erogazione del finanziamento previsto in bilancio, e che riguarda le differenze del primo semestre e l’intero secondo semestre. Nei fatti, a tali condizioni, il Teatro rischia di essere paralizzato, con grave pregiudizio dei livelli occupazionali dei lavoratori stabili, dei precari, e degli scritturati". La nota è delle segreterie provinciali della Cgil e della Slc Cgil di Catania, nonché delle Rsa del Teatro "Bellini".

I sindacati invocano la fine "di ingiustificabili meccanismi, tutti interni ai palazzi del potere, attraverso i quali si stanno volutamente ritardando gli accrediti dei finanziamenti. I lavoratori, pur provati da lunghi mesi di lotte e rinunce, così come lo è la città intera che rischia di rimanere orfana del Teatro che porta il nome di Vincenzo Bellini, sono determinati a mettere in campo tutte le iniziative necessarie. Crediamo che il teatro possa sopravvivere e che le iniziative culturali possano essere rilanciate. Chiunque pensi di potere velatamente minacciare i lavoratori che giustamente rivendicano il pagamento delle retribuzioni arretrate e che temono per il futuro della istituzione, o di poterli rabbonire attraverso vane promesse regolarmente disattese, desista da questi illegittimi tentativi".

Cgil e Slc chiedono al presidente della Regione ed al sindaco di Catania che è Presidente dell’Ente, così come previsto da legge regionale, di sciogliere definitivamente i nodi che stanno portando al collasso un pezzo importantissimo della lirica nazionale e di assicurarne l’ordinario funzionamento. "Per quanto ci riguarda, - concludono le segreterie nella nota- ancora una volta affermiamo che continueremo ad adottare tutte le legittime iniziative di lotta necessarie alla sopravvivenza di questa nostra prestigiosissima istituzione e contro le illegittimità che derivano dalla sottovalutazione della risorsa cultura, dalle ingiustizie e dai soprusi".


Telecom: Azzola (Slc Cgil), governo non trasparente su vicenda Telecom – Telefonica

“Quello che colpisce nella vicenda dell’acquisizione di Telecom Italia da parte di Telefonica è l’assoluta  assenza di trasparenza con cui la vicenda viene trattata” dichiara Michele Azzola, segretario nazionale Slc Cgil.

“E’ inammissibile che il capo del Governo convochi i vertici di Telefonica e non dica al Paese quali sono gli obiettivi che si intende perseguire e come si vuole salvaguardare un’azienda strategica per l’ammodernamento del Paese e per il raggiungimento di quanto previsto dall’Europa con l’Agenda Digitale.”

“Sentirsi rassicurare con “pacche sulla spalla” sulla tenuta occupazionale e sulla salvaguardia del mantenimento dell’azienda in Italia senza conoscere un piano industriale e senza rendere trasparenti gli impegni assunti, somiglia molto alle rassicurazioni che si forniscono ai bambini di fronte alle loro paure – continua Azzola. E’ ovvio che i cittadini italiani e i lavoratori di Telecom Italia meritano un rispetto e un’attenzione diversi e più seri.”

“Dichiarare, infine, che non si sono toccati temi quali lo scorporo della rete o la modifica alla legge sull’OPA rende la vicenda ancora più inverosimile.”

“Il Governo deve ora convocare le parti sociali e indicare attraverso quali strumenti e con quali risorse intenda recuperare il ritardo italiano nello  sviluppo della banda larga – prosegue il sindacalista – unico elemento in grado di ridare competitività all’Italia sia per quanto attiene il settore industriale che per la riforma della Pubblica Amministrazione. E’ infatti risaputo che, in assenza di un aumento di capitale, Telecom Italia non ha le risorse necessarie per varare un piano di investimenti serrato che permetta di colmare il divario con gli altri Paesi Europei (13% la copertura in Italia e 40% quella negli altri Paesi) e permetterci di cogliere l’obiettivo del 60% nei tempi fissati dall’Europa.”

“In assenza di convocazione da parte del Governo, la difesa degli interessi del Paese e di quelli dei lavoratori di Telecom Italia passerà attraverso lo sciopero e una grande manifestazione nazionale.”


28 ottobre 2013

Privatizzazione Rai? Cielo grigio su Viale Mazzini. Le rassicurazioni di Catricalà non fermano i sindacati

Sul tavolo non c’è alcun dossier sulla privatizzazione Rai. Ad escluderlo con fermezza è il Viceministro allo Sviluppo economico con delega alle Comunicazioni, Antonio Catricalà, intervenuto a placare le polemiche sulla possibile messa in vendita della Tv pubblica, alimentate dalle dichiarazioni del Ministro all’Economia Fabrizio Saccomanni ma anche dalla improvvisa disponibilità del finanziere franco-tunisino Tarak Ben Ammar che venerdì scorso si era detto disponibile ad acquistarla, per sostenre oggi che era solo una 'battuta' provocatoria.

I sindacati sono già in mobilitazione.

In un'intervista al Messaggero, Catricalà ha definito "forzato" interpretare come un'apertura alla vendita le parole di Saccomanni, secondo cui per abbattere il debito pubblico l'esecutivo guarda a "tutte le opzioni" di dismissione.
"Personalmente non mi sono mai espresso a favore della privatizzazione e comunque non siamo in presenza di alcun piano di vendita anche perché la Rai è sottoposta ad un contratto di servizio", ha spiegato Catricalà al quotidiano

"La legge Gasparri - ha aggiunto - tecnicamente prevedeva questa possibilità ma ora sarebbe intempestivo parlare di privatizzazione a due anni dalla scadenza della concessione Rai, il 6 maggio 2016, che andrà rinnovata".
Per il Viceministro, “soprattutto in questo momento non c’è nessuno migliore della Rai, pur con le sue inefficienze, che possa garantire il servizio pubblico".

Saccomanni, intervistato sabato sera alla trasmissione "Che tempo che fa" di Fabio Fazio, alla domanda se tra le dismissioni che il governo si è impegnato ad avviare entro la fine dell'anno c'è anche quella della Rai, ha risposto: "Ci sono varie ipotesi sotto esame, stiamo guardando ogni possibile soluzione, intendiamo annunciare entro fine anno un programma di privatizzazioni … La Rai è una delle società di cui lo Stato è azionista, stiamo guardando ogni possibile soluzione”.

Catricalà ha però escluso che tra le cose da privatizzare possa esserci anche Viale Mazzini.
La Rai deve restare pubblica, ha sottolineato, e per quando riguarda la previsione nel nuovo Contratto di servizio di un bollino blu per distinguere i programmi finanziati con il canone, che secondo alcuni potrebbe essere l’anticamera della privatizzazione  ha spiegato che “la logica non è quella di diversificare tra programmi a carattere pubblico ed altri a carattere privato”.
Il bollino servirà a rendere riconoscibili e valorizzare i programmi finanziati con il canone per consentire a chi lo paga “di controllare come sono spesi i suoi soldi”.

Peraltro la privatizzazione, ha indicato Catricalà, “…non è un tema che possa essere affrontato dal governo ma semmai dal Parlamento anche perché sarebbe, semmai, necessario rivedere la governance”.
Aggiungendo: "Noi vorremmo in circa due anni dare al Parlamento tutti gli elementi e le informazioni per poter rinnovare la concessione della Rai. Senza il rinnova si rischia il caos...Su una materia così importante deve muoversi il Parlamento”.

Le parole di Catricalà non sono, però, servite a schiarire il cielo sopra Viale Mazzini. Anche per via di un nuovo Studio di Mediobanca che punta il dito contro la tv pubblica, segnalando che lo scorso anno è stata la società industriale italiana con la peggiore perdita operativa (197 milioni, oltre il 7% del fatturato), seguita da Maire Tecnimont (-141 milioni) e Alitalia (-119).
Analisi che fa discutere sebbene il direttore generale Rai, Luigi Gubitosi, venerdì abbia fatto sapere che i conti della Rai sono in miglioramento ”veloce” e quest’anno l’azienda chiuderà ”vicino al pareggio”: “…abbiamo perso 185 milioni nei primi nove mesi dell’anno scorso, quest’anno sono intorno ai 2-3 milioni. Abbiamo avuto un miglioramento del 98%”. Gubitosi ha anche affrontato la questione Rai Way, dicendosi non favorevole alla vendita: ”Sarebbe un’operazione puramente finanziaria e io non credo in questo tipo di operazioni. Sarebbe, infatti, un avvantaggiarsi sul presente ipotecando il futuro”, in quanto permetterebbe di inserire risorse nel bilancio aziendale per poi dover affrontare i costi di affitto dei ripetitori. Ecco perché ”se ce lo possiamo permettere, vorremmo tenercela”.

Non è la prima volta che Mediobanca parla di privatizzare la Rai. A giugno in un Report aveva ribadito che se lo Stato decidesse di vendere la Rai potrebbe arrivare a incassare “circa 2 miliardi di euro”, alleggerendo al contempo il bilancio da una partecipazione che lo scorso anno ha generato 244 milioni di perdite.

Insomma le dichiarazioni del Ministro Saccomanni e le analisi di Mediobanca hanno scatenato il caos, preoccupando prima di tutto il sindacato, a partire da quello dei giornalisti Rai, tanto che Usigrai sta vagliando ipotesi di mobilitazione e di sciopero insieme alle altre sigle.

Anche il Pd è sul piede di guerra. "Ha ragione chi ha letto nei giorni scorsi, nelle dichiarazioni di Antonio Catricalà sull'iniziativa del bollino nei programmi Rai, un primo tentativo di aprire la strada alla privatizzazione dell'Azienda", ha commentato il vicepresidente della Commissione di vigilanza Rai, il senatore Pd Salvatore Margiotta. "Alla luce di quanto affermato da Saccomanni, è evidente - sottolinea Margiotta - che il progetto si è già fatto strada nella mente di tanti". Precisando: "Il Partito democratico in Commissione Vigilanza si opporrà con forza, da subito, a questo tentativo".
Giorgio Merlo, responsabile nazionale Pd servizio pubblico, ha osservato: "La privatizzazione della Rai semplicemente non esiste. Anche se sappiamo che c’è un ampio fronte politico trasversale che punta alla liquidazione del servizio pubblico radiotelevisivo e alla svendita della Rai".

I sindacati hanno chiesto "al governo di fare chiarezza", ha informato Usigrai.

In una nota di questa mattina Slc - Cgil, Fistel - Cisl, Uilcom - Uil dichiarano “…la loro ferma contrarietà ad ogni provvedimento teso al ridimensionamento e alla disgregazione della Rai e della sua funzione di servizio pubblico radiotelevisivo”, annunciando che “…nei prossimi giorni, unitamente alle altre sigle sindacali, saranno promosse adeguate iniziative”.

Raffaella Natale

Rai: Sindacati, ipotesi di privatizzazione grave errore

Il ministro dell’Economia, Fabrizio Saccomanni, ospite da Fabio Fazio al programma televisivo “Che tempo che fa”, ha spiegato che tra le varie ipotesi sotto esame per far fronte alla riduzione del debito pubblico c’è anche quella della privatizzazione della RAI – Prima Industria Culturale del Paese. SLC – CGIL, FISTel – CISL, UILCOM – UIL, dichiarano la loro ferma contrarietà ad ogni provvedimento estemporaneo teso al ridimensionamento e alla disgregazione della RAI e della sua funzione di Servizio Pubblico Radiotelevisivo.

Criticano fortemente la condotta del Ministro che ha ritenuto annunciare un possibile provvedimento del Governo su un tema cosi delicato, come quello della privatizzazione del Servizio Pubblico Radiotelevisivo ai media, al di fuori degli attesi luoghi di confronto istituzionale e sociale. La Rai è ancora una volta pensata come un terreno di scambio politico e di conquista degli interessi economici, per un attimo, alla SLC – CGIL, FISTel – CISL, UILCOM – UIL è parso che la televisione pubblica potesse diventare (o tornare ad essere) quello che è la BBC, una fabbrica culturale collocata fuori dal mercato che si preoccupa solamente della qualità dei suoi prodotti. La Rai è ancora una realtà dinamica e attiva dove non mancano le risorse, né idee, né gli uomini, né la competenza tecnica e artistica, SLC – CGIL, FISTel – CISL, UILCOM – UIL assicurano ai lavoratori e ai cittadini il loro determinato impegno nella salvaguardia dei loro interessi collettivi.

SLC – CGIL, FISTel – CISL, UILCOM – UIL ritengono che il Governo e i partiti politici devono superare l’idea che il risanamento economico del Paese passa per la cessione o la dismissione di asset industriali nodali per il sistema Paese (vedi i casi TELECOM e Alitalia) sul piano tecnologico, infrastrutturale e culturale, “bruciando” posti di lavoro e esperienze professionali importanti pur di realizzare un ricavo temporaneo.

Il Governo, il Parlamento Italiano e i vertici aziendali RAI assolvano i loro compiti istituzionali, dimentichino la provenienza politica e si adoperino affinché si lavori per un concreto futuro industriale del Paese e di salvaguardia della ruolo intangibile, ma fondamentale del Servizio Pubblico Radiotelevisivo al quale è affidato il compito di formare le coscienze dei cittadini.

Nei prossimi giorni unitamente alle altre OO.SS. saranno promosse adeguate iniziative sindacali.


SEGRETERIE NAZIONALI SLC-CGIL FISTel-CISL UILCOM – UIL

Telecom italia, l'incontro con Letta

28 ottobre 2013
"L'incontro è stato molto cordiale, abbiamo analizzato la situazione di Telecom a 360 gradi e abbiamo parlato di come vediamo il futuro su investimenti e occupazione". Così' l'Ad di Telecom, Marco Patuano, dopo l'incontro con il premier Enrico Letta."Il governo deve fare le sue valutazioni e prendere le sue decisioni".

"Da parte del premier - ha rilevato Patuano - è giunta una interlocuzione molto attenta. Adesso ovviamente il governo deve effettuare tutte le sue valutazioni e prendere le decisioni che riterrà più opportune". L'amministratore delegato non ha voluto entrare nel merito degli argomenti trattati, se nel corso dell'incontro si sia parlato o meno del tema dello scorporo della rete o della futura governance del gruppo telefonico.

Si terrà invece domani l’atteso incontro tra il premier Enrico Letta e il presidente di Telefonica, Cesar Alierta. L'incontro tra avviene prima della  una riunione del Cda di Telecom nel quale si dovrebbe approvare il nuovo piano industriale. Intanto è iniziato l’incontro tra l’Ad di Telecom Italia, Marco Patuano e Letta. 

In occasione dell'incontro di domani tra Letta e Alierta, Asati invia una lettera al premier. Secondo i piccoli azionisti l'incontro rappresenterebbe "un lasciapassare  segreto e intricato per avere un viatico al fine di effettuare un danno sicuro e palese a tutte le minorities della società, ai suoi dipendenti, all’indotto occupazionale e anche all’intero Paese, ancora arretrato nelle nuove infrastrutture proprio perché il blocco allo sviluppo di Telecom Italia, con l’opposizione ad ogni aumento di capitale riservato, è stato voluto proprio da colui che Lei riceverà domani".

"Per dare credibilità, efficacia e difendere gli interessi di tutta la comunità che è legata a Telecom Italia e allo sviluppo del Paese (senza telecomunicazioni non c’è innovazione né sviluppo) - prosegue la missiva - nel suo incontro di domani  sostenga l’operazione con Telefonica a due sole condizioni o alternative e sicuramente scoprirà nell’incontro di domani una opposizione di Telefonica che ha ben altri progetti per la nostra Telecom Italia: una fusione carta contro carta ad un valore di concambio di 1,1-1,2 euro come da confronto dati economico-finanziari delle due società. Solo così i concetti a Lei tanto cari e corretti di consolidamento del mercato Europeo hanno ed avranno un senso logico e non saranno solo parole al vento; se Telefonica è interessata a prendere il controllo di Telecom Italia questo deve avvenire con una operazione trasparente di mercato ponendo tutti gli azionisti alle stesse condizioni e non usando le stesse tecniche del capitalismo di relazione ormai finito e che ha portato potenzialmente vicino al collasso quello che era uno dei più grandi player mondiali. Telefonica faccia un Opa ad un valore non inferiore a 1.1 euro ad azione"

Solo presentando ad Alierta con queste operazioni - dicono i piccoli azionisti - si verificherà "un immediato rifiuto da parte del suo interlocutore),  si salvaguarderanno gli interessi del Paese e quelli di tutte le minoranze".

"Se accadesse - avverte Asati - Lei verrà ricordato dalla storia come il primo Presidente del Consiglio ad aver facilitato il primo progetto  di public company della quarta azienda Italiana e riscatterà così il disastro creato da due precedenti presidenti del Consiglio che con una privatizzazione selvaggia e un Opa a debito e scatole cinesi, e poi con operazioni fuori mercato, hanno contribuito in maniera determinante alla situazione attuale della Società".

Infine si chiede al premier una spiegazione circa le dichiarazione del Vice Ministro Catricalà, "riguardo al fatto che la riforma dell’Opa come filosofia  va bene ma per il timing non si può applicare a TI. Una norma se va bene per tutto il mercato va bene da subito anche per Telecom Italia: questo distinguo lo riteniamo solo una boutade…".

Di tutt'altra opinione, Tarak Ben Ammar. Secondo il consigliere di Telecom, Telefonica ''creerà ricchezza per sé stessa e per tutti gli azionisti di Telecom''. Il magnate tunisino invita a ''non fare processi alle intenzioni a Telefonica'', gruppo che dal suo punto di vista sarà in grado di rilanciare Telecom: ''Chi crede che soci italiani saranno schiavi degli spagnoli, si sbaglia. Siamo tutti molto attenti nel vedere protetta la ricchezza Telecom Italia. E Telefonica ci metterà la testa per creare ricchezza per se' e per tutti azionisti''.Ben Ammar, insomma, non ha dubbi: a suo parere, bisogna avere fiducia nella strategia aziendale degli spagnoli.

Soprattutto perché, ha evidenziato prima di concludere, ''non succederà mai che gli spagnoli distruggono Telecom Italia per avere il Brasile a due lire. Anche loro hanno bisogno di recuperare l'investimento in Telecom, non sono qua solo per il Brasile. Io - ha evidenziato ancora - non vedo questo conflitto di interessi''.

Infine lo scorporo. "Condivido l'idea che Telecom Italia non si separi dalla rete". "Quello della rete in mano a stranieri è un problema", ha aggiunto facendo riferimento anche ai fatti di questi giorni con la vicenda Datagate.

A proposito del riassetto di Teleco, l'Ad di Mediobanca, Alberto Nagel ha detto:''Questa storia dell'italianità è una favola che ci vogliamo continuare a dire probabilmente per coprire qualche inefficienza nostrana''.

''L'italianità non ha senso e la storia che dobbiamo difenderci è un'autentica fesseria'', ha detto poi Nagel della crescita degli spagnoli in Telecom. ''Telefonica rappresenta una buona opportunità, mi stupiscono i commenti che parlano di Telefonica come di un partner negativo. L'operazione è una cosa buona per tutti gli azionisti di Telecom Italia''.

''Da quando è stata annunciata l'operazione Telco, Telecom ha fatto in Borsa un +14%, l'equivalente stock di settore il +8% - ha aggiunto Nagel -. Il mercato ha capito che finalmente si muoveva qualcosa, che poteva andare a trovare la soluzione di problemi strutturali che non si risolvono se non vengono toccati''. Con il riassetto Telco, ha aggiunto poi il numero uno di Mediobanca, ''pensiamo di non aver fatto una cosa sbagliata per noi. Abbiamo fatto transazione al doppio del valore di mercato'' e positiva ''per tutti gli azionisti Telecom. Così Telecom si è mossa da una situazione di stallo a una situazione in divenire che a mio avviso e' sicuramente piu' interessante. Se c'e' meno finanza e più industria, sicuramente migliorerà".

"Se ci sarà o meno un aumento di capitale è una questione per il Cda di Telecom - ha detto poi Nagel - Noi pensiamo di uscire da questa partecipazione, abbiamo fatto accordi tali che ci possono portare a giugno" a uscire dal capitale. "L'idea è di uscire e non essere esposti a questo tipo di industria, perché non è coerente con i nostri piani. Il Cda di Telecom è indipendente e vedremo quale sarà l'esito, ma possiamo dire che, non solo nel lungo termine, ma anche nel breve, il nostro impegno e' per uscire dal capitale".


27 ottobre 2013

Letta incontrerà Patuano lunedì 28 ottobre

L’amministratore delegato di Telecom Italia Marco Patuano potrebbe essere ricevuto lunedì 28 ottobre a Palazzo Chigi dal presidente del consiglio Enrico Letta. Lo fa sapere l’Asati, l’associazione dei piccoli azionisti di Telecom Italia presieduta da Franco Lombardi.
In una lettera aperta inviata ad entrambi, l’Asati chiede a patuano di “
chiarire in maniera esaustiva i reali problemi della società in cui si trova oggi anche per la strategia attuata da Telefonica da quando è entrata nell’azionariato di Telco (dicembre 2007)”.
Secondo Lombardi il fatto che l’azionista spagnolo di Telco si sia “sempre opposto allo sviluppo di Telecom Italia, impedendo ogni intervento di immissione di nuova risorse economiche, anche attraverso un aumento di capitale riservato  (con un intervento della CDP o di altri azionisti), che avrebbe permesso un riavvio in misura consistente degli investimenti sull’accesso a banda ultralarga nelle reti fisse di nuova generazione, ha determinato i problemi di regresso del Paese a tutti noti. Questo arretramento si è soprattutto evidenziato nel posizionamento nell’Agenda Digitale dell’Italia: negli ultimi posti a livello mondiale e ancor più grave nelle statistiche sulla diffusione della banda larga tra gli stati nembri della Comunità europea”.
Secondo l’associazione, tale situazione “è, in misura non marginale, la diretta conseguenza della strategia iniqua di Telefonica, mirata da un lato  a non diluire la propria quota azionaria in Telco e al contempo a perseguire prevalentemente (o esclusivamente) interessi di dismissione degli asset di Telecom Italia in Argentina e in Brasile per eliminare un competitor ingombrante”.
Secondo Asati vi è il rischio che l’azienda “sia costretta a trovare risorse per far fronte al debito con operazioni non redditizie per la stessa Telecom”.
Asati è poi contraria alla ventilata dismissione delle torri per le stazioni radio “con l’eventuale impegno di doverle riprendere in affitto con quindi maggiori oneri economici in futuro magari con una call per riacquistarle: le risorse economiche che si otterrebbero dalla vendita  sarebbero di entità marginale e quindi non comprensibili”.
Al presidente del Consiglio, Asati chiede di informare l’opinione pubblica e gli azionisti 2sulle azioni intraprese” e di far sapere se Letta “ha già avuto contatti, anche informali o indiretti, col presidente di Telefonica, Cesar Alierta. Infatti, l’orientamento del nostro governo su questa acquisizione ostile ha una notevole influenza sul valore del titolo e  sugli sviluppi delle Tlc nel medio-lungo termine”.
L’orientamento del governo, infatti, “potrebbe avere una diretta influenza sui 500.000 singoli risparmiatori che non hanno logiche speculative, su un livello occupazionale  di 180.000 persone, sulla capacità del Paese di dotarsi di una infrastruttura strategica adeguata e anche sulla ricerca e sviluppo in un settore altamente tecnologico.
Asati osserva poi che la crescita di Telefonica in Telco non apporta alcuna risorsa da destinare agli investimenti e alla crescita della società”. Anzi “con il rinnovo dei patti Telco, Telefonica arrecherà solo potenziali dismissioni e riduzioni di investimenti nel mercato domestico , e quindi  una  perdita per il tessuto industriale dell’Italia  che Lei ha il dovere di tutelare.” Asati chiede infine a Letta che al termine dell’incontro sia emesso un comunicato per rendere noti i temi trattati.


British Telecom Italia conferma i licenziamenti

In data 23 u.s. si è svolto il previsto incontro presso Assolombarda tra SLC CGIL, FISTEL CISL, UILCOM UIL nazionali unitamente alle RSU e BT Italia.
L’Azienda nel confermare la procedura dei licenziamenti collettivi, ha informato che è in atto per 25 lavoratori all’interno della procedura, un percorso formativo, finalizzato allo svolgimento di un’attività che sarà internalizzata, così si creano le condizioni per ridurre di 25 lavoratori il numero degli esuberi dichiarati. Inoltre la capogruppo ha messo a disposizione un budget economico che BT Italia utilizzerà entro i prossimi 20 giorni per incentivare all’esodo volontario un numero imprecisato di lavoratori.
Queste due operazioni potrebbero, ha affermato l’Azienda, creare le condizioni di aprire ad altri ragionamenti, tutto dipenderebbe dal numero di adesioni.
Il Sindacato ha diffidato l’Azienda a continuare con azioni unilaterali, ed in particolare ritenendo pericoloso pressioni indebite che si potrebbero generare sui lavoratori per le uscite volontarie, ha ribadito la richiesta di ritiro della procedura di licenziamenti collettivi, adottando soluzioni condivise e non traumatiche nei confronti dei lavoratori. Invitiamo i lavoratori che verranno contattati dall’Azienda a fare riferimento alle RSU di propria competenza.
Alla fine della discussione la delegazione sindacale ha preso atto che i responsabili dell’Azienda non avevano mandato per trattare qualsiasi altra soluzione ed è stato preannunciato a BT Italia che sarà messa in campo una ulteriore azione di sciopero nazionale con una manifestazione mirata, a Roma, per rendere visibile all’opinione pubblica la lotta dei lavoratori di British Telecom Italia in difesa dei posti di lavoro. Invitiamo le strutture territoriali e le RSU a mettere in campo un percorso assembleare con i lavoratori per informarli e sensibilizzarli a sostenere le iniziative sindacali cosi’ come avvenuto nell’ultimo sciopero.

LE SEGRETERIE NAZIONALI SLC-CGIL FISTEL-CISL UILCOM-UIL



24 ottobre 2013

Programmi TV per minori: Apuzzo (Slc Cgil), eliminare pubblicita’ da tutte le reti non solo da rai

Un plauso al viceministro con delega alle Telecomunicazioni Antonio Catricalà che ha fortemente voluto il Comitato Media e Minori,  insediato ieri presso gli Uffici del Ministero dello Sviluppo Economico, nato con l’obiettivo di tutelare i più piccoli dai pericoli presenti nella Rete e nei Media in generale.
A lui e al Comitato, allora, vorremmo chiedere come primo impegno, quello di lavorare per evitare che i minori vengano trattati da tutta la tv come consumatori, bombardati continuamente da spot che li sollecitano a desiderare giocattoli ed altro ancora.
E’ pertanto curiosa la scelta di intervenire soltanto sulla pubblicità dei canali dedicati Rai, attraverso le novità introdotte dal nuovo Contratto di Servizio Rai-Stato 2013-2015, senza immaginare un percorso analogo nei confronti di tutti i soggetti che rivolgono una programmazione mirata ai più piccoli.
In questo scenario, Rai YoYo, canale dedicato alla prima infanzia, si pone al primo posto per quantità di pubblicità aggregata, seguito dagli altri editori televisivi (Mediaset e De Agostini), che si sono posizionati insieme a Rai Gulp nelle rimanenti posizioni di prima fascia.
In assenza di una regolamentazione generale le quote pubblicitarie Rai verranno acquisite dagli Editori televisivi privati, con il risultato di “drogare” il mercato a favore di soggetti che non hanno gli stessi vincoli del servizio pubblico da rispettare.
Un ulteriore elemento che rafforza il sospetto che ci sia la volontà di indebolire la concessionaria di servizio pubblico, attraverso scelte che favoriscono di fatto la redistribuzione verso le tv commerciali di importanti introiti derivanti dalla pubblicità.
E’ del tutto evidente che questo non risolve il problema della tutela dei minori.


Cambiare la Legge di Stabilità 2014

Dagli sprechi e dalle rendite più risorse ai lavoratori e ai pensionati
La Legge di Stabilità presentata dal Governo non realizza quella svolta nella politica economica necessaria al Paese per uscire dalla recessione e tornare a crescere. Da tempo tutti gli osservatori indicano in una significativa riduzione delle tasse a lavoratori, pensionati ed imprese che investono, la via principale per operare questa svolta.
Ribadiamo che è necessaria una nuova politica europea che liberi risorse per finanziare gli investimenti a sostegno dell’occupazione, dell’innovazione e delle politiche sociali.
CGIL, CISL e UIL chiedono al Governo e al Parlamento di rifinanziare subito la cassa integrazione e di dare certezze a tutti i lavoratori esodati.
È indispensabile una decisa modifica della Legge di Stabilità soprattutto sui seguenti capitoli:
Meno tasse ai lavoratori e pensionati
Per gli interventi in materia fiscale l’iter parlamentare di approvazione della Legge di Stabilità deve essere l’occasione per diminuire realmente le tasse a lavoratori dipendenti, pensionati ed imprese che creano buona occupazione.
In particolare bisogna:
-    varare un significativo aumento delle detrazioni sia per i lavoratori dipendenti che per i pensionati; misura, questa, orientata ad una maggiore equità e al sostegno al reddito di quelle categorie che contribuiscono a gran parte del gettito fiscale. In tal modo, si incrementerebbe il loro potere di spesa e, conseguentemente, aumenterebbero i consumi;
-    rafforzare e rendere strutturale la detassazione del salario di produttività che, inoltre, va estesa anche ai lavoratori del settore pubblico in modo da porre fine ad un’esclusione iniqua e ingiusta che colpisce milioni di lavoratori;
-    correggere gli elementi di iniquità della nuova tassazione immobiliare (TRISE) e cancellare la prevista riduzione delle agevolazioni fiscali.
Bisogna potenziare la lotta all’evasione fiscale attraverso la revisione del sistema di sanzioni, definendo la natura penale del reato di evasione, con l’estensione delle misure per il contrasto di interessi alle spese per i servizi alle persone e alle famiglie, con il rafforzamento del ruolo degli enti locali incrociando le banche dati e, infine, con l’intensificazione della lotta all’evasione fiscale in chiave europea.
Rivalutare le pensioni
CGIL CISL e UIL ritengono necessario rivedere e correggere gli elementi di iniquità e rigidità introdotti dalle norme Fornero sul sistema previdenziale.
È indispensabile ripristinare i meccanismi di indicizzazione delle pensioni esistenti prima dell’entrata in vigore del DL n. 201/2011, evitando così l’erosione progressiva che i trattamenti pensionistici hanno subito in questi anni.

Pubblica Amministrazione ed efficienza della spesa pubblica
Per il settore pubblico, anche per difendere e riqualificare l'insieme dei servizi, chiediamo al Governo e al Parlamento di dare certezza alla stabilizzazione dei precari delle PP.AA. e riconoscere e valorizzare, ripristinando il contratto nazionale,  le professionalità dei dipendenti pubblici.

Occorre liberare la contrattazione di secondo livello al fine di distribuire gli incrementi di qualità e produttività creati a livello decentrato, utilizzando anche le risorse  provenienti da sprechi, inefficienze e da cattiva gestione.

Inaccettabile è anche la prevista eliminazione dell’indennità di vacanza contrattuale ed il taglio lineare operato sugli straordinari che mette a rischio l’effettiva erogazione dei servizi. Sono questi interventi che devono essere ritirati in quanto incidono ulteriormente su un settore già particolarmente colpito dai tagli lineari che si sono succeduti in questi ultimi anni e che continuano ad essere riproposti anche in questo DDL Stabilità.
Penalizzante per i dipendenti del settore pubblico è anche l’ennesima misura di rateizzazione dell’indennità di fine rapporto che rappresenta una grave deroga alle regole di corresponsione di quello che è salario differito delle lavoratrici e dei lavoratori del settore.
CGIL, CISL e UIL ritengono indispensabile agire per un taglio significativo della spesa pubblica improduttiva e dei costi della politica. Dall’efficienza e dalla revisione dei livelli istituzionali, dalla riqualificazione della spesa pubblica e dal rafforzamento della lotta alla corruzione, dipende la qualità dei servizi per i cittadini.
Come reperire le risorse
Queste misure possono essere concretamente finanziate attraverso:
-    la obbligatorietà dei  costi standard per le amministrazioni centrali e locali e il superamento della frammentazione delle attuali 30.000 centrali appaltanti, estendendo l’esperienza già realizzata con l’istituzione della Consip;
-    la riduzione drastica del numero delle società pubbliche e degli enti inutili e la riduzione dei componenti dei consigli di amministrazione, definendo più vaste dimensioni ottimali per la gestione dei servizi a livello locale, anche tramite l’utilizzo di forme associative per realizzare maggiori economie di scala, con l’assunzione di modelli organizzativi improntati a logiche industriali;
-    la riduzione del numero di componenti degli organi elettivi ed esecutivi a tutti i livelli di governo riducendo gli incarichi di nomina politica, fino al blocco delle consulenze a tutti i livelli dell’amministrazione pubblica;
-    la valorizzazione del patrimonio dello Stato;
-    l’armonizzazione della tassazione delle rendite finanziarie alla media europea rispetto all’attuale aliquota del 20%;
-    la destinazione automatica delle risorse derivanti dalla lotta all’evasione e all’elusione fiscale, per la riduzione delle tasse a lavoratori e pensionati mediante un apposito provvedimento legislativo;

L’insieme di questi interventi è necessario per far crescere la domanda interna, condizione essenziale per favorire lo sviluppo del nostro sistema produttivo e dei livelli occupazionali del Paese.
Per sostenere queste proposte CGIL CISL e UIL hanno deciso di proclamare quattro ore di sciopero


22 ottobre 2013

Visiant Next: Sollecito di richiesta di incontro

Le scriventi OO.SS. comunicano che in questi giorni è stato inviato sollecito di richiesta di incontro a Visiant Next.
Da parte dei territori, in ultimo Catania, vengono segnalati continui disagi dei lavoratori e difficoltà di relazioni sindacali che tolgono serenità e che creano un clima aziendale non certamente proficuo.
Sempre più insistenti, inoltre, sono le “voci di corridoio” che paventano un azzeramento del secondo livello contrattuale, mentre sembra certo il probabile assorbimento della seconda tranche degli aumenti contrattuali a coloro che hanno il superminimo assorbibile.
Se questa è la linea che intende adottare l’Azienda il Sindacato sarà pronto a far valere le ragioni dei lavoratori.
Per questo, qualora l’incontro non verrà calendarizzato a breve, invitiamo i territori ad attivarsi attraverso presidi e manifestazioni al fine di tenere alta l’attenzione su Visiant Next e sul committente Fastweb.

Sospesi i colloqui tra Telecom e Cdp sullo scorporo della rete

di Federica Meta
 A quanto risulta nonostante la trattativa sia ancora formalmente aperta, le società non hanno di fatto portato avanti il confronto. Oggi l'Ad di Cdp, Giovanni Gorno Tempini, ha ribadito che per la rete "la porta è sempre aperta" ma che "si stanno aspettando le decisioni di una società privata".

E addirittura - secondo indiscrezioni di stampa - Telecom Italia sarebbe intenzionata a congelare il progetto di spin off, e il Cda  del 7 novembre potrebbe prenderne atto o annunciare che l'idea è stata abbandonata.

"Il fatto che Telefonica sia contraria allo scorporo non è un mistero - dice a Bloombreg una fonte vicina alla vicenda - La questione rimarrà bloccata fino a quando non si scioglie il nodo della partecipazione del gruppo spagnolo in Telecom" e il consiglio potrebbe dire che l'ipotesi rete è cancellata" Secondo la fonte, se Telefonica deciderà di prendere il controllo di Telecom Italia é possibile che si torni a parlare di scorporo della rete, per ora il progetto resta bloccato in attesa delle decisioni in Sudamerica. Il gruppo spagnolo ha acquistato il 66% di Telco e potrebbe salire al 70%, ma mantenendo costanti i diritto di voto. La società può decidere di convertire le sue azioni Telco, acquistando i diritti o di salire al 100% di Telco. A fine maggio di quest'anno Telecom ha approvato di procedere con la societarizzazione della rete.

I rumors frenano il titolo che a Piazza Affari perde l’1,7%. Secondo gli analisti di Intermonte al di là delle indiscrezioni resta “difficile l'annuncio a breve della scissione della rete di accesso, mancando ancora la decisione di Agcom sulle tariffe". Da un punto di vista industriale per gli analisti di Equita la separazione della rete avrebbe dei riflessi dubbi: teorica miglior regolamentazione, tutta da dimostrare, rispetto a un'accelerazione della discesa della quota di mercato. "Siamo quindi più favorevoli a una Telecom Italia che resti integrata", affermano gli analisti di quest'altra sim.

Certo che, se il Cda di Telecom Italia congelerà il progetto, "la società sarà costretta a valutare altre soluzioni e l'incontro tra il governo italiano e l'azionista spagnolo sarà determinante", osservano anche gli analisti di Mediobanca Securities. E' necessario, in particolare, che Telecom prenda in considerazione un radicale progetto di riduzione del debito che preveda un aumento di capitale o la cessione di Tim Brasil. "Riteniamo sia rischioso restare junk nel lungo periodo e che tale rischiosità sia destinata a riflettersi negli attuali bassi multipli cui tratta il titolo TI su cui manteniamo il rating hold e il target price a 0,65 euro", precisano a Equita. Va invece avanti la discussione sul progetto di modificare la legge sul'Opa obbligatoria.

Al momento si ipotizza di mantenere la soglia del 30%, accompagnata dal criterio del controllo di fatto, anche se in passato sono già state ipotizzate e poi scartate doppie soglie per determinare il controllo. "La modifica della soglia dell'opa da una parte assicurerebbe maggiore tutela ai soci di minoranza, ma renderebbe poco probabile un'ulteriore crescita della quota di Telefonica", sostengono gli analisti di Intermonte, confermando il giudizio neutral e il prezzo obiettivo a 0,6 euro sul titolo TI.

Per Massimo Mucchetti, primo firmatario della mozione approvata dal Senato e accolta dal governo la scorsa settimana serve “una norma "semplice, chiara e forte" in materia di Opa. Solo così – avverte il senatore Pd– si può dare risposta alle perplessità di quanti formulano critiche alla introduzione di una seconda soglia per l'Opa obbligatoria, determinata dall'esistenza di un controllo di fatto con una partecipazione inferiore al 30%, approvata in una mozione al Senato nell'ambito della discussione sugli assetti societari di Telecom Italia.

"Con una buona norma -scrive Mucchetti sul Sole 24 Ore - la Consob potrebbe accertare in poche settimane in quali società del listino la maggioranza deliberante dei Consigli sia stata eletta per almeno due volte da un'azionista o da un concerto di azionisti con una maggioranza inferiore al 30%". Dopo la prima lista, "non sarà ne' lungo, ne' difficile, ne' discrezionale verificare i cambi del controllo sia dentro la partecipazione, sia al superamento della partecipazione medesima. Ci sarà ben poco da fare ex post -prosegue Mucchetti- e l'obbligo dell'Opa a tutela delle minoranze azionarie scatterà  tempestivamente".

L'unica controindicazione della doppia soglia, prosegue il senatore Pd, è che "il mercato del controllo potrebbe essere meno fluido". Se è vero che "il mercato del controllo è anch'esso un bene", conclude Mucchetti, è altrettanto vero che "si tratta di bene, per così dire, secondario. Non a caso, la Costituzione non se ne occupa e nei tanti dibattiti in corso sulle riforme istituzionali nessuno pensa di attribuirgli un rango analogo a quello del risparmio".

Intanto sarebbe imminente un incontro fra il presidente del Consiglio Enrico Letta e il numero uno di Telefonica Cesar Alierta anche se la data ancora non è stata fissata.  Ieri da Letta è arrivata una mano tesa agli spagnoli, quando nel suo intervento a un convegno di Confindustria Digitale ha detto che l'Italia si batterà per un mercato unico europeo delle tlc e per la nascita di campioni europei.

Telecom Italia, a rischio 16mila posti di lavoro

di Piero Messina
Il passaggio di Telecom sotto il controllo di Telefonica rischia di lasciare sul campo oltre 16 mila posti di lavoro tra esuberi e licenziamenti. Il dato emerge da un dossier della Cgil che analizza lo statu quo della compagnia telefonica italiana e mette sul tappeto le proiezioni relative ai livelli di tenuta occupazionale.

Per mesi il managment di Telecom ha tentato di rassicurare sindacati e governo sul tema, continuando a sostenere che non ci sarà alcun taglio. Parole difficili da accettare anche perché le prime scosse telluriche si sono abbattute proprio sui vertici della compagnia, con l’addio dopo sette anni e mezzo di Franco Bernabè e i pieni poteri a Marco Patuano che, in ogni caso, si presenta alla nuova proprietà spagnola con ricavi crollati del 18 per cento nell’ultimo triennio.

Sul fronte dei livelli occupazionali di Telecom, le previsioni formulate dal sindacato si basano su due fattori. Prima di tutto si tiene conto della possibile procedura di scorporo della rete. Poi, si riflette sulla possibilità che la compagnia spagnola riorganizzi Telecom secondo il modello già applicato a Madrid, con il possibile “adios” ai call center e la marginalizzazione delle società satellite che si occupano di informatica.

Sino agli anni novanta era il quinto operatore mondiale della telefonia, per investimenti, tecnologie e quote di mercato. Ora l’emorragia di posti di lavoro sembra inarrestabile. Secondo i dati esposti dal sindacato rosso, dalla privatizzazione Telecom del 1997 sino ad oggi, il gruppo ha tagliato più di 70 mila posti di lavoro. Uscite che sono state realizzate in gran parte attraverso l'utilizzo degli ammortizzatori sociali, con un costo a carico della collettività - come ricorda il dossier sindacale - tutt'altro che trascurabile.

In queste ore decisive per il futuro della compagnia telefonica, al centro di tutto c’è lo scorporo della rete. Come si intende procedere? La prima strategia prevede la costituzione di una newco finanziata dalla mano pubblica attraverso la Cassa Depositi e prestiti. L’opzione alternativa consiste nel far accedere al pacchetto azionario della newco tutti gli operatori telefonici presenti sul mercato.
Ma è una ben magra consolazione per i sindacati, immaginare che l’impatto degli esuberi possa essere assorbito dalla costituzione di una newco di scopo per gestire proprio la rete.

Prima di tutto perché entrambe le opzioni (newco pubblica o a capitale misto) consegnerebbero all’Italia un primato in negativo: “in nessun Paese al mondo – spiega il dossier riservato - si è provveduto a scorporare la rete d'accesso dalla pancia dell'operatore telefonico, l'Italia rischierebbe di essere la cavia di un modello che nessuno ha adottato”. In pratica la cessione della rete sembra un mostro perfetto, capace di divorare tutto, posti di lavoro e reputazione del Paese in primis.

Qualsiasi scelta si prenda sul futuro dell’infrastruttura di rete esiste il rischio concreto di indebolire Telecom e rendere l’Italia sempre più marginale rispetto agli altri paesi europei nel campo delle tecnologie della comunicazione 2.0. Se nella costituzione della società si arrivasse a coinvolgere tutti gli operatori del mercato, è evidente che il “condominio virtuale” sarebbe paralizzato dai conflitti d'interesse, su dove, come e quando investire, e dai costi di “noleggio” della rete. Perché ogni operatore punterebbe ad avere costi di affitto bassi.

L’altro percorso, ovvero il lascito in mano pubblica della newco per la rete, è per i sindacati uno scenario ancora peggiore: il meccanismo attuale prevede che il possessore della rete chieda prezzi di "affitto" alti e gli operatori alternativi invochino prezzi bassi. Con la newco pubblica proprietaria,  tutti gli operatori avrebbero interesse ad abbassare i costi del canone. La newco potrebbe diventare l’ennesimo carrozzone di Stato verso cui pompare ingenti risorse per gli investimenti nella modernizzazione delle infrastrutture,  investimenti che non potranno in ogni caso essere fermati, per rispettare quanto previsto dall’Agenda Digitale italiana. E siccome la rete va pagata e non può essere espropriata, uno scenario di questo tipo consentirebbe a Telefonica di rimuovere proprio il ramo aziendale che richiede maggiori investimenti.

Basta dare uno sguardo ai bilanci di Telecom per scoprire che negli ultimi sette anni, in quel settore, sono stati investiti almeno 18 miliardi. Così, senza il peso della rincorsa tecnologica a tutti i costi, la compagnia spagnola si troverebbe ad aver acquistato un pezzo di mercato traendone, addirittura, un guadagno economico e costi di esercizio ridotti al minimo. In fondo, niente di nuovo. Il copione ricorda un po’ le vecchie scalate a debito su Telecom, iniziate dal 1997, che hanno indebolito la tenuta finanziaria di Telecom, ingigantendo il debito e distruggendo decine di migliaia di posti di lavoro.



Rai: Apuzzo (Slc Cgil), troppe ambiguità sul concetto di trasparenza nel nuovo contratto di servizio

Preoccupazione di Slc Cgil per il futuro del servizio pubblico

“Il contratto di servizio RAI-Stato 2013-2015, attualmente all’esame della Commissione parlamentare per l’indirizzo e la vigilanza, presenta una sconvolgente novità introdotta dal Ministero dello Sviluppo economico: la riconoscibilità, all’art. 1 lettera e), dei programmi finanziati col canone, che nel successivo art. 18 si identificano con quelli «rientranti nell’ambito dell’attività di servizio pubblico» (da identificare con un bollino di diverso colore). Ebbene, come risulta dall’articolo 6, l’intrattenimento non fa più parte dei programmi del servizio pubblico radiotelevisivo!”

Così esordisce il costituzionalista Alessandro Pace in un articolo recentemente apparso sulla stampa nazionale, spiegando i motivi per i quali le “novità” introdotte nel nuovo contratto di servizio mostrano una malcelata volontà di procedere in direzione di una “ “privatizzazione” pro parte di un bene comune di tutto il popolo italiano, che fino a pochi anni fa era unanimemente identificato come la nostra maggiore istituzione culturale (di cui programmi di intrattenimento come “Quelli della notte” e “Indietro tutta!” avevano tutti i titoli per farne parte).”

Senza pretendere di chiarire con maggior efficacia quanto sostenuto dal Prof. Pace, ci preme sottolineare quanto insidioso si presenti il cammino tracciato dal nuovo contratto di servizio alla vigilia della scadenza della concessione pubblica radiotelevisiva.

Per prima cosa bisogna allora sottolineare che questa separazione costituisce la precondizione per considerare l’intrattenimento fuori dal perimetro del servizio pubblico, tradendo di fatto la mission che quest’ultimo dovrebbe invece avere attraverso la presentazione di quello che fino a poco tempo fa doveva essere un «insieme equilibrato di intrattenimento, cultura, divertimento e informazione» (Risoluzione del Parlamento europeo, 1996).

Proprio l’”intrattenimento” infatti è scomparso dal contratto di servizio, creando una ambiguità di fondo che fa supporre che questo, non rappresentando più uno dei pilastri portanti del servizio pubblico, possa un domani essere messo sul mercato, magari in nome della libera concorrenza per un bene non più pubblico?

Questa impostazione, infatti, se letta insieme a quanto contenuto nell’art.23 (consultazione pubblica) in cui si parla della “data di scadenza della concessione del servizio pubblico”, e nell’art.24 (entrata in vigore e scadenza), in cui si fa riferimento alla “scadenza della concessione”, fa immaginare per la RAI un futuro “spacchettato”, in cui per servizio pubblico non si intenderà sicuramente quello che abbiamo conosciuto fino ad oggi.

Non ci sembra infatti convincente l’affermazione secondo la quale questa rivisitazione sarebbe frutto della necessità di ricercare maggiore trasparenza, anche perché la distinzione tra gli introiti pubblicitari e quelli derivanti dal canone è già presente nel bilancio dell’azienda.

Così come crediamo che la necessaria lotta all’evasione del canone vada affrontata oltre che con politiche mirate, anche attraverso il diffondersi di una maggiore consapevolezza di quanto offra il servizio pubblico in termini di qualità. Qualità che, come riconosciuto anche dalla Commissione europea, riguarda tutta la programmazione della RAI.

Infine, altra nota dolente riguarda il fatto che in nome di un processo di semplificazione, che porta gli articoli da 35 a 24, uno strumento molto importante è stato soppresso. All’art.2, comma b) del vecchio contratto, (quello riguardante l’oggetto del Contratto nazionale di servizio), era indicato, tra i compiti da assolvere quello di “valorizzare la rappresentazione reale e non stereotipata della molteplicità di ruoli del mondo anche nelle fasce di maggior ascolto, promuovendo – tra l’altro – seminari interni al fine di evitare una distorta rappresentazione della figura femminile, con risorse interne ed esterne, anche in base a indicazioni provenienti dalle categorie professionali interessate”. Non, dunque un’affermazione generica, ma l’indicazione chiara di quali strumenti  – tra gli altri -  utilizzare.

Ecco, forse nell’epoca in cui gli episodi di femminicidio sono  presenti nelle cronache nazionali quasi quotidianamente, sarebbe stato più giusto optare per una “complicazione” più che per una semplificazione, articolando meglio le azioni che la concessionaria del servizio pubblico intendeva adottare, a partire dagli strumenti messi a disposizione per realizzare concretamente quanto enunciato come principi generali.

Questi sono solo alcuni degli aspetti che immaginavamo dovessero prevedere un confronto più aperto.
Registriamo invece che, nonostante questa fosse un’esigenza da più parti condivisa, si sta scegliendo ancora una volta di chiudere il confronto, come se si trattasse di questioni per “addetti ai lavori” e di ignorare le proposte di chi, come il sindacato, cerca di dar voce all’interesse generale del paese.

Quanto sopra avviene peraltro senza tenere in considerazione il fatto che qualsiasi ragionamento riguardante la ridefinizione del servizio pubblico non può essere avulso da una lettura del contesto radiotelevisivo nel suo insieme, e dunque da una riforma complessiva delle regole e delle leggi che governano questo settore.

Barbara Apuzzo
Segretaria Nazionale SLC CGIL

Legge Stabilità: CGIL CISL UIL proclamano 4 ore di sciopero nazionale articolate a livello territoriale

Quattro ore di sciopero nazionale di tutte le categorie che saranno articolate a livello territoriale da domani fino alla metà di novembre. Questa la decisione assunta oggi dai segretari generali di CGIL, CISL e UIL, Susanna Camusso, Raffaele Bonanni e Luigi Angeletti, nel corso di una riunione promossa per valutare l'avvio di un percorso di mobilitazione per cambiare il segno della legge di Stabilità.
Una legge, ha detto Camusso al termine della riunione nel corso di una conferenza stampa, che “non determina il cambiamento necessario: il Paese rischia di perdere un'altra volta. Continuiamo ad essere il solo paese in recessione e, soprattutto, continuiamo a perdere il lavoro”. Il segretario generale della CGIL ha ribadito così la necessità di una riduzione fiscale per i lavoratori e per i pensionati, una misura possibile anche a saldi invariati recuperando risorse da una revisione della tassazione sulle rendite finanziarie, e operare per questa via un'operazione di redistribuzione fiscale.
Per questo i sindacati confederali, ha annunciato Camusso, hanno proclamato “quattro ore di sciopero da gestire nei territori e nelle regioni per cambiare segno alla legge di Stabilità e dare le risposte necessarie per far ripartire il Paese”. Parallelamente CGIL, CISL, UIL saranno in campo e faranno pressione sul Parlamento e sulle forze politiche perché vengano introdotte quelle modifiche necessarie durante l'iter parlamentare della ex legge Finanziaria. Una strategia che prevede, hanno fatto sapere i tre leader sindacali, una prima verifica a metà novembre quando le tre confederazioni riuniranno i loro organismi unitari per valutare i risultati ottenuti.
Il tema, come ha precisato Camusso, “non è distinguere tra vincitori e vinti ma come far vincere il Paese. E' chiaro che, se dopo annunci e promesse, la legge di Stabilità è stata confezionata in questo modo, non c'è sufficiente consapevolezza da parte del governo che bisogna cambiare passo”, a partire dal cambiare i termini della politica economica. “Sono cinque anni che si ripetono finanziarie che non danno risposte al Paese”, con il rischio di mantenerlo “in uno stato recessivo. Bisogna avere il coraggio di spostare i pesi. Bisogna fare una scelta politica e decidere da dove far ripartire il Paese”.
Una scelta che, secondo CGIL, CISL, UIL, non può che essere quella di avviare una decisa operazione di redistribuzione del reddito in favore di lavoratori e pensionati.