29 giugno 2015

Sciopero Telecom - sit in a Palermo il 30 Giugno


COMUNICATO STAMPA
Il giorno 30 giugno le lavoratrici e i lavoratori Telecom Italia di Palermo, come di tutta Italia, incroceranno le braccia. Lo sciopero dichiarato da SLC-CGIL nazionale si rende necessario dopo l’ennesimo ricatto aziendale nei confronti dei propri lavoratori.
Telecom, non avendo ottenuto dal Ministero del Lavoro le modifiche di legge alla solidarietà espansiva con gli ultimi decreti del JOBS ACT, scarica tutto sui lavoratori. Dopo le minacce di costituire una società a parte per esternalizzare dei Call Center, ora pretende di andare al Ministero per parlare di “assunzioni ed esuberi strutturali”.
La SLC CGIL rifiuta questa logica: se ci sono assunzioni, sbandierate da tempo, come possono esserci esuberi? E soprattutto dove sarebbero questi esuberi visto che il lavoro viene addirittura dato in appalto ?
Nel 2013, Telecom ha beneficiato di un accordo sindacale che attraverso l’utilizzo di ammortizzatori sociali, ed un aumento di produttività a carico dei lavoratori, ha permesso nel biennio di ottenere risparmi consistenti che, secondo i dati aziendali, sono stati ampiamente positivi.
Telecom, seppure con un fatturato in calo è sempre un’azienda in attivo, ha elargito dividendi agli azionisti, premi unilaterali ai manager ed ora vorrebbe scaricare sui dipendenti le proprie difficoltà.
L’inefficienza del management di Telecom che per perseguire biechi obbiettivi personali hanno portato l’azienda a dover pagare una multa milionaria per abuso di posizione dominante. E’ arrivato il momento di affrontare politiche industriali diverse in riferimento ad un mercato ed a un mondo del lavoro che cambia, e costruire politiche industriali adeguate allo sviluppo tecnologico che cambia.
I lavoratori di Palermo si domandano quale sia il motivo per cui l’azienda continui a trattarli come fossero un problema anziché una risorsa, non capiamo perché non venga apprezzato il loro contributo quotidiano, senza del quale, questa azienda sarebbe alla paralisi organizzativa.
In occasione dello sciopero ci sarà un presidio regionale a Palermo presso la sede di Via La Malfa 99, per i seguenti obiettivi: 1. mantenere unica, integrata e indivisibile l’azienda, reti e servizi; 2. contrastare la società del Caring e riorganizzarlo partendo dalle persone che ci lavorano; 3. no al controllo a distanza e alle pressioni sui lavoratori 4. valorizzare le competenze e le capacità dei tecnici per investire nelle reti di nuova generazione (ultra banda larga fissa e mobile).
per la segreteria provinciale Palermo
Fabio Maggio

Presentazione Disegno di Legge sui Call Center


Dopo l'indagine conoscitiva promossa dalla Commissione Lavoro della Camera dei Deputati su mia iniziativa --- Lunedi 6 Luglio ore 9.30 presso l'Hotel Baia Verde (Aci Castello) insieme a Cesare Damiano presenteremo il DDL su "Modifiche al decreto-legge 22 giugno 2012, n. 83, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 2012, n. 134, e al decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276, in materia di regolamentazione delle attività svolte da call center e di tutela dell'occupazione nei casi di affidamento e successione degli appalti ad esse relativi".
Oggi c'è la necessità di regolamentare il settore dei Call Center in Italia in particolare modo riguardo la delocalizzazione e la garanzie occupazionali dei lavoratori nei cambi d'appalto.


25 giugno 2015

Telecom Italia: Accordo separato


Telecom: Azzola (Slc Cgil), accordo separato inutile e nocivo per il futuro dell’azienda
7 settembre 2015
“Solo in Italia un’azienda può riempire i giornali dichiarando la necessità di dover assumere 4000 giovani prima, per poi sottoscrivere un accordo su 3330 esuberi. E solo nel nostro Paese si può realizzare un accordo in sede Ministeriale certificando esuberi che nella realtà non esistono e di cui nessuno conosce collocazione e ambito di attività.” Così Michele Azzola, segretario nazionale di Slc Cgil, commenta l’accordo sottoscritto dal Ministero, Cisl e Uil.
”Null’altro se non arroganza può portare a dichiarare di voler gestire gli esuberi con i contratti di solidarietà quando il recente decreto di riforma degli ammortizzatori sociali non chiarisce se per un’azienda che ne ha già usufruito per quattro anni consecutivi vi sia ancora disponibilità di utilizzo, nè valutare gli impatti della riforma che incidono pesantemente sulla retribuzione dei lavoratori.”
“Non è la trama di un film surreale ma sono i contenuti dell’accordo quadro sottoscritto oggi al Ministero dello Sviluppo Economico. Talmente surreale che lo stesso Ministero non ha sottoscritto l’intesa, firmata solo dalle parti, limitandosi a redigere un verbale d’incontro, forse per evitare di dover certificare esuberi per i quali non è stata affrontata la discussione prevista dalla legislazione vigente impedendo ogni approfondimento sulle motivazioni e sugli interventi necessari a ridimensionarli.”
“Si accantona, infine, definitivamente il progetto di assunzioni attraverso lo strumento della solidarietà espansiva, messo a disposizione dei recenti decreti voluti dal Governo, che prevede che vi si possa ricorrere solo a condizione che non siano stati utilizzati strumenti di ammortizzatori difensivi nei 12 mesi precedenti.”
“Il tutto su un accordo “quadro” privo di ogni efficacia – sottolinea Azzola - e che rimanda a successivi accordi da definire in azienda con la presenza delle RSU, per le quali i firmatari hanno nei giorni scorsi deciso arbitrariamente e in maniera difforme da quanto previsto dagli accordi interconfederali, di prorogarne la validità cercando di impedire il legittimo voto dei lavoratori per evitare un giudizio sul comportamento del sindacato in azienda.”
“Telecom, principale operatore di TLC coinvolto dalle riorganizzazioni mondiali del settore e alla presa con una difficile situazione di mercato, decide così di sottoscrivere un accordo privo di ogni efficacia, poiché l’accordo “quadro” definisce solamente un impegno politico da concretizzarsi con successivi accordi sottoscritti con le RSU, escludendo il principale interlocutore presente in azienda: Slc Cgil, che da sola ha ricevuto quasi il 40% dei consensi dei lavoratori.”
“A cosa servirà questa inutile prova di forza? – chiede Azzola - Solo a inasprire il confronto in azienda, condizione gravissima per un operatore di servizi che per uscire dalla grave crisi di mercato dovrebbe in primis fare una scommessa con l’insieme dei suoi dipendenti. Invece, si rinuncia a seguire gli accordi del 27 marzo 2013, che hanno consentito ingenti risparmi all’azienda attraverso efficienze e internalizzazioni di attività, per affrontare un’avventura i cui risultati saranno tutti da conquistare e che produrrà una ulteriore scollatura tra vertici aziendali e i dipendenti.”
“La giustificazione sindacale per la firma di tale intesa sta nell’evitare una societarizzazione del servizio caring che non è mai stata nelle reali volontà aziendali come si può tranquillamente comprendere da tutti gli atti ufficiali della società.”
“Slc Cgil non potrà che reagire a questa provocazione nell’unico modo che ritiene accettabile – conclude il sindacalista: avviare un confronto con i lavoratori, consentire loro di scegliere la propria rappresentanza aziendale attraverso il voto previsto dagli accordi interconfederali, aprendo una vertenzialità su ogni singola tematica, per garantire i diritti e le tutele del personale ed evitare che una gestione non sempre brillante, vedasi le multe milionarie erogate dal soggetto regolatore che da sole valgono svariate volte quanto si risparmia con la solidarietà, sia pagata solo dai lavoratori.”

Telecom: basta scorciatoie e ricatti. L’azienda sia all’altezza delle sfide future


A mano a mano che si avvicina l’incontro al Mise per Telecom Italia ci sembra che stia aumentando il livello di confusione sul ruolo di quel tavolo e cosa ne possa uscire.
Continuiamo a leggere di perimetri da proteggere, di assunzioni da fare e di esuberi strutturali da affrontare. Si chiama in causa il governo a garanzia di un piano industriale che, avevamo capito, era il primo piano di rilancio (sia negli investimenti che nelle assunzioni) dopo molti anni e che, leggendo le varie dichiarazioni, sembra invece essere diventato nuovamente un piano difensivo e con nessuna prospettiva di espansione. Insomma sembra proprio che il menù che si sta predisponendo per il prossimo 3 luglio sarà misterioso e imprevedibile. L’unica cosa che sembra chiaro è chi pagherà il conto: i lavoratori.
Di fronte a questa situazione è importante a questo punto che siano i lavoratori a dire con chiarezza quali sono le loro priorità. La difesa dell’azienda, della sua univocità non può sempre passare da un continuo scambio. Siamo d’accordo con chi dice che la fase dell’azienda è quanto mai delicata anche a fronte dei nuovi assetti societari. Siamo meno d’accordo che con le novità in arrivo sia opportuno intavolare un tavolo dove alla fine, al di la delle dichiarazioni roboanti, temiamo che tutto si concretizzerà nell’individuare un ulteriore prezzo per la mancata societarizzazione del customer.
Lo sciopero del prossimo 30 giugno diventa allora un passaggio importantissimo per le lavoratrici ed i lavoratori di Telecom Italia per dire con nettezza come questo management debba smetterla con le logiche di scambio infinito e presentare finalmente un piano d’impresa credibile che non cambi a secondo delle disponibilità di questo o quell’ammortizzatore sociale. Le sfide che aspettano Telecom sono difficilissime, le Istituzioni non sempre sembrano considerare l’azienda come una risorsa per il Paese, ora sta a Telecom scegliere se voler scommettere sul futuro o passare in cassa, rinnovando magari la solidarietà difensiva su parte del perimetro aziendale, continuando così a dimostrare scarsa lungimiranza ed una visione di scenario non sempre all’altezza delle sfide odierne.

La Segreteria Nazionale di SLC‐CGIL

18 giugno 2015

ALMAVIVA: INCONTRO COL SINDACO, L’AZIENDA NON SI PRESENTA

COMUNICATO STAMPA
Si è svolto questo pomeriggio presso la Sala delle Carrozze di Villa Niscemi, il previsto e atteso incontro con il Sindaco di Palermo Leoluca Orlando e l’Assessora Giovanna Marano, inerente la vertenza Almaviva. Non era presente alcun esponente aziendale.
L’incontro è stato proficuo. Questa amministrazione comunale ha ancora una volta dimostrato una spiccata sensibilità sui temi riguardanti il settore dei servizi e dei call center in particolare. Per la nostra organizzazione sindacale è stata un’occasione per rappresentare le nostre idee circa il rilancio del Gruppo Almaviva a Palermo.
Confrontandoci direttamente con il Sindaco Orlando sui problemi che affliggono questo comparto in Italia (mancanza di regole certe, non applicazione di normative vigenti, delocalizzazione e gare al massimo ribasso) abbiamo sottolineato l’importanza di pensare una seria politica industriale per un settore fondamentale quale quello dei servizi. A tal proposito il Sindaco ha preannunciato che scriverà una lettera al Governo Nazionale per sollecitare quantomeno l’applicazione delle leggi già esistenti (vedi art.24 bis).
Ci confrontiamo ormai con un mercato globale dove i cambiamenti sono rapidissimi ed esponenziali, quindi, nel ribadire le grosse opportunità che il mercato del call center ancora presenta, la SLC CGIL ritiene che un piano industriale che possa far uscire Almaviva dalla crisi non debba prescindere da un serio investimento sulla riqualificazione e formazione del personale, sulla ricerca e lo sviluppo, sull’innovazione e naturalmente sulla sede dove svolgere la propria attività.
Dopo aver espresso il rammarico per l’assenza dell’azienda al tavolo, come del resto hanno fatto tutte le organizzazioni sindacali, il Sindaco ha tenuto a precisare che l’amministrazione comunale non è parte attiva nelle relazioni industriali e che l’incontro di oggi esula dalle motivazione che hanno portato all’apertura dello stato di agitazione. Il Prof. Orlando auspica che si possa riprogrammare un incontro in cui siano presenti tutte le parti in causa, possibilmente dopo un ulteriore confronto tra Almaviva e i sindacati. Pertanto inviterà nuovamente l’azienda presso la sua sede istituzionale.
Come SLC CGIL, nel ribadire le differenze concettuali tra l’argomento applicazione accordo solidarietà e i temi trattati oggi, rimaniamo disponibili al confronto per la ricerca di soluzioni atte a garantire quel radicamento sul territorio che costituirebbe una reale certezza per migliaia di lavoratori a Palermo.

Le RSU SLC CGIL Almaviva Palermo e la Segreteria Provinciale SLC CGIL

Telecom Italia sollecita il governo a mettere mano ai decreti del Jobs act sulla solidarietà espansiva

Massimiliano Di Giorgio
Telecom Italia sollecita il governo a mettere mano ai decreti del Jobs act sulla solidarietà espansiva, e relativi fondi, pena la impossibilità di effettuare le 4.000 assunzioni annunciate con il piano industriale.
Lo ha detto oggi il presidente del gruppo delle tlc, Giuseppe Recchi.
"Il nostro impegno è quello di assumere 4.000 persone anche per rinnovare il capitale umano. Bisogna che le leggi accompagnino gli sforzi e gli impegni delle aziende. Se le leggi non sono adeguate non possiamo fare cose impossibili, sarebbero 4.000 posti persi. Aspettiamo con ansia che il decreto venga sbloccato. Perdere l'opportunità di dare lavoro a 4.000 talenti sarebbe veramente deleterio", ha detto Recchi a chi chiedeva se le assunzioni annunciate siano a rischio per l'incertezza normativa legata ai decreti attuativi del Jobs Act.
Telecom e altre aziende hanno subordinato i loro piani di crescita occupazionale alla elargizione da parte del governo di risorse per finanziare contratti di solidarietà espansiva che puntano a favorire nuove assunzioni attraverso una contestuale e programmata riduzione dell'orario di lavoro e della retribuzione. Per solidarietà difensiva, strumento usato da Telecom sino ad aprile, si intende invece una riduzione dell'orario di lavoro dei dipendenti per evitare licenziamenti.
Successivamente, l'AD Marco Patuano ha spiegato che "Telecom Italia non farà zero assunzioni nel 2015, il piano rallenta. L'assunzione di 4.000 persone rimane l'obiettivo. Ma sicuramente la tempistica deve essere coerente con gli strumenti normativi. Cercheremo di trovare strumenti che facciano convivere la solidarietà con le assunzioni".
Una fonte aziendale ha detto che quest'anno le assunzioni saranno "alcune centinaia" rispetto alle 1.000 previste.
L'età media dei dipendenti di Telecom Italia è oggi di 48 anni, con solo il 5% sotto i 30 anni ("questo vuol dire la necessità di ricorrere molte volte all'esterno") e la maggior parte di età compresa tra 43 e 53 anni, ha spiegato Patuano.
Con l'aumento dell'età pensionabile, dunque, il ricambio generazionale è più difficile.

Patuano ha infine chiarito che la solidarietà difensiva utilizzata fino ad aprile consente solo riqualificazioni del personale, non assunzioni: "Per questo serve la solidarietà espansiva. Siamo convinti che sia una novità importante per noi e anche per altre aziende", ha concluso.

Call center: parti sociali chiedono modifica incentivazioni assunzioni

“Assocontact congiuntamente ai sindacati di categoria Slc CGIL, Fistel CISL e Uilcom UIL hanno inviato una richiesta di incontro urgente al Presidente del Consiglio dei Ministri Matteo RENZI, al Sottosegretario alla Presidenza del Consiglio dei Ministri On. Claudio DE VINCENTI, al Ministro del Lavoro Giuliano POLETTI e al Ministro dello Sviluppo Economico Federica GUIDI per ribadire ancora una volta la necessità di modificare urgentemente le norme introdotte dalla Legge di stabilità per le incentivazioni alle assunzioni, soprattutto riguardo la decontribuzione triennale, che hanno indotto, nel settore dei servizi dei call‐center, una distorsione accentuata della concorrenza.” Lo comunica una nota di Slc Cgil nazionale.

“Tale distorsione – si legge nella lettera – consente che l’azienda che si propone, nelle gare pubbliche o acquisendo lavoro da committenti privati, come fornitore di servizi di contact center con personale neo assunto è in grado di avanzare tariffe inferiori del 30% rispetto ad aziende che operano già sul mercato con personale assunto negli anni precedenti. Tale divergenza è determinata dal fatto che in un servizio di contact center il costo del lavoro rappresenta fino all’ottanta per cento del costo totale.”

“Questo fenomeno produce una pesante contrazione delle tariffe di mercato, che si sono allineate immediatamente ai nuovi valori offerti dalle aziende con lavoratori neo assunti, con pesanti ripercussioni in termini di perdita di commesse e cali dei volumi per le aziende strutturate.”

“A questo – prosegue la comunicazione – si aggiunge il mancato rispetto degli impegni assunti dai due Ministeri in termini di applicazione delle previsioni di cui all’art. 24 bis del Decreto Legge 22 giugno 2012 n. 83, convertito dalla Legge 134/2012, per disciplinare le delocalizzazioni all’estero delle attività di contact center, impegno non più assolto nonostante gli annunci rilasciati dal Governo nel mese di dicembre 2014, che ha determinato un notevole spostamento di attività verso Paesi a basso costo del lavoro e la totale disapplicazione delle previsioni di una Legge dello Stato.”

“Nessuna soluzione è stata trovata, nonostante i proclami, e nessun tavolo ministeriale convocato.”

“Si è pertanto giunti al paradossale fenomeno di sostituzione dell’occupazione, per la quale sono ormai oltre 10.000 i posti di lavoro ‐ la maggior parte collocati nelle aree meridionali del Paese ‐ che si stanno perdendo in tutte le imprese strutturate che non sono più in grado di competere sul mercato. Tali crisi sono ben note ai Ministeri, coinvolti in tavoli di crisi spesso irrisolvibili a causa delle regole presenti.”

“In aggiunta a ciò, anche la qualità del servizio offerta ai clienti / cittadini ne risente sia in termini di mancati investimenti su innovazione e ricerca sia sul servizio offerto.”

“Il settore, infine – concludono Assocontact e le OO. SS. – se opportunamente regolato e disciplinato, sarebbe in grado di offrire quella crescita occupazionale così ambìta proprio dal governo, andando a offrire una valida offerta di lavoro proprio a quelle fasce della popolazione che oggi sono attraversate da tassi di disoccupazione drammatici. Il tutto introducendo elementi di regolazione a costo zero per le casse dello Stato.”


“Il tavolo di crisi è pertanto ormai urgentissimo per individuare e applicare immediatamente le soluzioni necessarie a evitare che la distorsione della concorrenza possa determinare la chiusura delle aziende e il licenziamento di migliaia di lavoratrici e lavoratori.”

Jobs Act e regole sulla sorveglianza a distanza. Il sindacato promette battaglia


Botta e risposta tra Ministero e Cgil sulla norma con cui il governo, nell’ultimo decreto sul Jobs Act, quello relativo alla semplificazione, ha modificato le modalità per l'accesso ai controlli su computer cellulari e tablet dei lavoratori. Uno «spionaggio contro i lavoratori» che in letteratura «abbiamo sempre definito come il Grande Fratello», lo definisce la leader della Cgil, Susanna Camusso. «Una norma in linea con il Garante della Privacy», replica il Ministero del Lavoro in una nota esplicativa. «Se uno viene autorizzato a entrare nei mezzi di comunicazione che usano le persone è difficile non definirlo un Grande Fratello», ha detto il segretario Cgil. Una mossa quella del governo per la Cgil «inaspettata» e che «per tante ragioni profila un abuso rispetto alle norme di diritto che esistono sulla privacy delle persone».

Ministero: «In linea con Garante»
Ma il ministero del Lavoro, attraverso una nota, fa sapere che la norma sui controlli a distanza contenuta nel decreto attuativo del Jobs act non prevede alcuna liberalizzazione ed è «in linea con le indicazioni del Garante della Privacy». La norma, spiega la nota, «adegua la normativa contenuta nello Statuto dei lavoratori alle innovazioni tecnologiche». «La modifica all’articolo 4 dello Statuto chiarisce poi che non possono essere considerati “strumenti di controllo a distanza” gli strumenti che vengono assegnati al lavoratore “per rendere la prestazione lavorativa” (una volta si sarebbero chiamati gli “attrezzi di lavoro”), come pc, tablet e cellulari - spiega il mninistero guidato da Giuliano Poletti - In tal modo, viene fugato ogni dubbio - per quanto teorico - circa la necessità del previo accordo sindacale anche per la consegna di tali strumenti». «Perciò - prosegue - è bene ribadirlo, non si autorizza nessun controllo a distanza; piuttosto, si chiariscono solo le modalità per l’utilizzo degli strumenti tecnologici impiegati per la prestazione lavorativa ed i limiti di utilizzabilità dei dati raccolti con questi strumenti». Secondo il ministero, in conclusione, le nuove norme impongono «per quanto più specificamente riguarda gli strumenti di lavoro, che venga data al lavoratore adeguata informazione circa le modalità di effettuazione dei controlli, che, comunque, non potranno mai avvenire in contrasto con quanto previsto dal Codice privacy. Qualora il lavoratore non sia adeguatamente informato dell'esistenza e delle modalità d'uso delle apparecchiature di controllo e delle modalità di effettuazione dei controlli - è la conclusione - dal nuovo articolo 4 discende che i dati raccolti non sono utilizzabili a nessun fine, nemmeno a fini disciplinari».

Sindacati pronti alla battaglia
La Cgil, in ogni caso, valuterà ora il da farsi: dalla pressione sulle commissioni parlamentari che dovranno valutare la delega fino alla possibilità di fare ricorsi anche alla corte di giustizia europea. Ma soprattutto il sindacato si appresta a continuare la mobilitazione e la contrattazione.«È una norma molto preoccupante - ha spiegato Camusso - ricorda la discussione sui sistemi di controllo americani sui singoli Stati che non i temi del lavoro». La segretaria generale della Cgil, poi, ha ribadito che «siamo di fronte a un’idea della vita delle persone davvero sconvolgente». «Non si capisce perché si è avuto bisogno di inserire un modello di questo tipo se non per dare un messaggio alle persone che non sono libere ma anzi controllate». Questa norma «non va bene» e «deve essere cambiata», afferma il leader della Cisl Annamaria Furlan assicurando che «ci faremo ascoltare anche nelle Commissioni parlamentari». Sulla stessa linea la Uil, con il segretario confederale Guglielmo Loy: «Agiremo nelle sedi opportune per chiedere il cambiamento di questo provvedimento». E attacca: «Non si capisce perché, ancora una volta, la deregolamentazione debba avvenire a vantaggio della sola impresa».

Le nuove disposizioni
Le nuove norme contestate sono contenute in uno degli ultimi quattro decreti legislativi - quello sulla razionalizzazione e semplificazione di procedure e adempimenti a carico di cittadini e imprese e altre disposizioni sul rapporto di lavoro - che, dopo il primo via libera del Consiglio dei ministri di giovedì scorso, è stato assegnato (insieme agli altri tre su cig, Agenzia ispettiva e Agenzia politiche attive) alle commissioni competenti di Camera e Senato (Lavoro e Bilancio) che entro il 16 luglio dovranno esprimere il parere obbligatorio ma non vincolante. Per poi tornare in Cdm per l'ok definitivo. Secondo le nuove previsioni le aziende potranno controllare computer, tablet e cellulari, così come i badge dei lavoratori senza che sia necessario un accordo sindacale o un’autorizzazione del ministero. Per il controllo sugli “strumenti” di lavoro messi a disposizione dalle imprese e su quelli per la «registrazione degli accessi e delle presenze» basterà quindi informare i lavoratori e rispettarne comunque la privacy. Cambia così, con un altro dei decreti attuativi del Jobs act, la disciplina dei controlli a distanza, che riscrive lo Statuto dei lavoratori del 1970 (dopo articolo 18 e mansioni).

Nello Statuto dei lavoratori si vieta l’uso di «impianti audiovisivi e di altre apparecchiature» per i controlli a distanza e, per le esigenze organizzative, produttive o di sicurezza del lavoro, si rimanda in ogni caso ad un accordo sindacale aziendale, con le Rsa. «L’accordo sindacale o l’autorizzazione ministeriale non sono necessari per l'assegnazione ai lavoratori degli strumenti utilizzati per rendere la prestazione lavorativa, pur se dagli stessi derivi anche la possibilità di un controllo a distanza del lavoratore», si legge nella relazione illustrativa che accompagna lo schema di dlgs. Diversa, invece, la previsione per gli impianti audiovisivi e gli altri strumenti dai quali - come si legge nel testo che all’articolo 23 riscrive l’articolo 4 dello Statuto dei lavoratori - derivi anche la possibilità di controllo a distanza dei lavoratori, che «possono essere impiegati esclusivamente per esigenze organizzative e produttive, per la sicurezza del lavoro e per la tutela del patrimonio aziendale e possono essere installati previo accordo» sindacale con le Rsu o Rsa. In assenza dell'accordo, invece, serve l'autorizzazione della Direzione territoriale del lavoro o, nel secondo caso, del ministero del Lavoro. Questa disposizione, come prosegue la nuova norma, tuttavia, «non si applica agli strumenti utilizzati dal lavoratore per rendere la prestazione lavorativa e agli strumenti di registrazione degli accessi e delle presenze». E i dati raccolti possono essere utilizzati «a tutti i fini connessi al rapporto di lavoro, a condizione che sia data al lavoratore adeguata informazione delle modalità d’uso degli strumenti e di effettuazione dei controlli» sempre «nel rispetto» del Codice sulla privacy.


Jobs Act: Cgil, una prima valutazione dei decreti attuativi

Di seguito pubblichiamo una prima valutazione dei decreti attuativi approvati dal Consiglio dei ministri dello scorso 11 giugno a cura dell'Area contrattazione - Mercato del Lavoro della Cgil nazionale.

L'approvazione da parte del Consiglio dei ministri dello scorso 11 giugno degli ultimi quattro decreti attuativi del Jobs Act, rafforza la filosofia e la strategia che fino ad ora hanno guidato il Governo nella costruzione dei provvedimenti di riforma del mercato del lavoro. Si confermano scelte in favore della deregolamentazione a scapito dei diritti di chi lavora, si ribadiscono le forti divisioni e differenziazioni nel mondo del lavoro, sia sui contratti che sulle tutele, e si aumenta di nuovo il potere delle imprese senza elementi di riequilibrio in favore del lavoro.
Dietro i termini “innovazione e semplificazione” c’è un’idea vecchia del lavoro senza qualità e con una riduzione degli spazi di contrattazione che lo rende più povero e più debole. I lavoratori occupati, così come quelli in sospensione da lavoro o disoccupati, compiono un notevole passo indietro rispetto all'essere portatori di diritti universali.

In particolare, sui contratti di collaborazione si conferma la loro parziale soppressione, lasciando attive molte soluzioni capaci di aggirare le disposizioni.
Si alimenta ulteriormente la possibilità per tutte le attività di ricorrere all'uso dei voucher, ampliando la soglia dell'importo per lavoratore da 5.000 a 7.000 euro e confermandone un uso che dal 2008 al 2014 ha registrato un aumento quasi del 4.000%, raggiungendo la soglia nello scorso anno di oltre 1 milione di contratti con una media annua di reddito inferiore ai 500 euro.

Con il riordino del contratto di apprendistato di I e III livello si va a confermare la scelta sbagliata della precocità di accesso a 15 anni, si cede il passo per la certificazione degli apprendimenti alle imprese in favore di un sistema duale di bassa qualità della formazione e di lavoro debole.
Sui contratti a termine si conferma il venir meno del diritto del lavoratore a ricevere una formazione sufficiente e adeguata alle caratteristiche delle mansioni oggetto del contratto, fondamentale per la prevenzione sui rischi da lavoro.

Vengono peggiorate le condizioni del demansionamento, dal momento che in sede di Commissioni di Certificazione sarà possibile derogare alla norma sottoscrivendo accordi tra le parti - lavoratore e datore di lavoro - capaci di peggiorare le già punitive condizioni di norma.

In materia di ammortizzatori si interviene con una significativa riduzione dei tempi di copertura e degli strumenti a disposizione dei lavoratori. L'introduzione del meccanismo per le aziende del bonus malus, pensato quale deterrente, finirà invece col favorire i licenziamenti, visto l'aumento del costo delle contribuzioni nell'uso degli strumenti di “cassa”.
L'uso dei Fondi, previsto quale strumento per coprire le aziende da 5 dipendenti, non fa che confermare la diversità dei trattamenti per i lavoratori. Impossibile parlare quindi di un sistema universale.

Gli interventi sulla razionalizzazione e semplificazione dei rapporti di lavoro e su salute e sicurezza, rivedendo le norme sull'identificazione, contribuiranno ad alimentare la pratica del lavoro nero e a indebolire i controlli sulla sicurezza.
Sui controlli a distanza siamo di fronte ad un abuso rispetto alle norme sulla privacy, che segna un punto di forte arretramento rispetto allo Statuto dei lavoratori. Il venir meno dell'obbligatorio accordo sindacale renderà più difficile proteggere i lavoratori da indebiti usi delle informazioni da parte delle aziende.

Il nuovo Ispettorato del lavoro, così come è stato concepito nella sua unicità, se non sorretto da opportuni finanziamenti - oggi non previsti - determinerà un progressivo svuotamento delle funzioni che garantiscono la lotta all'evasione e all'elusione contributiva.
La nuova Agenzia nazionale che si dovrà occupare delle nuove politiche attive nasce zoppa in ragione dell'indeterminatezza delle norme istituzionali che dovranno regolarla, sia per la sua attività di gestione che di programmazione. Del provvedimento va segnalata in particolare la criticità legata all'assorbimento di ISFOL e di Italia Lavoro: vanno salvaguardate le specificità di due soggetti diversi nella natura e nella missione, così come l'attuale livello occupazionale per tutti i lavoratori precari e stabili.


Infine ci domandiamo come sia possibile immaginare una risposta efficace del nuovo sistema considerando che le programmate risorse d'investimento risultano essere solo quelle che eventualmente si produrranno in ragione dei risparmi nell'uso della cassa integrazione.

11 giugno 2015

Visita fiscale del medico dell’Inps, richiesta dall’azienda


Oggi vogliamo parlare e trattare l’argomento della reperibilità dopo aver ricevuto la visita fiscale di controllo, da parte del medico dell’Inps, richiesta dall’azienda.
Perché in questi casi il lavoratore ha la possibilità di uscire di casa e allontanarsi dal proprio domicilio.
Tutti noi conosciamo oramai a menadito gli orari e i giorni a cui il lavoratore e la lavoratrice sono tenuti a farsi trovare reperibili in casa, per consentire la visita fiscale effettuata dal medico fiscale dell’Inps, inviato dall’azienda a controllare che la malattia del dipendente sia effettiva; chi volesse approfondire come si svolge la visita fiscale, vi invitiamo a leggere il nostro articolo ” La visita fiscale”, ma non per questo si deve rimanere chiusi in casa tutte le 24 ore.
Soprattutto perché ci sono alcune malattie che non richiedono un continuo ricovero a letto. E allora ben può il lavoratore o la lavoratrice allontanarsi dal proprio domicilio una volta avvenuta la visita.
Questo è possibile purché, ovviamente, così facendo, egli o ella non vadano a compromettere la propria guarigione (il dipendente, infatti, ha il dovere giuridico – sanzionabile dall’azienda – di non allungare i tempi del rientro sul posto di lavoro).
Il tema delle visite fiscali e delle nuove fasce di reperibilità del lavoratore che usufruisce dei permessi per malattia, sono argomenti molto sensibili e delicati negli ambienti aziendali. E questo perché la giurisprudenza è orientata nel senso, prevalentemente unico, di ritenere sanzionabile, a livello disciplinare, il dipendente che non si faccia trovare dal medico dell’Inps; e ciò a prescindere dalla effettiva sussistenza della malattia. Salvo, infatti, alcune giustificazioni ritenute valide, il dipendente benché davvero malato, non può comunque allontanarsi finché non è avvenuta la visita di controllo.
Ma, nonostante tutto, quello che spesso si ignora, è che una volta andato via il medico fiscale, il dipendente non ha più l’obbligo della reperibilità e ben si può assentare dalla propria dimora.
E questo ovviamente non e’ ne un nostro invito, ne tantomeno una nostra presupposizione, ma invece il chiarimento proviene da una “fonte ufficiale” come la Cassazione che, con una sentenza di qualche anno fa riportata peraltro dai media dell’epoca e forse oggi un po’ volutamente “dimenticata”.
 la vicenda:
Un lavoratore era uscito immediatamente dopo la visita fiscale e, per questo, aveva ricevuto la sanzione dall’Inps e dal datore di lavoro secondo cui era suo diritto disporre un ulteriore controllo medico dopo la prima visita fiscale.
Ma la propria casa non è, e non deve di diventare una galera per il lavoratore malato.
Non passa la tesi dell’Inps secondo cui il dipendente in permesso, anche dopo l’accertamento del medico di controllo, è obbligato, per tutta la durata della malattia, a rispettare le fasce orarie di reperibilità per consentire ulteriori accertamenti sulle sue condizioni di salute. Peraltro, sempre la Cassazione, ha ritenuto illecite le visite di controllo ripetute e persecutorie. Praticamente si vanno a ledere dei diritti civili.
Secondo i supremi giudici, il lavoratore assente per malattia ha la facoltà piena di disporre liberamente del proprio diritto alla “locomozione” che non può essere limitato oltre il tempo strettamente necessario a consentire il controllo medico del suo stato di salute. Quindi, una volta che il medico fiscale dell’Inps abbia già visitato l’interessato, questi ritorna in totale libertà di movimento.

Se così non fosse, una volta accertata la malattia del dipendente, continuare a obbligarlo alle fasce di reperibilità significherebbe imporgli un riposo forzato quotidiano. Riposo che, peraltro, potrebbe non essere compatibile con alcune malattie che, per la relativa cura, potrebbero richiedere e consigliare quasi per assurdo, l’allontanamento da casa (si pensi all’asma allergica di fronte alla quale non c’è niente di meglio di una giornata al mare).

Telecom Italia: Dichiarazione sciopero

IL VASO È COLMO, TELECOM DECIDA CHE RAPPORTO VUOLE CON I PROPRI DIPENDENTI
Nella serata di lunedì 8 giugno, i responsabili del personale di Telecom hanno incontrato le Segreterie Nazionali di SLC, Fistel e Uilcom per comunicazioni inerenti lo stato delle relazioni industriali dell’azienda e l’implementazione del piano d’impresa per il triennio 2015 – 2018.
In premessa, l’azienda ha comunicato di considerare superata la vertenza inerente il “caring” perché non più interessata a sottoscrivere intese su tale ambito operativo, anche alla luce delle probabili modifiche di legge sulla materia regolata dall’articolo 4 dello Statuto dei Lavoratori “controllo a distanza”.
Con tale puntualizzazione, Telecom ha annunciato che, vista la probabile assenza di strumenti legislativi che consentano il ricorso alla “solidarietà espansiva”, il piano d’impresa presentato dall’azienda subisce un duro contraccolpo che ne altera sensibilmente i conti, facendo aumentare in maniera significativa i costi.
Per questi motivi Telecom ha deciso di confermare il processo di societarizzazione del caring, annunciando che sarà necessario intervenire con una miglior focalizzazione sui perimetri aziendali complessivi per realizzare il risparmio di costi necessario a garantire la tenuta del piano industriale.
Prima dell’operazione di cessione del ramo aziendale, confermata per ottobre p.v, l’azienda sposterebbe circa 350 risorse dal caring verso open access, mentre le altre chiusure delle sedi saranno realizzate successivamente alla cessione del ramo.
In questo modo, mentre Telecom si appresta a realizzare il più importante piano d’investimenti degli ultimi decenni, la partita aperta nei confronti del Governo sui modi con cui il Paese pensa di incentivare lo sviluppo delle reti di nuova generazione la rende ingiustificatamente isolata rispetto alle scelte politiche, con i vertici aziendali che decidono, per l’ennesima volta, di scaricare tutte le contraddizioni sul proprio personale.
Se è vero che scelte ostili da parte del Governo potrebbero davvero pregiudicare il futuro di Telecom, l’esigenza di trovare una soluzione equilibrata e condivisa dal proprio personale dovrebbe rappresentare la vera priorità aziendale per salvaguardare una delle poche grandi aziende ancora presenti in Italia e rilanciare i temi dello sviluppo e della crescita.
Contrariamente a quanto realizzato con le intese del 27 marzo 2013, in cui le parti hanno condiviso percorsi per il rilancio aziendale, la società persevera nell’utilizzare il ricatto per piegare i dipendenti ad accettare condizioni sempre più pesanti e inaccettabili.
In questo modo, la minaccia della societarizzazione diventa lo strumento buono in ogni occasione per ricattare i lavoratori e le loro rappresentanze, dopo che per mesi l’azienda ha inviato i propri dirigenti a comunicare ai dipendenti, alla comunità finanziaria e alla stampa che Telecom avrebbe cambiato passo con l’obbiettivo di assumere 4000 nuovi giovani per rilanciare e motivare tutto il personale aziendale.
Inoltre, pur non essendo stato conseguito il Premio di Risultato per due anni consecutivi, su cui l’azienda aveva fornito nel mese di settembre ampie rassicurazioni, si continua a distribuire premi unilaterali sulla base di risultati non trasparenti e spesso legati ai rapporti personali.
In questo stesso periodo nonostante i lavoratori abbiano accettato importanti incrementi di produttività per contribuire al rilancio complessivo, vedi il caso di open access, si continua ad assistere a disorganizzazioni che sono colmate solo dal lavoro dei tecnici, spesso obbligati a passare la gran parte del loro tempo in spostamenti in macchina.
E’ evidente che tale stato di relazioni industriali, paralizzato dalla bocciatura dell’ipotesi di accordo sottoscritta il 18 dicembre, non può e non deve proseguire.
La gravità delle affermazioni fatte da Telecom ha portato SLC a proporre a Fistel e Uilcom una mobilitazione unitaria a difesa di tutti i lavoratori, proposta rifiutata a causa della diversa chiave di lettura sul risultato del referendum con cui è stata respinta l’ipotesi di accordo.
È inaccettabile aprire una nuova fase di confronto dettata dallo strumento del ricatto e della minaccia, mutuando modelli relazionali che nel settore delle TLC non hanno mai avuto fortuna.
Per questi motivi, la Segreteria Nazionale, unitamente ai propri componenti del coordinamento delle RSU, ha deciso di proclamare una prima giornata di
sciopero
di tutto il personale dell’azienda Telecom Italia per il giorno
30 giugno 2015
per l’intero turno di lavoro
salvaguardando i presidi previsti dalla legge 146/90 e successive modificazioni
La giornata di lotta, che sarà accompagnata da presidi regionali da realizzarsi presso le città capoluogo, è proclamata per aprire un confronto con l’azienda con i seguenti obiettivi:
Conferma degli attuali perimetri aziendali e di gruppo con la previsione di non avviare processi di societarizzazione di attività oggi ricomprese all’interno dell’azienda;
Riorganizzazione del caring attraverso investimenti in hardware, software e procedure per consentire un incremento della produttività di sistema e lo sviluppo di una nuova customer experience in grado di consentire anche il ritorno in Italia delle lavorazioni oggi gestite all’estero;
Riorganizzazione di Open Access per affrontare l’incremento dello sviluppo delle reti di nuova generazione e intervenire sulle attuali disorganizzazioni che producono inefficienze intollerabili;
Riconoscimento delle professionalità acquisite attraverso il principio che a parità di attività svolta debba corrispondere una parità di inquadramento;
Definizione del Premio di Risultato che garantisca, rispetto ai migliori risultati conseguiti dall’azienda, un ritorno economico certo per i lavoratori sostituendo le politiche di incentivazione individuali oggi presenti che non generano incrementi di produttività ma determinano storture e inefficienze facilmente riscontrabili;
Riorganizzazione delle Aree di Vendita, prevedendo anche la rimodulazione delle offerte soprattutto in funzione della vendita di nuovi contenuti, vero ambito di sfida dei prossimi anni per invertire la continua caduta dei ricavi domestici (5 miliardi di euro in meno dal 2011 a oggi);
Sviluppo e prospettive del Tilab;
Definizione di una strategia chiara sulle azioni da adottare nelle aree di staff per assicurarne il futuro;
Dopo anni di sacrifici e rinunce, in Telecom è ora di cambiare verso.
Il futuro dipenderà anche da te, non lasciare che le decisioni le prendano al tuo posto, partecipa allo sciopero e alle iniziative della SLC CGIL.
La Segreteria Nazionale di SLC-CGIL

07 giugno 2015

Licenziamenti Telecolor, attesa risposta da Regione

http://catania.meridionews.it
Primi giorni senza lavoro per 17 dipendenti ormai ex Telecolor. Fallita la mediazione tentata dai rappresentanti sindacali con la proprietà Ciancio, i licenziamenti sono scattati da lunedì. Come anticipato a MeridioNews, Cigl e Cisl hanno coinvolto anche le istituzioni regionali nella vicenda. Una formale richiesta di incontro è stata inviata all'assessore regionale alla Famiglia e alle Politiche sociali Bruno Caruso. La risposta, da Palermo, è attesa per la prossima settimana, un primo incontro è fissato per lunedì, mentre le sigle sindacali hanno già in mente di organizzare una manifestazione di protesta.

«Non so che devo fare del mio futuro, mi vedo in mezzo alla strada», dice Filippo Milazzo. Cinquantacinquenne, separato, una figlia da mantenere. Il suo nome è nella lista dei licenziati: «Ho lavorato a Telecolor per 37 anni. Ho fatto il cameraman, il regista, il montatore. Ho ideato e portato avanti programmi di successo come Playa Bonita». Messo fuori dall'emittente catanese, dice: «Ho la certezza che non potrò più fare il mio mestiere, non a Catania. Ho anche un'età che rende difficile essere assunto per qualsiasi altra occupazione. Così, non mi resterà che lavorare in nero o andare a rubare».

I dipendenti di Telecolor vivono da anni la paura del licenziamento. Milazzo, che è pure rappresentante sindacale, racconta: «Abbiamo fatto ogni sacrificio pur di mantenere il lavoro. Io mi sono anche ammalato a causa dello stress». Nell'ultima riunione, secondo i sindacati presenti, la proprietà Ciancio è stata categorica sulla linea dei licenziamenti: «Avevamo fatto i calcoli. A costo zero l'azienda avrebbe potuto salvare sette dipendenti, accompagnandoli alla pensione. Altri quattro sarebbe stato possibile impiegarli part-time. Ogni proposta avanzata è stata però rifiutata. Hanno licenziato anche un tecnico a cui mancavano circa due mesi alla pensione».

È tanta l'amarezza che l'ex Telecolor trasmette. In particolare per tre ragioni. «L'emittente ha sempre avuto al suo interno grandi professionalità - spiega - che però, da quando la proprietà è passata ai Ciancio, non sono mai state stimate né valorizzate adeguatamente». Inoltre, continua Milazzo, «mi sa di presa in giro motivare i licenziamenti con la crisi economica mentre, sui giornali, si legge di 52 milioni in Svizzera riconducibili a Mario Ciancio». Ultimo motivo:  «Mi ha davvero ferito che il comunicato sui nostri licenziamenti sia stato letto al telegiornale di Telecolor senza che i giornalisti esprimessero un briciolo di solidarietà verso i loro amici e colleghi». «Sono le stesse persone alle quali, quando giovanissimi entrarono in azienda, abbiamo insegnato il mestiere», ricorda Milazzo. Vicinanza è stata invece mostrata da «Walter Rizzo, Nicola Savoca e dagli altri giornalisti (licenziati nel 2006, ndr) che di recente hanno visto confermata in Cassazione la sentenza di reintegro nell'azienda. Loro mi hanno chiamato. Gli altri no, forse per paura».

L'ultima speranza di riavere il lavoro passa dalle istituzioni. «Abbiamo chiesto all'assessore Bruno Caruso di mediare con l'emittente per aprire una trattativa. Anche se non otterremo nulla, combatteremo fino in fondo», dice l'ex lavoratore. E conclude, parlando dello stato di salute e del futuro dell'azienda: «Sono rimasti ormai solo quattro dipendenti. Telecolor è già morta - si rammarica Filippo Milazzo -, ma non in maniera naturale. È stata distrutta dalla gestione dei Ciancio».