28 febbraio 2015

L'ultimo Tg di Rete 8 e Telejonica

Flaminia Belfiore:
Oggi a Catania tutti perdiamo qualcosa. Un'azienda che chiude è già una sconfitta collettiva, per i lavoratori innanzitutto, per l'imprenditore e per quanti non hanno potuto o voluto salvarla. Un'emittente tv che chiude è una sconfitta anche per i cittadini perché perdono una voce che li rappresentava.
 Rinnovo la mia solidarietà ai colleghi e vi invito a guardare con quanta dignità il direttore Valeria Maglia ha salutato ieri i telespettatori. L'ultimo tg.
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Legittimo il licenziamento per fruizione di permessi non autorizzati


Con la sentenza n. 2803/2015 dello scorso 12 febbraio la Cassazione ha stabilito che è legittimo il licenziamento del lavoratore nel caso in cui lo stesso fruisca ripetutamente di permessi retribuiti non autorizzati preventivamente dall’azienda.
Alla base di questa decisione vi è il principio secondo il quale il congedo dal lavoro può essere fruito solo previo consenso del datore di lavoro, tranne in alcuni casi e solo per gravi motivi.
Nel caso specifico il lavoratore era stato licenziato per ripetute assenze non autorizzate in diversi giorni giustificate dal lavoratore con la fruizione di “giornate di permesso”. La società aveva anche contestato cinque episodi di recidiva.
Il lavoratore ricorreva quindi contro il licenziamento sostenendo che si trattava di congedi per gravi motivi, di durata non superiore a tre giorni, per i quali l’art. 2 d. m. 21 luglio 2000 n. 278 richiedeva soltanto una comunicazione ed imponeva al datore di lavoro di esprimersi entro ventiquattro ore, motivando l’eventuale diniego con
eccezionali ragioni organizzative.
Il Tribunale rigettava il ricorso sostenendo che la procedura invocata dal lavoratore, ovvero la concessione automatica dei permessi, riguardava solo i casi di decesso di un familiare o di un convivente.
La Corte di merito prima e la Cassazione poi hanno confermato la sentenza di primo grado, in quanto bisogna distinguere fra congedo automatico e congedo con consenso dell’azienda.
Il congedo automatico riguarda il caso di decesso o di infermità grave e documentata del coniuge, anche se legalmente separato,  di un parente entro il secondo grado, anche non convivente o  di un soggetto componente la famiglia anagrafica (la documentazione deve essere presentata entro 5 giorni). La richiesta in questo caso non deve essere preventiva e l’azienda deve accettare automaticamente il permesso richiesto.
Negli altri casi la richiesta va presentata preventivamente al datore di lavoro, il quale entro 10 giorni dalla richiesta di congedo dovrà decidere se concedere, negare o chiedere di rinviare il congedo, dando le sue motivazioni organizzative o produttive che non consentono di sostituire il dipendente.
Nel caso specifico solo in un caso il lavoratore aveva subìto un lutto familiare, usufruendo quindi del congedo automatico, negli altri casi invece avrebbe dovuto richiedere e aspettare il consenso del datore di lavoro per usufruire dei congedi.
Per questa ragione quindi si interrompeva il vincolo fiduciario necessariamente intercorrente fra il datore di lavoro e il lavoratore, che era stato perciò legittimamente licenziato.



Contratto di formazione: quando scatta l’assunzione


Qualora si stipuli un contratto di formazione e lavoro e si violino gli obblighi di formazione scatta la conversione del contratto in tempo indeterminato. A confermarlo è stata la Corte di Cassazione, Sesta Sezione Civile, con l’ordinanza n. 3344/2015.
Traformazione a tempo indeterminato
L’inadempimento degli obblighi di formazione in un contratto di formazione e lavoro comporta il vincolo di assunzione e la trasformazione del contratto si applica fin dalla data di origine del rapporto di lavoro.
Retribuzione
Dunque il datore di lavoro inadempiente dovrà versare le differenze retributive derivanti dall’applicazione del trattamento normativo ed economico in dipendenza dell’inquadramento nel relativo livello contrattuale.
Obiettiva rilevanza
Da precisare però che l’inadempimento deve avere un’obiettiva rilevanza, ovvero la formazione deve essere totalmente mancante, sia sotto il profilo teorico che sotto quello pratico. La trasformazione in rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato è previsto anche qualora l’attività di formazione risulti carente o inadeguata rispetto agli obiettivi indicati nel progetto di formazione e trasfusi nel contratto stipulato. In questo caso però sarà il giudice a valutare la gravità dell’inadempimento e a disporre l’eventuale trasformazione del contratto. 
(Fonte: Corte di Cassazione – Ordinanza N. 3344/2015).

Cassazione: il dipendente alla testa del corteo può essere licenziato per giusta causa?


Corte di Cassazione civile, sezione lavoro, sentenza n. 3535 del 23 Febbraio 2015.
A un gruppo di dipendenti veniva irrogata la sanzione del licenziamento per giusta causa per la circostanza di essersi posti, in occasione di manifestazione cui hanno preso parte circa cinquanta lavoratori, alla testa del corteo.
Secondo l'impresa ricorrente essi avrebbero mantenuto un atteggiamento aggressivo e intimidatorio, lanciando oggetti sull'assemblea.
Inoltre, “la contestazione riguardava anche l'accesso in azienda fuori dal regolare turno di lavoro e senza averne dato preventiva comunicazione al personale di sorveglianza”. Il licenziamento veniva annullato dal giudice di primo grado e la sentenza veniva confermata in appello. Avverso la decisione di secondo grado ricorreva in Cassazione l'azienda licenziante.
La Suprema corte, pronunciandosi sulla questione in oggetto, ha ripercorso il ragionamento adottato dal giudice d'appello per verificare l'esistenza di eventuali vizi procedurali o carenze di motivazione. La Corte d'appello ha ritenuto non sufficientemente specificati né individuati i comportamenti intimidatori contestati dall'azienda; “nè a tal fine basta stare alla testa di un corteo, circostanza che di per sé non implica nessuna conseguente partecipazione agli illeciti addebitati”.
La responsabilità per azione del gruppo nel nostro ordinamento non ha carattere oggettivo; “suppone pur sempre una condotta, anche minima, diretta a rafforzare l'altrui azione offensiva o ad aggravarne gli effetti, condotta non descritta nelle lettere di contestazione”. In definitiva, il comportamento addebitato ai lavoratori non è stato sufficientemente provato nel corso del giudizio di merito e la motivazione del giudice d'appello risulta dunque essere esente da vizi. Il ricorso è rigettato e il principio di diritto enunciato è il seguente: “così come la responsabilità penale, anche quella disciplinare richiede un indispensabile coefficiente doloso o colposo, che nel caso di specie non può ricavarsi neppure dall'essere stati i lavoratori de quibus partecipi o promotori del corteo poi degenerato nel lancio di uova o di altri oggetti, mancando la prova che essi vi abbiano materialmente o moralmente partecipato o che in qualche modo essi abbiano preventivamente concordato con altri il ricorso ad una contestazione violenta”.


Telecom, Patuano ai sindacati su solidarietà ed assunzioni


L'attuale periodo di solidarietà del personale Telecom, che scade a fine aprile, "potrà essere sostituito, con modalità da definire con le organizzazioni sindacali, da una solidarietà che tuteli ancora l'occupazione, consenta l'immissione di giovani e riduca l'età media in azienda", spiega il gruppo in una nota.

L'azienda "intende continuare a tutelare la consistenza occupazionale, valorizzando le competenze e le professionalità presenti senza mai perdere di vista il miglioramento continuo dell'efficienza e della qualità dei servizi". Da qui l'idea della nuova forma di solidarietà. L'attuale solidarietà, "un percorso innovativo che Telecom Italia intende definire in stretta collaborazione con le Organizzazioni Sindacali per assicurare all'azienda conoscenze e know how qualificato per affrontare le sfide del futuro". "Con il nuovo piano industriale, torneremo ad assumere dopo sette anni - ha sottolineato Patuano - Abbiamo, infatti, la necessità di rafforzare l'organico introducendo in azienda nuove professionalità con giovani tecnici e laureati tra i 20 e i 30 anni. Assumeremo fino a 4.000 persone nell'arco di 3-4 anni utilizzando i nuovi strumenti normativi che il governo sta mettendo a  punto".

Nel corso dell'incontro Patuano ha confermato la posizione aziendale di procedere alla nascita di una nuova società che incorpora le attività della Divisione Caring. Patuano ha confermato che il mondo caring è un'attività "core" e resterà sotto il controllo di Telecom Italia senza mutare i trattamenti economici per il personale.

La newco del Caring sarà operativa operativa per l’estate, tra giugno e luglio e da settembre sarà possibile procedere al trasferimento dei lavoratori nella nuova società.

La decisione di andare avanti con la creazione della newco dei call center era stata presa da Telecom dopo che a gennaio il referendum dei lavoratori del settore caring aveva bocciato l'intesa raggiunta il 18 dicembre tra azienda e sindacati. L'accordo prevedeva, tra l'altro, che i call center sarebbero rimasti in azienda con garanzia fino al 2017.

“Il procedimento - spiegava Telecom in una nota dopo che i lavoratori avevano bocciato l’accordo - prevede una razionalizzazione delle sedi territoriali di Caring Services, con la chiusura di alcuni presidi e la costituzione di una distinta società per l'erogazione dei servizi di caring alla clientela”.

Il mercato dei call center, spiegavano da Telecom, “sta vivendo una forte crisi a livello nazionale con una competizione crescente tra gli operatori del settore. La società, con una trattativa durata oltre otto mesi, ha analizzato con i rappresentanti sindacali tutte le problematiche e cercato soluzioni condivise che, nel pieno rispetto della dignità dei lavoratori, anzi con l'obiettivo di valorizzarne le professionalità, dessero stabilità al lavoro presso i call center e sostenibilità di lungo termine".

L'ipotesi di accordo siglata il 18 dicembre 2014 con tutti i sindacati "aveva individuato un percorso che permetteva di mantenere la funzione all'interno di Telecom Italia Spa, differenziandola per qualità del servizio rispetto a quanto viene offerto in outsourcing – sottolineavano da Telecom - migliorando allo stesso tempo la produttività e la sostenibilità del fattore lavoro".

Patuano ha inoltre illustrato il pprgramma di investimenti sia in Italia sia in Brasile, pari a  14,5 miliardi nel trienni. "Dei circa 5 miliardi di investimenti innovativi previsti da Telecom Italia sul mercato domestico - ha detto il manager durante l'incontro - quasi 3 miliardi di euro saranno destinati esclusivamente allo sviluppo della fibra ottica, con circa 500 milioni di euro dedicati alla tecnologia FttH (Fiber to the Home) con la quale cableremo 40 città a fine periodo".

"Questa accelerazione degli investimenti in fibra ottica (1,1 miliardi in più rispetto al precedente piano triennale) è previsto possa portare, al 2017, a incrementare di circa 1 milione i clienti attivi rispetto ai target del Piano precedente - ha evidenziato Patuano - La larga banda mobile potrà contare su 900 milioni di investimenti per completare il piano di diffusione già in avanzata fase di realizzazione; allo stesso tempo migliorerà la copertura geografica del Paese, che raggiungerà il 90% del territorio a fine 2017".

"Il giudizio sul nuovo piano industriale di Telecom Italia è positivo - commenta Ugliarolo - si va nella direzione di consentire all'azienda di giocare una partita come protagonista nel campo delle tlc. Le 4mila assunzioni annunciate costituiscono un fattore positivo e anche sugli investimenti c'è un grosso sforzo da parte dell'azienda che con le proprie forze mette sul piatto 10 miliardi per Italia". Tuttavia resta "preoccupazione per la volontà dell'azienda di proseguire nel processo di societarizzazione del caring, anche se è stata confermata la strategicità del settore. Nell'incontro di oggi abbiamo ribadito la nostra contrarieta'". Inoltre dall'esterno, conclude il sindacalista, "arrivano segnali di intromissione nell'ambito dei piani per lo sviluppo della rete. Auspichiamo che non ci siano interferenze che possano creare fibrillazioni e tensioni".

"Condividiamo totalmente il piano di impresa. Parliamo tanto di creare la banda ultra larga, oggi finalmente per la prima volta abbiamo un piano che realizza l'Agenda digitale, speriamo che la discussione della politica o eventuali provvedimenti non ne inquinino la realizzazione", dice Michele Azzola, segretario nazionale della Slc Cgil. Si tratta di "un progetto ambizioso, sono previsti investimenti pari al 23% del fatturato nell'arco di piano. E' un piano ben costruito ma c'è un problema da affrontare. Visto che si prevede un fatturato in calo nel 2015, stabile nel 2016 e in crescita  dal 2017, è necessario, per mantenere gli 8,8 miliardi di Ebitda che consentono la realizzazione degli investimenti, intervenire su efficienza e costi". Riguardo alla volontà di proseguire con la societarizzazione del caring, Azzola spiega che questo "è un punto di distanza con l'azienda. Il piano industriale è ambizioso e ha bisogno di un contributo dei lavoratori. E' evidente che un piano ambizioso mal si colloca in un clima teso creato dalla volonta' di uno spin off. Abbiamo richiesto all'azienda una nuova valutazione".

Anche secondo Vito Vitale, segretario della Fistel Cisl,quello di Telecom Italia "è un piano positivo, ambizioso" ma ora occorre che "il Governo faccia la sua parte. C'è bisogno che non si ostacoli la realizzazione degli ingenti investimenti previsti e si dia un supporto a livello di legislazione per consentire un cambio intergenerazionale" all'interno dell'azienda. E' il commento di  al termine dell'incontro tra Marco Patuano e i sindacati sull'illustrazione del piano industriale che, a fronte di miliardi di investimenti, prevede 4mila assunzioni. "Ci auguriamo - prosegue il sindacalista - che, oltre a quanto creato con il Jobs Act, si pensi a qualche strumento che permetta il cambio intergenerazionale" in azienda. Per quanto riguarda il Caring anche Vitale ribadisce l'impegno ad evitarne la societarizzazione.

COMUNICATO TELECOM: BENE IL PIANO DI IMPRESA CHE PASSA DALLE MOLTE PAROLE AI FATTI.

L’AD di Telecom Italia ha presentato oggi alle Segreterie Nazionali di SLC-CGIL, FISTEL-CISL e UILCOM-UIL le linee strategiche del piano d’impresa 2015-2017.
L’AD ha descritto un azienda che, nel prossimo triennio, punterà alla crescita grazie ad una previsione di investimenti pari a circa 10 miliardi di euro. Di questi investimenti una parte considerevole ,circa 3 miliardi, sarà destinata allo sviluppo della NGN ( mezzo miliardo sarà finalizzato allo sviluppo della FTTH). Un miliardo verrà destinato all’ulteriore implementazione della rete mobile LTE, con l’obiettivo di raggiungere per il 2017 il 95% della popolazione e, cosa ancora più importante, l’80% del territorio. Mezzo miliardo verrà destinato allo sviluppo del CLOUD, ultimando il data center in costruzione e prevedendone la costruzione di un secondo. Complessivamente si tratta di un investimento importante, maggiorato di più di un miliardo rispetto a quanto previsto nel precedente Piano, che nelle intenzioni del management aziendale vuole imprimere alla politica di Telecom un accelerazione nel campo dell’innovazione tecnologica e la consolidi nel ruolo di leader nel campo della telefonia sia fissa che mobile.
Questo Piano di sviluppo rappresenterà, nelle intenzioni di Telecom, un importante punto di svolta anche nelle politiche occupazionali del Gruppo. Un programma così serrato di investimenti porterà infatti ad un piano di assunzioni di circa 4000 giovani diplomati e laureati che dovranno coprire specifici fabbisogni in termini di competenze nel campo delle nuove tecnologie. L’azienda ha ribadito come questo programma occupazionale potrà essere sviluppato attraverso nuovi strumenti legislativi (solidarietà c.d. “espansiva”) non appena verranno effettivamente messi a disposizione.
Il Piano nel suo complesso rappresenta, a giudizio delle OO.SS, un’innegabile punto di svolta nella strategia aziendale. Dopo decenni di stagnazione durante i quali si è, essenzialmente, gestito il quotidiano, finendo però per perdere quote importanti di mercato e, soprattutto, di leadership nell’innovazione, oggi Telecom presenta un Piano che, se attuato, può davvero rimetterla al centro del processo di innovazione del Paese. La scelta di “aggredire” soprattutto i segmenti maggiormente innovativi, la fibra per il fisso e LTE per il mobile, può, a breve, rivelarsi vincente in un mercato che sempre più vedrà premiare chi saprà offrire strumenti di trasporto di dati e contenuti più moderni e accessibili. La riuscita di questo Piano di impresa riguarda non soltanto Telecom ed i suoi dipendenti ma, riteniamo, l’intero Paese, perché è innegabile che, se realizzato, rappresenterebbe la vera realizzazione degli obiettivi europei sull’Agenda Digitale. In quest’ottica è auspicabile che anche il Governo, che pure da molto tempo si dice interessato a favorire lo sviluppo di Reti di nuova generazione, sia in condizione di fare la “propria parte” creando tutte le condizioni che rimuovano ostacoli ed impedimenti alla realizzazione del piano. In questo quadro ipotesi alternative di scorpori della rete o costituzione di una futuribile società nazionale della rete di nuova generazione sono, a nostro avviso, elementi che farebbero fare al Paese dei passi indietro su un programma che ci vede già seriamente in affanno e che non ammette ulteriori rinvii. Anche sul tema occupazionale il giudizio non può che essere positivo. E’ evidente però che sul tema specifico degli strumenti per realizzare questa parte di Piano andrà aperto un confronto costruttivo e condiviso con le lavoratrici ed i lavoratori di Telecom Italia.
L’unico elemento che veramente stride in questo contesto che, pur con le sue complessità, presenta degli elementi di motivato ottimismo è la vicenda del caring. Le OO.SS. hanno ribadito all’AD come la questione debba trovare una composizione che non può passare dalla societarizzazione. Continuare a percorrere questa strada rappresenterebbe, oggettivamente, un elemento di ostacolo in un momento nel quale, invece, c’è bisogno di un clima di collaborazione per realizzare pezzi importanti del Piano di impresa.
Roma, 27 Febbraio 2015
Le Segreterie Nazionali di SLC-CGIL, FISTEL-CISL e UILCOM-UIL


Femminicidio: Intervento di Luciano Di Gregorio, psicologo e psicoterapeuta


Potrebbe sembrare, quella di Di Gregorio, una riflessione senza attenuanti verso mariti, compagni o ex partner colpevoli di femminicidio. Del resto, come confermano le cronache recenti, a concedere le «attenuanti» ci pensa già la giustizia, spesso pronta a »soccorrere» i colpevoli – quasi che la vita delle donne valesse meno di quella di altre vittime – accogliendo tesi difensive su presunte o ridotte capacità di intendere e di volere, attenuando l’applicazione delle misure cautelari, scontando «aggravanti» varie. Come nel caso Parolisi, per il quale, è notizia di martedì scorso, i giudici della prima sezione penale della Corte di Cassazione, nelle motivazioni della sentenza che ha ridotto la condanna dell’ex caporalmaggiore facendo cadere l’aggravante della crudeltà, scrivono che il delitto avvenne «in un’esplosione d’ira», e che «la mera reiterazione dei colpi (pur in tal caso consistente) non può essere ritenuta fonte di aggravamento di pena, in un contesto sorretto dal dolo d’impeto». O, è cronaca di meno di una settimana fa, i domiciliari concessi al pensionato di Gioia del Colle che ha ucciso la moglie con un piccone. Il gip, tenuto conto della condotta dell’assassino subito dopo il delitto (ha chiamato i soccorsi) e che, dichiarazioni sue, si sentiva «umiliato e spesso prevaricato dalla moglie», ha affievolito le esigenze cautelari accogliendo la richiesta dei difensori. Mentre, ancora, il pg di Palermo Mirella Agliastro ha chiesto ieri la conferma all’ergastolo per Samuele Caruso, il 25enne che nel 2012 ha accoltellato a morte la 17enne Carmela Petrucci, per il quale gli avvocati della difesa hanno provato a giocare nuovamente la carta dell’infermità mentale. Di femminicidio non si parla ancora abbastanza. Né altrettanto si punisce.

I femminicidi, intesi come uccisione fisica delle donne, avvengono quasi sempre in conseguenza di una separazione e sono messi in atto dal compagno dopo un abbandono da parte della donna. I delitti di genere decretano in maniera assurda e lugubre la fine di un matrimonio. Il marito uccide la moglie anche solo quando conosce il desiderio della moglie di volersi separare, quando si trova davanti alla minaccia di una separazione. Oppure ancora sono commessi in funzione della scoperta dell’uomo di una nuova relazione sentimentale nata durante o dopo la separazione.

Perché succede questo e perché succede spesso in conseguenza di una separazione?
La separazione espone il maschio all’esperienza della mancanza e la donna che si separa, che lascia il suo uomo, è pensata perduta per sempre. La donna, che fin dall’inizio e per tutto il tempo che dura la relazione era stata considerata  un oggetto posseduto con forza, o un oggetto d’uso, diventa in un breve attimo, nel momento in cui si separa, una persona reale che gode di autonomia e indipendenza. La scoperta dell’esistenza della donna reale fa riemergere nell’uomo adulto, che si illudeva di essere padrone di sé e del mondo, una condizione infantile di fragilità estrema mai risolta.

Egli è come il bambino che scopre di non essere più il padrone del mondo ma di fare semplicemente parte di un mondo in cui le persone esistono indipendentemente da lui.
L’epifania della scoperta del mondo che esiste fuori dalla propria sfera personale di controllo è vissuto dall’uomo contemporaneo come un’esperienza intollerabile, si potrebbe definire anche una ferita narcisistica, in riferimento a un Io grandioso menomato dalla perdita, oltre che come una forma di offesa virile. Entrambi questi vissuti ci rimandano all’angoscia di castrazione del maschio di freudiana memoria che sembra perseguitare l’uomo fin dalle sue lontane origini.

L’angoscia di castrazione del maschio contemporaneo richiede però una revisione per aggiornarla ai tempi attuali. Essa non consiste più nella paura di poter assomigliare alla donna priva del pene, come sosteneva Freud più di un secolo fa nei suoi scritti (1905, 1914, 1927), ma è piuttosto connessa alla difficoltà dell’uomo di assumere su di sé le componenti femminili dell’identità che sono comunemente attribuite alla donna, come ad esempio il bisogno di attaccamento e l’affettività, il riconoscimento e l’accettazione di una dipendenza. L’uomo si immagina potente solo se considera la donna come un suo possesso personale, di cui può disporre a suo piacimento, un oggetto d’uso che può essere trattato anche crudelmente. Si scopre debole e indifeso quando si accorge, con la perdita, che dipendeva dalla donna, che era una parte di sé indispensabile al completamento di sé, senza la quale fatica a vivere.

La mancanza in una fase iniziale è un’esperienza pensata come una ferita irrimediabile che non si potrà più rimarginare, un vuoto che, una volta riconosciuto, non si riesce più a colmare, e che porta l’uomo a vivere angosce di tipo depressivo, al confronto con l’esperienza del lutto.

Il lutto è la perdita irrimediabile di qualcosa e di qualcuno, che si sa che non si potrà più avere, che non esisterà più del tutto o non esisterà più per noi, vivrà fuori dalla nostra personale sfera d’influenza. Nella maggior parte dei casi l’esperienza del lutto legato alla mancanza e alla perdita della donna, un tempo amata anche se in maniera singolare e discutibile, non è elaborabile da parte dell’uomo autore di violenza perché essa si scontra con un’immagine interiore di un Sé grandioso e onnipotente. Il Sé grandioso è un’immagine che egli si trascina fin dall’infanzia e che non è stato mai messo in discussione in precedenza, anzi  è stato con ogni probabilità confermato più volte.

Il Sé maschile potente è stato costruito con l’educazione impartita dalla famiglia affettiva ed è stato in seguito rafforzato dalla società maschilista, che valorizza il maschio e relega la donna in posizione di inferiorità e di sudditanza rispetto all’uomo.

L’immagine di un Sé menomato da una perdita, un Sé ridimensionato e ferito dall’abbandono della donna, di conseguenza non entra quasi mai a far parte della coscienza del maschio violento, è un contenuto non mentalizzabile che viene respinto sul nascere. Al suo posto troviamo l’agito violento che cerca di distruggere l’oggetto d’amore perduto per negarne appunto la sua mancanza. «Sono io che ti elimino dalla vita e non sei tu che mi hai messo ai margini della vita stessa e che, con il tuo continuare ad esistere, confermi la mia insignificanza». Ma l’operazione distruttiva libera l’uomo dall’angoscia solo temporaneamente. La vendetta che si è catastroficamente realizzata non porta a nessuna soluzione. La distruzione dell’altro riduce l’uomo ancora più in povertà e lo spinge spesso verso la propria autodistruzione.

Call center, affondo della Cgil: "Intollerabile inazione del governo"


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"L'ostinazione del governo a non intervenire in maniera decisa e strutturale sul settore dei call center continua a creare forte preoccupazioni sulla tenuta complessiva del settore, con la perdita di migliaia di posti di lavoro in modo particolare nelle aziende in outsourcing". Così, in una nota, Eugenio Stanziale, segretario della Cgil di Roma e del Lazio e Fabrizio Micarelli, segretario della Slc Cgil di Roma e del Lazio. "La situazione - osservano - non potrà che avere delle pesanti ricadute occupazionale anche nella nostra regione, dove si contano solo nel settore telecomunicazioni in outsourcing oltre 5000 lavoratrici e lavoratori".

"I decreti attuativi, approvati la scorsa settimana dal governo sul Jobs act - continuano Stanziale e Micarelli - non ci rassicurano. Per il settore dei call center la conferma del lavoro a progetto per le attività outbound e gli incentivi per le nuove assunzioni potrebbero diventare un boomerang se non accompagnate da una rivisitazione complessiva delle regole sugli appalti, che escludano le gare al massimo ribasso e garantiscano la continuità occupazionale nei cambi appalto, prevedendo anche per questa casistica l'accesso agli incentivi".

Se non ci saranno interventi, concludono, "si continuerà scientemente a creare dumping, scaricando sulla filiera degli appalti, quindi sui lavoratori più deboli e meno tutelati, l'onere della crisi del settore".

Il decreto delegato della riforma del mercato del lavoro, approvato dal Cdm dello scorso venerdì, abolisce i contratti di collaborazione a progetto a partire dal 1° gennaio 2016 (quelli già in essere potranno proseguire fino alla loro scadenza) ma fa salve "le collaborazioni regolamentate da accordi collettivi, stipulati dalle organizzazioni sindacali comparativamentepiù rappresentative sul piano nazionale, che prevedono discipline specifiche relative al trattamento economico e normativo in ragione delle particolari esigenze produttive ed organizzative del relativo settore e poche altri tipi di collaborazioni”. Tra queste ci sono i call center appunto.

er Paolo Sarzana, vicepresidente di Teleperformance “si tratta di una scelta che riconosce la specificità dei settore dei call center in outbound e che rende ancora più solida la riforma del mercato del mercato del lavoro voluta da questo governo. Se non si fosse riconosciuta tale specificità molte imprese sarebbero state costrette a delocalizzare le attività".

Il mantenimento dei co.co.pro, stando alle stime Assocontact, salvaguarda circa 80mila posti di lavoro. Nelle scorse settimane proprio l’associazione si era appellata al governo proprio per chiedere che i co.co.pro. rimanessero in vigore per il settore.


Per Assocontact l’eliminazione delle forme atipiche dei contratti di lavoro, avrebbe prodotto immediatamente pesanti conseguenze occupazionali in diversi settori industriali fra i quali quello dei contact center.

I giovani più fortunati avranno una pensione inferiore a mille euro


"Oggi giovani precari, domani anziani poveri". Una ricerca del Censis, realizzata con Fondazione Generali e presentata a Padova, indica che "la 'generazione mille euro' avrà ancora meno a fine carriera. Con pensioni molto basse". Il 40% dei lavoratori dipendenti di 25-34 anni ha una retribuzione netta media mensile fino a mille euro: di questi, 65% "avrà una pensione sotto i mille euro, pur con avanzamenti di carriera medi assimilabili a quelli delle generazioni che li hanno preceduti".

L'allarme del Censis "riguarda i più 'fortunati', cioè i 3,4 milioni di giovani oggi ben inseriti nel mercato del lavoro, con contratti standard". Poi "ci sono 890.000 giovani 25-34enni autonomi o con contratti di collaborazione e quasi 2,3 milioni di Neet, che non studiano né lavorano. Se continua così, i giovani precari di oggi diventeranno gli anziani poveri di domani", sottolinea la ricerca. Il regime contributivo puro "cozza con la reale condizione" dei giovani di 18-34 anni: "la loro pensione dipenderà dalla capacità che avranno di versare contributi presto e con continuità", ma per il 61% hanno "avuto finora una contribuzione pensionistica intermittente, perché sono rimasti spesso senza lavoro o perché hanno lavorato in nero". E "per avere pensioni migliori, l'unica soluzione è lavorare fino ad età avanzata, allo sfinimento". Il quadro del mercato del lavoro non aiuta: "L'occupazione dei giovani è crollata".

La perdita di occupazione giovanile "tradotta in costo sociale è stata pari a 120 miliardi di euro, cioè un valore pari al Pil di tre Paesi europei come Lussemburgo, Croazia e Lituania messi insieme". Dalla ricerca emerge che "solo il 35% degli italiani ha paura di invecchiare". Pensando alla vecchiaia, "a far paura è la perdita di autonomia: il 43% degli italiani giovani e adulti teme l'insorgere di malattie, il 41% la non autosufficienza". Essere "accuditi dai familiari o da una badante è oggi il modello di assistenza agli anziani non autosufficienti": le badanti sono più di 700.000 (di cui 361.500 regolarmente registrate presso l'Inps con almeno un contributo versato nell'anno) e costano 9 miliardi di euro all'anno alle famiglie", ma "per il futuro però potrebbe non essere più un servizio low cost. Sono 120.000 le persone non autosufficienti che hanno dovuto rinunciare alla badante per ragioni economiche. Il 78% degli italiani pensa che sta crescendo la pressione delle badanti per avere stipendi più alti e maggiori tutele" Allarme anche sul fronte casa: "sono 2,5 milioni gli anziani che vivono in abitazioni non adeguate alle loro condizioni di ridotta mobilità e che avrebbero bisogno di interventi per essere trasformate".


Part-time: alternativo al congedo parentale che viene esteso fino a 12 anni


La riforma dei contratti approvata dal Governo in esercizio della delega del Jobs Act introduce nuovi strumenti di conciliazione lavoro famiglia: entrambi i genitori possono chiedere al posto del congedo parentale la trasformazione temporanea del contratto di lavoro in part-time, ossia a tempo parziale. Lo prevede il comma 7 dell’articolo 6 del decreto approvato il 20 febbraio dal Consiglio dei Ministri.
Scelta del part-time
Ecco come funziona: il lavoratore può chiedere, per una sola volta, la trasformazione del rapporto da tempo pieno a part-time, in luogo del congedo parentale, per un periodo di tempo corrispondente e una riduzione di orario non superiore al 50%. Il congedo parentale, regolamentato dagli articoli 32 e seguenti del Dlgs 151/2001 (il testo unico dei diritti a sostegno della genitorialità dei lavoratori), può durare per i due genitori al massimo 10 mesi, con un tetto di 6 mesi per ciascuno di essi. Se ne deduce che i limiti temporali di questa alternativa: 10 mesi complessivi da dividere fra i due genitori, con limite di 6 ciascuno.
Conciliazione lavoro-famiglia
Un altro dei decreti approvati dal Governo in attuazione del Jobs Act, quello sulla conciliazione dei tempi lavoro-famiglia, prevede una serie di novità sul congedo parentale che hanno impatto anche sulla norma relativa alla possibilità alternativa di scegliere il part-time. In particolare, il congedo parentale, prima limitato ai primi 8 anni di vita del bambino, si può chiedere fino al compimento dei 12 anni del figlio. Quindi, anche il part-time alternativo può essere utilizzato nei primi 12 anni di vita del figlio.
Priorità
C’è poi un’altra disposizione, contenuta nel comma 5 del decreto, in base alla quale il lavoratore o lavoratrice con un figlio convivente di età superiore a 13 anni, o portatore di handicap ai sensi dell’articolo 3 della legge 104 del 1992, hanno la priorità nella trasformazione del contratto da tempo pieno a part-time. Anche questo, dunque è una nuova possibilità di utilizzo del part-time per andare incontro a particolari esigenze legate alla genitorialità.
Il decreto prevede anche che, in tutti i casi in cui il lavoratore abbia trasformato il rapporto di lavoro da tempo pieno a part-time, ha il diritto di precedenza nelle assunzioni con contratto a tempo pieno per l’espletamento delle stesse mansioni o di quelle equivalenti a quelle oggetto del rapporto di lavoro a tempo parziale.
Questo disposizione non ha effetto sulla norma che prevede il part-time in luogo del congedo parentale, perché in quel caso la trasformazione a tempo parziale deve durare solo per il periodo corrispondente al congedo parentale (quindi per dieci mesi complessivi per i due genitori). Ma, negli altri casi in cui il lavoratore chiede il part-time per esigenze familiari, scatta invece questo diritto di precedenza.
Il decreto prevede il diritto di chiedere prioritariamente il part-time per una serie di esigenze di carattere familiare legate non solo alla presenza di figli: lavoratori affetti da patologie oncologiche o da gravi patologie cronico-degenerative ingravescenti che riducano la capacità lavorativa, eventualmente anche a causa degli effetti invalidanti delle terapie salvavita, patologie oncologiche o gravi patologie cronico-degenerative riguardanti il coniuge, i figli o i genitori, necessità di assistenza di una persona convivente con totale e permanente inabilità lavorativa, alla quale è stata riconosciuta una percentuale di invalidità pari al 100%.

Congedo parentale esteso fino ai 12 anni del bambino. Indennità Inps fino ai 6 anni
L’astensione da lavoro per congedo parentale può essere richiesta fino ai 12 anni di vita del bambino (non più fino 8 anni di età). E l’indennità del 30% erogata dall’Inps spetta per i congedi richiesti fino ai 6 anni di età (non più fino a 3 anni di età). Le novità introdotte da un Decreto del Jobs Act riguardano anche il congedo di paternità e le modalità di fruizione del congedo parentale ad ore. Vediamo tutti i cambiamenti approvati.
Dal Consiglio dei Ministri arriva una buona notizia per le famiglie italiane con bambini. Il congedo parentale è stato esteso fino ai 12 anni di vita del bambino. L’ex astensione facoltativa quindi spetta non più fino agli 8 anni, ma fino ai 12 anni. E l’indennità pari al 30% erogata dall’Inps spetta fino ai 6 anni di età e non più fino a 3 anni di vita del figlio.
Il Governo Renzi ha quindi notevolmente esteso la possibilità di fruire del congedo parentale. Il Consiglio dei Ministri in data 20 febbraio 2015 ha approvato anche un decreto legislativo, in attuazione del Jobs Act, contenente disposizioni in materia di conciliazione dei tempi di vita e di lavoro, a norma dell’articolo 1, commi 8 e 9 della legge n. 183 del 2014. Tale decreto introduce una serie di novità in materia di maternità obbligatoria e congedi.
La normativa sul congedo parentale fino ad oggi. Il congedo parentale è la vecchia astensione facoltativa dal lavoro e spettava ai lavoratori dipendenti, in costanza di rapporto di lavoro, fino ai primi 8 anni di età del bambino. Necessario il collegamento del congedo parentale con le esigenze organizzative della famiglia.
Il congedo parentale è pari a 10 mesi di astensione per entrambi i genitori, aumentabili ad 11 mesi, con il diritto ad una indennità dell’Inps che scattava fino ai 3 anni di vita del bambino. La madre può astenersi dal lavoro per un periodo continuativo o frazionato (congedo parentale anche ad ore) non superiore a 6 mesi, il padre (congedo di paternità) per un periodo continuativo o frazionato non superiore a 6 mesi, elevabile a 7 mesi. In ogni caso entrambi non devono accumulare più di 10 mesi, aumentabili ad 11 mesi. Per maggiori informazioni vediamo il congedo parentale.
Il numero dei mesi non cambia, ma cambiano gli anni di età del bambino in cui è possibile fruirne.
Cosa cambia del congedo parentale
Come abbiamo già detto, il congedo parentale (ex astensione facoltativa) è fruibile non più fino agli 8 anni ma fino a 12 anni di età del bambino. Il decreto quindi prevede un'estensione massima dell'arco temporale di fruibilità del congedo parentale dagli attuali 8 anni di vita del bambino a 12 anni di età. Ovviamente sempre per 6 mesi per la mamma e 6 o 7 mesi del padre per un totale di 10 o 11 mesi per entrambi i genitori.
Congedo parentale a ore. Inoltre, “in caso di mancata regolamentazione, da parte della contrattazione collettiva, anche di livello aziendale, delle modalità di fruizione del congedo parentale su base oraria, ciascun genitore può scegliere tra la fruizione giornaliera e quella oraria. La fruizione su base oraria è consentita in misura pari alla metà dell’orario medio giornaliero del periodo di paga quadrisettimanale o mensile immediatamente precedente a quello nel corso del quale ha inizio il congedo parentale. È esclusa la cumulabilità della fruizione oraria del congedo parentale con permessi o riposi”.
Preavviso al datore di lavoro in caso di congedo parentale, anche orario. Il genitore è tenuto, salvo casi di oggettiva impossibilità, a preavvisare il datore di lavoro secondo le modalità e i criteri definiti dai contratti collettivi e, comunque, con un termine di preavviso non inferiore a cinque giorni indicando l'inizio e la fine del periodo di congedo. Il termine di preavviso è pari a 2 giorni nel caso di congedo parentale su base oraria.
Indennità per congedo parentale fino a 6 anni del bambino. C’è l’estensione del diritto all’indennità da parte dell’Inps fino a 6 anni di vita. Quindi il congedo parentale parzialmente retribuito (al 30%) viene portato dai 3 anni di età del bambino a 6 anni; quello non retribuito, di conseguenza, vista l’estensione del congedo parentale, dai 6 anni di vita del bambino ai 12 anni.
Analoga previsione viene introdotta per i casi di adozione o di affidamento, per i quali la possibilità di fruire del congedo parentale inizia a decorrere dall'ingresso del minore in famiglia. In ogni caso, resta invariata la durata complessiva del congedo.
Il congedo di paternità viene esteso a tutte le categorie di lavoratori, e quindi non solo per i lavoratori dipendenti come attualmente previsto. Viene estesa in particolare la possibilità di usufruire del congedo da parte del padre nei casi in cui la madre sia impossibilitata a fruirne per motivi naturali o contingenti.
Sono inoltre state introdotte norme volte a tutelare la genitorialità in caso di adozioni e affidamenti prevedendo estensioni di tutele già previste per i genitori naturali.
In particolare per le adozioni di lavoratrici iscritte alla Gestione Separata è previsto ciò: “In caso di adozione, nazionale o internazionale, alle lavoratrici di cui all'articolo 2, comma 26, della legge 8 agosto 1995, n. 335, non iscritte ad altre forme obbligatorie, spetta, sulla base di idonea documentazione, un’indennità per i cinque mesi successivi all’effettivo ingresso del minore in famiglia, alle condizioni e secondo le modalità di cui all’apposito decreto del Ministro del lavoro e delle politiche sociali”.








27 febbraio 2015

TELECOM: BENE IL PIANO DI IMPRESA CHE PASSA DALLE MOLTE PAROLE AI FATTI


L’AD di Telecom Italia ha presentato oggi alle Segreterie Nazionali di SLC-CGIL, FISTEL-CISL e UILCOM-UIL le linee strategiche del piano d’impresa 2015-2017.
L’AD ha descritto un azienda che, nel prossimo triennio, punterà alla crescita grazie ad una previsione di investimenti pari a circa 10 miliardi di euro. Di questi investimenti una parte considerevole ,circa 3 miliardi, sarà destinata allo sviluppo della NGN ( mezzo miliardo sarà finalizzato allo sviluppo della FTTH). Un miliardo verrà destinato all’ulteriore implementazione della rete mobile LTE, con l’obiettivo di raggiungere per il 2017 il 95% della popolazione e, cosa ancora più importante, l’80% del territorio. Mezzo miliardo verrà destinato allo sviluppo del CLOUD, ultimando il data center in costruzione e prevedendone la costruzione di un secondo. Complessivamente si tratta di un investimento importante, maggiorato di più di un miliardo rispetto a quanto previsto nel precedente Piano, che nelle intenzioni del management aziendale vuole imprimere alla politica di Telecom un accelerazione nel campo dell’innovazione tecnologica e la consolidi nel ruolo di leader nel campo della telefonia sia fissa che mobile.
Questo Piano di sviluppo rappresenterà, nelle intenzioni di Telecom, un importante punto di svolta anche nelle politiche occupazionali del Gruppo. Un programma così serrato di investimenti porterà infatti ad un piano di assunzioni di circa 4000 giovani diplomati e laureati che dovranno coprire specifici fabbisogni in termini di competenze nel campo delle nuove tecnologie. L’azienda ha ribadito come questo programma occupazionale potrà essere sviluppato attraverso nuovi strumenti legislativi (solidarietà c.d. “espansiva”) non appena verranno effettivamente messi a disposizione.
Il Piano nel suo complesso rappresenta, a giudizio delle OO.SS, un’innegabile punto di svolta nella strategia aziendale. Dopo decenni di stagnazione durante i quali si è, essenzialmente, gestito il quotidiano, finendo però per perdere quote importanti di mercato e, soprattutto, di leadership nell’innovazione, oggi Telecom presenta un Piano che, se attuato, può davvero rimetterla al centro del processo di innovazione del Paese. La scelta di “aggredire” soprattutto i segmenti maggiormente innovativi, la fibra per il fisso e LTE per il mobile, può, a breve, rivelarsi vincente in un mercato che sempre più vedrà premiare chi saprà offrire strumenti di trasporto di dati e contenuti più moderni e accessibili. La riuscita di questo Piano di impresa riguarda non soltanto Telecom ed i suoi dipendenti ma, riteniamo, l’intero Paese, perché è innegabile che, se realizzato, rappresenterebbe la vera realizzazione degli obiettivi europei sull’Agenda Digitale. In quest’ottica è auspicabile che anche il Governo, che pure da molto tempo si dice interessato a favorire lo sviluppo di Reti di nuova generazione, sia in condizione di fare la “propria parte” creando tutte le condizioni che rimuovano ostacoli ed impedimenti alla realizzazione del piano. In questo quadro ipotesi alternative di scorpori della rete o costituzione di una futuribile società nazionale della rete di nuova generazione sono, a nostro avviso, elementi che farebbero fare al Paese dei passi indietro su un programma che ci vede già seriamente in affanno e che non ammette ulteriori rinvii. Anche sul tema occupazionale il giudizio non può che essere positivo. E’ evidente però che sul tema specifico degli strumenti per realizzare questa parte di Piano andrà aperto un confronto costruttivo e condiviso con le lavoratrici ed i lavoratori di Telecom Italia.
L’unico elemento che veramente stride in questo contesto che, pur con le sue complessità, presenta degli elementi di motivato ottimismo è la vicenda del caring. Le OO.SS. hanno ribadito all’AD come la questione debba trovare una composizione che non può passare dalla societarizzazione. Continuare a percorrere questa strada rappresenterebbe, oggettivamente, un elemento di ostacolo in un momento nel quale, invece, c’è bisogno di un clima di collaborazione per realizzare pezzi importanti del Piano di impresa.
Roma, 27 Febbraio 2015
Le Segreterie Nazionali di SLC-CGIL, FISTEL-CISL e UILCOM-UIL


25 febbraio 2015

Call center, l'eccezione Jobs Act divide i sindacati

www.corrierecomunicazioni.it
Una scelta miope che non servirà a tutelare l’occupazione, nemmeno dei lavoratori in outbound. La Slc Cgil boccia senza appello la decisione del governo, inserita nei decreti delegati usciti dall’ultimo Cdm, di non abolire i co.co.pro. per gli addetti dei call center outbound.

“Renzi ha dimostrato di ragionare per schemi – spiega a CorCom Michele Azzola, segretario nazionale della SlcCgil – Ha deciso di non abolire i contratti a progetto per tutelare l’occupazione nel settore, ma non ha tenuto conto delle migliaia di addetti a tempo indeterminato che rischiano di perdere il lavoro per effetto della normativa sui cambi di appalto attualmente in vigore e, ora, anche per il Jobs Act”.

Per Azzola la crisi occupazionale nel call center andrebbe affrontata “con un progetto sistemico per il settore all’interno del quale ragionare sulle modalità contrattuali più opportune”.

“Fatta in questo modo – conclude il sindacalista – la decisione di mantenere i co.co.pro. per alcune professionalità sembra l’ennesimo favore fatto alle imprese”.

Di tutt’altra opinione la Fistel Cisl. Come spiega Giorgio Serao, della segreteria nazionale, “l’eccezione Jobs Act per il call center” è stata “una scelta saggia che arginerà il fenomeno della delocalizzazione delle attività outbound ”.

“Si è riconosciuta l’efficacia dell’accordo sindacale nazionale sottoscritto nell’agosto 2013 in ottemperanza delle indicazioni di legge emanate dall’allora ministro del Lavoro Fornero – ricorda Serao al nostro giornale – che garantisce minimi salariali. Ora è arrivato il momento di lavorare perché quei minimi siano aggiornati come da contratti collettivi nazionali”.

Per il segretario generale Uilcom, Salvo Ugliarolo, “la scelta servirà a mantenere l'occupazione, tenuto conto che le aziende in questione difficilmente avrebbero scelto il contratto a tutele crescenti ma più realisticamente avrebbero portato delocalizzato le attività”.

 “Detto questo – evidenzia Ugliarolo – non bastano i co.co.pro. a risolvere la crisi dei call center che è una crisi sistemica che inerisce strettamente la norme attualmente vigenti e riguarda anche i lavoratori a tempo indeterminato. È dunque necessario intervenire su più livelli. E questo lo andremmo a riferire anche domani al viceministro allo Sviluppo economico De Vincenti in occasione dell’incontro tecnico del tavolo sui call center”.

Il decreto delegato approvato dal Cdm dello scorso venerdì abolisce i contratti di collaborazione a progetto a partire dal 1° gennaio 2016 (quelli già in essere potranno proseguire fino alla loro scadenza) ma fa salve "le collaborazioni regolamentate da accordi collettivi, stipulati dalle organizzazioni sindacali comparativamentepiù rappresentative sul piano nazionale, che prevedono discipline specifiche relative al trattamento economico e normativo in ragione delle particolari esigenze produttive ed organizzative del relativo settore e poche altri tipi di collaborazioni”. Tra queste ci sono i call center appunto.

Per Paolo Sarzana, vicepresidente di Teleperformance “si tratta di una scelta che riconosce la specificità dei settore dei call center in outbound e che rende ancora più solida la riforma del mercato del mercato del lavoro voluta da questo governo. Se non si fosse riconosciuta tale specificità molte imprese sarebbero state costrette a delocalizzare le attività".

Il mantenimento dei co.co.pro, stando alle stime Assocontact, salvaguarda circa 80mila posti di lavoro. Nelle scorse settimane proprio l’associazione si era appellata al governo proprio per chiedere che i co.co.pro. rimanessero in vigore per il settore.

Per Assocontact l’eliminazione delle forme atipiche dei contratti di lavoro, avrebbe prodotto immediatamente pesanti conseguenze occupazionali in diversi settori industriali fra i quali quello dei contact center.




Telecom Italia Comunicato SLC CGIL ai lavoratori del 24 febbraio 2015

In data 24 febbraio 2015 si sono riuniti i componenti del coordinamento nazionale delle RSU di Telecom Italia eletti nelle liste della SLC CGIL e la Segreteria Nazionale per fare un’analisi della vertenza “Caring” in particolare e sullo stato delle relazioni industriali complessive all’interno di Telecom Italia.
Coordinamento e Segreteria Nazionale hanno ribadito la ferma volontà di rispettare il mandato dei lavoratori, scaturito attraverso la bocciatura dell’ipotesi di accordo di riorganizzazione del caring, denunciando le forti strumentalizzazioni adottate nella lettura del risultato del referendum che appaiono incomprensibili e sbagliate.
Il voto delle lavoratrici e dei lavoratori è stato un voto libero e consapevole che ha respinto i contenuti dell’intesa raggiunta, evidentemente non condivisi e accettati, evidenziando uno stato di forte sofferenza presente tra le lavoratrici e i lavoratori della divisione “caring”.
Scaricare sul risultato elettorale la responsabilità delle successive decisioni assunte dall’azienda non soltanto rappresenta un atteggiamento vile ma contribuisce ad alimentare spaccature tra le Organizzazioni Sindacali e, peggio, tra i lavoratori in un momento in cui l’unità d’intenti rappresenta la prima vera priorità rispetto alle gravi decisioni assunte dall’azienda.
E’ del tutto evidente, infatti, che la decisione aziendale di procedere verso la societarizzazione della divisione, con la tempistica comunicata nell’incontro del 18 febbraio u.s., e di procedere alla chiusura di 19 sedi (quasi il doppio rispetto a quanto convenuto nell’ipotesi di accordo e meno della metà di quanto previsto dagli accordi del 27 marzo 2013) rappresenta un grave errore che potrebbe portare a conseguenze negative sia per l’azienda sia per i lavoratori coinvolti.
Coordinamento e Segreteria Nazionale ritengono necessario ridefinire un progetto di riorganizzazione delle attività del “caring” che partendo dalla necessità di migliorare le condizioni di lavoro del personale e offrire un servizio di più elevata qualità ai clienti aziendali, sia in grado di rendere sostenibile l’attività gestita internamente.
La scommessa che lavoratori e azienda devono lanciare al mercato è quella della qualità e della massima attenzione verso il cliente, vera alternativa alla competizione realizzata sul solo prezzo, con la convinzione che nei prossimi anni emergerà quell’operatore in grado di fornire ai propri clienti un servizio di qualità, vero elemento distintivo sulla forte concorrenza presente nel mercato italiano.
Il progetto, che dovrà partire dal risultato del referendum, andrà realizzato con una proposta in grado di unire i novemila operatori della divisione “caring” su una riorganizzazione alternativa al progetto di societarizzazione. Affrontando un cambio di paradigma tra una competizione tutta incentrata sul prezzo verso un modello caratterizzato dal livello di qualità offerto al cliente, vero giudice del futuro dell’azienda.
Per realizzare tale percorso è evidente che le strumentalizzazioni sul voto dei lavoratori e lo scarica barile delle responsabilità rappresenta un altro ostacolo che rischia di far perdere nuovo terreno sulla strada dei diritti, della qualità della vita e della retribuzione delle lavoratrici e dei lavoratori.
L’errore non va ricercato nel voto delle lavoratrici e dei lavoratori, ma nella gestione della trattativa e nella sua incapacità di costruire un progetto di rilancio condiviso e non imposto sotto il ricatto della societarizzazione.
Coordinamento e Segreteria Nazionale SLC CGIL invitano, pertanto, le altre OO.SS a convocare un coordinamento unitario delle RSU per definire congiuntamente le modalità con cui opporsi al progetto di societarizzazione avviato dall’azienda e costruire una proposta alternativa con cui riaprire il confronto negoziale.
In quest’ambito la decisione aziendale di avviare la chiusura unilaterale di diciannove sedi rappresenta un primo strappo alla necessità di gestire in maniera condivisa i progetti organizzativi che coinvolgono i lavoratori.
Ogni atto unilaterale che sarà compiuto, ogni strumentalizzazione cavalcata, ogni forzatura realizzata rappresenteranno un successivo errore rispetto a quanto già commesso durante la trattativa con il coordinamento del 27 novembre 2014.
Appare opportuno, invece, evitare il ricorso a scelte unilaterali e riconvocare il coordinamento per riprendere la discussione e individuare percorsi e soluzioni condivise, limitandosi a dare applicazione, nell’immediato, alle tematiche condivise durante la trattativa, per esempio la chiusura sedi e la riconversione delle stesse.
Per questi motivi Coordinamento e Segreteria Nazionale dichiarano lo Stato di agitazione del personale da realizzarsi, da subito, attraverso il blocco delle prestazioni straordinarie e accessorie di tutto il personale non sottoposto a legge 146/90
preannunciando che saranno aperte le procedure di raffreddamento previste dalla legge per addivenire a una mobilitazione di tutto il personale contro il progetto di societarizzazione e le scelte unilaterali adottate dall’azienda sulla chiusura delle sedi.
La vertenza “caring” può rappresentare l’occasione per costruire un nuovo rapporto tra azienda e rappresentanze dei lavoratori, un rapporto che costituisce il fattore principale per il successo di un’azienda di servizi e condizione imprescindibile per realizzare gli obiettivi che il Consiglio di Amministrazione ha lanciato con la presentazione del piano industriale 2015 – 2018.
Chi si assumerà la responsabilità di far fallire questo percorso non lo potrà e dovrà fare nascondendosi e scaricando le responsabilità sul voto espresso dai lavoratori nel referendum.

LA SEGRETERERIA NAZIONALE

Lavoratori del call center Almaviva Contact in sit-in


di Roberta Fuschi
 Si sono dati appuntamento davanti al negozio Wind di Via Etnea prima di raggiungere in corteo la Prefettura per chiedere un incontro. Sono i dipendenti della società che in queste ore rischia di perdere la commessa Wind a causa delle gare al massimo ribasso che ormai la fanno da padrone nel panorama italiano. Sono quattrocentocinquanta i lavoratori del call center di Misterbianco che rischiano licenziamento.

Parliamo di un’azienda, che in Sicilia dà lavoro a seimila persone, e che rischia un progressivo smantellamento. Una condizione che riguarda tutte sedi dei call center Almaviva sparse sul territorio nazionale, dove lavorano circa 12.000 addetti. Una mattanza. Un rischio concreto per chi lavora da oltre dieci anni con contratti a tempo determinato pur sentendosi “precario a vita”. Il motivo è presto spiegato: la società gestisce le commesse per conto di grandi colossi delle telecomunicazione che di volta in volta rinnovano il tutto attraverso gare d’appalto. Il criterio di assegnazione, però, segue un modello tristemente noto: il massimo ribasso. E il costo da tagliare, neanche a dirlo, è quello del lavoro.

Come se non bastasse, il sistema italiano non prevede né una clausola contro a delocalizzazione né una tutela per i lavoratori che gestiscono già tale servizio. I lavoratori di Almaviva “costano sessanta centesimi al minuto” e si trovano a competere con personale da “trenta centesimi”. “La gara d'appalto per la commessa Wind che i lavoratori di Almaviva gestiscono da più di un decennio, a causa del meccanismo del massimo ribasso, potrebbe essere assegnata ad altre aziende che non hanno al momento alcun obbligo di assumere i lavoratori eventualmente licenziati da Almaviva”, spiegano gli sponenti di Slc Cgil, Fistel Cisl, Uilcom Uil e Ugl. “Facendo le gare al massimo ribasso e delocalizzando io costo di più di un lavoratore albanese quindi il mio posto di lavoro è sempre a rischio.

La mia azienda, Alamaviva, l’unica in Italia che non delocalizza non viene ascoltata dalle istituzioni e noi lavoratori ci ritroviamo in mezzo alla strada perché ogni volta che una commessa viene rinnovata con il principio del solo costo del lavoro”. Così parla Angelo, operatore del call center di Misterbianco che indossa una maglia arancione con una frase emblematica: “All inclusive Wind? Tutto incluso tranne i lavoratori di Almaviva”. “Oggi verrà assegnata la commessa Wind che Amaviva rischia di perdere perché il sistema di gare per l’aggiudicazione degli appalti prevede il sistema del massimo ribasso quindi senza nessuna garanzia per il costo della manodopera e con la possibilità per le aziende che se le aggiudicano di delocalizzare all’estero le proprie attività”, spiega il sindacalista della Cgil Giovanni Pistorio. “Aziende strutturate sul territorio nazionale che rispettano i diritti dei lavoratori, invece, rischiano di saltare”, continua Pistorio.

E mentre il puzzle della macelleria sociale si arricchisce di nuovi tasselli l’esecutivo nazionale resta a guardare. “Il governo assente – denuncia il sindacalista Cisl Antonio D’Amico- è un paradosso che nel 2015 non ci sia una tutela nazionale sulle gare d’appalto nei call center”. Infatti a fronte di una direttiva europea in materia di cambio d’appalto non recepita in Italia, nemmeno il Jobs Act dice una parola chiara sul tema: decretando così la mancanza di regole nel campo dei cambi d’appalto. “E noi ci ritroviamo a perdere una commessa e posti di lavoro in favore di una società che in primo luogo risparmia sui lavoratori, sottraendo loro le tutele”, argomenta D’Amico.

Teatro Stabile fuori dalla lista nazionale


Il Teatro Stabile di Catania é fuori dal novero dei teatri nazionali. Per Slc Cgil e per la Camera del lavoro di Catania, "si tratta di un'ingiustizia su cui bisogna venga fatta piena luce". Sul declassamento i rappresentanti nazionali del sindacato stanno già intervenendo, mentre il segretario generale della Cgil Giacomo Rota, il segretario generale della Slc Davide Foti e il segretario confederale Giovanni Pistorio, annunciano che "le azioni di denuncia saranno sostenute a qualsiasi livello, per far si che vengano rispettate le regole e affinché i titoli del teatro possano essere riconosciuti.
Con il mancato inserimento dello Stabile nella lista dei teatri di interesse nazionale, è stata colpita negativamente un' intera collettività, il suo lavoro culturale e il suo vissuto; il Teatro Stabile di Catania infatti, per storia é il terzo d'Italia. Per raggiungere l’obiettivo sperato, in questi ultimi anni sono stati fatti sacrifici immensi e corali, soprattutto dall'organo di gestione dell'ente, dalla direzione, ma anche dagli addetti, dagli attori e dal pubblico.Tutti i parametri previsti dalla legge sono stati abbondantemente soddisfatti nonostante fossero proibitivi.

Nonostante i tagli dei trasferimenti dalla Regione, lo Stabile catanese si è confermato come uno dei più apprezzati e premiati di Italia; attori e maestranze ci vengono invidiati da tutti, la scuola di recitazione è tra le più quotate in Italia. Nonostante ciò, lo Stabile è stato ridotto dal governo nazionale a teatro regionale". La nota si conclude con un quesito: "Si è voluto, con ciò, fare un favore a qualcuno a discapito di altri? Noi pensiamo di si, ed è perciò che chiediamo che i rappresentanti catanesi nelle istituzioni politiche agiscano rapidamente e duramente per sanarla".

23 febbraio 2015

TFR in busta paga, su richiesta Tutte le info utili


Da marzo 2015 parte il c.d. Tfr in busta paga. Che cos’è? Il Tfr è il trattamento di fine rapporto che, di norma, viene liquidato alla cessazione del rapporto. Il Governo Renzi, come misura sperimentale, ha previsto la possibilità di liquidare le quote maturande mese per mese, per aiutare la liquidità delle famiglie e, di conseguenza, i consumi. Nello specifico questa misura sperimentale è prevista dal 01.03.2015 al 30.06.2018. I lavoratori potranno scegliere liberamente. Unica rigidità: una volta opzionata la liquidazione mensile del Tfr, la scelta sarà irrevocabile fino alla fine del periodo sperimentale. Vengono investiti da tale novità tutti i datori di lavoro privati, esclusi agricoli e lavoro domestico. Resteranno escluse anche le aziende in crisi o sottoposto a procedure concorsuali. I lavoratori, per poter manifestare la propria volontà, dovranno avere un’anzianità aziendale di almeno sei mesi. Sarà possibile chiedere la liquidazione mensile anche in caso di adesione ad un fondo di previdenza complementare. Sono previste anche alcune particolarità sulla tassazione di tali importi: infatti, in luogo di una tassazione separata come per il Tfr, la liquidazione mensile subirà una tassazione ordinaria. Per converso la somma sarà esclusa da contribuzione e non verrà conteggiata come imponibile per determinare il c.d. bonus 80 €.I datori di lavoro con meno di 50 unità, per far fronte alle maggiori uscite finanziarie dovute alla liquidazione mensile, potranno fare richiesta di accesso ad un finanziamento assistito da garanzia rilasciata dal Fondo di garanzia per l’accesso ai finanziamenti e dalla garanzia dello Stato. Il finanziamento sarà assistito da privilegio speciale. Per poter accedere a tale finanziamento gli stessi devono richiedere tempestivamente all’Inps apposita certificazione del Tfr maturato in relazione ai montanti retributivi dichiarati per ciascun lavoratore. Ai finanziamenti non possono essere applicati tassi, comprensivi di ogni eventuale onere, superiori al tasso di rivalutazione della quota di Tfr. Sono previste anche ulteriori misure compensative delle maggiori uscite finanziarie sostenute dai datori di lavoro. Al fine di comprendere meglio le varie opzioni percorribili, oltre che la tassazione del Tfr con conseguente netto percepito dal lavoratore, le aziende potranno rivolgersi al proprio consulente del lavoro.

Il governo mantiene i contratti a progetti per gli operatori outbound

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Via i co.co.pro. ma non per gli operatori outbound dei call center. Il decreto delegato approvato dal Cdm dello scorso venerdì abolisce i contratti di collaborazione a progetto a partire dal 1° gennaio 2016 (quelli già in essere potranno proseguire fino alla loro scadenza) ma fa salve "le collaborazioni regolamentate da accordi collettivi, stipulati dalle organizzazioni sindacali comparativamentepiù rappresentative sul piano nazionale, che prevedono discipline specifiche relative al trattamento economico e normativo in ragione delle particolari esigenze produttive ed organizzative del relativo settore e poche altri tipi di collaborazioni”. Tra queste ci sono i call center appunto.

Per Paolo Sarzana, vicepresidente di Teleperformance “si tratta di una scelta che riconosce la specificità dei settore dei call center in outbound e che rende ancora più solida la riforma del mercato del mercato del lavoro voluta da questo governo. Se non si fosse riconosciuta tale specificità molte imprese sarebbero state costrette a delocalizzare le attività".

“I call center – ricorda Sarzana a CorCom – sono infatti regaolati da accordi collettivi che garantiscono un minimo salariale e tutele per i lavoratori che possono diventare uno strumento virtuoso anche per altri settori.” Nello specifico le attività realizzate dalle imprese con l’utilizzo di contratti di lavoro atipici, sono regolate da un accordo sindacale nazionale sottoscritto nell’agosto 2013 in ottemperanza delle indicazioni di legge emanate dall’allora ministro del Lavoro Fornero.

Il mantenimento dei co.co.pro, stando alle stime Assocontact, salvaguarda circa 80mila posti di lavoro. Nelle scorse settimane proprio l’associazione si era appellata al governo proprio per chiedere che i co.co.pro. rimanessero in vigore per il settore.

Per Assocontact l’eliminazione delle forme atipiche dei contratti di lavoro, avrebbe prodotto immediatamente pesanti conseguenze occupazionali in diversi settori industriali fra i quali quello dei contact center.

"Le nostre imprese si occupano anche della gestione anche dei servizi di vendita telefonica - spiegava l'associazione - un’attività che oggi coinvolge circa 40.000 addetti che operano con contratti atipici a motivo del modello di business e delle caratteristiche di tale attività, legata a commesse di breve durata e remunerate a fronte di risultati ottenuti".

Le specificità riguardano, oltre a quelli del nostro comparto, ulteriori 40.000 lavoratori che operano in ambito delle attività di ricerche mercato e recupero crediti. "Insomma, ci troveremmo di fronte a un bacino di circa 80.000 lavoratori che, in mancanza della necessaria variabilità e flessibilità della tipologia contrattuale, potrebbero vedere venir meno la loro attività e i redditi a essa collegati - sottolinea Assocontact - E dunque chiediamo che l’azione legislativa tenga conto delle necessarie peculiarità di questi settori, al fine del mantenimento dell'occupazione e del reddito dei lavoratori in essi occupati".