Botta e risposta tra Ministero e Cgil sulla norma con cui il governo, nell’ultimo decreto sul Jobs Act, quello relativo alla semplificazione, ha modificato le modalità per l'accesso ai controlli su computer cellulari e tablet dei lavoratori. Uno «spionaggio contro i lavoratori» che in letteratura «abbiamo sempre definito come il Grande Fratello», lo definisce la leader della Cgil, Susanna Camusso. «Una norma in linea con il Garante della Privacy», replica il Ministero del Lavoro in una nota esplicativa. «Se uno viene autorizzato a entrare nei mezzi di comunicazione che usano le persone è difficile non definirlo un Grande Fratello», ha detto il segretario Cgil. Una mossa quella del governo per la Cgil «inaspettata» e che «per tante ragioni profila un abuso rispetto alle norme di diritto che esistono sulla privacy delle persone».
Ministero: «In linea con Garante»
Ma il ministero del Lavoro, attraverso una nota, fa sapere che la norma sui controlli a distanza contenuta nel decreto attuativo del Jobs act non prevede alcuna liberalizzazione ed è «in linea con le indicazioni del Garante della Privacy». La norma, spiega la nota, «adegua la normativa contenuta nello Statuto dei lavoratori alle innovazioni tecnologiche». «La modifica all’articolo 4 dello Statuto chiarisce poi che non possono essere considerati “strumenti di controllo a distanza” gli strumenti che vengono assegnati al lavoratore “per rendere la prestazione lavorativa” (una volta si sarebbero chiamati gli “attrezzi di lavoro”), come pc, tablet e cellulari - spiega il mninistero guidato da Giuliano Poletti - In tal modo, viene fugato ogni dubbio - per quanto teorico - circa la necessità del previo accordo sindacale anche per la consegna di tali strumenti». «Perciò - prosegue - è bene ribadirlo, non si autorizza nessun controllo a distanza; piuttosto, si chiariscono solo le modalità per l’utilizzo degli strumenti tecnologici impiegati per la prestazione lavorativa ed i limiti di utilizzabilità dei dati raccolti con questi strumenti». Secondo il ministero, in conclusione, le nuove norme impongono «per quanto più specificamente riguarda gli strumenti di lavoro, che venga data al lavoratore adeguata informazione circa le modalità di effettuazione dei controlli, che, comunque, non potranno mai avvenire in contrasto con quanto previsto dal Codice privacy. Qualora il lavoratore non sia adeguatamente informato dell'esistenza e delle modalità d'uso delle apparecchiature di controllo e delle modalità di effettuazione dei controlli - è la conclusione - dal nuovo articolo 4 discende che i dati raccolti non sono utilizzabili a nessun fine, nemmeno a fini disciplinari».
Sindacati pronti alla battaglia
La Cgil, in ogni caso, valuterà ora il da farsi: dalla pressione sulle commissioni parlamentari che dovranno valutare la delega fino alla possibilità di fare ricorsi anche alla corte di giustizia europea. Ma soprattutto il sindacato si appresta a continuare la mobilitazione e la contrattazione.«È una norma molto preoccupante - ha spiegato Camusso - ricorda la discussione sui sistemi di controllo americani sui singoli Stati che non i temi del lavoro». La segretaria generale della Cgil, poi, ha ribadito che «siamo di fronte a un’idea della vita delle persone davvero sconvolgente». «Non si capisce perché si è avuto bisogno di inserire un modello di questo tipo se non per dare un messaggio alle persone che non sono libere ma anzi controllate». Questa norma «non va bene» e «deve essere cambiata», afferma il leader della Cisl Annamaria Furlan assicurando che «ci faremo ascoltare anche nelle Commissioni parlamentari». Sulla stessa linea la Uil, con il segretario confederale Guglielmo Loy: «Agiremo nelle sedi opportune per chiedere il cambiamento di questo provvedimento». E attacca: «Non si capisce perché, ancora una volta, la deregolamentazione debba avvenire a vantaggio della sola impresa».
Le nuove disposizioni
Le nuove norme contestate sono contenute in uno degli ultimi quattro decreti legislativi - quello sulla razionalizzazione e semplificazione di procedure e adempimenti a carico di cittadini e imprese e altre disposizioni sul rapporto di lavoro - che, dopo il primo via libera del Consiglio dei ministri di giovedì scorso, è stato assegnato (insieme agli altri tre su cig, Agenzia ispettiva e Agenzia politiche attive) alle commissioni competenti di Camera e Senato (Lavoro e Bilancio) che entro il 16 luglio dovranno esprimere il parere obbligatorio ma non vincolante. Per poi tornare in Cdm per l'ok definitivo. Secondo le nuove previsioni le aziende potranno controllare computer, tablet e cellulari, così come i badge dei lavoratori senza che sia necessario un accordo sindacale o un’autorizzazione del ministero. Per il controllo sugli “strumenti” di lavoro messi a disposizione dalle imprese e su quelli per la «registrazione degli accessi e delle presenze» basterà quindi informare i lavoratori e rispettarne comunque la privacy. Cambia così, con un altro dei decreti attuativi del Jobs act, la disciplina dei controlli a distanza, che riscrive lo Statuto dei lavoratori del 1970 (dopo articolo 18 e mansioni).
Nello Statuto dei lavoratori si vieta l’uso di «impianti audiovisivi e di altre apparecchiature» per i controlli a distanza e, per le esigenze organizzative, produttive o di sicurezza del lavoro, si rimanda in ogni caso ad un accordo sindacale aziendale, con le Rsa. «L’accordo sindacale o l’autorizzazione ministeriale non sono necessari per l'assegnazione ai lavoratori degli strumenti utilizzati per rendere la prestazione lavorativa, pur se dagli stessi derivi anche la possibilità di un controllo a distanza del lavoratore», si legge nella relazione illustrativa che accompagna lo schema di dlgs. Diversa, invece, la previsione per gli impianti audiovisivi e gli altri strumenti dai quali - come si legge nel testo che all’articolo 23 riscrive l’articolo 4 dello Statuto dei lavoratori - derivi anche la possibilità di controllo a distanza dei lavoratori, che «possono essere impiegati esclusivamente per esigenze organizzative e produttive, per la sicurezza del lavoro e per la tutela del patrimonio aziendale e possono essere installati previo accordo» sindacale con le Rsu o Rsa. In assenza dell'accordo, invece, serve l'autorizzazione della Direzione territoriale del lavoro o, nel secondo caso, del ministero del Lavoro. Questa disposizione, come prosegue la nuova norma, tuttavia, «non si applica agli strumenti utilizzati dal lavoratore per rendere la prestazione lavorativa e agli strumenti di registrazione degli accessi e delle presenze». E i dati raccolti possono essere utilizzati «a tutti i fini connessi al rapporto di lavoro, a condizione che sia data al lavoratore adeguata informazione delle modalità d’uso degli strumenti e di effettuazione dei controlli» sempre «nel rispetto» del Codice sulla privacy.
Di seguito pubblichiamo una prima valutazione dei decreti attuativi approvati dal Consiglio dei ministri dello scorso 11 giugno a cura dell'Area contrattazione - Mercato del Lavoro della Cgil nazionale.
L'approvazione da parte del Consiglio dei ministri dello scorso 11 giugno degli ultimi quattro decreti attuativi del Jobs Act, rafforza la filosofia e la strategia che fino ad ora hanno guidato il Governo nella costruzione dei provvedimenti di riforma del mercato del lavoro. Si confermano scelte in favore della deregolamentazione a scapito dei diritti di chi lavora, si ribadiscono le forti divisioni e differenziazioni nel mondo del lavoro, sia sui contratti che sulle tutele, e si aumenta di nuovo il potere delle imprese senza elementi di riequilibrio in favore del lavoro.
Dietro i termini “innovazione e semplificazione” c’è un’idea vecchia del lavoro senza qualità e con una riduzione degli spazi di contrattazione che lo rende più povero e più debole. I lavoratori occupati, così come quelli in sospensione da lavoro o disoccupati, compiono un notevole passo indietro rispetto all'essere portatori di diritti universali.
In particolare, sui contratti di collaborazione si conferma la loro parziale soppressione, lasciando attive molte soluzioni capaci di aggirare le disposizioni.
Si alimenta ulteriormente la possibilità per tutte le attività di ricorrere all'uso dei voucher, ampliando la soglia dell'importo per lavoratore da 5.000 a 7.000 euro e confermandone un uso che dal 2008 al 2014 ha registrato un aumento quasi del 4.000%, raggiungendo la soglia nello scorso anno di oltre 1 milione di contratti con una media annua di reddito inferiore ai 500 euro.
Con il riordino del contratto di apprendistato di I e III livello si va a confermare la scelta sbagliata della precocità di accesso a 15 anni, si cede il passo per la certificazione degli apprendimenti alle imprese in favore di un sistema duale di bassa qualità della formazione e di lavoro debole.
Sui contratti a termine si conferma il venir meno del diritto del lavoratore a ricevere una formazione sufficiente e adeguata alle caratteristiche delle mansioni oggetto del contratto, fondamentale per la prevenzione sui rischi da lavoro.
Vengono peggiorate le condizioni del demansionamento, dal momento che in sede di Commissioni di Certificazione sarà possibile derogare alla norma sottoscrivendo accordi tra le parti - lavoratore e datore di lavoro - capaci di peggiorare le già punitive condizioni di norma.
In materia di ammortizzatori si interviene con una significativa riduzione dei tempi di copertura e degli strumenti a disposizione dei lavoratori. L'introduzione del meccanismo per le aziende del bonus malus, pensato quale deterrente, finirà invece col favorire i licenziamenti, visto l'aumento del costo delle contribuzioni nell'uso degli strumenti di “cassa”.
L'uso dei Fondi, previsto quale strumento per coprire le aziende da 5 dipendenti, non fa che confermare la diversità dei trattamenti per i lavoratori. Impossibile parlare quindi di un sistema universale.
Gli interventi sulla razionalizzazione e semplificazione dei rapporti di lavoro e su salute e sicurezza, rivedendo le norme sull'identificazione, contribuiranno ad alimentare la pratica del lavoro nero e a indebolire i controlli sulla sicurezza.
Sui controlli a distanza siamo di fronte ad un abuso rispetto alle norme sulla privacy, che segna un punto di forte arretramento rispetto allo Statuto dei lavoratori. Il venir meno dell'obbligatorio accordo sindacale renderà più difficile proteggere i lavoratori da indebiti usi delle informazioni da parte delle aziende.
Il nuovo Ispettorato del lavoro, così come è stato concepito nella sua unicità, se non sorretto da opportuni finanziamenti - oggi non previsti - determinerà un progressivo svuotamento delle funzioni che garantiscono la lotta all'evasione e all'elusione contributiva.
La nuova Agenzia nazionale che si dovrà occupare delle nuove politiche attive nasce zoppa in ragione dell'indeterminatezza delle norme istituzionali che dovranno regolarla, sia per la sua attività di gestione che di programmazione. Del provvedimento va segnalata in particolare la criticità legata all'assorbimento di ISFOL e di Italia Lavoro: vanno salvaguardate le specificità di due soggetti diversi nella natura e nella missione, così come l'attuale livello occupazionale per tutti i lavoratori precari e stabili.
Infine ci domandiamo come sia possibile immaginare una risposta efficace del nuovo sistema considerando che le programmate risorse d'investimento risultano essere solo quelle che eventualmente si produrranno in ragione dei risparmi nell'uso della cassa integrazione.
Jobs Act: Cgil, una prima valutazione dei decreti attuativi
Di seguito pubblichiamo una prima valutazione dei decreti attuativi approvati dal Consiglio dei ministri dello scorso 11 giugno a cura dell'Area contrattazione - Mercato del Lavoro della Cgil nazionale.
Dietro i termini “innovazione e semplificazione” c’è un’idea vecchia del lavoro senza qualità e con una riduzione degli spazi di contrattazione che lo rende più povero e più debole. I lavoratori occupati, così come quelli in sospensione da lavoro o disoccupati, compiono un notevole passo indietro rispetto all'essere portatori di diritti universali.
Si alimenta ulteriormente la possibilità per tutte le attività di ricorrere all'uso dei voucher, ampliando la soglia dell'importo per lavoratore da 5.000 a 7.000 euro e confermandone un uso che dal 2008 al 2014 ha registrato un aumento quasi del 4.000%, raggiungendo la soglia nello scorso anno di oltre 1 milione di contratti con una media annua di reddito inferiore ai 500 euro.
Sui contratti a termine si conferma il venir meno del diritto del lavoratore a ricevere una formazione sufficiente e adeguata alle caratteristiche delle mansioni oggetto del contratto, fondamentale per la prevenzione sui rischi da lavoro.
L'uso dei Fondi, previsto quale strumento per coprire le aziende da 5 dipendenti, non fa che confermare la diversità dei trattamenti per i lavoratori. Impossibile parlare quindi di un sistema universale.
Sui controlli a distanza siamo di fronte ad un abuso rispetto alle norme sulla privacy, che segna un punto di forte arretramento rispetto allo Statuto dei lavoratori. Il venir meno dell'obbligatorio accordo sindacale renderà più difficile proteggere i lavoratori da indebiti usi delle informazioni da parte delle aziende.
La nuova Agenzia nazionale che si dovrà occupare delle nuove politiche attive nasce zoppa in ragione dell'indeterminatezza delle norme istituzionali che dovranno regolarla, sia per la sua attività di gestione che di programmazione. Del provvedimento va segnalata in particolare la criticità legata all'assorbimento di ISFOL e di Italia Lavoro: vanno salvaguardate le specificità di due soggetti diversi nella natura e nella missione, così come l'attuale livello occupazionale per tutti i lavoratori precari e stabili.
Infine ci domandiamo come sia possibile immaginare una risposta efficace del nuovo sistema considerando che le programmate risorse d'investimento risultano essere solo quelle che eventualmente si produrranno in ragione dei risparmi nell'uso della cassa integrazione.