Con una lettera al direttore del Corriere della Sera, il segretario generale della Cgil, Susanna Camusso, commenta la riapertura del dibattito sull'articolo 18 e rilancia, "mettere a punto" lo Statuto dei Lavoratori per estendere le tutele indispensabili anche ai precari
"Bene ha fatto il Presidente del consiglio a sgombrare il campo da una discussione agitata da una forza politica con un consenso elettorale e reale minimo, con pulsioni punitive nei confronti del mondo del lavoro e dei più deboli, il cui solo scopo è di ottenere quella visibilità e concretezza che manca nell'azione politica e nelle proposte che formulano.
L'articolo 18 dello statuto dei lavoratori, come per altro sostengono autorevoli economisti e imprenditori, rappresenta una tutela per milioni di lavoratori e non certo un ostacolo alla crescita delle aziende e dell'economia italiana. In un momento di forte recessione, con il rischio di deflazione e di perdita di milioni di posti di lavoro, agitare il tema dei licenziamenti individuali è solo uno scadente tentativo di richiamare su di sé l'attenzione dei media.
I problemi in cui si dibatte il nostro Paese riguardano il grande debito pubblico; la penuria di investimenti privati e pubblici; la pochezza delle risorse destinate a ricerca e sviluppo; la scarsa competitività delle sue imprese, troppo piccole e spesso incapaci di produrre innovazione; la mancanza di una politica industriale nei settori strategici dell'economia; una pubblica amministrazione impossibilitata ad essere "amica" delle imprese e dei cittadini; l'incapacità italiana di usufruire appieno dei fondi strutturali europei... Si potrebbe continuare a lungo senza che l'articolo 18 rientri in questo elenco.
Non c'è alcun dubbio che il Paese sia cambiato anche se si è trasformato più lentamente di quanto avrebbe dovuto e di quanto la globalizzazione dei mercati avrebbe richiesto. Ma oggi questo nostro ritardo più che un handicap può diventare un'opportunità se sapremo metterci in sintonia con il futuro.
Nel nostro passato, e per molti aspetti la responsabile del disastro sociale ed economico dell'Italia, ha dominato un'ideologia che in nome del laissez-faire ha prodotto assenza di regole, eccesso legislativo nel mercato del lavoro, precarietà diffusa, deindustrializzazione, impoverimento dei ceti medi. Continuare con quella ricetta sarebbe esiziale per il nostro Paese e per l'Europa. Bisogna cambiare.
Il Presidente del Consiglio nella sua ultima intervista ha parlato di una revisione dello Statuto dei Lavoratori. La legge 300/1970, nonostante l'età, continua ad essere una formidabile forma di regolazione dei rapporti di lavoro in questo Paese. Stravolgerla o abbandonarla rappresenterebbe un gravissimo errore e lascerebbe senza reali tutele milioni di lavoratori.
Potrebbe invece essere una strada utile e percorribile una sua messa a punto che guardi alle nuove forme di lavoro, ai milioni di lavoratori precari, in modo da dare loro le difese di cui oggi non dispongono: giusto salario, maternità, ferie, malattia, protezione contro i licenziamenti ingiusti, ammortizzatori sociali universali, solo per citarne alcune. L'occasione per dare modernità alle tutele del lavoro c'è: quella di un vero Job-Act.
Ma insieme ad un allargamento agli esclusi delle salvaguardie, per rendere moderno ed europeo il mondo del lavoro è urgente un'altra grande rivoluzione: dare applicazione agli articoli 39 e 46 della Costituzione.
Dopo l'accordo sulla democrazia e la rappresentanza sindacale tra Cgil, Cisl e Uil e molte delle associazioni datoriali, prima fra tutte Confindustria, non c'è più alcun alibi alla non applicazione dell'articolo 39 della Costituzione. Finirebbe, anche nel sociale, il diritto di veto delle minoranze e si avrebbe, finalmente, un sistema di rapporti sindacali regolato, democratico, con accordi riconosciuti e validati dalla maggioranza dei lavoratori. Sarebbe un bene e un fattore di crescita per l'intera economia.
Stabilite le regole per la rappresentatività dei sindacati e per la validazione degli accordi, l'applicazione dell'articolo 46 sarebbe l'altro grande tassello su cui innestare un percorso di modernizzazione delle relazioni sindacali nel nostro Paese. Con la sua attuazione si aprirebbe anche in Italia la possibilità di avere percorsi di reale democrazia economica; si potrebbero varare, come in Germania, i comitati di gestione; il sindacato avrebbe conoscenza delle scelte d'impresa e sarebbe compartecipe di scelte positive per i lavoratori. Una prospettiva che, se il governo davvero volesse, potrebbe già essere adottata nelle imprese a partecipazione pubblica.
Se in questa legislatura fossero varate normative che rendano applicabili questi due articoli della nostra Costituzione, saremmo in presenza di una vera e propria rivoluzione democratica nel mondo del lavoro e di uno straordinario concreto aiuto alla regolazione e alla crescita della nostra economia.
In una discussione, così concepita, capace di abbandonare il disastroso passato e andare verso il futuro, il sindacato, la Cgil non potrebbe che essere in prima linea".