17 dicembre 2015

Lavoratori in cassa integrazione? Indicare i criteri

La Corte di Cassazione (sentenza n. 22284 del 30 ottobre 2015) ha confermato l’obbligo per il datore di lavoro di comunicare alle organizzazioni sindacali i criteri di scelta applicati per l’individuazione dei lavoratori coinvolti nella cassa integrazione guadagni straordinaria.

Obblighi datoriali
La sentenza riguarda un caso esaminato dalla Corte d’Appello di Torino, relativo all’illegittima collocazione in CIGS di una lavoratrice: la Corte territoriale ha ribadito l’obbligo di esplicitazione, nella comunicazione di apertura della procedura, dei:

«criteri di individuazione dei lavoratori da sospendere nonché delle modalità di rotazione».

La stessa Corte ha inoltre sottolineato la genericità e indeterminatezza dei criteri (consistenti nelle “esigenze tecniche, organizzative e produttive” e nelle “esigenze professionali”) indicati nella comunicazione iniziale del datore di lavoro, che si è quindi rivolto alla Cassazione.

Sentenza
I giudici hanno respinto il ricorso, sostenendo che nel richiedere l’intervento straordinario di integrazione salariale, per l’imprenditore vige sempre l’obbligo di dare tempestiva comunicazione alle organizzazioni sindacali:

«In tema di scelta dei lavoratori da porre in cassa integrazione guadagni, la L. 223/1991, art. 1 prescrive al co. 7 da parte del datore di lavoro, a seguito della sua ammissione alla cassa integrazione guadagni straordinaria, la comunicazione alle organizzazioni sindacali dei criteri di scelta dei lavoratori da sospendere, in base a quanto previsto dalla L. 164/1975. Tale disposizione, che pone a carico del datore di lavoro un preciso onere, va osservata come tutte le restanti disposizioni della L. 223/1991, volte a tutelare, nella gestione della cassa integrazione, i diritti dei singoli lavoratori e le prerogative delle organizzazioni sindacali, anche dopo l’entrata in vigore del D.P.R. 10 giugno 2000, n. 218 (contenente norme per la semplificazione del procedimento per la concessione del trattamento di cassa integrazione guadagni straordinaria e di integrazione salariale a seguito della stipula di contratti di solidarietà), atteso che tale disciplina non incide con effetto abrogativo o modificativo sulle suddette disposizioni ma è volta unicamente a diversamente regolamentare il procedimento amministrativo, di rilevanza pubblica, di concessione di integrazione salariale».


Controllo a distanza dei lavoratori: guida alle novità


L’analisi dei Consulenti del Lavoro sul controllo a distanza dei lavoratori così come riformato dal Jobs Act. è contenuta nella circolare 20/2015 della Fondazione Studi dell’associazione professionale, con la puntuale indicazione delle novità rispetto al vecchio impianto normativo in termini di strumenti di monitoraggio e vincoli di privacy.

Accordo sindacale

L’articolo 23 del Dlgs 151/2015 (Razionalizzazione e semplificazione delle procedure e degli adempimenti a carico di cittadini e imprese) attuativo del Jobs Act, modifica l’articolo 4 dello Statuto dei Lavoratori ma, in linea generale ne conferma i principi fondanti: impianti audiovisivi e altri strumenti di controllo a distanza possono essere installati:
«esclusivamente per esigenze organizzative e produttive, per la sicurezza del lavoro e per la tutela del patrimonio aziendale», e comunque in base a specifico accordo sindacale.
In pratica, spiegano i Consulenti del Lavoro:
«la dignità e la riservatezza del lavoratore permangono quali diritti la cui tutela è primaria, da contemperare con le esigenze produttive ed organizzative o della sicurezza del lavoro».

Impianti di controllo

In realtà, un’importante novità rispetto alla norma precedente è che adesso, accanto ai requisiti oggettivi, per l’installazione di audiovisivi o apparecchi di controllo a distanza si aggiungono le esigenze di tutela del patrimonio aziendale. Si tratta dunque dei controlli difensivi, diretti all’accertamento di comportamenti illeciti diversi dal mero inadempimento della prestazione lavorativa: la legge di fatto recepisce un orientamento giurisprudenziale espresso in diverse sentenze.
Per l’installazione, tuttavia, resta confermato l’obbligo di accordo sindacale o autorizzazione del Direzione Territoriale del Lavoro competente, su istanza dell’impresa.

Sedi staccate

Una novità operativa riguarda il caso dell‘impresa con più unità produttive in diverse province o regioni: in questo caso è necessario un accordo con le associazioni sindacali nazionali oppure l’autorizzazione del Ministero del Lavoro. Commentano i Consulenti del Lavoro:
«questa introduzione consente di ovviare alle criticità rappresentate dalla normativa previgente che, in assenza di indicazioni specifiche, imponeva il ricorso alle diverse realtà locali, sindacali o amministrative».

Strumenti di lavoro

La vera novità del decreto riguarda la completa esclusione dai criteri appena descritti nel caso di strumenti utilizzati dal lavoratore per rendere la prestazione lavorativa (come il pc o lo smartphone) e quelli per la registrazione di accessi e presenze: in questi casi l’installazione è libera e non richiede accordo sindacale.
Questa eccezione «è strettamente limitata a quegli strumenti che immediatamente servono al lavoratore per adempiere alle mansioni assegnate», per i quali:
«non è necessario alcun accordo né autorizzazione preventiva, e l’installazione dell’impianto o la dotazione dello strumento al dipendente è di per sé legittima, ricorrendone i requisiti di legge».

Uso dei dati

Tutto questo comporta la possibilità di acquisire informazioni sull’attività lavorativa, suscettibili di valutazioni anche sotto il profilo disciplinare. E’ uno dei nodi più complessi e controversi del decreto. Per i Consulenti del Lavoro, ai sensi del terzo ed ultimo comma del nuovo articolo 4 dello Statuto, le informazioni raccolte in conseguenza dell’installazione legittima di un impianto possono essere  utilizzate per qualsiasi fine connesso al rapporto di lavoro (anche per i rilievi di natura disciplinare). Al lavoratore deve comunque essere data adeguata informazione sulle modalità d’uso da parte dell’azienda degli strumenti tecnologici e sull’effettuazione di controlli, rispettando le indicazioni del codice privacy.
Ricordiamo a questo proposito una posizione del Ministero del Lavoro, che ha chiarito: se il pc o lo smartphone o lo strumento di lavoro fornito al dipendente viene modificato (ad esempio, con l’istallazione di appositi software di localizzazione o filtraggio) per controllare il lavoratore, si fuoriesce dall’ambito della disposizione perché
«da strumento che serve al lavoratore per rendere la prestazione il pc, il tablet o il cellulare divengono strumenti che servono al datore per controllarne la prestazione»
Di conseguenza, in questi casi devono intervenire i paletti relativi agli strumenti di controllo: ricorrenza di particolari esigenze, l’accordo sindacale o l’autorizzazione.
Fonte: circolare consulenti del lavoro

Licenziamento per uso improprio del pc aziendale

Non sempre è punibile con il licenziamento il lavoratore che fa uso personale della casella email aziendale e della navigazione su Internet durante l’orario di lavoro: la Corte di Cassazione si è espressa a riguardo con la sentenza n. 22353 del 2 novembre 2015. La vicenda prende le mosse da una precedente sentenza del 2010, che confermava la decisione del Tribunale di ritenere illegittimo il licenziamento disciplinare intimato a un lavoratore a causa dell’uso improprio di strumenti informatici aziendali.

Secondo i giudici gli addebiti rientravano nella previsione dell’articolo 53 del contratto collettivo, che prevede solo una sanzione conservativa se l’uso personale di posta elettronica e browser non determinano una significativa sottrazione di tempo all’attività di lavoro, con grave danno per l’attività produttiva.

Secondo l’azienda, la Corte d’appello avrebbe ignorato la lettera di contestazione, che richiamava l’elusione delle informative e dei preavvisi su un uso attento della strumentazione aziendale. La condotta avrebbe quindi integrato anche la violazione del dovere di obbedienza previsto dall’articolo 2104 del Codice Civile. Inoltre, l’installazione di programmi coperti da copyright e di software non fornito dall’azienda comportava un utilizzo illegittimo oltre che improprio.


Nel respingere il ricorso la Cassazione ha spiegato che le allegazioni della società ricorrente non dimostrano infrazioni disciplinari diverse e più gravi rispetto alla fattispecie di uso. Il riferimento a preavvisi non prospetta una violazione di obblighi contrattuali, rilevando solo ai fini della valutazione della gravità dell’inadempimento. La contestazione, infine, non sanciva la violazione di limiti di utilizzo di programmi coperti da copyright, con conseguenti profili di responsabilità per l’azienda. Viene pertanto esclusa la particolare gravità del comportamento addebitato sotto il profilo della sussistenza della giusta causa.

Almaviva, stop a contratti di solidarietà per lavoratori

DI ROSSANA LO CASTRO
 16 DICEMBRE 2015
La nuova tegola per i lavoratori Almaviva arriva dall’Inps. E porta la data di ieri. L’Istituto di previdenza in una nota ha comunicato lo stop retroattivo (a partire già dall'1 dicembre) ai contratti di solidarietà, che tra Palermo e Catania interessano circa 5mila lavoratori. Una decisione che segue il cambio di classificazione aziendale del colosso dei call center dal settore industria al terziario. Una rivoluzione che, denunciano adesso le parti sociali, «modifica in peggio le ricadute sui lavoratori dell’intero gruppo».

Da tempo gli operatori sono in stato di agitazione e, dopo una serie di assemblee nei due siti di via Marcellini e di via Cordova, i sindacati hanno proclamato tre giornate di sciopero. La prima, venerdì scorso, ha visto scendere in piazza migliaia lavoratori per riportare la vertenza al centro dell’attenzione dei governi nazionale e regionale. Sul tappeto le tante questioni aperte dalla necessità di una politica industriale che contempli l’applicazione della normativa già esistente come il 24 bis e clausole sui cambi di appalto per arrivare ai percorsi di riqualificazione del personale. Davanti la prefettura insieme a dipendenti e parti sociali erano arrivati anche il sindaco Leoluca Orlando e l’assessore alle Attività produttive, Giovanna Marano. Da entrambi l’impegno a portare la vertenza all’attenzione dell’esecutivo Renzi.

Adesso la nuova doccia fredda. «L’accesso agli ex ammortizzatori sociali in deroga, confluiti nel fondo residuale, costituisce un’ulteriore incertezza per migliaia di famiglie coinvolte da tale processo» dicono Slc Cgil, Fistel Cisl, Uilcom Uil e Ugl. Che nutrono più di un dubbio. «Non abbiamo alcuna certezza che Almaviva non abbia alcuna responsabilità nei confronti dell’intervento dell’Inps, dal momento che durante ogni incontro effettuato al Mise questo argomento è stato prontamente affrontato dall’azienda stessa». Un atteggiamento su cui adesso i sindacati puntano il dito. Perché rivendicare che «le regole debbano essere uguali per tutti è un dato oggettivo, ma non si possono confondere aziende che occupano migliaia di lavoratori e muovono fatturati con tanti zeri e aziende che occupano poche centinaia di addetti con indici economici medio/bassi».

Dietro l’angolo lo spettro di una nuova Termini Imerese siciliana. Un timore reso più forte dall’ampliarsi del divario tra Nord e Sud in termini di occupazione e sviluppo industriale. «Il venire meno di uno strumento così importante di accesso agli ammortizzatori sociali ordinari – dicono le sigle sindacali - aumenta le preoccupazioni dei lavoratori palermitani e rischia di gettare nel baratro l’intera economia che ruota attorno a questo importante complesso industriale. Almaviva è un’azienda fondamentale per Palermo, un’azienda di cui la città non può fare a meno perché è l’industria del futuro». L’auspicio è che «un intervento urgente del ministero del Lavoro» possa mettere in sicurezza l’attuale perimetro occupazionale. Soprattutto davanti al silenzio della Regione siciliana che «continua ad essere la grande assente in questa vertenza».

Al tempo stesso i sindacati lanciano un appello all’azienda perché «si faccia carico delle conseguenze derivanti da tale modifica». Gli occhi sono puntati a venerdì prossimo, quando a Roma, alle 11 nella sede dell’Unione industriali è in programma un incontro tra lo stesso colosso dei call center, le segreterie nazionali e le Rsu. «Speriamo che la riunione sia risolutiva – dice Massimiliano Fiduccia della Slc Cgil – e che si possa trovare una soluzione per scongiurare un dramma sociale». L’ennesimo.

Intanto ai lavoratori arriva la solidarietà di Simone Di Trapani, segretario provinciale di Sel Palermo, ed Erasmo Palazzotto, deputato di Sinistra Italiana. «Una situazione gravissima che rischia di sfociare nel licenziamento di gran parte degli operatori del call center». Per entrambi di tratta di un provvedimento che «avrà conseguenze non solo su Almaviva, ma anche sulle centinaia di call center che in Sicilia, come in tutta Italia, fanno ricorso ai contratti di solidarietà per evitare gli esuberi». Nell’Isola quello dei call center è il primo settore produttivo, che dà lavoro a oltre 20mila persone, 10mila nella sola Palermo.


15 dicembre 2015

Telecom Italia: bocciata la conversione azioni. Sì all’ingresso in cda dei 4 rappresentanti Vivendi


di Alessandra Talarico
Passano le principali proposte di Vivendi nella ‘giornata campale’ dell’assemblea Telecom Italia: gli azionisti hanno infatti bocciato la conversione delle azioni di risparmio in ordinarie e approvato l’allargamento del cda da 13 a 17 membri, per fare spazio a 4 rappresentanti del gruppo francese. L’assemblea degli azionisti ha bocciato però la quarta proposta di Vivendi relativa allo  svincolo dal divieto di concorrenza per gli Amministratori nominati nel cda Telecom e che quindi non potrebbero proseguire le attività indicate nei rispettivi curriculum vitae.

La proposta di conversione delle azioni di risparmio in ordinarie ha registrato l’astensione del 36% del capitale presente, mentre l’1,4% ha espresso voto contrario e il 62,5% ha votato a favore: la proposta è stata quindi bocciata, dal momento che l’approvazione necessitava dei due terzi dei voti.
L’ingresso dei 4 rappresentanti Vivendi nel board – l’Ad Arnaud de Puyfontaine, il cfo Hervè Philippe, il coo Stephane Rousell e l’indipendente Felicité Herzog – per la quale serviva il superamento della soglia del 50% dei voti è quindi passato con il voto favorevole del 52,9% del capitale.I contrari sono stati il 45,7%.


Giuseppe Recchi: non è da escludere scadenza anticipata del board
Il presidente Giuseppe Recchi, rispondendo a un’azionista, non ha escluso una scadenza anticipata del board della compagnia telefonica, prevista con l’approvazione del bilancio del 2016, quindi nella primavera 2017. “E’ una valutazione che potrà fare il cda”, ha affermato, precisando che non spetta in ogni caso al presidente di valutare questa eventualità.
“Ogni consigliere, una volta in cda, e’ tenuto a decidere nell’interesse dell’azienda e non in base a chi a lui ha dato mandato”, ha precisato Recchi.


Vivendi: qui per restare
Nonostante la decisione di astenersi dal voto sulla conversione dei titoli di risparmio in azioni ordinarie – operazione che avrebbe diluito la quota di Vivendi al 14% circa – il Ceo Arnaud de Puyfontaine ha ribadito nel suo intervento che il gruppo francese è determinato a restare azionista Telecom e investitore industriale – non solo finanziario – a lungo termine.
“Abbiamo grande rispetto per un gruppo di grande rilevanza nel panorama italiano e internazionale e che per svilupparsi ha bisogno di un azionariato stabile, in sintonia con gli azionisti, gli stakeholder e il governo italiano”, ha detto, parlando in italiano, per poi aggiungere, in inglese, che è necessario “lavorare in piena sintonia su obiettivi comuni e condivisi”.
Ribadendo, poi, che Vivendi non agisce per conto terzi, de Puyfontaine ha aggiunto:”Noi crediamo in Telecom Italia, ma crediamo che ci sia spazio per crescere, per migliorare ancora”.
Per poter votare sulla conversione delle azioni, però – ha ribadito De Puyfontaine – sarebbero servite più informazioni.
Quel che è certo è che Vivendi – che in Telecom ha investito 3 miliardi di euro – intende porsi come ‘unità di comando’ di Telecom Italia e dare, così, le regole del gioco. Ripetendo quanto già dichiarato nei giorni scorsi alla stampa, De Puyfontaine ha sottolineato in assemblea che Telecom “ha bisogno di un’unità di comando tra il board, il suo presidente e l’equipe dei manager per potere realizzare progetti chiave per il Paese”.

Il dietrofront del primo azionista
Il dietrofront di Vivendi sulla conversione delle azioni ha fatto gridare alla ‘resa dei conti’, anche se l’ad De Puyfontaine, oggi presente a Rozzano, ha precisato che Vivendi non è contraria per principio all’operazione: non concorda coi termini proposti dalla società, penalizzanti sia per il mercato che per gli azionisti.
Non si tratta dunque di una ‘vendetta’ verso i fondi e la loro levata di scudi contro la proposta di allargare il cda: decisione che molti considerano un ‘commissariamento’ e che ha fatto sollevare il sopracciglio anche a un osservatore autorevole come il Financial Times che sottolinea che per essere credibile Vivendi avrebbe dovuto presentare le sue obiezioni settimane, non ore prima dell’assemblea.
Il quotidiano finanziario della City non risparmia le critiche al gruppo francese, denunciando l’ipocrisia del suo slogan aziendale ‘Vivons ensemble’ (viviamo insieme), visto l’atteggiamento di sfida assunto in questa occasione.
“La decisione di Vivendi sa di arroganza non di prudenza e questa stupidità comporterà una perdita di tempo per il board di Telecom Italia per non parlare dei soldi degli azionisti. Così, tanto per andare d’accordo”.
E già, perché nel caso in cui i 4 consiglieri (o anche due, visto che de Puyfontaine si è detto pronto a trattare su un minor numero di rappresentanti nel board in caso di diluizione della partecipazione con la conversione delle risparmio) la convivenza non si preannuncia proprio idilliaca.


Recchi: CdA unito e compatto
Agli azionisti, il presidente Giuseppe Recchi ha ricordato che i vertici sono oggi soltanto spettatori, “attenti al rispetto delle regole e all’interesse della società, ma rimaniamo pur sempre spettatori”.
 “Oggi – ha aggiunto – è la giornata in cui siete chiamati ad esprimervi voi azionisti. Siete voi che, con le vostre decisioni, indicherete quale essere il percorso migliore per il gruppo”.
Nel ribadire la validità della proposta della conversione dei titoli di risparmio in azioni ordinarie, messa a punto con il supporto “di due advisor di indiscusso standing, Citi ed Equita” e gradita anche dai consiglieri indipendenti, Recchi ha quindi spiegato che l’operazione, oltre a rafforzare il patrimonio della società “si andrebbe a inquadrare in una più ampia linea d’azione che il Cda ha intrapreso per dotare il nostro gruppo delle risorse finanziarie necessarie per dare ulteriore impulso al piano di sviluppo delle reti a banda ultra-larga, sia fissa che mobile, e contribuire ulteriormente alle nostre strategie per la creazione di valore”.

Quanto al cda, il presidente ha difeso i risultati ottenuti dal suo insediamento, con il titolo della società che si è rivalutato di oltre il 40%. E’ un consiglio, ha detto Recchi, “…unito e compatto, che valuta accuratamente ogni tema attraverso una dialettica aperta e profonda, che è l’elemento fondamentale per decisioni efficaci”.

“Ogni decisione – ha aggiunto – viene valutata esclusivamente sui principi di sostenibilità finanziaria e industriale di lungo termine, che è il pilastro della buona governance di ogni impresa”.

14 dicembre 2015

Legge di Stabilità, accantonati alla Camera gli emendamenti per le tv locali

Accantonati tutti gli emendamenti della Legge di Stabilità a favore delle tv locali. Oggi il ddl è approdato in Aula a Montecitorio e in Commissione Bilancio della Camera è in corso l’esame degli emendamenti.
Tutti quelli che però riguardano le emittenti televisive locali sono stati accantonati per essere esaminati successivamente.
Le tv locali stanno attraverso un periodo di difficoltà. Secondo gli ultimi dati presentati dal Censis, devono fare i conti con l’esplosione dello streaming, che ha ampliato l’offerta di contenuti e spostato la domanda dalla tv a internet, con la grave flessione dei ricavi pubblicitari (287 milioni nel 2013), la consistente riduzione dei contributi pubblici (56,9 milioni di euro nel 2013, -20,4% rispetto all’anno precedente) e il rilevante calo degli ascolti.
I ricavi complessivi hanno subito un crollo: 409 milioni del 2013 con un calo del 15% rispetto all’esercizio precedente.
La situazione è problematica.
Va intanto avanti l’intera procedura prevista per la rottamazione volontaria delle frequenze interferenti. Il primo dicembre è scaduto, infatti, il termine per poter presentare al Ministero dello Sviluppo economico le domande per accedere ai compensi previsti.
Il MiSE deve però ancora emanare i bandi regionali per l’assegnazione delle frequenze dell’ex beauty-contest, pianificate dall’Agcom con la delibera n. 402/15/CONS la cui capacità trasmissiva dovrà essere interamente destinata alle tv locali.
In tutto questo, le emittenti sperano ancora in quegli emendamenti alla Legge di Stabilità di interesse per il comparto radiofonico e televisivo locale.
In particolare, numerose proposte emendative sono finalizzate al finanziamento dell’emittenza anche mediante il prelevamento di una quota-parte dell’extra gettito del Canone Rai.
Vi sono poi emendamenti finalizzati all’attribuzione al MiSE della potestà di determinare, mediante decreto, l’importo dei contributi per i diritti d’uso delle frequenze televisive in tecnica digitale, dovuto dagli operatori di rete in ambito nazionale o locale.
Sono, infatti, state presentate diverse proposte che chiedono l’istituzione presso il Ministero di un Fondo di sostegno economico dell’emittenza radiotv locale per il servizio svolto in ambito territoriale a cui andrebbe il 10% delle risorse derivanti dal pagamento del canone di abbonamento televisivo. Il 30% andrebbe alle emittenti radiofoniche locali i cui ricavi da pubblicità non superano 500 mila euro.
Ma c’è anche chi vorrebbe che i proventi del canone di abbonamento alla televisione per uso privato fossero versati per il 90% alle regioni e ripartiti poi tra le emittenti locali su base di un regolamento MiSE.

Al momento però queste proposte emendative sono state accantonate in Commissione Bilancio in attesa d’essere riesaminate.

Telecom Italia: per il WSJ ‘cresce l’insofferenza di Vivendi verso i vertici’

di Alessandra Talarico
Frustrato ma responsabile e non per niente convinto che tutto sia perduto perché ‘Poche chance non vuole dire zero chance’: riassume così lo stato d’animo dell’azionista Vivendi nei confronti di Telecom Italia l’ad del gruppo media francese Arnaud de Puyfontaine, in attesa dell’assemblea di domani, che oltre alla conversione delle azioni risparmio (dalla cui votazione Vivendi ha deciso di astenersi) è chiamata anche ad approvare l’ingresso di 4 rappresentanti del gruppo francese nel cda, così da avere un board che rifletta effettivamente l’azionariato dell’azienda.
Senza questa condizione, infatti, “sarebbe come avere una nave senza guida” ha detto l’ad in un’intervista al Corriere della Sera, bollando poi come ‘illegittima’ una situazione in cui Vivendi, che ha speso 3 miliardi di euro per il 20% del capitale, non fosse rappresentata in Consiglio.

“Telecom Italia ha bisogno di un’unità di comando tra il board, il suo presidente e l’equipe dei manager per potere realizzare progetti chiave per il Paese. Primo fra tutti, la banda larga, un tema sul quale siamo allineati con il governo di Matteo Renzi. E Vivendi, socio sopra il 20%, chiede di avere un ruolo”, come del resto è suo diritto, ha detto De Puyfontaine, che domani sarà presente all’assemblea.
Quanto all’operazione di conversione delle azioni risparmio, che  pure determinerebbe una diluizione di tutti gli azionisti di circa il 30%, Vivendi si dice favorevole, ma non alle condizioni proposte dal management di Telecom Italia visto che c’è spazio per una proposta migliore “per il mercato e per il bilancio Telecom”.

In un’altra intervista, stavolta al Wall Street Journal, l’ad di Vivendi spiega che un premio di 9,5 centesimi di euro agli azionisti di risparmio per convertire le proprie azioni è troppo basso e serve pertanto un parere di congruità per conto dei titolari di azioni ordinarie.
Secondo i calcoli del francese, quindi, dalla conversione – con un premio di 15 centesimi anziché 9,5 come proposto – Telecom potrebbe arrivare a incassare 900 milioni di euro e non 570.

Perché accelerare, dunque, quando si può perfezionare la proposta?

Con il management italiano – dice de Puyfontaine – ‘i rapporti sono buoni’ e, no, non c’è nessuna connessione tra la decisione di astenersi dal voto e la contrarietà dei fondi azionisti Telecom all’ingresso di 4 suoi rappresentanti in cda.
Come mai, allora, verrebbe da chiedersi, dall’Italia non una parola sul progetto di conversione prima che fosse ufficialmente reso pubblico? Anche De Puyfontaine ha ammesso che no, “non siamo stati consultati prima dal consiglio”.
Ma proprio perché azionista responsabile, Vivendi ha comunque comunicato con largo anticipo, e non direttamente in assemblea come avrebbe potuto benissimo fare, l’intenzione di astenersi dal voto sulla conversione delle risparmio, mettendo a rischio l’operazione che per essere approvata ha bisogno del sostegno dei due terzi del capitale presente in assemblea (al momento si è registrato per partecipare il 55,62%).

Toni un po’ meno benigni verso i vertici del gruppo nell’intervista al Wall Street Journal, in cui De Puyfontaine ammette che c’è una “crescente frustrazione” nei confronti del management e  altri investitori dell’ex monopolista italiano.
“Quello che vogliamo è l’allineamento tra CEO, presidente, azionisti, team di gestione e consiglio. E non è sempre stato così”, dice de Puyfontaine al WSJ, con malcelata insofferenza verso i vertici del gruppo, considerati forse non proprio all’altezza dell’importante obiettivo di garantire una direzione adeguata all’azienda, fortemente indebitata e schiacciata dal peso di un’agguerrita concorrenza sul mercato interno.

Secondo il WSJ, infatti, l’obiettivo dell’ingresso in forze in Telecom Italia del gruppo presieduto dal manager bretone Vincent Bollorè – che è anche secondo maggiore azionista di Mediobanca – è infatti proprio quello di dare “una direzione migliore” alla società italiana alla quale, a un certo punto, De Puyfontaine pare tendere la mano, affermando che Vivendi sarebbe ‘pragmatica’ per quanto riguarda la questione della rappresentanza in cda e potrebbe anche decidere di accettare un minor numero di sedie nel board in caso di diluizione della partecipazione con la conversione delle risparmio.
“Se non ci fosse un accordo saremmo molto felici di vedere ciò che il consiglio vorrebbe fare per risolvere l’impasse. Restiamo molto disponibili”, ha affermato l’ad di Vivendi.


L’impressione è, però, che se lo stato delle cose resterà così cristallizzato, dopo anni senza una direzione strategica e una leadership convincente Telecom Italia rischia – come spiega anche il WSJ – ancora una volta di trovarsi impantanata nelle sabbie mobili di una lotta interna tra il cda e l’azionista di riferimento.

Call Center, danno irreversibile alle corde vocali

Una donna torinese di 44 anni che lavorava come telefonista in un call center ha portato in tribunale l’amministratore delegato della società Voice Care di Chivasso, il responsabile della sicurezza e tre medici del lavoro per il reato di lesioni colpose. La donna, dipendente dal 2003 al 2012, dopo nove anni di attività come operatrice telefonica è rimasta colpita da “cordite cronica” ,un danno irreversibile di deficit vocale provocato da una cisti sulla corda vocale sinistra. La donna che, parlava al telefono 40 minuti ogni ora, nonostante avesse accusato una disfonia, era stata ritenuta idonea al lavoro e secondo  i risultati scaturiti da un’ispezione dell’Asl. L’azienda aveva preparato un documento di valutazione dei rischi che tuttavia non prendeva in considerazione la possibilità di questo tipo di disturbo per i telefonisti. In attesa del processo che inizierà nel 2017, il Procuratore Guarinello ha rinviato a giudizio le cinque persone per non aver tempestivamente allontanato la dipendente all’insorgere dei primi sintomi e per non aver fatto corretta prevenzione del rischio da sforzo delle corde vocali.

01 dicembre 2015

Lavorare durante il periodo di malattia viola l’obbligo di fedeltà

di Andrea Rosana
In tema di licenziamento, la prestazione di attività lavorativa in favore di terzi da parte del dipendente che goda di un periodo di malattia viola gli obblighi di correttezza e buona fede che sono alla base del rapporto di lavoro, in cui assume un peculiare rilievo l’obbligo di fedeltà del lavoratore, violazione che può ritenersi integrata da qualsiasi attività che si appalesi in conflitto con l’interesse del datore di lavoro medesimo. Lo ha ribadito la Corte di Cassazione con la sentenza n. 10627 del 22 maggio 2015.

IL FATTO
Il caso trae origine da una sentenza con cui la Corte d’Appello di L’Aquila, confermando la decisione del giudice di prime cure, ha respinto la domanda proposta da un lavoratore nei confronti della società ex datrice di lavoro, intesa a conseguire la declaratoria di illegittimità del licenziamento per giusta causa con tutte le conseguenziali statuizioni ripristinatorie e risarcitorie sancite dall’art. 18 dello Statuto dei Lavoratori.
A fondamento della decisione, la Corte distrettuale ha osservato che il provvedimento espulsivo risultava basato sulla relazione stilata da una Agenzia Investigativa assunta dalla società da cui era emerso che il ricorrente, nel periodo in cui risultava assente per malattia dovuta ad infortunio sul lavoro, era stato sorpreso a svolgere attività lavorativa, in qualità di addetto alle pulizie, in favore di una Università degli Studi per conto di altra società; che, in definitiva, le circostanze addebitate al lavoratore integravano fattispecie di assoluta gravità sotto il profilo disciplinare, arrecando un evidente vulnus ai doveri di lealtà, fedeltà e collaborazione cui la condotta del lavoratore dipendente deve essere informata.

Contro tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione il lavoratore, in particolare dolendosi degli approdi ai quali era pervenuta la Corte d’Appello in tema di esegesi dei dati istruttori acquisiti, omettendo di considerare gli esiti dei procedimenti penali per falsa testimonianza instaurati nei confronti di taluni dei testi escussi nel giudizio di primo grado (archiviazione o assoluzione), trascurando le evidenti contraddizioni emerse nelle deposizioni rese dagli investigatori, e reputando inattendibili le deposizioni dei testi di parte, nonostante la coerenza e la spontaneità che le connotava, non inficiata dall’accertamento di alcuna fattispecie di rilievo penale.

LA DECISIONE DELLA CORTE DI CASSAZIONE

La Corte di Cassazione respinge il ricorso presentato dal lavoratore. Osservano, sul punto, gli Ermellini come correttamente la Corte territoriale abbia accertato (facendo leva, in particolare, sugli accertamenti ispettivi espletati dalla Agenzia investigativa incaricata dalla società e corroborati dalle testimonianze raccolte) che il dipendente, nell’arco temporale di cui è causa, si fosse recato con l’auto della moglie ed un collega della stessa, presso l’Università degli Studi ove operava, quale aggiudicataria dell’appalto di pulizia dei locali, la Cooperativa di lavoro di cui faceva parte la consorte. Il lavoratore, tuttavia, si era limitato a criticare gli approdi ai quali era pervenuta la Corte d’Appello, facendo leva su considerazioni attinenti alla attendibilità dei testimoni e all’esito di connessi giudizi penali, ovvero alla efficacia probante dei rilievi fotografici acquisiti. Operazione, questa, non consentita in Cassazione.

19 novembre 2015

Call center, via libera al sostegno al reddito per i lavoratori


I lavoratori dei call center fanno un altro piccolo passo per vedere equiparati i propri diritti a quelli degli altri lavoratori. A consentirlo è un decreto del ministero del Lavoro, il n. 22764 del 12 novembre 2015, che di fatto estende alcune tutele destinate ai cassaintegrati ai lavoratori del settore call center, ai quali viene riconosciuta una nuova indennità pari al trattamento di cassa integrazione straordinaria. L’indennità, che è pari a quanto previsto per la cassa integrazione, viene erogata solo per le aziende con più di 50 lavoratori.

L’art. 1 del Decreto: “In favore dei lavoratori di cui all’articolo 1 del decreto legislativo n. 148 del 14 settembre 2015 (lavoratori assunti con contratto di lavoro subordinato, ivi compreso gli apprendisti ed escluso i dirigenti), appartenenti alle aziende del settore dei call center non rientranti nel campo di applicazione del trattamento straordinario di integrazione salariale, con un organico superiore alle 50 unità nel semestre precedente alla presentazione della domanda, con unità produttive site in diverse Regioni o Province autonome e che abbiano attuato, entro la scadenza prevista, del 31 dicembre 2013, le misure di stabilizzazione dei collaboratori a progetto di cui all’articolo 1, comma 1202, della legge 27 dicembre 2006, n. 296, e successive modificazioni, e che risultino ancora in forza alla data di pubblicazione del presente decreto, è riconosciuta una indennità pari al trattamento massimo di integrazione salariale straordinaria”.

L’indennità ammonta quindi all'80 per cento della retribuzione globale che sarebbe spettata al lavoratore per le ore di lavoro non prestate, comprese fra le ore zero e il limite dell'orario contrattuale. Può essere richiesta quando la sospensione o la riduzione dell’attività lavorativa sia determinata da una crisi aziendale, ad esclusione, a decorrere del 1° gennaio 2016, dei casi di cessazione dell’attività produttiva dell’azienda o di un ramo di essa.


TELECOM: OPEN ACCESS: STORIA O LEGGENDA .......


Giovedì 12 novembre si è tenuta la riunione del Coordinamento Nazionale RSU con i vertici di Open Access, sulla base di quanto stabilito nell’incontro con l’Amministratore Delegato, a seguito della riorganizzazione della struttura votata dal consiglio di amministrazione.
L’incontro si è svolto nelle stesse ore in cui Enel ha comunicato ai mercati la decisione di costituire una società di scopo per la realizzazione della “banda ultra larga”, confermando la volontà di procedere, d’intesa con quanto già dichiarato dal Governo, alla realizzazione delle reti di nuova generazione.
In questo modo, il futuro di Telecom appare ancora più incerto e confuso.
Le liti ai vertici, l’incapacità di diventare soggetto affidabile per la realizzazione degli obbiettivi fissati dall’Agenda Digitale, l’ondivago negoziato con Metroweb prima chiuso e poi riaperto senza chiarirne prospettive e scopi, sono fattori che rischiano di mettere fuori gioco la principale impresa di TLC italiana con la discesa in campo di un soggetto pubblico, Enel, chiamato a realizzare la rete di nuova generazione.
L’enorme confusione sui riassetti societari, l’assenza di un’interlocuzione certa sulla volontà rappresentata dall’ingresso dei due nuovi soci francesi, un vertice aziendale più impegnato a pensare al proprio futuro che a quello aziendale, stanno determinando le condizioni perché Telecom Italia, ultima azienda di telecomunicazioni italiana, possa diventare preda di progetti d’oltralpe che poco hanno a che vedere con gli interessi generali del Paese.
L’ingegner Paggi, senza commentare gli scenari strategici che attraversano Telecom, ha ricordato le motivazioni che hanno portato alla decisione assunta dal Cda, contenzioso con gli Olo e sanzioni erogate dai soggetti regolatori, ribadendo le linee già illustrate dall’Amministratore.
Anche in questo caso, le domande avanzate dalle RSU e dalla nostra Organizzazione sono rimaste prive di risposta.
In particolare, il futuro delle attività diverse da delivery e assurance, le ricadute sul personale determinate dalla possibilità degli Olo di richiedere che l’intervento sia realizzato da una società esterna, il rapporto tra MOI e MOS e il rinnovo dell’appalto di rete in scadenza al 31 dicembre 2015,
sono restati snodi su cui, il responsabile di Open Access, ha dimostrato l’assenza di un piano industriale definito e certo, rimandando a future discussioni per elementi di maggior merito.
Nel specifico Paggi ha sostenuto:
 Che nel caso in cui gli Olo decidessero di affidare le loro attività a soggetti terzi, Telecom
ritiene di poter compensare le attività in meno attraverso il recupero di quelle legate a retail oggi gestite in appalto. Nessun cenno a possibili scompensi territoriali o alle conseguenze di un modello che vedrebbe gli Olo avvalersi solamente di aziende in appalto e Telecom tutta gestita internamente, con evidenti ricadute, nel medio periodo, su costi e produttività misurandosi tra di loro due modelli completamente diversi, basti pensare alle minori tutele e garanzie oggi riservate alle imprese di appalto.
 Sul futuro delle attività diverse da quelle regolamentate (delivery e assurance) e del rischio che tutto il personale venga indirizzato a realizzare tali attività. Processo che le RSU denunciano come già iniziato nel territorio attraverso la cessione all’esterno delle attività legate alla fibra. Qui il responsabile aziendale si è limitato a dire che non gli risulta.
 Sul rapporto MOS / MOI con una rivisitazione delle aree di competenza esclusiva con lo sviluppo di un modello che potrebbe vedere un incremento delle attività oggi gestite all’esterno. L’azienda pur ammettendo l’importanza del nuovo appalto non è stata in grado di fornire dettagli sul nuovo modello.
In quest’ambito, è stato confermato che le attività di appuntamento per il delivery sono state esternalizzate (Telecom non è riuscita a organizzare il servizio nonostante la “presunta” dichiarazione di esuberi effettuata).
Il meglio della discussione si è toccato con l’attività di ASA, in cui l’azienda ha evidenziato la necessità di implementare le coperture dei turni al sabato per migliorare la qualità e la tempestività degli interventi: peccato che all’ingegner Paggi sia sfuggito che Telecom ha appena firmato un accordo che aumenta la solidarietà di quel settore all’8,85%. Immaginabile lo sconcerto sui visi della controparte quando le RSU glielo hanno rammentato che ha determinato una fantasiosa motivazione fornita da People Value.
Oppure quando il responsabile ha ricordato l’impegno a realizzare il nuovo WFM e le RSU hanno denunciato che tale implementazione invece che essere sviluppata da TIIT sarà acquisita da un fornitore esterno (pare che l’azienda prescelta sia click software, scelta di cui tutti ignorano motivazioni e meriti) procedendo a customizzare il prodotto. Azione che già si è sperimentata nel recente passato con conseguenze pesantissime per la funzionalità aziendale.
Questa è l’ennesima riprova che aver voluto sottoscrivere un accordo che certifica esuberi inesistenti prima di aver definito l’organizzazione del lavoro crea danni che determinano ulteriori cessioni verso l’esterno di attività, vedi delivery, con rischi pesantissimi per il futuro occupazionale del personale coinvolto.
Infine, tutte le RSU presenti hanno evidenziato come esistano sul territorio spinte incomprensibili (o meglio sono spinte comprensibilissime in ottica di interessi personali) a gestire e chiudere le wr con codici diversi da quelli reali.
E’ il caso delle wr in ritardo chiuse con causali diverse da quelle reali per non intaccare gli SLA oppure le implementazioni dei cabinet che vengono date come chiusure positive anche se nella realtà manca l’energia elettrica e quindi i cabinet non funzionano
Questi comportamenti determinano una struttura di dati che non descrive la reale situazione di Open Access ma crea una realtà virtuale in cui sulla carta tutto funziona perfettamente mentre sul campo e nell’operato quotidiano si registrano tutte le disfunzioni. Questo non potrà che determinare ulteriori contenziosi e un progressivo decadimento dell’attività realizzata da Telecom.
Dopo un primo tentativo di dichiarare false tali affermazioni, messo di fronte ai fatti il responsabile aziendale si è limitato a definire come comportamenti di “mele marce” le segnalazioni pervenute.
Peccato che nella realtà abbiano una diffusione enorme.
L’incontro ha evidenziato, per l’ennesima volta, come l’azienda sembri essere priva di una guida univoca, con i vari settori che hanno preso il sopravvento e determinano scelte spesso in contraddizione tra di loro e, nell’insieme, pericolose per il futuro di Telecom.
Contro questo stato di cose sono già state avviate molte vertenze a livello territoriale con l’apertura delle procedure di raffreddamento per arrivare alla proclamazione di forme di lotta.
Nei prossimi giorni, alla luce di quelle che saranno le conseguenze della riorganizzazione di Open Access e del rinnovo dell’appalto di rete, se tale atto confermerà che siamo alla presenza di un ulteriore processo di aumento delle attività gestite in appalto sarà inevitabile arrivare alla proclamazione di una vertenza di carattere nazionale.
E’ evidente che la politica aziendale ha subito una totale inversione di rotta.
Il 2013 è stato caratterizzato dagli accordi che si ponevano l’obbiettivo di migliorare l’efficacia e l’efficienza dell’azienda e procedere a internalizzare le attività per saturare le prestazione del personale e rilanciare l’azienda nel mercato.
Oggi la volontà aziendale è incentrata su un contenimento dei costi (l’accordo separato sulla solidarietà ha questa unica caratteristica) la ripresa indiscriminata della gestione degli appalti e l’assenza di politiche atte a migliorare la qualità dei processi aziendali.
A questo sfascio i lavoratori e le loro rappresentanze si opporranno con determinazione e con tutti gli strumenti necessari.
Telecom è e deve restare un’azienda strategica per il Paese e continuare a garantire le decine di migliaia di lavoratori che quotidianamente operano per suo conto
Tutta la CGIL sarà impegnata per garantire queste condizioni.
La Segreteria Nazionale di SLC‐CGIL

Licenziamento al dipendente che registra conversazioni sul lavoro

La legge consente a chiunque di registrare le conversazioni tra presenti purché fuori dall’abitazione, residenza, dimora, ufficio, automobile o in qualsiasi altro luogo ove si svolge la vita privata della persona “intercettata”. Tale divieto si estende anche al posto di lavoro. Il dipendente, infatti, non può effettuare registrazioni clandestine di conversazioni fra colleghi o con il superiore o, addirittura, con lo stesso datore di lavoro. Ciò in quanto l’uso di impianti o strumenti di controllo dell’attività dei lavoratori è consentito solo al datore di lavoro per ben individuate esigenze organizzative e produttive o per tutelare la sicurezza del lavoro e la tutela del patrimonio aziendale, in forza di accordo sindacale o di autorizzazione della direzione territoriale del lavoro. Il chiarimento è stato più volte fornito dalla Cassazione. Pertanto è vietato al lavoratore di utilizzare registratori in ufficio per finalità proprie. Il divieto vale anche se la registrazione serve per precostituirsi prove da far eventualmente valere in causa contro il proprio datore di lavoro o contro i propri colleghi, in quanto tale comportamento implica la lesione del diritto dei lavoratori a non essere sottoposti a controlli a distanza al di fuori delle ipotesi contemplate dalla legge.   La registrazione dei colleghi o del datore di lavoro, all’insaputa di questi, può però legittimamente avvenire fuori dall’azienda, in qualsiasi altro luogo (purché, come detto, non si tratti della loro dimora, residenza o ufficio). Infatti, come chiarito dalla Cassazione [2], “chi dialoga accetta il rischio che la conversazione sia registrata”. Non c’è quindi alcuna violazione della privacy.

Call Center: Cestaro, norma sui cambi di appalto è atto di discontinuità

L’approvazione ad ampia maggioranza della norma sui cambi di appalto nei call center rappresenta un vero e proprio atto di discontinuità rispetto alle norme sul lavoro recentemente approvate.
La decisione assunta da parlamentari del PD e dal Governo di intervenire con una norma che metta fine alle gravi crisi occupazionali che si sono registrate negli ultimi anni, attraverso l’approvazione in commissione di una norma ad hoc, ha aperto una fase di riflessione interna a tutti i soggetti interessati.
In questo modo anche Asstel, l’associazione che più ha avversato il provvedimento, ha ritenuto necessario aprire una stagione di confronto che ha portato alla condivisione di un emendamento che da un lato introduce certezza (il testo prevede che il rapporto di lavoro “continui” con il nuovo fornitore di servizi)  e dall’altro assegna un ruolo fondamentale alla contrattazione.
Il testo approvato oggi dall’aula della Camera è il frutto di un lavoro congiunto tra i soggetti interessati, committenti, aziende fornitrici del servizio e organizzazioni sindacali, che trova il giusto punto di equilibrio su una vicenda che ha visto consumarsi vere e proprie tragedie per migliaia di lavoratrici e lavoratori: situazioni che si sarebbero potute evitare se Asstel avesse accettato fin da subito di partecipare attivamente al tavolo triangolare da tempo avviato dal Governo su nostra richiesta.
La necessità di introdurre clausole sociali che allineassero l’Italia al resto dei Paesi europei, tema imposto all’attenzione da Slc Cgil che lo ha sostenuto attraverso due scioperi nazionali, la notte bianca dei call center, una raccolta firme che in meno di un mese ha raccolto 18000 firme e numerosissime iniziative che si sono tenute in tutto il territorio nazionale, ha finalmente trovato uno sbocco positivo.
Attendiamo ora che il Senato approvi il testo definitivo.
In questo modo la politica e il Governo hanno svolto il loro ruolo di soggetti preposti a regolamentare il mercato e lo hanno fatto coinvolgendo tutti i soggetti interessati portandoli a trovare una soluzione condivisa, migliore condizione per permettere alla contrattazione di sfruttarne del tutto le opportunità: ciò dovrebbe confermare la validità e l’efficacia del confronto tra il Governo e le Parti Sociali.
Slc non può che manifestare tutta la propria soddisfazione per i contenuti della norma approvata oggi dalla Camera che rappresentano la soluzione a una vertenza avviata da oltre tre anni che fa giustizia di quanti ritenevano le considerazioni portate dalla Cgil non in linea con il mercato e con le esigenze di sviluppo del Paese.
Le lavoratrici e i lavoratori, una volta approvata la norma in via definitiva dal Senato, potranno finalmente sentirsi lavoratori “normali” non soggetti a rischio continuo di vedersi recapitare lettere di licenziamento per meri interessi speculativi legati ai cambi di appalto.
Anche il mercato ne trarrà un indubbio beneficio. Da oggi le gare saranno vinte dalle imprese in grado di offrire migliore qualità e efficienza, disponibili quindi a investire in innovazione e ricerca, e non da quelle che in maniera spregiudicata vincevano unicamente attraverso la compressione dell’occupazione, dei salari e dei diritti.

09 novembre 2015

Almaviva Misterbianco sospeso il sit in di oggi pomeriggio. Davide Foti: "Una vittoria del sindacato"

A seguito di formale comunicato aziendale e segnalazione al Comando dei Carabinieri di Misterbianco fatta dalla scrivente O.S. Sulla problematica riguardante la soppressione della portineria con conseguente pericolo per la incolumità fisica e psichica dei lavoratori del sito produttivo di Catania, l'azienda ci informa con nota del direttore delle risorse umane che da oggi sarà attivo un servizio di vigilanza a partire dalle ore 18,00 fino alle ore 7,00. Ci comunica altresì che questo servizio sarà attivo fino a quando altri strumenti di controllo non saranno completamente attivati.
Per queste ragioni il presidio programmato per oggi definito “Ronda amica” sarà sospeso in attesa di una definitiva risoluzione della controversia.
Ovviamente questo intervento non basta ma ci auspichiamo che prevalga il buon senso aziendale atto al ripristino del servizio di portierato anche per gli orari antimeridiani.
La Segreteria Provinciale di Catania e le RSU
SLC CGIL

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COMUNICATO AI LAVORATORI ALMAVIVA CATANIA
 Irresponsabili!!
La Slc Cgil di Catania da più di un mese denuncia l’irresponsabilità dell’azienda in termini di tutela della sicurezza dei propri lavoratori. In un momento difficile, di crisi, di ristrettezze economiche, certo, tutti siamo chiamati a scelte difficili.
MA SU TUTTO SI PUO’ RISPARMIARE TRANNE CHE SULLA SICUREZZA E SULL’INCOLUMITA’ FISICA E PSITICA DEI LAVORATORI.
Da un mese chiediamo un cambio di rotta deciso sull’argomento, ricevendo solo risposte parziali ed interlocutorie che sanno ormai di beffa. La mancanza di personale in portineria, la non adeguata illuminazione, porte non funzionanti, cancelli esterni aperti anche per tutta la notte, la mancanza di vigilanza notturna sono incompatibili con la sicurezza dei lavoratori di un centro alla periferie di una zona commerciale lontana dai centri abitati.
 Per questo da oggi la Slc cgil proclama lo stato di agitazione  e diffida l’azienda dal continuare a porre in in pericolo la sicurezza dei suoi lavoratori ed organizza per oggi dalle ore 17,30 un presidio “Ronda Amica” per evidenziare che bisogna intervenire per risolvere problematiche delicate come questa. Invitiamo tutti i lavoratori liberi a partecipare.
La sicurezza prima di tutto.

Le RSU Le RLS e la Segreteria Provinciale SLC CGIL Catania

07 novembre 2015

COMUNICATO AI LAVORATORi TELECOM ITALIA

Roma, 6 novembre 2015
Si è svolto, nella tarda serata di ieri, l’incontro con l’Amministratore Delegato di Telecom e il Responsabile della funzione People Value, nel corso del quale sono state anticipate le decisioni assunte dal Consiglio di Amministrazione in tema di riorganizzazione aziendale.
In particolare il CdA ha affrontato la questione concernente Open Access e al rapporto con gli OLO che nell’ultimo periodo è stato oggetto di scontri giuridici pesanti che hanno portato a sanzioni milionarie nei confronti di Telecom.
La riorganizzazione, concordata in stretto rapporto con le due autorità di garanzia intervenute sulla materia (AGCom e AGCM), è finalizzata a garantire una parità di trattamento nell’esecuzione del Delivery e dell’Assurance tra Telecom e gli Olo.
La trattativa e il conseguente intervento sugli assetti organizzativi si è incentrata su 5 punti:
1)
Nuovo modello organizzativo: Il primo punto riguarda la modifica del processo che porterà all’utilizzo del medesimo database (oggi sono due disallineati temporalmente), allo stesso CRM e via dicendo per arrivare all’assegnazione dell’attività che potrà essere indirizzata verso i tecnici interni o verso l’impresa esterna. In quest’ambito l’Olo potrà richiedere a Telecom di essere servito tramite il ricorso a tecnici dell’impresa esterna.
2)
Performance e target: sono stati definiti allineandoli alle migliori pratiche presenti nel mercato europeo, andando a garantire un servizio complessivamente migliore al cliente finale, ci sarà un periodo transitorio per allinearsi ai target definiti.
3)
Budget dedicati: viene stanziato un budget dedicato e supervisionato attraverso certificazioni, per le implementazioni informatiche necessarie a sviluppare il nuovo modello organizzativo. Tali fondi non potranno essere spesi in maniera diversa da quella per i quali sono stanziati.
4)
Certificazione: vi sarà un monitoraggio di verifica e una certificazione degli avanzamenti sugli impegni assunti che prevede sanzioni sin dalla fase di avvio della riorganizzazione se non sarà rispettato quanto stabilito nell’accordo.
5)
Chiusura contenzioso con gli OLO: si sono già raggiunti accordi con alcune aziende e nei prossimi giorni si chiuderà tutto il contenzioso in essere su tale materia evitando il rischio di ulteriori sanzioni.
Il primo atto in questa direzione è stato quello di spostare la funzione Open Access sotto la funzione Wholesale (affidata all’ing. Stefano CIURLI). In quest’ambito l’Amministratore ha evidenziato che le autorità di regolazione hanno imposto il passaggio di tutta la funzione OA anche per quelle attività oggi svolte che non riguardano il Delivery e l’Assurance. Un eventuale scorporo di attività e di personale da riportare in ambito Network potrà avvenire successivamente e a seguito di certificazione che attesti che le attività da spostare non attengono al progetto che si prefigge la parità di trattamento tra Telecom e gli Olo.
Infine, è stato dichiarato che per meglio definire le ricadute del riassetto organizzativo, il cd “appaltone” realizzato con le imprese di rete è stato prorogato di 3 mesi e pertanto non scadrà il 31 dicembre p.v.
In sede di replica SLC ha evidenziato come, un progetto condivisibile e finalizzato a migliorare la qualità del servizio ed evitare infiniti contenziosi giudiziari, abbia alcune criticità derivanti dal fatto che non sono state analizzate le ricadute in termini di quantità e qualità dell’occupazione complessiva di Telecom.
Come sostenuto sin dall’incontro svolto al Ministero dello Sviluppo Economico, sarebbe stato necessario convocare un tavolo, con la presenza delle OO.SS, per analizzare le ricadute occupazionali ed evitare che le soluzioni individuate possano essere pagate dai soli lavoratori.
Inoltre, tale scenario sarà seguito dalle decisioni che Governo e Telecom assumeranno in termini di costruzione della rete di nuova generazione che potrebbero portare ad altri interventi sul perimetro oggi presidiato da OA e al riassetto societario in corso.
Aver certificato esuberi prima di avviare i processi di riorganizzazione aziendale si sta rilevando, come era facile prevedere, un errore strategico che rischierà di essere pagato a duro prezzo dai lavoratori.
Nello specifico si è evidenziato tre punti di criticità al modello presentato:
Il fatto che l’Olo abbia la facoltà di decidere se l’intervento debba essere realizzato attraverso l’utilizzo di un’azienda esterna potrebbe impattare negativamente sull’occupazione diretta che oggi svolge circa il 40% dell’attività proprio per interventi che riguardano gli Olo.
L’aver trasferito tutte le persone di Open Access porterà a dover modificare l’organizzazione del lavoro incentrando tutta l’attività su Delivery e Assurance rinunciando a svolgere le attività di creazione della rete di nuova generazione. Tale processo, peraltro, è già stato evidenziato dai territori. Quindi lo sviluppo della nuova rete potrebbe essere collocato all’esterno insieme a tutte le attività non inerenti Delivery e Assurance, con un nuovo impatto negativo per l’occupazione.
“L’appaltone” di rete diventerà strumento fondamentale per definire il futuro organizzativo di OA. Contrariamente a quanto dichiarato dall’Amministratore le aziende di rete asseriscono che è in corso una manovra per cui il contratto sarà rinnovato in automatico almeno per 1 anno attraverso una riduzione significativa delle tariffe. Inoltre, Telecom starebbe agendo per una rivisitazione dei territori presidiati dalle aziende di rete, in modo tale da prevedere una riduzione delle attività per le imprese più grosse e far crescere le imprese minori, logica che non ha nessuna spiegazione organizzativa e discutibile dal punto di vista della qualità del servizio prestato che potrebbe avere ricadute pesanti sull’occupazione delle aziende di rete.
L’Amministratore, pur ammettendo di non poter fornire un quadro preciso delle ricadute occupazionali, ha dichiarato che esistono diversi ambiti d’intervento per provare a garantire la saturazione delle attività del personale in servizio. Pertanto, ha rimandato gli approfondimenti tecnici all’incontro del coordinamento che si terrà il giorno 12 novembre alla presenza del responsabile di OA. Infine, ha manifestato la sua disponibilità per un successivo incontro laddove dovessero emergere criticità.
La Segreteria Nazionale di SLC‐CGIL

02 novembre 2015

Telecom censura in intranet i commenti dei lavoratori sull'accordo sottoscritto il 27 ottobre


Nei giorni scorsi Telecom Italia ha pubblicato nell’intranet aziendale l’accordo sottoscritto il 27 ottobre con FISTeL CISL, UILCOM UIL e UGL Telecomunicazioni.
Una novità, questa della pubblicazione, che nelle intenzioni dei dirigenti dell’azienda sarebbe dovuta servire a fomentare il clima di tripudio generale verso questo accordo, venduto come quello che risolleverà i bilanci della compagnia e manterrà migliaia di posti di lavoro.
I vertici hanno dato per scontato che i lavoratori lo avrebbero accolto con entusiasmo, magari ringraziando i firmatari come salvatori della Patria. Tra solidarietà, pensionamenti anticipati a stipendio ridotto, prestiti e regalìe una tantum, impensabile che potesse andare altrimenti. O no?
Peccato che i commenti che hanno seguito la pubblicazione, tutti con nome e cognome di chi li scrive perché così prevede la struttura della pagina intranet, non fossero affatto di questo tenore.. dopo centinaia di post i cui toni passavano dal perplesso al fortemente offensivo verso i contenuti dell’accordo ed i suoi firmatari, l’azienda ha pensato bene di censurare la possibilità dei lavoratori di Telecom Italia di esprimersi, chiudendo la pagina dei commenti e trasformandola in una F.A. Q. (Frequently Asked Question).
Al management della quinta più grande azienda del Paese suggeriamo quindi una “domanda frequente” a cui dare risposta nel sito: pensate davvero che le lavoratrici e i lavoratori di Telecom Italia crederanno ciecamente alla propaganda aziendale senza pensare con la propria testa?
Roma, 2 novembre 2015


La Segreteria Nazionale SLC CGIL