29 aprile 2016

Qè Call center a Paternò riduce di 90 unità il personale "per calo di volumi da riduzione di traffico"


Slc Cgil Ct: "Vergognosa la posizione delle committenti Enel Energia e Transcom di tagliare a danno della Qè"
Lo scorso 31 marzo  la società Qè Call center con sede a Paternò ha avviato la riduzione del personale per 90 unità su 275 lavoratori occupati. Qè call center, che gestisce in subappalto da Transcom la commessa Inps/inail  ed Enel energia, individua gli esuberi per calo di volumi causato da una riduzione del traffico che gestiscono le committenti.
 Circa 70 dei 90 esuberi sono sulla commessa INPS. Oggi si è svolto un incontro in sede di DTL come prevede la procedura ai sensi dell'art.4 e 24 legge 223/91 con un rinvio a giorno 5 maggio per verificare la percorribilità dei contratti di solidarietà per i lavoratori coinvolti. Per Davide Foti segretario generale  SLC CGIL Catania e Gianluca Patanè responsabile provinciale settore TLC:  "Stiamo cercando responsabilmente di garantire tutti i lavoratori del  call center Qè proponendo l'uso  dei contratti di solidarietà. Prendiamo atto della disponibilità  aziendale rispetto alle proposte sindacali ma riteniamo vergognosa la posizione delle committenti Enel Energia, e soprattutto quella di Transcom, di tagliare verso il basso i volumi di traffico a danno della Qè e dei suoi lavoratori, creando così un esubero di 70 lavoratori solo su commessa Inps. Abbiamo invitato tramite le segreterie nazionali l'amministratore delegato di Transcom nonchè Presidente di Assocontact ( ramo di Confindustria che gestisce e tutela le imprese di call center ) senza avere nessuna risposta. Ricordiamo a Transcom che il CCNL  Telecomunicazioni e  le leggi attualmente in vigore come la clausola sociale che demanda ai committenti la responsabilità sociale di imprese nella tutela del lavoro negli appalti di call center, devono essere rispettate. Ci sembra assurdo che il presidente dell'associazione datoriale dei call center crei esuberi ai suoi subappaltanti, dimenticandosi di applicare nelle sue aziende del Catanese il contratto di cui lui è garante. Chiederemo agli organi istituzionali competenti un intervento urgente e mirato che ripristini leggi e regole, non accetteremo senza lottare i licenziamenti".



28 aprile 2016

Accesso abusivo alla posta elettronica del lavoratore: è reato se protetta da password

La casella di posta elettronica è uno spazio di memoria di un sistema informatico destinato a contenere messaggi, immagini, files e altri dati. Di conseguenza l’accesso a questo spazio concreta un accesso al sistema informatico di cui la casella è porzione. Se tale porzione di memoria è protetta da una password ogni intrusione concreta l’elemento materiale del reato di accesso abusivo a sistema informatico. Lo ha sancito la Corte di Cassazione con la sentenza n. 13057/2016, confermando la condanna emessa nei confronti di un responsabile del servizio “entrato” nella casella di posta elettronica, protetta da password, di un dipendente.
La casella di posta elettronica aziendale fa parte di un sistema informatico e ad essa si applicano le tutele previste per il cd. "domicilio informatico". Pertanto, gli accessi non autorizzati integrano il reato di accesso abusivo a sistema informatico di cui all’articolo art. 615-ter c.p..
Lo ha sancito la Corte di Cassazione con la sentenza n. 13057/2016 confermando la condanna emessa dalla Corte di Appello nei confronti di un responsabile del servizio (nel caso un responsabile dell’ufficio di Polizia Provinciale) che era “entrato” nella casella di posta elettronica –protetta da password - di un dipendente, prendendo visione di alcuni documenti e scaricandone altri.

Il ricorrente ha difeso il proprio operato affermando l’inesistenza di un “sistema” vero e proprio coincidente con la posta elettronica, rappresentando questa una “entità” estranea alla lettera dell’articolo 615-ter del Codice Penale. Ne consegue che la casella di posta elettronica non rappresenterebbe, secondo il ricorrente il “domicilio informatico” tutelato dalla legge essedo essa solo un contenitore.

Cassazione: il rifiuto del lavoratore di trasferirsi equivale alle dimissioni

La Cassazione, in due recenti pronunce – la Cass. Civ., Sez. Lav., 15.3.2016, n. 5056 e la Cass. Civ., Sez. Lav., 31.03.2015 n. 6225 - è tornata ad affrontare la tematica vertente sulle conseguenze connesse all'inottemperanza del lavoratore all'ordine disposto dal datore di lavoro di modifica del luogo di adempimento della prestazione lavorativa ("trasferimento").
Le due sentenze si differenziano in termini di conseguenze specifiche ma partono dal medesimo presupposto principio secondo il quale la determinazione del luogo della prestazione lavorativa rientra nella potestà organizzativa datoriale e incontra un limite solo nelle previsioni dettate in materia di trasferimento del lavoratore (cfr. tra le più recenti Cass. Civ. n. 23110 del 2010) giungendo, la Cass. Civ., Sez. Lav., 15.3.2016, n. 5056, ad affermare la legittimità del licenziamento disciplinare del lavoratore sottrattosi alla direttiva di tornare a prestare l'attività lavorativa presso i locali aziendali anziché presso il proprio domicilio, nonostante la precedente decisione di disporre il cd. "lavoro a domicilio" fosse stata presa dal datore nell'ambito di proprie esigenze produttive ed organizzative, in quanto non sarebbe possibile ravvisare un'autonoma unità produttiva presso il domicilio del dipendente, ove al massimo è possibile rinvenire una cd. "dipendenza aziendale" rilevante ai fini di cui all'art. 413 c.p.c.
Ancor più interessante la Cass. Civ., Sez. Lav., 31.03.2015 n. 6225, in quanto investe la problematica particolarmente dibattuta (e mai, in verità, definitivamente risolta) delle cd. "dimissioni orali" o "dimissioni tacite" o "dimissioni per fatti concludenti" del lavoratore affermando come il diniego del lavoratore di trasferirsi presso altra struttura lavorativa equivale all'ipotesi di dimissioni volontarie dal posto di lavoro.
Anche in questo caso la S.C. parte dalla presupposta accertata legittimità del trasferimento - risultato giustificato da ragioni tecniche, organizzative e produttive, così come richiesto dall'art. 13, L. 300/1970 – in una fattispecie nella quale il lavoratore si è poi rifiutato di assumere servizio presso la nuova sede, giungendo alla conclusione che ciò sarebbe indicativo della manifestata (tacita, aggiungiamo noi) volontà del lavoratore di non voler più fornire la propria prestazione lavorativa.
Il passaggio motivo rilevante di tale statuizione, però, risiede nella circostanza che tale rifiuto escluderebbe qualsivoglia ipotesi di licenziamento orale implicando le dimissioni del dipendente stante una condotta tale da risultare equiparabile ad un atto di recesso dal contratto di lavoro.
Questo in quanto, secondo la S.C. "E' consolidato l'orientamento, per il quale, nell'ipotesi di controversia in ordine al quomodo della risoluzione del rapporto (licenziamento orale o dimissioni), si impone un'indagine accurata da parte del Giudice di merito, che tenga adeguato conto del complesso delle risultanze istruttorie (cfr., fra le altre, Cass. 20 maggio 2005, n. 10651)" che, nella fattispecie in esame, sarebbero indicative della volontà di non voler più garantire la prestazione lavorativa.
Va però sottolineato come la ricostruzione in ultimo data sarebbe interessante e conforme ai precedenti orientamenti ove si fosse limitata ad affermare l'esclusione, in determinate condotte datoriali, dei requisiti richiesti affinchè si rinvenga il "licenziamento orale", mentre si pone in aperto contrasto nei passaggi successivi con il principio secondo il quale il datore di lavoro non può presumere, dal comportamento del dipendente assente per più giorni dal posto di lavoro, la sua volontà di dimettersi.
Infatti è stato sinora pacificamente affermato (tra le tante la più recente Cass. Civ. sez. Lav. sent. 21.01.2015, n. 1025) che, in caso di prolungata assenza del lavoratore, e quindi di suo rifiuto a prestare l'attività lavorativa, il datore non può procedere alla risoluzione del contratto di lavoro ritenendo il prestatore dimissionario, ma deve provvedere sempre e comunque ad attivare il procedimento disciplinare che potrà portare, questa volta legittimamente, al licenziamento disciplinare per assenza ingiustificata (ossia per "giustificato motivo soggettivo" o "giusta causa", a seconda della gravità dei fatti).
Risultato: prima dell'espulsione è necessario procedere all'iter previsto dallo statuto dei lavoratori, con l'applicazione di tutte le garanzie in favore del lavoratore, ivi compresa la contestazione scritta e la comunicazione di licenziamento anch'essa scritta. Diversamente, il provvedimento è illegittimo.
Questo perché, sempre secondo la pronuncia in ultimo annotata, il datore non può rinvenire nell'assenza del lavoratore e nel suo rifiuto a svolgere la prestazione un caso di "dimissioni per fatti concludenti" prevedendo, la normativa, solo due forme di recesso dal contratto di lavoro: il licenziamento da parte del datore, anche di tipo disciplinare; le dimissioni dietro espressa volontà del lavoratore.
Non essendo possibile introdurre, nel nostro diritto del lavoro, un terzo genere di cessazione del rapporto, ossia per "fatti concludenti".
Considerandosi come la Cass. Civ., Sez. Lav., 31.03.2015 n. 6225 rinvii alla Corte di Appello la decisione, con applicazione dei principi di diritto in essa disposti, sarà ora interessante annotare come la Corte territoriale riuscirà ad uniformarsi a tali disposti dettami, soprattutto relativi alla distribuzione dell'onere probatorio tipico della disciplina delimitante i licenziamenti, senza incorrere in contrasto con l'orientamento precedente.

Avv. Riccardo Carlone

Tlc: Comunicato unitario Almaviva Contact

Il 26 aprile 2016, è ripreso il confronto con i vertici dell’azienda a seguito del verbale d’incontro definito dal Ministero dello Sviluppo Economico che indicava alle parti una soluzione atta a revocare i licenziamenti e utilizzare un nuovo periodo di contratto di solidarietà sino alla fine del prossimo mese di novembre.
L’azienda, in apertura, ha manifestato la volontà di aderire alle proposte del Governo con il solo intento di “comprare” tempo per consentire all’esecutivo di intervenire con soluzioni che modifichino le condizioni di mercato, considerate da tutti il vero problema della crisi del settore.
In tale ambito, la decisione di prorogare il contratto di solidarietà sino a novembre non rappresenterebbe la soluzione alle problematiche che hanno portato l’azienda ad aprire le procedure di licenziamento, ma una opportunità per evitare il ricorso ai licenziamenti, rinviando, eventualmente, tale decisione a valle degli interventi proposti dal Governo per il riordino del settore.
Per raggiungere questo obiettivo, in linea con i contenuti del verbale d’incontro del Ministero, l’azienda ha proposto di sottoscrivere un nuovo accordo con i seguenti contenuti:
* Revoca della procedura di licenziamento avviata in data 21 marzo 2016;
* Definizione di un nuovo accordo di solidarietà, in continuità a quello esistente agganciato alla procedura aperta e chiusa nel mese di dicembre 2015 con percentuali massime per Rende 3%, Catania 7%, Milano 13%, Napoli 35%, Palermo e Roma 45%.
* La programmazione della solidarietà sarà effettuata ogni 15 giorni, con piano mensile e rimodulazione a metà mese;
* La programmazione sarà verticale per il personale PT a 4 ore e a tempo pieno, mista (verticale e/o orizzontale) per il personale PT a 5/6 ore;
* L’azienda, in continuità a quanto previsto dall’accordo vigente, garantirà un’integrazione economica pari all’80% della retribuzione per la quota parte di solidarietà che ecceda il 25%; analogamente l’azienda nel programmare la solidarietà garantirà che il reddito del singolo lavoratore garantisca il mantenimento degli 80 euro del “bonus Renzi”;
* L’azienda garantirà l’anticipo dell’integrazione economica (pari al 50%) a condizione che le istituzioni completino le procedure di rimborso entro i due mesi successivi al trimestre in esame (esempio: trimestre gennaio, febbraio, marzo l’azienda anticipa l’integrazione sino a maggio, se entro tale mese non riceverà il rimborso dall’Inps sospenderà l’anticipazione).
Sulla base di questi contenuti si è, inoltre, dichiarata disponibile a accettare domande di trasferimento del personale da sedi con più alta solidarietà a sedi con solidarietà minore e valutare, se la normativa lo consentisse, di accompagnare la solidarietà con una mobilità volontaria, cosi come su una più puntuale programmazione della formazione.
Le OO.SS, pur individuando alcuni ambiti di criticità, vedi la solidarietà orizzontale per il personale PT a 5/6 ore e una incertezza sul mantenimento dei contratti e dei volumi sugli attuali siti, tematiche che dovranno essere affrontate all’atto della ripresa del confronto, hanno deciso, vista la estrema complessità della vertenza, di sospendere la trattativa e procedere alla consultazione dei lavoratori.
Infatti, l’accordo non risolve i problemi strutturali del settore che sono stati sollevati dalle lavoratrici e dai lavoratori di Almaviva, però consentirebbe di guadagnare 6 mesi di tempo per consentire al tavolo di crisi nazionale, istituito preso il Ministero dello Sviluppo Economico, di incidere sulle cause che determinano le ripetute crisi aziendali, anche attraverso i tavoli di monitoraggio che verranno istituiti, compreso quello specifico per Almaviva Contact.
Tale opportunità è necessario che sia condivisa dall’insieme dei lavoratori, per diffondere la consapevolezza che non siamo alla presenza di una soluzione strutturale ma che la vertenza dovrà continuare per scongiurare definitivamente il rischio dei licenziamenti.
Per questo entro il 3 maggio p.v. andranno proclamate le assemblee dei lavoratori di ogni sito che dovranno esprimersi, con voto certificato, sui contenuti del possibile accordo riportati nel presente comunicato.

LE SEGRETERIE NAZIONALI SLC-CGIL FISTEL-CISL UILCOM-UIL

14 aprile 2016

Comunicato stampa -Vertenza Almaviva, si prende tempo dopo riunione al Mise...

Foti (Slc): "Solo strategie: a fronte di sacrifici, si ripaghino i lavoratori con le garanzie"
Si è tenuto ieri il "faccia a faccia " al Mise per la delicata procedura di licenziamento aperta da AlmavivA a carico di circa 3000 lavoratori del gruppo delle sedi di Palermo, Napoli e Roma. Procedura che preoccupa ovviamente anche i lavoratori di Catania.
Il Governo, in questo caso rappresentato dal sottosegretario alle attività produttive On. Teresa Bellanova, ha chiesto all'azienda di revocare i licenziamenti e di cercare un' intesa sindacale per prendere tempo in attesa di intervenire su alcune regole per il settore call center. Si tratta di norme mirate alle gare al massimo ribasso messe in campo dalle committenti pubbliche e private e soprattutto per ricercare la corretta applicazione dell'art 24bis ad oggi di fatto inapplicato che non ha bloccato l'emoraggia di lavoro verso paesi esteri.
La Cgil al tavolo ha ribadito con forza che il grido di allarme lanciato qualche anno fa ed inascoltato dal governo, oggi rischia di creare migliaia di disoccupati in un settore giovane ed ad alta intensità di lavoro femminile nonché ha chiesto con forza interventi mirati ad una regolarizzazione delle gare di appalto ed ad una normativa sulla gestione della qualità del servizio tramite interventi dell'AgCom.
Per Davide Foti, segretario generale Slc Cgil Catania, "questa ennesima perdita di tempo, ovviamente a carico dei lavoratori, ci appare come una strategia che miri a fare trascorrere il periodo elettorale legato al voto amministrativo di Milano e Roma. Tutti i lavoratori ALmavivA sono stanchi ed in profonda crisi economica causa da anni di ammortizzatori sociali. Se un ' intesa bisogna trovare deve essere fatta su indicazione concrete e di reale cambiamento delle regole per tutto il settore. Questo Governo non può permettere alle committenti statali come Poste ed Enel e a quelle private come Teecom, Vodafone, Wind, ecc, di fare margine di guadagno sulla pelle di migliaia di lavoratori dei call center. L'immobilismo politico nei confronti di queste lobby finanziarie denota una subdola posizione del Governo . Ricordiamo che tutta la committenza del settore servizi lavora su concessioni Governative, ossia su concessioni dirette dello Stato. Per questo sembra paradossale che da un lato lo Stato, una volta assegnati il servizio diretto, e dall'altro non possa intervenire sulle gare garantendo l'applicazione del contratto collettivo nazionale di lavoro. Come Slc Cgil di Catania non faremo sconti a nessuno, se si chiedono sacrifici ai lavoratori bisogna garantire agli stessi la propria salvaguardia non solo economica ma anche psicofisica. Ovviamente ci presenteremo a Roma il prossimo mercoledì alla ricerca di soluzioni condivise e con il giusto equilibrio sindacale soprattutto in riferimento di un eventuale applicazione di un ammortizzatore sociale".
Intanto, Almaviva ha preso in considerazione specificando che l'attesa potrà essere colmata solo attraverso ammortizzatori sociali in deroga. Almaviva ha anche convocato le parti sociali per il prossimo lunedì, fissando un incontro indirizzato ad un possibile accordo sugli ammortizzatori sociali.

L'incontro al Mise è stato spostato al prossimo mercoledì.

Call center: tavolo Almaviva, Governo non adotta regole per settore



13 aprile 2016
Si è tenuto oggi il tavolo sulla più grave crisi che attraversa il paese con i 3000 licenziamenti annunciati dal Gruppo Almaviva. In contemporanea, e per tutta la giornata, lo sciopero, con altissime adesioni dei lavoratori del Gruppo.
“Azienda, sindacati e istituzioni locali presenti hanno sottolineato come la crisi di Almaviva non sia una crisi aziendale ma sistemica, addebitabile ad un’assenza di regole con cui si è proceduto in questi anni – dichiara Michele Azzola, segretario nazionale Slc Cgil.  Abbiamo evidenziato al governo come sia necessaria una piena applicazione delle clausole sociali da parte delle imprese pubbliche quali Poste ed Enel per le gare effettuate nei mesi scorsi, una puntuale applicazioni delle leggi sulle delocalizzazioni delle attività e un intervento che fissi gli standard minimi di qualità del servizio che un call center debba garantire ai cittadini italiani.”
“Abbiamo chiesto al governo precisi pronunciamenti su quali siano le politiche che intende adottare per il settore perché le scelte che oggi si stanno concretizzando sono figlie degli errori delle politiche degli anni scorsi. Abbiamo chiesto al governo di compiere una scelta netta: se schierarsi con i lavoratori e i cittadini/clienti dei servizi di call center  o continuare a proteggere gli errori commessi dagli uffici acquisti delle grosse imprese pubbliche e private.”
“La risposta del governo è stata duplice – prosegue il sindacalista: da un lato assoluta mancanza di volontà nell’individuare regole per il settore che fermino le crisi in corso e aprano nuove prospettive industriali. Dall’altro la richiesta di revocare la procedura di licenziamento indirizzata all’azienda utilizzando gli ammortizzatori in deroga previsti dalla legislazione. L’azienda  si è riservata di dare una risposta definitiva nelle prossime 48 ore.”
“Il timore è che gli interventi che si stanno adottando siano più indirizzati a superare il periodo elettorale che a risolvere le crisi in atto. Infatti l’annunciata sospensione delle procedure di Gepin, al tavolo di ieri, si è risolta con uno spostamento della fine della procedura dal 10 al 31 maggio, data ultima per scavallare le tornate elettorali di Napoli e Roma.”
“Slc Cgil si è dichiarata indisponibile a sottoscrivere accordi che applichino alle soli sedi di Napoli Palermo e Roma gli ammortizzatori sociali, confermando così gli esuberi dichiarati dall’azienda, e riaffermando che la volontà di allungare il tempo a disposizione si possa realizzare solo attraverso il mantenimento dell’attuale perimetro dell’azienda e la conferma sulla volontà di non procedere a delocalizzare attività all’estero.”
“Siamo preoccupati per la strada che hanno preso le vertenze di Gepin e Almaviva che rischiano di trasformarsi in una lunga agonia in cui accompagnare fuori dal mercato del lavoro le migliaia di lavoratori coinvolti.

“Il 18 aprile riprenderà il tavolo generale sui call center, mentre il 20 è riconvocato il tavolo Almaviva. In quelle due date sarà necessario avere chiarezza su quali siano le reali intenzioni del governo sul settore – conclude Azzola. Se si è deciso di sacrificare migliaia di lavoratori del settore e i cittadini clienti dei call center sull’altare della grossa committenza italiana, scegliendo per l’ennesima volta le lobbies delle imprese forti in questo paese, il governo ha il dovere di dichiararlo.”

Segreteria Nazionale SLC-CGIL

04 aprile 2016

Almaviva: Azzola (Slc Cgil), senza intervento del governo non sono possibili alternative ai licenziamenti

Si è concluso il primo incontro previsto dalla procedura di legge sui 3000 licenziamenti avviati dalla società Almaviva. Le parti hanno effettuato una lunga analisi delle condizioni di mercato, che renderebbero impossibile trovare alternative ai licenziamenti che l’azienda ritiene irreversibili.

Michele Azzola, segretario nazionale Slc Cgil, ha invitato Almaviva  ad evitare una drammatizzazione della situazione che renderebbe ingovernabile la tensione sociale nelle tre città interessate (Roma, Napoli, Palermo), e ad accettare un confronto in sede ministeriale per individuare gli interventi necessari a modificare le attuali condizioni di mercato e rendendo possibile il ritiro dei licenziamenti.

“Interventi su articolo 24 bis per le delocalizzazioni, un contrasto a gare assegnate a prezzi non sostenibili, la piena applicazione delle clausole sociali anche da parte di imprese governate dallo stato (Poste ed Enel), nonché un intervento sulla qualità del servizio da erogare ai cittadini italiani sono la parole chiave – ha dichiarato Azzola - per contribuire al riassorbimento di tutti gli esuberi, migliorando nel contempo la qualità del customer care, oggi appesantita dalle condizioni del mercato.

“Tali strumenti sono agibili solo qualora il Governo decida di sviluppare una reale politica di settore, nell’interesse dei cittadini/clienti e dei lavoratori, mettendo fine allo scempio operato dagli uffici commerciali delle grandi ditte appaltatrici più interessati alle politiche retributive personali che agli impatti sociali e alla qualità del servizio.”

“Almaviva, accettando l’invito a rinunciare all’irreversibilità del processo, ha ribadito che parteciperebbe convintamente ad un incontro in sede istituzionale, in cui  tutte le parti contribuissero fattivamente a individuare soluzioni per consentire prospettive di medio-lungo periodo.”


“Per questi motivi i sindacati hanno inviato unitariamente una richiesta d’incontro al Mise, affinchè convochi immediatamente il tavolo di confronto. E’ il momento della responsabilità di tutti – conclude Azzola - bisogna evitare che la campagna elettorale cavalchi il malcontento dei lavoratori: soltanto  soluzioni certe e condivise potrebbero evitarlo. Se non si procedesse su questa strada, agli esuberi di Almaviva, si aggiungerebbero quelli di tutte le altre aziende che debbono sostenere un costo del lavoro non agevolato dagli incentivi alle nuove assunzioni, con ulteriori migliaia di licenziamenti in tutta la penisola.”

COMUNICATO ALMAVIVA 4 APRILE 2016

Venerdì primo aprile si è svolto il primo incontro con Almaviva Contact sulla procedura per circa 3000 licenziamenti aperti dall’Azienda sulle sedi di Roma, Napoli e Palermo.
L’azienda ha ribadito come questa decisione sia motivata dall’ulteriore peggioramento delle condizioni di mercato. Mancato rispetto della norma sulle delocalizzazione, continuo ricorso al massimo ribasso hanno portato, sempre secondo l’Amministratore Delegato di Almaviva, ad una condizione di non sostenibilità mettendo a rischio la tenuta di tutta l’azienda. L’ulteriore diminuzione di volumi, ed il conseguente aumento dell’esubero di forza lavoro, e la marginalità dei tre siti al di sotto della soglia del 21 % ha portato l’azienda a scegliere di addensare le eccedenze sulle tre sedi.
La gravità delle condizioni in cui versa il settore dei Call Center in Italia è un elemento che non sfugge alle Organizzazioni Sindacali. E’ ormai davanti agli occhi di tutti come l’assenza di regole, soprattutto nell’attribuzione delle commesse, sia ormai arrivata ad una condizione non più gestibile. L’assenza di ammortizzatori sociali stabili, la persistente incapacità delle istituzioni a far rispettare la norma sulle delocalizzazioni, la tendenza dei committenti, a partire da quelli pubblici, a dare commesse a costi drammaticamente al di sotto del costo del lavoro previsto dal CCNL Telecomunicazioni, sono elementi ormai non più eludibili. I sacrifici richiesti ai lavoratori in questi anni non sono più ulteriormente replicabili in assenza di azioni risolutive che mettano finalmente in sicurezza il settore. L’approvazione della clausola sociale, comunque una notizia importantissima per il comparto, deve necessariamente essere sorretta da ulteriori provvedimenti a cominciare dal rispetto del Dlgs 24 bis sulle delocalizzazioni, e da certe per l’aggiudicazione delle gare di appalto sia pubbliche che tra soggetti privati nel rispetto del costo del lavoro contrattuale.
Le questioni di mercato però non giustificano, a nostro avviso, la decisione di immettere un tale elemento di drammatizzazione. 3000 esuberi sono un atto capace di rompere il “patto sociale” che ha animato il nostro settore in questi anni. Nessun settore, e meno che meno il nostro, è nelle condizioni di reggere un evento simile. Occorre fare di tutto perché le lavoratrici ed i lavoratori di Almaviva non finiscano per divenire “ostaggi” di una condizione della quale loro, di sicuro, non hanno alcuna responsabilità ma, semmai, ne stanno pagando il conto da diverso tempo sia in termini di diminuzione di salario che di precarizzazione complessiva delle condizioni di lavoro.
E’ per questo motivo che tutte le OO.SS. hanno convenuto che questa crisi non possa e non debba essere affrontata se non dentro un percorso istituzionale. La crisi Almaviva è, anzitutto, crisi di settore e come tale deve essere affrontato. E’ di tutta evidenza che molte sarebbero le cose da affrontare con l’azienda a partire dall’organizzazione del lavoro e l’allocazione delle commesse. Ma prima di affrontare questi temi, non secondari, è semplicemente indispensabile che si apra un confronto risolutivo col Governo sui correttivi delle storture che hanno portato un comparto di circa 80000 persone allo stato attuale.
Le Segreterie Nazionali, d’accordo con le strutture territoriali e le RSU hanno deciso di procedere alla richiesta di apertura di un tavolo di crisi specifico per Almaviva presso il Ministero dello Sviluppo Economico e, parallelamente, di un tavolo presso la Presidenza del Consiglio per lo stato di crisi del settore.
Per sollecitare questo percorso e scongiurare licenziamenti massivi su Almaviva le OO.SS. hanno deciso di intensificare le iniziative vertenziali sia sulle tre sedi impattate che su tutto il perimetro aziendale. Deve essere ben chiaro a tutti che 3000 esuberi su tre sedi non sono un problema “locale”. Le storture normative e di mercato non mettono fuori gioco solo le tre sedi impattate ma l’intera azienda e licenziare 3000 persone non porterà Almaviva a competere su un mercato più giusto con regole più chiare.
Per questo motivo il giorno 13 aprile è indetto uno sciopero per l’intero turno di lavoro di tutte le sedi aziendali.
Nelle prossime ore si decideranno le iniziative da intraprendere in occasione dello sciopero per dare massima visibilità alle ragioni delle lavoratrici e dei lavoratori di Almaviva.
Roma,4 Aprile 2016
Le Segreterie Nazionali
SLC/CGIL – FISTel/CISL – UILCOM/UIL