Questo intervento è stato pronunciato il 23 maggio scorso nell'ambito dell'audit nazionale sulla violenza di genere, durante il quale la ministra Josefa Idem ha ascoltato le associazioni impegnate nel contrasto alla violenza di genere e alle discriminazioni sull'orientamento sessuale. L'incontro è avvenuto nel salone d’onore del Comando generale della guardia di finanza, con un parterre vastissimo di associazioni e una presenza forte delle istituzioni (bipartisan), a cominciare dai presidenti del Senato, Pietro Grasso e della Camera, Laura Boldrini e dal ministro della salute, Beatrice Lorenzin. La ministra Idem ha ascoltato voci arrivate da tutt'Italia, spiegando che questo non è il suo «punto di arrivo ma la sua partenza», e ha salutato la platea con un «grazie anche a nome dello stato che non ha saputo dare le giuste risposte». Una giornata aperta dai saluti del presidente Grasso, che si è dichiarato «preoccupato di questo fenomeno» e che si è reso disponibile «per la commissione d'inchiesta sul femminicidio»; e della presidente Boldrini.
Per combattere la violenza degli uomini contro le donne non basta più difenderci. E' necessario promuovere grandi campagne di denuncia e formazione obbligatoria per costruire, a partire dalle scuole, la cultura della libertà e del rispetto.
Bisogna intervenire sulla rappresentazione pubblica del corpo delle donne nei media e nella pubblicità con particolare attenzione al linguaggio anche nella descrizione dei femminicidi quando si parla ad esempio di “attacco di gelosia”, “raptus”, “troppo amore” ecc, linguaggi e descrizioni che rischiano di diventare assuefazione, e la violenza o la morte quasi un prezzo da pagare nella sfera familiare e sentimentale.
I centri antiviolenza sono luoghi per noi di interesse generale oltre ad avere una funzione importante contro la violenza e di sostegno alle donne quindi vanno finanziati adeguatamente e in modo costante. Così come bisogna lavorare per migliorare le nostre città, non solo per renderle più sicure, con maggiore attenzione al decoro urbano, alla riqualificazione dei quartieri , per costruire città a misura di donne.
E' necessario e urgente partire da queste poche misure che vanno nella direzione di prevenire il fenomeno, tralasciando tutto ciò che riguarda il contrasto alla violenza in sé anche in termini punitivi (perché il tempo è poco) e su questo punto viene da dire che nonostante assunzioni di responsabilità, di principi fondamentali, convenzioni, trattati,raccomandazioni, leggi, nel nostro paese i femminicidi non sono diminuiti ma sono, a differenza di altri gravi reati o degli omicidi, un dato stabile nel tempo, in un lungo tempo.
Dal nostro punto di vista di organizzazione sindacale vogliamo porre all'attenzione di tutte e di tutti il legame che c'è tra violenza sulle donne e lavoro in due punti:
Il primo riguarda il lavoro dal punto di vista dell'occupazione femminile che raggiunge solo il 47% contro una media europea che si avvicina al 60%. Un dato allarmante non solo per le donne ma per tutto il paese come ci dicono le tante ricerche svolte da istituti diversi perché il lavoro delle donne significa crescita e il lavoro per le donne, quando parliamo di violenza, significa libertà. Per questo auspichiamo che nei provvedimenti del governo che riguardano la creazione di posti di lavoro per giovani e per donne ci siano azioni concrete e chiediamo un impegno in questo senso. Il lavoro del governo non può essere a compartimenti stagni, tutto si lega. E in tempi di crisi, in una crisi lunga che ha prodotto molte diseguaglianze, hanno sofferto e soffrono di più i soggetti più deboli in particolare le donne giovani e anziane che continuano a subire discriminazioni, vessazioni, violenze. E su questo bisogna agire.
Il secondo punto riguarda la violenza contro le donne sul lavoro. Un fenomeno troppo spesso sottovalutato e poco indagato, ma molto più ampio di quanto si possa credere e nella crisi e in un mercato del lavoro che o esclude le donne o rende le lavoratrici sempre più precarie e deboli assume diverse forme compreso il ricatto sessuale come la richiesta, più o meno velata, di "disponibilità" a donne che devono essere assunte o che devono mantenere il posto o che chiedono un avanzamento di carriera. Gli ultimi dati diffusi dall'Istat datati, ma la situazione nella crisi non può che essere peggiorata purtroppo ci dicono che sono più di 800.000 le donne nel corso della loro vita sono state vittime di "pressioni" , mezzo milione quelle a è stata chiesta una "disponibilità sessuale" al momento della ricerca del lavoro.
Altra forma di ricatto “Le dimissioni in bianco”. Sappiamo dai dati Istat che nel 2008 – 2009 800.000 donne sono state costrette a lasciare il lavoro firmando dimissioni in bianco. Nonostante la riforma Fornero, che solo in parte tenta di arginare questo fenomeno aberrante, il fenomeno non si ferma. Quindi va rivista ripristinando a nostro avviso la legge 188/2007.
Per quanto riguarda il mobbing, poi, chi occupa una posizione di lavoro temporanea o precaria è il ritenuto soggetto 'ideale': è maggiormente ricattabile (lo si può minacciare di licenziamento o trasferimento) e difficilmente si ribellerà, proprio per non accentuare la sua posizione già instabile, ma anche chi ha un impiego a tempo parziale è più facilmente vittima del mobbing, in quanto trascorre meno tempo degli altri sul luogo di lavoro e ciò viene sfruttato a suo svantaggio.
E i soggetti si trovano in queste condizioni oggi sono per lo più le donne che sono impiegate in lavori di bassa qualifica nonostante spesso un titolo di studio più elevato di quello dei colleghi maschi, che subiscono par time involontari, contratti precari, quando va bene a tempo determinato, che hanno carriere più “deboli”, mentre il loro livello retributivo, in media, non raggiunge neppure il 75% di quello maschile.
Altro dato impressionante: quasi nessuna delle vittime ha denunciato l'episodio alle forze dell'ordine e la motivazione più frequente è la "scarsa gravità dell'episodio" (28,4%), seguita dall'essersela cavata da sole o con l'aiuto dei familiari (23,9%), dalla mancanza di fiducia nelle forze dell'ordine o dalla loro impossibilità di agire (20,4%) e dalla paura di essere giudicate e trattate male al momento della denuncia (15,1%). Quindi sfiducia e paura, ed è per questo che l'azione coordinata è importante e dove c'è, penso alle reti antiviolenza che si sono sviluppate in alcuni territori, funzionano.
Su questo fenomeno che ho voluto descrivere perché se ne parla poco è chiaro che l'impegno deve essere nostro, delle organizzazioni sindacali e delle associazioni datoriali. Per prevenire e contrastare la violenza contro le donne l'impegno deve essere di tutti: del Governo, delle istituzioni, delle associazioni datoriali e nostro perché crediamo che quando le donne sono sottomesse e schiavizzate al volere di una società che calpesta le loro intelligenze, le loro competenze, le loro qualità, si tratta di una società sconfitta nelle sue maglie più importanti.
di Rosanna Rosi
Responsabile delle politiche di genere Cgil