01 agosto 2011

L’OBBLIGO DI RESTARE A CASA NELLE FASCE ORARIE PER IL CONTROLLO MEDICO NON SUSSISTE NEL CASO DI ASSENZA DOVUTA AD INFORTUNIO SUL LAVORO

Elisabetta P., dipendente della S.p.A. SATAP con mansioni di addetta all’esazione dei pedaggi autostradali, si è assentata nel giugno del 1996 per sottoporsi a cure in seguito ad infortunio sul lavoro. Su richiesta dell’azienda sono state disposte due visite mediche di controllo; in entrambi i casi il sanitario incaricato, presentatosi presso il domicilio della lavoratrice nelle prescritte fasce orarie, non l’ha trovata in casa. Per il mancato reperimento, l’azienda le ha inflitto per due volte la sanzione disciplinare della sospensione, la prima di tre giorni e la seconda di cinque giorni. La lavoratrice ha impugnato le sanzioni in sede giudiziaria chiedendone l’annullamento. Sia il Pretore di Asti che, in grado di appello, il locale Tribunale hanno ritenuto illegittimi e nulli i due provvedimenti disciplinari, affermando che l’obbligo per il lavoratore di restare a casa nelle fasce orarie previste per i controlli medici è stabilito dalla legge n. 638 del 1983 solo nel caso di assenze per malattia e non per quelle dovute ad infortunio.

La Suprema Corte (Sezione Lavoro n. 1247 del 30 gennaio 2002, Pres. Sciarelli, Rel. Amoroso) ha rigettato il ricorso dell’azienda. Le norme relative alle fasce orarie di reperibilità che il lavoratore deve osservare ai fini dei controlli medici in caso di assenza (art. 5 della legge n. 638 del 1983) – ha affermato la Corte – devono interpretarsi restrittivamente, dal momento che incidono sul diritto garantito al lavoratore, quale cittadino, dall’art. 16 della Costituzione, alla libertà di movimento nel territorio dello Stato; pertanto esse riguardano solo gli accertamenti espressamente indicati dal legislatore, ossia quelli relativi a malattie ordinarie e non anche quelli sullo stato di inabilità conseguente ad infortunio sul lavoro. In materia – ha affermato la Corte – può ritenersi sussistente per il lavoratore soltanto un generico obbligo di correttezza e buona fede, che implica un atteggiamento collaborativo per rendere possibile il controllo; questo generico obbligo può anche essere meglio specificato dalla contrattazione collettiva; deve comunque escludersi l’applicabilità delle specifiche prescrizioni recate dalla legge n. 683 del 1983 in materia di reperibilità.