26 maggio 2015

Telecom Italia:Vertenza caring: l’unica via di uscita è ascoltare i lavoratori

La conclusione del ciclo di assemblee promosse dalla SLC in tutte le sedi di caring service di Telecom Italia dalla SLC‐CGIL per valutare i contenuti di una proposta finalizzata a riaprire in confronto sul modello organizzativo ha confermato l’indisponibilità dei lavoratori a introdurre forme di controllo individuale della prestazione lavorativa.
I quasi 3000 lavoratori che hanno partecipato alle assemblee hanno confermato, nella sostanza, il giudizio già espresso con il voto referendario sull’ipotesi sottoscritta il 18 dicembre 2014, con un 57% di lavoratori che ha espresso la propria contrarietà a sottoscrivere accordi che consentano il controllo individuale seppur in forme più garantiste rispetto a quanto previsto in precedenza.
Tale indisponibilità trae origine, per la stragrande maggioranza dei lavoratori, dalle condizioni già eccessivamente gravose con cui si opera all’interno del caring, con ritmi insostenibili e pressioni continue che rendono la prestazione lavorativa particolarmente insostenibile.
La trattativa sul caring, che ha impegnato le parti per oltre un anno paralizzando ogni altro confronto sulle necessità aziendali, rischia in questo modo di diventare l’elemento su cui si potrebbero interrompere le relazioni sindacali, e, laddove l’azienda decidesse di dar corso all’annunciato progetto di societarizzazione, la posizione del sindacato non potrebbe che essere quella di una totale e convinta contrarietà.
Considerando le vicende complessive che attraversano il futuro di Telecom Italia ‐ piano d’impresa, riorganizzazione della rete, sviluppo della banda larga e ultralarga, assunzioni e internalizzazioni – rischiano di assumere un’importanza fondamentale per il futuro dell’azienda e che, necessariamente, comporteranno la definizione di intese che siano il più possibile condivise, decidere di bloccare le relazioni industriali sulla base di un aspetto più ideologico che strategico rappresenta un errore che nessuno può permettersi di compiere.
Le avvisaglie di quanto potrebbe accadere, peraltro, si sono già consumate con i primi scioperi organizzati dalle SLC territoriali, da sempre schierate con i lavoratori e in difesa degli stessi.
E’ del tutto evidente che in assenza di atti concreti che, a partire dalla volontà espressa liberamente e democraticamente dai lavoratori, trovino soluzioni in grado di conciliare il progetto industriale di Telecom Italia, compreso quello del caring, con la volontà espressa dai lavoratori, l’acuirsi del confronto sarà inevitabile come inevitabile sarà il ricorso ad azioni di lotta che non potranno che riguardare l’insieme dell’azienda.
Rilanciare un’azione di difesa della strategicità di Telecom Italia per il sistema Paese, la conferma dell’attuale perimetro presidiato dal personale aziendale, l’implementazione della capacità di sviluppare le nuove sfide che il Paese sta richiedendo al settore sono argomenti troppo importanti e decisivi per essere trascurati nel nome di un elemento ideologico e per l’orgoglio ferito di qualcuno.
L’azienda ha il dovere di avanzare una proposta che guardi all’insieme dell’azienda, al suo futuro, alle decine di migliaia di lavoratori che grazie alle attività di Telecom hanno un futuro e vogliono preservarlo. I lavoratori come sempre saranno pronti ad accettare la sfida, tanto più se, con senso di responsabilità, si sarà in grado di individuare soluzioni che eliminino l’elemento che ha portato alla bocciatura dell’ipotesi di accordo e che ha visto i lavoratori respingere ogni tentativo di mediazione.
Roma, 26 maggio 2015

La Segreteria Nazionale di SLC‐CGIL

18 maggio 2015

La tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro


All’interno di un’azienda la prima figura incaricata di garantire la sicurezza sul lavoro e sulla quale ricade appunto l’obbligo del mantenimento dei livelli della stessa è il datore di lavoro.
  • Il datore di lavoro organizza l’attività di impresa per portare a termine il lavoro che dovranno svolgere i dipendenti, i quali si devono attenere a quanto viene loro richiesto, ma nel fare questo il datore di lavoro ha l’obbligo di salvaguardare l’integrità psicofisica  eliminando o cercando di ridurre al massimo i rischi che possono procurare dei danni a questi soggetti.
  • Al datore di lavoro sono equiparati i dirigenti ed i preposti che organizzano tutte le attività svolte dai lavoratori, per i quali il Testo Unico in materia di sicurezza nei luoghi di lavoro stabilisce che essi oltre ad adottare tutte le misure di sicurezza necessarie per la tutela dei dipendenti, devono anche informare gli stessi sui rischi specifici a cui sono esposti, devono insegnare le norme fondamentali di prevenzione e devono addestrare i lavoratori all’utilizzo corretto dei mezzi e degli strumenti di protezione.
  • Tra gli adempimenti sulla sicurezza sul lavoro, un importante compito che spetta al datore di lavoro è la valutazione dei rischi inerenti la sicurezza e la salute dei lavoratori, attraverso la quale viene redatto successivamente il Documento per la Valutazione dei Rischi (DVR), che rappresenta un’importante attestazione di tutte le misure di prevenzione e protezione che sono state adottate all’interno dell’azienda per migliorare i livelli di sicurezza.
Anche  la figura del lavoratore è un punto cardine attorno a cui ruota tutto il sistema prevenzionale, essendo il principale beneficiario dei meccanismi di tutela nei luoghi di lavoro. Ma egli non è più soltanto destinatario di norme perché la nuova normativa gli conferisce un ruolo partecipativo nella realizzazione dello stesso sistema, prevedendo specifici doveri che ne fanno un vero e proprio “soggetto obbligato”.

Cosa succede se un Azienda viene meno alla valutazione dei rischi o colpevolmente vuole ignorare la tutela della sicurezza delle proprie risorse umane?
La risposta è molto semplice sia  il singolo lavoratore sia le associazioni sindacali locali possono rivolgersi ad enti autorizzati ad esercitare funzioni di controllo all’interno dei luoghi di lavoro tipo le Direzioni Provinciali del Lavoro (ex Ispettorato del Lavoro) o l’Azienda Sanitaria Locale competente per territorio.

  • La Direzione Provinciale del Lavoro interviene per la tutela dei diritti dei lavoratori in materia retributiva, contributiva e di condizioni di lavoro,
  •  l’Azienda Sanitaria Locale ha il compito di verificare  l’adempimento a tutte le norme in materia di tutela della salute e della sicurezza dei lavoratori
Il complesso sistema delle sanzioni in materia di Sicurezza e Salute sul lavoro, merita un approfondimento dettagliato e riguarda, in relazione al diverso grado di responsabilità, pressoché tutte le figure coinvolte nel Servizio di Prevenzione e Protezione aziendale, datore di lavoro e non solo.
La normativa italiana prevede tre categorie di responsabilità giuridica, Penale, Civile ed Amministrativa; all’interno delle categorie vi è poi una distinzione tra responsabilità individuali che possono essere di tipo soggettivo e di tipo oggettivo.
Nel primo caso il soggetto è responsabile, e dunque sanzionabile, per atti di tipo colposo o doloso commessi direttamente; nel secondo caso invece il soggetto è tenuto a rispondere anche del danno commesso da altri, in considerazione della posizione occupata. Un esempio è il caso in cui un genitore risponde di un danno causato da un minore, oppure in situazioni attinenti alla sicurezza sul lavoro, il caso in cui un datore di Lavoro o un funzionario, in virtù della posizione gerarchica aziendale, sia tenuto a rispondere del comportamento di propri collaboratori.

Responsabilità giuridica penale
E’ sempre di tipo esclusivamente soggettivo, le sanzioni definite nel Codice Penale, previste per delitti e contravvenzioni colpiscono il soggetto individuale e prevedono pene di tipo detentivo, pecuniario o applicazioni di tipo accessorio (sospensioni, interdizioni e divieti). A questo proposito è opportuno ricordare che all’interno del complesso Sistema di Gestione definito dal D.Lgs 231/01 in materia di Responsabilità amministrativa delle società e degli enti, nell’art 25 viene estesa la responsabilità amministrativa delle persone giuridiche, delle società e delle associazioni anche prive di personalità giuridica ai reati in materia di salute e sicurezza sul lavoro (omicidio colposo e lesioni personali colpose gravi o gravissime commessi con violazione delle norme sulla tutela della salute e sicurezza sul lavoro) reati definiti dagli articoli 589 e 590 del Codice Penale.

Responsabilità giuridica civile
Può essere sia di tipo soggettivo che oggettivo, le sanzioni sono definite dal Codice Civile (responsabilità extracontrattuale) o da un contatto tra le parti (responsabilità contrattuale) e colpiscono il soggetto individuale ma anche una impresa e prevedono generalmente il risarcimento del danno causato, più eventualmente quello delle spese istruttorie in caso di processo. A questo proposito è importante ricordare e fare riferimento all’art 2087 del Codice Civile : “L’imprenditore è tenuto ad adottare nell’esercizio dell’impresa, le misure che, secondo la particolarità del lavoro, l’esperienza e la tecnica, sono necessarie a tutelare l’integrità fisica e la personalità morale dei prestatori di lavoro.”(Resp. Soggettiva). Ricadono inoltre in questa categoria di oneri, anche i casi di responsabilità del Datore di Lavoro per i danni cagionati dai lavoratori da lui utilizzati nella propria organizzazione di lavoro (Resp. Oggettiva).

Responsabilità giuridica di tipo amministrativo
E’ di tipo soggettivo e prevede sanzioni di tipo pecuniario piuttosto che interdittivo e colpisce sia soggetti individuali che enti.
Entrando quindi maggiormente nel merito delle specifiche sanzioni attribuibili alle diverse figure aziendali va precisato che lo stesso D.Lgs 81/08 (o meglio il D.Lgs 106/09 che ha introdotto numerose modifiche relative agli aspetti sanzionatori), elenca le sanzioni per ogni obbligo e per ogni figura.
Gli articoli 18, 19 e 20 definiscono quindi rispettivamente gli obblighi previsti per i datori di lavoro, i preposti ed i lavoratori, nel Capo IV del Titolo I relativo alle disposizioni generali.





Lavoro: Cgil, dati Inps di aprile confermano urgenza riforma universale degli ammortizzatori sociali

"In questi anni di crisi il sistema di ammortizzatori sociali ha tutelato oltre un milione di lavoratori e migliaia di aziende, che in assenza di questi strumenti avrebbero visto la perdita del posto di lavoro e il fallimento d'impresa. Se i dati del primo trimestre (si vedano i rapporti dell'Osservatorio Cig Cgil su cig marzo 2015 e Causali aziende cigs marzo 2015) dimostrano che il volume delle ore di Cig conferma l’assenza di attività produttiva, essendo in presenza di autorizzazioni a zero ore per potenziali 330 mila posizioni lavorative dalle prospettive sempre più incerte, i dati di aprile diffusi oggi dall'Inps segnano un nuovo rialzo (+ 3,6%) delle ore autorizzate, nonostante il crollo della deroga. Le riforme se fatte in stagioni di crescita hanno una loro efficacia, fatte nella crisi rischiano di determinare solo tagli ed esclusione". Così Serena Sorrentino, segretario confederale della Cgil, a seguito della diffusione dei dati Inps.

"Siamo tuttavia ad un punto cruciale - prosegue Sorrentino - in ragione di alcune questioni aperte: la fine della deroga e la mancata sostituzione di uno strumento che copra i settori scoperti da Cig; il mancato rifinanziamento dei contratti di solidarietà difensivi; l'approssimarsi della scomparsa della mobilità ed il suo assorbimento nella Naspi".
"Ad oggi - spiega - siamo ancora in attesa dei pagamenti per la deroga del 2014 in molte regioni, per le quali anche il recente decreto di sblocco dei fondi non sarà sufficiente a coprire il fabbisogno reale, producendo il fatto che molti lavoratori, seppur coperti da accordi di cassa in deroga, non si vedranno riconosciute le indennità. E questo giustifica il dato diffuso oggi di un – 77,3% delle autorizzazioni per la Cig in deroga".

"Ancora incerto - aggiunge la dirigente sindacale - è il destino degli accordi del 2015 e, in assenza dei contratti di solidarietà, molte aziende si trovano senza nessuno strumento di riorganizzazione che consenta di uscire dalla crisi e agganciare una timida ripresa, che per ora non ha effetti significativi sull'occupazione e sui fatturati aziendali". "Lo dimostrano i tavoli di crisi aperti presso i ministeri dello Sviluppo economico e del Lavoro, le decine di crisi aziendali che ogni giorno sono alla ribalta della cronaca e per le quali, in assenza di strumenti, non c'è altra risoluzione che la fine del lavoro". Per Sorrentino "occorre considerare che la crisi continua a non pesare su tutti allo stesso modo, e certo non va meglio per chi è in cassa integrazione e continua a perdere salario: ogni lavoratore in Cig a zero ore nel 2015 ha già perso oltre 1.900 euro al netto delle tasse, e si è già determinata una riduzione nel monte salari di oltre 650 milioni di euro netti nelle tasche dei lavoratori coinvolti".

Come ricorda la segretaria confederale, le richieste della Cgil al governo in vista dell'avvio della discussione del decreto sul riordino degli ammortizzatori sociali, contenuto come delega del Jobs Act, sono chiare e semplici:

    * rifinanziare e generalizzare i contratti di solidarietà espansivi e difensivi;
    * evitare la proliferazione dei fondi di solidarietà previsti dalla legge 92/2012 estendendo la cassa integrazione come forme di tutela in costanza di rapporto di lavoro a tutte le imprese (che dovranno contribuire al nuovo ammortizzatore in misura congrua per settore) e a tutti i lavoratori, garantendo una durata dei trattamenti misurata sulla durata dei piani di riorganizzazione o ristrutturazione aziendale e dei relativi accordi sindacali;
    * prevedere sempre che alle misure di politica passiva si accompagni una misura di politica attiva;
    * nominare il comitato di gestione del fondo di solidarietà residuale per rendere accessibili le risorse accantonate in questi mesi da gran parte delle imprese, bloccate a causa dell'inadempienza di questo obbligo da parte del ministero del Lavoro, e garantire così la definizione e l'accesso alle prestazioni per chi ha versato in questi mesi al fondo;
    * rifinanziare gli ammortizzatori in deroga fino all'entrata a regime del nuovo sistema, affinché nessun settore, dimensione di impresa e lavoratore rimanga scoperto da forme di sostegno in caso di sospensione dell'attività;
    * correggere il decreto sulla Naspi estendendo a tutti, senza distinzioni, la tutela nei confronti della disoccupazione involontaria.

“Ci sembra che il governo vada nella direzione opposta" commenta Sorrentino, secondo cui "come al solito l'idea di estensione dell'esecutivo, come per le 'tutele crescenti' e la 'Naspi', è quella di ridurre le coperture dicendo di avere esteso i benefici, ma i lavoratori sono consapevoli che stanno perdendo diritti e tutele". Per questo, prosegue, "la nostra reazione, oltre che con la contrattazione e la mobilitazione, sarà di una proposta radicalmente alternativa: quella di un Nuovo Statuto dei diritti per tutte le lavoratrici e i lavoratori”. “Sentiamo parlare di riduzione delle durate, di proliferazione di fondi, di meccanismi che penalizzano le imprese che più ricorrono alla cassa integrazione e i lavoratori coinvolti, ma il Ministro - chiede la dirigente sindacale - come pensa che si possano fare le ristrutturazioni aziendali per agganciare la crescita? Se la sua soluzione è quella dei licenziamenti a basso costo - conclude - la nostra è quella degli accordi a tutela dell'occupazione, e pare proprio che il sindacato per il momento sia messo meglio del governo”.

12 maggio 2015

Ancora in piazza dipendenti 4U «La Regione si svegli»


Il secondo sciopero nel giro di una settimana. Scendono di nuovo in piazza i lavoratori del call center 4U. Lunedì scorso il sit-in, organizzato da Slc Cgil, Fistel Cisl, Uilcom e Ugl comunicazioni, si era tenuto sotto la sede dei Monopoli di Stato per protestare contro la delocalizzazione della commessa di Sisal Match Point in Albania. Stamani, invece, i dipendenti si sono dati appuntamenti in piazza Croci per arrivare nella centralissima piazza Politeama.

Una protesta nel cuore della Palermo bene per manifestare tutta la loro contrarietà alla procedura di mobilità dichiarata per 175 dipendenti su 370 del call center. Il colorato serpentone ha attraversato le vie del centro, mandando in tilt il traffico. Sugli striscioni la rabbia dei lavoratori, che vedono il loro futuro sempre più in bilico: «370 lavoratori non mollano», «Azienda 4U chiude, 370 senza lavoro e dignità», «Wind, offerta del mese? Per 175 operatori l’offerta scade il 28 giugno 2015, con le lettere di licenziamento».

«Con il licenziamento di più della metà dei dipendenti l’azienda è destinata a non andare più avanti - dichiara Francesco Brugnone, Rsu della Slc Cgil di Palermo -. Questo è il nostro più grande timore: domani potrà facilmente toccare anche agli altri». Infatti, oltre al problema di Sisal, che ha delocalizzato la commessa a Tirana, anche Wind Infostrada minaccia di mettere a gara la più grossa commessa affidata ai lavoratori di Palermo, «rischiando di affossare l’altra metà che resterà dopo i primi licenziamenti. Chiediamo garanzia e per tutti. Wind non può usare due pesi e due misure e comportarsi con Almaviva e Infocontact in un modo e con noi di 4U in un altro».

«E’ una vergogna che un’azienda importante come 4U porti il suo lavoro a Tirana, abbandonando l’Italia e mettendo a rischio la sopravvivenza della sede di Palermo – dice il segretario Slc Cgil Palermo, Maurizio Rosso -. Regione svegliati, dai un segno, chiedi a Wind di lasciare i lavoratori a Palermo». A Paul Manfredi, amministratore delegato di 4U Servizi, le parti sociali chiedono di «darsi da fare portare nuove commesse a questa azienda. E’ questo il settore del futuro, la politica non può non interessarsene: non permetteremo che un solo posto di lavoro venga soppresso».




INTERROGAZIONE ALLA COMMISSIONE LAVORO SU VERTENZA TELEPERFORMANCE

Interrogazione in Commissione
Al Ministro del Lavoro e delle Politiche Sociali: Per sapere, premesso che:
Teleperformance ha recentemente annunciato la volontà di avviare la “societarizzazione” per le sedi di Taranto e Roma inserendole in una “bad company”,come riportato in recenti articoli di stampa nazionale e locale;
Teleperformance, sede di Taranto, occupa circa 1800 dipendenti, dei quali oltre il 70 % donne;
Teleperformance ha usufruito negli anni di diversi incentivi statali, da ultimo quello previsto nella legge di stabilità 2014, ed incentivi regionali per la formazione del personale;
Teleperformance Taranto è ricorsa più volte negli ultimi anni agli ammortizzatori sociali, in particolare alla Cassa Integrazione in Deroga ed ai contratti di solidarietà, nel febbraio del 2014 aveva, inoltre, annunciato di voler trasferire in Albania la commessa “Eni” per la gestione telefonica del “back office”;
nel gennaio 2013 l’azienda ha sottoscritto, con istituzioni e sindacati, un Accordo diventato operativo dall’aprile 2013 per il rilancio del sito di Taranto, grazie al quale l’azienda sta risanando i conti. A ciò si è aggiunta la disponibilità dei Sindacati di categoria ed aziendali di attivare misure riguardanti l’Organizzazione del Lavoro in ordine ai “turni di lavoro” e alla prevenzione della “morbilità”;
la situazione del call center Teleperformance di Taranto non è diversa dalla crisi dell’intero settore dei “call center legali” che attraversa l’Italia, dal momento che si stima, entro la fine dell’anno, una fuoriuscita di circa 20mila giovani lavoratrici e lavoratori soprattutto a causa degli “abusivi” e del terribile meccanismo relativo al “massimo ribasso”;
il contesto già drammatico della città di Taranto, legato alle molteplici crisi lavorative ( Porto, ILVA e indotto, indotto Difesa, Cementir, Vestas, Marcegaglia, Hauchan,etc. ) sarebbe colpito in maniera drammatica da questa ulteriore vicenda Teleperformance, anche rispetto alle gravi situazioni di innumerevoli “call center abusivi” che agiscono in Terra Jonica di Taranto da come si evince dalla recente denuncia alla Procura della Repubblica ed all’Ispettorato del lavoro da parte della CGIL Jonica .
Chiede al Ministro
Se è a conoscenza della situazione descritta, quali iniziative intende assumere ed attivare rapidamente, soprattutto se intende convocare un tavolo Interministeriale al fine di affrontare le problematiche dei call center.
12 maggio 2015

Ludovico Vico

11 maggio 2015

Legge 104: Il mancato rispetto della presentazione dell’istanza all’azienda deve ritenersi un inadempimento meramente formale


Corte di Cassazione, sez. Lavoro, sentenza 11 febbraio – 5 maggio 2015, n. 8928 Presidente Stile – Relatore De Marinis
Se da un lato è legittimo licenziare chi usa i congedi della legge 104 per fini personali piuttosto che per prestare assistenza al familiare con handicap, dall’altro lato il licenziamento è sproporzionato, e quindi illegittimo, tutte le volte in cui il dipendente si assenta senza presentare l’istanza di congedo, per assistere il parente malato, nelle forme imposte dall’azienda. Ma procediamo con ordine.   È di pochi giorni fa la sentenza della Cassazione [1] con cui è stato ritenuto legittimo il licenziamento in tronco di chi abusa dei permessi della legge 104 e viene pescato a fare shopping, la gita o a passeggiare con gli amici. Come già spiegato in “Chi usa i permessi 104 non per assistere il disabile è licenziato”, i benefici della legge per chi presta assistenza ai familiari con handicap non possono essere utilizzati per scopi differenti, seppur nobili o, comunque, rivolti indirettamente alla gestione della famiglia (per es. fare la spesa). Addirittura, il datore potrebbe ingaggiare un investigatore privato per controllare il proprio dipendente (un facile modo per mandarlo per sempre a casa, senza che il licenziamento possa essere impugnato).   Quel che però il datore non può fare è licenziare il dipendente che si ostina a non voler rispettare la formalità di presentare l’istanza di congedo (aspettativa) per assistere il parente malato nelle forme pretese dall’azienda. La sanzione espulsiva è eccessiva considerato che il datore può, in questi casi, permettere al lavoratore di fruire ugualmente del permesso; infatti l’aspettativa non prevede il pagamento della retribuzione per il relativo periodo. Il chiarimento è stato fornito dalla Cassazione, con una sentenza di poche ore fa [2].   La vicenda Un dipendente era stato licenziato perché trovato più volte assente dal lavoro per assistere la madre malata, nonostante il diniego dell’azienda, riferito all’irregolarità dell’istanza. Per i giudici il licenziamento è stato ritenuto sproporzionato rispetto alla condotta tenuta dal dipendente che, seppur ostinandosi nel non voler rispettare la formalità della presentazione della domanda, cui la società gli chiedeva di adempiere, aveva soddisfatto ogni altro requisito sulla documentazione attestante il diritto a fruire del congedo. Anche la Cassazione è stata dello stesso avviso.   La sentenza Il mancato rispetto della presentazione dell’istanza all’azienda deve ritenersi – secondo la sentenza in commento – un inadempimento meramente formale e quindi minimo, che non può arrivare a giustificare una reazione così incisiva come il licenziamento.   La vicenda avrebbe potuto trovare agevole e rapida soluzione ove la società, anziché insistere, fino alle estreme conseguenze, nel pretendere dal lavoratore l’invio dell’istanza adeguata all’istituto di cui intendeva fruire, ne avesse consentito la fruizione accompagnandola con la precisazione che, in conformità alla disciplina dell’istituto in questione, per come prevista dal contratto collettivo, non avrebbe dato corso al pagamento della retribuzione per il relativo periodo.

Teleperformance, muro contro muro tra i sindacati e la multinazionale

www.tarantobuonasera.it
"Teleperformance" ha annunciato la vendita delle sedi di Taranto e Roma, ma la verità è che in un momento storico come quello che stiamo vivendo questo significa soltanto chiusura e licenziamenti di oltre 2mila dipendenti.
Dopo l’allarme lanciato da Andrea Lumino, segretario generale della Slc Cgil di Taranto al termine dell’incontro con l’azienda che ai sindacati ha annunciato la societarizzazione delle due sedi italiane che, a differenza di quella di Parco San Leonardo a Fiumicino, non sono in attivo, clima incandescente nel call center.
La societarizzazione, com’è noto, prevede che le due sedi vengano messe sul mercato in attesa di possibili acquirenti e i lavoratori, nella migliore delle ipotesi, sarebbe assunti con la nuova disciplina introdotta dal Jobs Act.
“Significa – ha aggiunto Lumino - che la perdita dei diritti finora acquisiti con lotte e sacrifici dei lavoratori e delle lavoratrici sarebbero stracciati all’istante: ci ritroveremmo di fronte a lavoratori privi delle garanzie dell’articolo 18, con demansionamento discrezionale e controllo a distanza libero dell’azienda oltre che a condizioni imposte dalla nuova azienda,come la riduzione del part time a 20 ore. Un coltello alla gola dei lavoratori che rischiano di ritrovarsi per strada”.
Ma il sindacalista tarantino aggiunge che “il rischio peggiore è che senza un nuovo acquirente, i dipendenti della seconda realtà occupazionale di Taranto dopo l’Ilva si ritroverebbe senza lavoro. Parliamo di 2mila famiglie”.
Ma le colpe non sono solo di Teleperformance. Lumino attacca anche i Governi che in questi anni si sono succeduti senza essere intervenuti sulla regolamentazione degli appalti che con il minimo ribasso favoriscono quelle piccole realtà nelle quali le donne e gli uomini vengono schiavizzate per poco più di 2 euro all’ora. “Teleperformance – è l’auspicio di Lumino - eviti di assumersi le responsabilità di una catastrofe sociale su Taranto che inevitabilmente avrebbero una serie di conseguenze nelle relazioni industriali e piuttosto valuti di aprire una trattativa seria, sulle materie che il contratto ci permette di affrontare il recupero delle condizioni precedenti a gennaio 2013”. Insomma una vera e propria nuova bufera per il capoluogo e la provincia ionica. Con i vertici di Tp che in tarda mattinata hanno tenuto una conferenza stampa, i sindacati che studiano le mosse, ed il secondo polo occupazionale di Taranto che rischia di morire.
"L'azienda farà di tutto per evitare la chiusura della sede di Taranto, ma i sindacati devono ragionare con noi su soluzioni che diano flessibilità ed efficienza".
Lo ha detto Gabriele Piva, amministratore delegato di Teleperformance Italia, in teleconferenza da Roma, intervenendo alla conferenza stampa organizzata nello stabilimento tarantino per fare il punto della situazione dopo l'allarme lanciato dai sindacati che temono la vendita del sito ionico, che occupa nel capoluogo duemila dipendenti diretti e mille a progetto. Piva ha parlato di andamento sfavorevole del mercato, difficoltà del settore non garantito da regole che mettono al riparo dalla concorrenza sleale, di scarsa produttività e di alto livello di assenteismo nella sede tarantina. Il dirigente del call center ha poi evidenziato la necessità di ridiscutere il contratto part-time, riducendo il monte ore da 33 ore settimanali a 20.
"Con il nuovo accordo sindacale – ha puntualizzato Piva- si dovranno quindi garantire turni di lavoro di quattro ore piuttosto che di sei, o in altri casi, mantenere i turni da otto ore, purchè siano spezzati, cioè intervallati da una lunga pausa pranzo. Una riduzione del monte ore che inevitabilmente comporterà una diminuzione del salario". L’azienda ha annunciato ai sindacati la volontà di procedere alla societarizzazione della sede di Parco San Leonardo a Fiumicino, cioè "di creare - è stato osservato – un nuovo assetto societario, in cui verrà confluita la sola sede di Fiumicino, con lo scorporo delle attività acquisite.
Questo ci consentirà – ha affermato Piva - di avere sul territorio almeno un’azienda in attivo e che produca utili, rispetto alla condizione attuale". Secondo i sindacati, dopo questo passaggio, la sede del call center potrebbe anche finire sul mercato.
Ed è muro contro muro, mentre in città continuano le proteste che ruotano attorno al dramma del lavoro, in tutte le sue forme.
Davanti alla sede dell’Inps, sit-in dei lavoratori interessati al ‘riconoscimento dell’amianto’, organizzato dalle segreterie provinciali Fim Fiom Uilm; in Prefettura, incontro relativo alle pulizie e la manovalanza presso gli Enti della Marina Militare; presso la sede della Cgil, gli operatori delle cooperative Salam e Fallah impegnate nel centro di smistamento immigrati del Pala Ricciardi di Taranto hanno parlato del loro essere senza stipendio da mesi.




La banda larga italiana affidata a Enel


Niente da fare per Telecom. Il governo ha affidato a Enel le chiavi del progetto sulla banda ultralarga.
Come si legge su Repubblica, l'obiettivo è restituire al controllo pubblico le grandi reti infrastrutturali di telecomunicazioni. Attraverso il piano che stanzia 6,5 miliardi in cinque anni per la fibra ottica, l'esecutivo intende riaffermare il ruolo statale nelle «autostrade telematiche strategiche» affidandosi al colosso elettrico controllato dal ministero del Tesoro.
TELECOM CROLLA IN BORSA. Enel, nelle valutazioni del governo, ha le caratteristiche per diventare il candidato migliore per accelerare sulla banda di ultima generazione. Uno schiaffo per l'attuale rete del soggetto privato Telecom, il cui titolo in Borsa è crollato del 2,5% poco sopra quota un euro.
PROGETTO IN TEMPI STRETTISSIMI. Nei report dell'esecutivo, si sottolinea come Enel possa già contare su una ramificazione capillare. Inoltre l'azienda ha formalmente dichiarato alle autorità competenti la disponibilità a impegnarsi con un progetto in tempi strettissimi: Repubblica spiega che si tratta di «tre anni per raggiungere tutta l'Italia, mandando così in soffitta la vecchia infrastruttura in rame e senza reclamare un ruolo nella gestione del servizio. Ossia senza alterare la concorrenza».
COMPRESO IL POLO DELLE TORRI TIVÙ. Un primo passo per una complessiva ristrutturazione del settore delle Telecomunicazioni che «comprenderà anche le reti per le trasmissioni radiotelevisive, a cominciare dalle antenne. Con il medesimo obiettivo di fondo: conservare il controllo da parte dello Stato del sistema infrastrutturale, non degli operatori».

RENZI: «OBIETTIVO STRATEGICO». Sull'argomento è intervenuto anche il presidente del Consiglio Matteo Renzi con un tweet: «La banda ultralarga è un obiettivo strategico. Non tocca al governo fare piani industriali. Ma porteremo il futuro presto e ovunque».

07 maggio 2015

Call Center: Azzola 20.000 posti che si stanno perdendo frutto dell’immobilismo del governo


“Con la decisione di Transcom e Teleperformance di dividere le loro filiali italiane in più società, separando le commesse buone e redditizie da quelle più esposte agli effetti nefasti dell’assenza di regole negli appalti del mercato dei call center, si sta ufficializzando nei fatti l’uscita dal mercato italiano di due delle realtà più importanti nel business mondiale dei call center.” Così dichiara Michele Azzola, segretario nazionale Slc Cgil.

“Aziende che nel mondo sono diventate “colossi” con decine di migliaia di dipendenti, decidono di arrendersi all’anarchia del mercato italiano che impedisce alle aziende strutturate e serie di operare rispettando le regole.”

“Questo è il frutto dell’immobilismo di un esecutivo che non vuole far rispettare una propria legge in materia di regolamentazione delle delocalizzazioni dei servizi di call center e di tutela dei dati sensibili dei cittadini (l’Art. 24 bis della Legge 134/12) – prosegue il sindacalista – per la quale si sono sprecati gli annunci di esponenti del Governo e le risposte alle interrogazioni parlamentari che sono state smentite sistematicamente in quanto la legge non viene rispettata da nessuna azienda.”

“Immobilismo – ricorda Azzola – derivante dalla soggezione del Governo dinanzi alle lobbies dei grandi committenti che stanno avversando in tutti i modi una normativa sui cambi d’appalto nei call center, che avvicinerebbe l’Italia al resto d’Europa per impedire cambi di appalto che hanno come unico scopo il risparmio sul costo del lavoro (norma vietata in tutti i Paesi Europei) e che permettono, grazie alle normative fortemente volute dal Governo Renzi sul lavoro, di sostituire i lavoratori esistenti con lavoratori nuovi, meno costosi perché garantiti da sgravi contributivi che peseranno sulle casse dell’Inps nei prossimi anni.”

“Decontribuzione e Job Acts sono norme che alterano gravemente la concorrenza di mercato, che creano l’effetto perverso di chiudere le aziende “vecchie” per crearne di nuove con un costo del lavoro più basso per poter vincere le gare d’appalto aggiudicate con la logica del “massimo ribasso”, con buona pace del Tar del Lazio che invalida la gara ACEA proprio a causa del ricorso a questa pratica.”

“Governo e maggioranza, con lo slogan “cambieremo l’Italia”, pur essendo a conoscenza dei problemi del mondo dei call center, dei costi economici che graveranno sulle spalle della collettività  e dei drammi sociali vissuti da migliaia di giovani lavoratrici e lavoratori, non sono stati in grado di dare risposte, limitandosi a nascondersi dietro la convocazione di un tavolo di crisi specifico che da mesi non viene più convocato e dal quale sindacati e aziende dei call center continuano a lanciare grida di aiuto.”

Ma nella migliore tradizione italica, il Governo si dimostra forte con i deboli e assolutamente appiattito sulle posizioni di chi, grazie a questo sistema allucinante per ogni Paese che si richiami a regole di mercato, continua a incassare lauti guadagni sulle spalle dei lavoratori e delle tasse degli italiani.

In Italia, in questo momento sta accadendo quanto segue:

  • 186 lavoratori della sede di Call and Call di Milano andranno a casa il prossimo giugno;
  • 360 lavoratori di Livorno hanno respiro sino a fine anno e poi saranno destinati al licenziamento;
  • 2000 lavoratori di Teleperformance devono scegliere fra decurtare per l’ennesima volta il proprio salario o essere abbandonati al proprio destino;
  • 10000 lavoratori di Almaviva hanno dovuto accettare un altro anno di contratti di solidarietà mentre la loro azienda continua a perdere commesse a causa delle continue richieste di ribasso;
  • 1800 lavoratori di E-care che per contribuire all’equilibrio dei conti della loro azienda devono “prestare” i propri permessi che rivedranno fra tre anni;
  • 2000 lavoratori di Infocontact che per continuare ad avere un posto di lavoro devono accettare il capestro di dimezzare le ore lavorative;
  • 700 lavoratori di Gepin Contact ai quali verrà applicata una cassa integrazione onerossissima dietro la quale non si intravede nulla se non lo spettro della disoccupazione;
  • 400 lavoratori della 4you Servizi che a breve finiranno gli ammortizzatori sociali e poi avranno davanti a loro nient’altro che il licenziamento.

“Stiamo parlando di 20000 italiane ed italiani, la generazione dei trentenni, ai quali questo Paese non ha offerto alcuna opportunità – continua Azzola – e ai quali oggi decide deliberatamente di sottrarre anche la speranza facendogli perdere l’unico lavoro che erano riusciti a trovare e con il quale si erano costruiti un futuro.”

“Per non parlare del pessimo servizio reso ai cittadini italiani che quando chiamano un call center hanno l’impressione di entrare in un girone dantesco dal quale non trovano mai le risposte che cercano.”

“Il Governo continui a festeggiare  e brindare alle vittorie sulle riforme promesse – conclude il sindacalista. Nel mondo reale le persone si stanno rendendo conto, per l’ennesima volta, che chi li governa non è impegnato a spendere al meglio le risorse pubbliche, a tutelare i più deboli davanti allo strapotere di alcuni, di dare speranze e un futuro a chi, eroicamente, si sveglia ogni mattina e si reca sul proprio posto di lavoro per fare il proprio dovere. Per questi la luna di miele con il Governo è già finita da un pezzo.”




04 maggio 2015

Settimana importante per le decisioni di Telecom Italia sul dossier Metroweb


Il 7 maggio a Milano è la data fissata per il Cda di Telecom Italia e l’azienda si prepara a rivedere forse definitivamente i termini della vicenda Metroweb.
L’ad di Telecom Italia, Marco Patuano illustrerà al Consiglio la situazione complessiva sulla intricata vicenda che ha registrato prima stop-and-go e poi il braccio di ferro delle quote di partecipazione degli operatori nella società veicolo indicata di fatto dal governo: da un lato Telecom Italia che si era dichiarata pronta a entrare solo a patto dell’acquisizione della maggioranza di Metroweb, dall’altro gli altri operatori che avevano dichiarato di non poter accettare condizioni di partecipazione fondate su quel prerequisiro.
All’attenzione del Cda di Telecom Italia ci sarà anche il niet del presidente Fsi (secondo azionista di Metroweb, con il 46%) Maurizio Tamagnini inviato per email a Patuano dove si notifica che Cdp e Fsi non sono in grado di procedere con le discussioni sul progetto della rete in fibra ottica alle condizioni prospettate dalla società guidata da Marco Patuano.
Sempre nello stesso periodo, ci sono poi state le riaperture da parte di Cdp, avanzate dal Presidente Franco Bassanini, a cedere la maggioranza (51%) a Telecom Italia solo a patto che ci fosse il condominio con gli altri operatori come Wind e Vodafone. La riapertura non sembra aver portato ad alcun risultato visto che l’opzione del condominio era stata già rispedita al mittente da Telecom Italia lo scorso 19 febbraio a seguito del Cda.
Intanto il tempo scorre, se si considera che, in teoria,  entro il 30 maggio scadono i termini per presentare i piani d’investimento sulle aree indicate dal piano del Governo. Ma non è solo questa deadline che aggiunge entropia al ‘sistema’ della banda ultra larga. Come è noto, è stata infatti riaperta la consultazione pubblica del Mise che durerà all’incirca un mese e che servirà a definire le nuove ‘aree nere’ e le ‘aree a fallimento di mercato’. A questo si aggiunge, anche, l’impasse dei decreti attuativi dello Sblocca Italia che riguardano il credito d’imposta per le aziende che investono, decreti attuativi che sono fermi alla Ragioneria del MEF per mancanza di coperture.
Staremo a vedere quale sarà l’orientamento di Telecom Italia sul dossier Metroweb.

Se continuerà a investire in solitaria, ampliando – come secondo alcune indiscrezioni – la lista delle 40 città dove intende portare la tecnologia FttH/B, oppure trovare un punto d’incontro con Cdp e Fsi sulla convergenza in un’unica società per cablare in fibra ottica tutto il territorio nazionale.

PRESSIONI E CONTROLLI INDIVIDUALI AL 187 COMMERCIALE DI UDINE : IL REPORT INDIVIDUALE

Con riferimento al precedente comunicato di pari oggetto vi informiamo che abbiamo provveduto a ribadire ai rappresentanti aziendali che, in base alla vigente normativa contrattuale, l’azienda non può produrre ed utilizzare documenti di qualsiasi genere riferiti e riconducibili alla produttività del singolo dipendente.
L’azienda non può quindi pretendere che, addirittura lo stesso lavoratore, compili e consegni ai propri responsabili tale tipologia di documenti. Eventuali reiterate richieste di produzione di tale reportistica vanno quindi rigettate come inammissibili e non costituiscono alcun obbligo per i lavoratori interessati alle stesse.
Le considerazioni espresse e le conclusioni di questo comunicato valgono chiaramente, oltre che per il 187 commerciale di Udine, anche per gli altri reparti di lavoro.
Ricordiamo che relativamente al 187 commerciale di Udine continua il lavoro dei RLS (rappresentanti per la sicurezza) che sono in attesa di essere nuovamente convocati dall’azienda.


RSU TELECOM ITALIA FRIULI VENEZIA GIULIA

Buoni pasto, il blocchetto resiste. Ma il futuro è digitale


di Antonello Salerno
Far convivere tradizione e innovazione. È la scommessa, almeno quella da giocare nel breve-medio termine, per tutti i grandi player nel campo dei buoni pasto che operano in Italia: riuscire a far coesistere il caro vecchio blocchetto cartaceo insieme alla tessera magnetica e alla possibilità di spendere i propri buoni pasto utilizzando uno smartphone, grazie ad esempio all’Nfc. E' la scelta ad esempio di Endered, che ha da poco presentato un'app ideata per Ticket Restaurant che consente di leggere i buoni pasto direttamente dallo smartphone.

Partiamo dal cartaceo: è il sistema più diffuso, anche se per certi versi più macchinoso. Ad accettare i buoni di carta sono la maggior parte dei punti vendita, e questo garantisce una rete capillare a cui sarebbe difficile rinunciare da un giorno all’altro. Intanto si è trovata la soluzione di “smaterializzare” i buoni al momento del loro utilizzo, con i tagliandi che vengono “acquisiti” da un lettore ottico che digitalizza le procedure e garantisce la validità dei buoni in tempo reale. Procedura che solleva tra l’altro gli esercenti dall' impacchettare e spedire i buoni per averne il rimborso.

Ma al di là del cartaceo il sistema che sta prendendo piede è quello delle tessere magnetiche. Una soluzione che potenzialmente potrebbe togliere di mezzo la carta, a condizione che tutti gli esercenti accettino di dotarsi del Pos per la lettura dei buoni pasto elettronici. Una semplificazione dalle grandi potenzialità, ma che paradossalmente appare ancora fin troppo complicata: non esiste uno standard unico per la lettura di tuttie le tessere magnetiche sul mercato, e oggi un negoziante dovrebbe dotarsi di almeno 4-5 pos differenti, oltre a quelli che ha già per la lettura di carte di credito e Bancomat, per poter “scaricare” ogni genere di buono pasto. Così i negozianti sono spesso restii ad affrontare nuove spese, soprattutto nel momento in cui, se non si tratta di supermercati ma di negozi di piccole-medie dimensioni, il gioco non varrebbe la candela, con soltanto pochi clienti che si presenterebbero alla cassa per spendere i propri coupon.

Proprio per dare una risposta a queste obiezioni inizia a prendere corpo la richiesta al Governo di intervenire non soltanto per incentivare il buono elettronico, come è appena avenuto con le nuove norme sulla deducibilità fiscale, ma anche limitando la possibilità di spesa giornaliera nello stesso esercizio: proposta mirata a evitare che si utilizzi un intero blocchetto per “fare la spesa”, incentivando invece un utilizzo dei buoni in più negozi e con frequenza più alta. Una misura cioè pensata per favorire i commercianti più piccoli, e rendere più capillare sul territorio la rete dei buoni pasto elettronici.

Ma la questione del proliferare dei Pos potrebbe essere risolta da un semplice accordo tra le aziende: è la soluzione a cui sono giunte Sodexo Benefits & Rewards Services, Qui Group e Day Ristoservice Group Up, che da sole rappresentano una fetta consistente del mercato dei buoni pasto in Italia, dando vita a un protocollo d’intesa per la creazione di un Pos unico “multicard”. Un accordo che, sottolineano i promotori, è da considerarsi soltanto come un punto di partenza, aperto all’adesione e alla partecipazione di tutti gli altri player del settore, con l’obiettivo della creazione di un’infrastruttura condivisa. Il nuovo strumento, inoltre, sarà anche in grado di smaterializzare il buono pasto cartaceo, garantendo così agli esercenti che aderiranno la validità dei buoni e la certezza dei rimborsi.

“In questo modo  - commenta Sergio Satriano, managing director di Sodexo Benefits & Rewards Services - si può contribuire in maniera concreta a una valorizzazione del buono pasto come benefit integrativo, incrementandone la diffusione e migliorando il funzionamento dell’intero sistema per tutti gli attori della filiera. Auspichiamo  - conclude - che presto tutti gli operatori del mercato vi aderiscano”.

“Abbiamo voluto dare una risposta concreta alle esigenze del mercato al fine di renderlo più semplice per tutti. Si tratta di un accordo storico che arriva a raggruppare circa un 50% delle quote del mercato italiano - aggiunge Luigi Ferretto, amministratore delegato di QUI! Group - Il buono pasto è la prima forma di welfare aziendale ed è necessario sostenerlo anche nell’ottica della nuova normativa di riferimento”.


Sulla digitalizzazione di tutto il processo insiste anche Marc Buisson, amministratore delegato di Day Ristoservice - Group UP: “Il passaggio del buono pasto all’elettronico - afferma - garantisce un sistema più trasparente, tracciato e integrato. La bontà del sistema è confermata dalla tendenza alla digitalizzazione in tutti gli altri Paesi in cui opera il nostro Gruppo. Per questo Day si impegna in prima linea per promuovere l’accordo. Una rete condivisa e multiservizio è prerogativa fondamentale per questa evoluzione anche sul mercato italiano”.

Legge 104 Cassazione Lavoro, sentenza 8784/ del 2015

Ancora un licenziamento per errata fruizione del permesso ex legge 104
Legittimo il licenziamento del lavoratore che usufruisce dei permessi ex legge 104 ma che invece di prestare assistenza al familiare disabile se ne va a una serata danzante.
Lo afferma la Corte di Cassazione (sentenza 8784/15) evidenziando che non ha alcun rilievo il tipo di assistenza che il lavoratore deve prestare in concreto. Nella fattispecie è risultato pacifico che il giorno del permesso retribuito era stato richiesto per soddisfare esigenze che non hanno nulla a che vedere con l'assistenza.
Il lavoratore, a sua discolpa, aveva sostenuto che alcune ore del permesso retribuito erano state effettivamente utilizzate per assistere la madre. Questo però, secondo gli Ermellini,  non cambia i termini della questione dato che comunque il permesso è stato utilizzato per scopi diversi da quelli per i quali era stato riconosciuto.
La Cassazione sottolinea il particolare disvalore sociale di tale condotta che finisce con il porre a carico della collettività dei costi per soddisfare esigenze personali. I permessi ex legge 104 sono infatti retribuiti in anticipo dal datore di lavoro ma poi è sull'ente previdenziale che i relativi costi vanno a gravare.
Inoltre, rimarca la Corte, un simile comportamento costringe il datore di lavoro a dover riorganizzare il lavoro costringendo altri dipendenti (che devono sostituire il lavoratore assente) a un maggiore impegno nella prestazione lavorativa.
In ogni caso ciò che maggiormente rileva ai fini del licenziamento è che tale condotta va a compromettere il rapporto di fiducia con il datore di lavoro ponendo in dubbio la futura correttezza dell’adempimento della prestazione lavorativa.






JOBS ACT/ I controlli a distanza dei lavoratori tra licenziamenti e privacy


Con una recente sentenza del 17 febbraio, la Corte di Cassazione è nuovamente intervenuta sull'ammissibilità dell'utilizzo da parte del datore di lavoro degli strumenti di controllo a distanza dell'attività dei lavoratori. Nel caso specifico, tre dipendenti di una raffineria, addetti al carico di carburante nelle autobotti, ne avevano sottratto una parte. L'azienda, venuta a conoscenza dei fatti mediante un filmato registrato dalla Guardia di Finanza nell'ambito di un'indagine investigativa, aveva intimato ai lavoratori il licenziamento per giusta causa.
I lavoratori impugnavano il licenziamento adducendo, tra l'altro, l'illegittimità della ripresa video realizzata dalla Polizia Giudiziaria ma utilizzata dal datore di lavoro in asserita violazione della privacy tutelata dall'art. 4 dello Statuto dei lavoratori, in quanto non era stata concessa all'azienda alcuna autorizzazione (della Direzione del lavoro ovvero dalle organizzazioni sindacali) per l'apposizione di telecamere.
La Cassazione ha ritenuto lecito l'utilizzo delle videoriprese e legittimo il licenziamento affermando, in linea con altre precedenti sentenze, che le garanzie procedurali imposte dall'art. 4 L. 300/1970 per l'installazione di impianti e apparecchiature di controllo trovano applicazione solo quando i controlli riguardino l'esatto adempimento delle obbligazioni discendenti dal rapporto di lavoro e non, invece, quando riguardino la tutela di beni aziendali.
In particolare, il primo comma della predetta norma stabilisce il divieto assoluto di utilizzo di impianti audiovisivi e di altre apparecchiature per finalità di controllo a distanza dell'attività dei lavoratori, mentre il comma successivo attenua tale divieto stabilendo che le apparecchiature di controllo richieste da esigenze organizzative e produttive aziendali o dalla sicurezza del lavoro, ma dalle quali derivi indirettamente la possibilità di controllo a distanza dell'attività dei lavoratori, possano essere installate previo accordo con le organizzazioni sindacali o, in mancanza, previa autorizzazione della competente Direzione del lavoro.
La norma in questione - risalente al 1970 - è da anni oggetto di un acceso dibattito dottrinale e giurisprudenziale anche a causa della sempre maggiore diffusione di strumenti di lavoro, quali computer, posta elettronica, cellulare, internet, che possono consentire indirettamente anche il controllo a distanza dell'attività dei dipendenti.
Si segnala, al riguardo, la sentenza della Corte di Cassazione n. 16622 del 2012 che ha esaminato il caso di un operatore telefonico di centrale di prima assistenza stradale che era stato licenziato per aver intrattenuto, nell'arco di circa tre mesi, 460 contatti telefonici inferiori a 15 secondi (tempo ritenuto non sufficiente per ascoltare le richieste degli utenti e rispondere) e per aver effettuato 136 telefonate su utenze personali. La circostanza veniva scoperta dal datore di lavoro mediante l'utilizzo di un software abilitato a filtrare le telefonate (Blue's 2002).
I giudici di merito avevano dichiarato legittimo il licenziamento ritenendo che il sistema informatico Blue's 2002 non fosse in contrasto con l'art. 4 dello Statuto dei lavoratori, in quanto il controllo effettuato dal datore di lavoro era mirato a evitare atti illeciti ovvero le telefonate inappropriate, per il che la scoperta dell'inadempimento della prestazione di lavoro era una mera conseguenza indiretta del diritto riconosciuto al datore di lavoro di attuare "controlli difensivi".
Al contrario i giudici di legittimità, riformando le decisioni del Tribunale e della Corte di Appello, hanno ritenuto illegittimo il licenziamento. Secondo la Cassazione, infatti, l'art. 4 Stat. Lav. non solo richiede anche per i controlli difensivi l'osservanza delle garanzie procedurali previste dal comma 2, ma vieta altresì qualsiasi controllo a distanza dei lavoratori anche se indiretto e anche ove posto in essere a seguito di concertazione con le organizzazioni sindacali.
Ben altro esito processuale ha invece avuto il caso di un dipendente di banca licenziato per aver divulgato a mezzo di messaggi di posta elettronica, diretti a estranei, notizie riservate concernenti un cliente dell'istituto e per aver posto in essere, grazie alle notizie acquisite, operazioni finanziarie da cui aveva tratto vantaggio personale. Il dipendente, impugnando le sentenze sfavorevoli di merito, ricorreva avanti la Corte di Cassazione lamentando che il licenziamento era stato fondato su una prova raccolta controllando la propria posta elettronica in assenza di previo accordo con le organizzazioni sindacali o di autorizzazione ai sensi dell'art. 4 Stat. Lav.
La Suprema Corte, confermando le pronunce di merito, ha ritenuto lecito il contegno del datore di lavoro considerando che il controllo eseguito sulle strutture informatiche aziendali prescindeva dalla pura e semplice sorveglianza sull'esecuzione della prestazione lavorativa degli addetti ed era, invece, diretto ad accertare la perpetrazione di eventuali comportamenti illeciti (poi effettivamente riscontrati). Secondo la Corte, il cosiddetto "controllo difensivo" non riguardava l'esatto adempimento delle obbligazioni discendenti dal rapporto di lavoro, ma era destinato ad accertare un comportamento che poneva in pericolo la stessa immagine dell'istituto bancario presso i terzi (Cassazione n. 2722/2012).
A fronte di tali contrasti interpretativi generati anche dalla diffusione e dalla crescente invadenza delle tecnologie informatiche e digitali, la L. n. 183/2014, il cosiddetto "Jobs Act", ha delegato il Governo ad attuare entro il prossimo mese di giugno una "revisione della disciplina dei controlli a distanza sugli impianti e sugli strumenti di lavoro, tenendo conto dell'evoluzione tecnologica e contemperando le esigenze produttive e organizzative dell'impresa con la tutela della dignità e riservatezza del lavoratore".
La nuova disciplina dovrà tenere conto anche dei principi stabiliti dalla recentissima Raccomandazione del Consiglio d'Europa del 1° aprile 2015 in tema di trattamento dei dati personali in ambito lavorativo.
Il Comitato dei Ministri del Consiglio d'Europa ha infatti rilevato che l'utilizzo delle tecnologie informatiche deve essere guidato da regole volte a minimizzare il rischio di violazione dei diritti e delle libertà fondamentali dei lavoratori anche con riguardo alla privacy. La Raccomandazione promuove l'adozione di policy aziendali sulla materia e prevede che i lavoratori siano periodicamente informati circa i dispositivi tecnici utilizzati dal datore di lavoro e le finalità del trattamento, la conservazione dei dati e l'archiviazione delle mail professionali.
Con riferimento al trattamento dei dati personali relativi a pagine internet o intranet accessibili al dipendente, il Consiglio raccomanda l'adozione di misure preventive quali l'uso di filtri che impediscano operazioni anomale e, in caso di monitoraggio, di attuare controlli casuali, non individuali e mirati su dati anonimi.
La Raccomandazione poi distingue le email professionali da quelle private, che non possono costituire in alcun modo oggetto di monitoraggio. Per quanto riguarda le mail di carattere professionale, viene ammessa la possibilità di un controllo solo ove necessario per la sicurezza o per altri motivi legittimi e solo a seguito di informazione preventiva dei dipendenti. Inoltre, la Raccomandazione invita gli Stati a individuare procedure appropriate al fine di consentire al datore di lavoro l'accesso alle email dei dipendenti assenti qualora ciò sia richiesto da esigenze professionali e dopo aver informato i lavoratori interessati.
In caso di licenziamento o dimissioni del dipendente, il Consiglio prevede che il datore di lavoro debba attuare la disattivazione automatica dell'account di posta elettronica e che non possa recuperarne il contenuto se non in presenza del lavoratore e sempre che ciò sia necessario per le esigenze aziendali.
Vi è da auspicare che, alla luce dei principi sopra richiamati, il decreto legislativo in fase di approvazione possa finalmente chiarire la situazione, realizzando un ragionevole ed equilibrato contemperamento di tutti i fattori in gioco.



Scuola: Adesione sciopero 5 maggio FLC

Il 5 maggio SLC CGIL sarà a fianco della FLC e delle altre sigle sindacali della scuola per protestare contro il Disegno di legge del governo “La Buona Scuola” e chiedere con forza una “Scuola che cambia il Paese”.
Il futuro di una nazione dipende dalla formazione dei suoi abitanti, per questo motivo crediamo che sia davvero arrivato il momento di riaffermare il valore del diritto allo studio e rivendicare con forza l’accesso gratuito e libero all’istruzione.
Il disegno di legge proposto dal Governo va invece nella direzione opposta: alimenta disparità e squilibri, senza dare risposte ai problemi veri della scuola pubblica.
Una buona scuola deve essere prima di tutto sicura, sotto tutti i punti di vista.
Per chi ci lavora, che ha diritto ad un lavoro stabile e a un salario dignitoso e per chi la frequenta, che non deve temere, come oggi accade, persino cedimenti strutturali degli edifici.
Per tutte queste ragioni, che parlano della civiltà di un Paese saremo in piazza insieme ai lavoratori, agli studenti, agli insegnanti e ai genitori.
Roma,4 Maggio 2015

La Segreteria Nazionale Slc Cgil

02 maggio 2015

Assunzioni Telecom Italia: arrivano 4.000 Posti di lavoro da Nord a Sud


Dopo 7 anni di stasi, anche Telecom Italia torna ad assumere affermando «Con il nuovo piano industriale, torneremo ad assumere dopo sette anni. Abbiamo, infatti, la necessità di rafforzare l’organico introducendo in azienda nuove professionalità

con giovani tecnici e laureati tra i 20 e i 30 anni. Assumeremo fino a 4.000 persone nell’arco di 3-4 anni utilizzando i nuovi strumenti normativi che il governo sta mettendo a punto»

La formula utilizzata sarà, quindi, quella del nuovo contratto a tutele crescenti da poco licenziato dal Governo. Accanto alle nuove assunzioni altri importanti chiarimenti sono stati forniti riguardo alla solidarietà difensiva (la riduzione dell’orario di lavoro dei dipendenti già assunti, al fine di evitare i licenziamenti).

I contratti di solidarietà posti in essere da Telecom negli scorsi anni andranno a scadenza ad Aprile, a tal proposito una nota diffusa da Telecom a margine della presentazione del piano industriale spiega che «l’attuale solidarietà ’difensiva’ (...) potrà essere sostituita, con modalità da definire con le Organizzazioni Sindacali, da una solidarietà che tuteli ancora l’occupazione, consenta l’immissione di giovani e riduca l’età media in azienda»

L’intento di Telecom dovrebbe, quindi, essere quello di trasformare gli attuali contratti di solidarietà difensiva con contratti di solidarietà espansiva che consentiranno di assumere nuovo personale. Il piano industriale di Telecom prevede anche una riorganizzazione del settore dell’assistenza clienti, per il quale sarà creata una società specificamente dedicata.

Pareri contrastanti sono arrivati dai sindacati che pur confermando la loro contrarietà alla separazione del comparto del caring (assistenza clienti) da Telecom, plaudono alle nuove assunzioni e ribadiscono la necessità di un intervento normativo finalizzato ad agevolare il ricambio intergenerazionale.

Per quanto riguarda le altre novità previste dal piano industriale di Telecom, l’Ad Marco Patuano ha chiarito che «è caratterizzato da un’impostazione fortemente incentrata sullo sviluppo industriale con un’accelerazione nel programma degli investimenti innovativi sia in Italia sia in Brasile (circa 14,5 miliardi di euro cumulati nel triennio)»

Dei 10 miliardi di euro da investire nell’arco del triennio, 5 miliardi saranno destinate ai settori maggiormente incentrati sulle componenti innovative (Ngn, Lte, Cloud Computing, Data Center, Sparkle e Trasformazione) mentre allo sviluppo e alla diffusione della fibra ottica saranno destinati 3 miliardi di investimenti, di cui 500 milioni di euro per la tecnologia FttH (Fiber to the Home) con cui è stata prevista la copertura di 40 città italiane. Ulteriori 900 milioni di euro saranno destinati allo sviluppo della banda larga mobile.

In definitiva, alla fine del 2017, con la fibra ottica sarà raggiunto «il 75% della popolazione (...) e oltre il 95% della popolazione con la rete mobile 4G, posizionandoci quale leader dello sviluppo infrastrutturale del Paese e avvicinando così gli obiettivi dell’Agenda Digitale al 2020».