Il ricorso agli straordinari, in assenza di una disciplina a opera dei contratti collettivi nazionali, è ammesso solo previo accordo tra datore e prestatore
E’ illegittimo il licenziamento del dipendente che non prende parte alle riunioni aziendali fuori dal normale orario di lavoro. Lo sancisce la Cassazione con la sentenza n. 17590, pubblicata il quattro agosto dalla sezione lavoro. I giudici di legittimità respingono il ricorso di un comune del nord Italia contro la decisione della Corte d’appello di Genova. Secondo i giudici di appello, era illegittima la pretesa dell’ente di ottenere le prestazioni lavorative di una sua dipendente, durante le riunioni del Consiglio comunale, fissate in ore serali, fuori dal normale orario di lavoro. In mancanza di una disciplina specifica, si applica, secondo la Corte territoriale, l’articolo 5 del Dlgs. n. 66/03 che prevede che «il lavoro straordinario è ammesso solo previo accordo tra le parti». Il rifiuto della dipendente non era, dunque, illegittimo. Alle motivazioni dei giudici di appello si allinea la Cassazione.
L’articolo citato dai giudici di seconde cure dispone, al secondo comma, che «il ricorso al lavoro straordinario deve essere contenuto e che, in assenza di disciplina a opera dei contratti collettivi nazionali, esso è ammesso soltanto previo accordo tra datore e prestatore di lavoro». Aggiunge al secondo comma, che il ricorso al lavoro straordinario è inoltre ammesso, «salvo diversa previsione del contratto collettivo, tra l’altro, nei casi di eccezionali esigenze tecnico produttive e di impossibilità di fronteggiarle attraverso l’assunzione di altri lavoratori».
La disposizione non esclude la prestazione del consenso da parte del lavoratore, disponendo che il ricorso al lavoro straordinario è ammesso «soltanto» previo accordo tra datore e prestatore di lavoro e «inoltre» in casi di eccezionali esigenze tecnico-produttive. L’uso di tale ultimo avverbio, afferma la Cassazione, in luogo della locuzione «in ogni caso», evidenzia che, oltre all’imprescindibile consenso del prestatore di lavoro, occorre anche la sussistenza delle esigenze, peraltro non fronteggiabili attraverso l’assunzione di altri lavoratori.
Inoltre, come emerso dalla sentenza di merito, le convocazioni in orario serale erano diventate la regola e non erano, quindi, dettate da esigenze straordinarie e occasionali. Il rifiuto della dipendente, il cui orario di servizio era dalle ore 7.30 alle 13.30 e che nelle precedenti occasioni aveva assicurato la sua presenza durante le sedute del Consiglio comunale, non risulta pertanto illegittimo. Ragion per cui, il ricorso dell’ente comunale va respinto.