25 novembre 2014

VIOLENZA DONNE: ALBANELLA E RAIA (PD)

ON. LUISA ALBANELLA
CAMERA DEI DEPUTATI
ON. CONCETTA RAIA
ASSEMBLEA REGIONALE SICILIANA
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COMUNICATO STAMPA
25 NOVEMBRE: GIORNATA INTERNAZIONALE CONTRO LA VIOLENZA ALLE DONNE.
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ALBANELLA E RAIA (PD): “PUNTARE SULLA FORMAZIONE IN SINERGIA CON LE ISTITUZIONI SCOLASTICHE ”
“Quattordici nel 2013, sei nei primi nove mesi del 2014. Sono le donne siciliane uccise per mano di uomini violenti vittime, che fanno balzare la Sicilia al primo posto tra le regioni italiane per numero di femminicidi nel 2013, e quarta in questo 2014. Ed è ora dei dire basta di contare le morte ammazzate per mano di mariti, ex compagni, fidanzati o conviventi. Dobbiamo cambiare rotta e mettere in campo strumenti e investimenti di prevenzione e contrasto di lungo periodo che agiscano culturalmente, nel profondo, per evitare che queste violenze possano moltiplicarsi e permanere. Un‘azione che si sviluppi in dodici mesi l’anno, che non diventi occasione di appelli nel giorno della Giornata internazionale, perché il femminicidio non è un problema di parte”. E’ l’appello delle deputate democratiche Luisa Albanella, Camera dei Deputati, e Concetta Raia, Assemblea regionale Siciliana in occasione del 25 novembre, Giornata internazionale contro ogni forma di volenza alle donne.
“A livello regionale bisogna istituire un tavolo di lavoro operativo attorno al quale i due assessorati di riferimento Famiglia e Istruzione, da oggi e per il futuro, riuniscano i rappresentati degli ex provveditorati agli Studi, gli enti locali e le Università – spiega la deputata Concetta Raia – per creare sinergie e ottimizzare risorse e strumenti e predisporre un programma di formazione che parta dalle scuole primarie e arrivi all’università”.
“E’ fondamentale abbattere sin dai banchi di scuola i luoghi comuni e gli stereotipi culturali – sottolinea la parlamentare Luisa Albanella – perché nessuna forma di violenza e prevaricazione all’interno delle mura domestiche può coesistere con le parole “amore” e “famiglia” o essere accettata o percepita come qualcosa di normale che rientri nel ménage coniugale e relazionale. La legge nazionale (119/2013) tra le prime ad avere recepito la convenzione di Istanbul è un ottimo strumento – prosegue Luisa Albanella – gli articoli 5 e 5bis riservano esplicitamente alla formazione scolastica un ruolo fondamentale, ma le leggi non bastano se non cambia la mentalità. Ma c’è di più”. “Che in Italia si conti una donna ammazzata ogni tre giorni, è una piaga sociale – aggiunge Albanella – significa che crescono aggressività latenti, conflitti sociali, decadimento morale, tutti sintomi di una società malata, che non trova altro sfogo alla propria rabbia e insoddisfazione che scagliarsi con la persona più vicina e più debole, sia fisicamente che psicologicamente, perché non è mai inutile sottolineare come le vittima di violenza siano donne legate al loro carnefice da un rapporto sentimentale e sempre più spesso dalla presenza di figli”.
“Come evidenziato dall’Istat e dai centri antiviolenza che operano da anni in Sicilia, il 23 per cento delle donne isolane ha subito violenza ma impiega cinque o sei anni prima di denunciarle– evidenzia la deputata Concetta Raia –oggi i tempi si sono dimezzati rispetto a ciò che accadeva diversi anni fa, il che significa che l’opinione pubblica sta cambiando, così come le legislazioni”. “La legge regionale sulla violenza alle donne 3/21012, da me proposta e portata avanti fino alla sua approvazione all’Ars – ricorda Raia – ha permesso la istituzione di un forum per mantenete e la creazione di una rete come i centri che operano, ma ci dispiace ammettere, che tanto bisogna ancora fare, purtroppo la situazione finanziaria della Regione che non permette di poter contare su una adeguata e necessaria copertura economica”.
“La violenza di genere non è un raptus né la manifestazione di una patologia, bisogna essere coscienti del fenomeno, senza cadere nell'errore di sminuirlo – concludono Albanella e Raia – Spesso quando le cronache riportano un femminicidio, se opera di italiano si parla di raptus o patologia, se straniero di barbarie culturale, come se ammazzare non fosse comunque una barbarie. Le ricerche sulla violenza di genere ci dicono invece che questa si esprime con una escalation di episodi sempre più gravi, non è quasi mai episodica e spessissimo i suoi autori sono lucidissimi”.

A chi spettano il bonus 80 euro, il bonus bebè e la detrazione per baby sitter e badanti?


Il Governo quest’anno ha deciso di riconoscere un bonus 80 euro ai lavoratori dipendenti e assimilati direttamente in busta paga, che è stato stabilizzato nella Legge di Stabilità ad ottobre, prevedendo inoltre l’estensione del bonus alle neomamme a partire da gennaio 2015, ovvero un bonus bebè.
Tuttavia, non è facile capire i criteri e le soglie all’interno delle quali bisogna rientrare per avere diritto a queste ed altre agevolazioni fiscali. Ad esempio, per il bonus bebè c’è una soglia di 90mila euro, mentre per la detrazione Irpef c’è un tetto di 2.840,51 euro, al di sotto di cui si è considerati a carico di un proprio familiare, e così vengono riconosciuti a questi ultimi le detrazioni Irpef.
Secondo gli analisti di IlSole24Ore,  queste misure, decise in anni diversi e senza coordinamento tra loro, hanno stabilito soglie di “povertà fiscale” in base alle “esigenze di gettito che si aveva nel momento in cui sono state approvate, quando invece un sistema tributario dovrebbe stabilire degli scaglioni di reddito, anche ampi, al crescere dei quali diminuiscono tutti gli sconti fiscali“.

Bonus bebè: a chi spetta e come riceverlo
Secondo la Legge Stabilità 2015, approvata dal Governo il mese scorso e attualmente in discussione in Parlamento, il bonus bebè spetta ai genitori che, nell’anno solare precedente alla nascita o adozione del figlio, hanno avuto un reddito del nucleo familiare assoggettabile a Irpef (articolo 2, comma 9, decreto legge 13 marzo 1988, n. 69) complessivamente non superiore a 90mila euro.
Non c’è limite di reddito se il figlio, nato o adottato, è il «quinto o ulteriore per ordine di nascita o ingresso nel nucleo familiare».
Il bonus bebè verrà riconosciuto per ogni figlio nato o adottato tra il 1° gennaio 2015 e il 31 dicembre 2017. Consiste in un assegno di 960 euro annui, erogato sotto la forma di 80 euro al mese a decorrere dal mese di nascita o adozione, e fino al compimento del terzo anno d’età ovvero del terzo anno di ingresso nel nucleo familiare a seguito dell’adozione.
Per ricevere il bonus sarà necessario fare domanda all’Inps.

Detrazione baby sitter e badanti: come fare
C’è un’altra agevolazione fiscale riguardante l’infanzia: la deduzione dal reddito complessivo, nel limite annuale di 1.549,37 euro, dei contributi previdenziali pagati per le baby sitter (articolo 10, comma 2, Tuir).
Non c’è alcun limite di reddito per questa deduzione, che spetta anche agli «addetti ai servizi domestici», ovvero le colf, e a quelli per «l’assistenza personale o familiare», quindi le badanti. Per queste ultime, d’altronde, “è possibile detrarre anche il 19% delle relative spese sostenute, ma solo se il reddito complessivo (di chi sostiene la spesa) non supera i 40mila euro (articolo 15, comma 1, lettera i-septies, Tuir)“.
Così, per detrarre i contributi delle badanti non c’è limite di reddito, mentre per detrarne i costi al 19% non si possono superare i 40mila euro di reddito annuo.

Bonus 80 euro: a chi spetta?
E’ prevista nella Legge Stabilità 2015 la stabilizzazione del bonus 80 euro nelle buste paghe dei lavoratori dipendenti con reddito non oltre i 24mila euro. Si tratta di un credito d’imposta annuale pari a 960 euro (80 euro al mese) ed è rapportato al periodo di lavoro nell’anno.
Per redditi tra i 24mila e i 26mila euro, il bonus scende, in quanto spetta in base al rapporto tra i 26mila euro, calati del reddito complessivo effettivo, e i 2mila euro.
Sopra i 26mila non si ha diritto al bonus 80 euro (articolo 13, comma 1-bis, Tuir, in vigore dal 2015, che rispecchia le regole in vigore per il periodo da maggio a dicembre 2014).
Come spiegato dagli specialisti di IlSole24Ore, si è scelto di dare 80 euro al mese con l’obiettivo di individuare chiaramente in busta paga il c.d bonus Renzi, anziché incrementare le detrazioni Irpef di lavoro dipendente, già presenti nel nostro ordinamento e con un meccanismo di calcolo consolidato (articolo 13, Tuir), poiché questa modifica non avrebbe comportato un aumento fisso nelle buste paga dei dipendenti con reddito da 8mila euro a 24mila euro, ma un incremento variabile e inversamente proporzionale all’accrescere del reddito da 8mila a 55mila euro.
Attualmente, in effetti, le detrazioni Irpef per il lavoro dipendente sono massime (1.880 euro) se il reddito complessivo non oltrepassa gli 8mila euro e diminuiscono proporzionalmente fino allo zero, se supera i 55mila euro.
di Natalia Pezzone


Giovanni Pistorio è il nuovo Segretario Generale della Fillea, il sindacato degli edili

Giovanni Pistorio, in Cgil dal 1990, è il nuovo segretario generale della Fillea Cgil di Catania, il sindacato dei lavoratori edili. Pistorio è stato eletto all'unanimità e succede a Claudio Longo, che nella categoria ha trascorso 24 lunghi anni di militanza sindacale.

"Inizio quest'incarico con grande entusiasmo e ricco delle esperienze che in questi anni mi hanno fatto crescere come sindacalista e come cittadino. - ha detto Pistorio, che negli anni scorsi ha lavorato in Filcams, Fillea ed Slc, di cui è stato segretario generale provinciale e coordinatore regionale- Occuparmi della comunicazione e della cultura in questi anni, mi ha consentito di comprendere il valore dell'innovazione, che non è solo una bella parola ma un aspetto concreto dello sviluppo che verrà o che è già tra noi. Se ripenso a settori chiave come la green economy e le human city, non posso non pensare ai risvolti che essi potranno avere anche nel mondo delle costruzioni. Abbiamo importanti strumenti a nostra disposizione e adesso sono i cantieri utili e urgenti che dovranno ripartire in questa città per ricreare opportunità di lavoro".

Sinceramente commosso il saluto di Claudio Longo. "Sono nato e cresciuto in Fillea e concludere questo percorso significa chiudere un capitolo della mia vita lungo e carico di significato umano e professionale. - dice Longo - La mia più grande soddisfazione? Avere conquistato il tavolo prefettizio per l'attività di monitoraggio delle stazioni appaltanti con incontri mensili e la conseguente conferma delle opere che partiranno presto: Perla Jonica e le due stazioni di metropolitana. Questo è il nodo cruciale per la ripartenza di Catania".

 Sia Pistorio che Longo restano segretari confederali della Cgil di Catania.
All' elezione di stamattina, tenutasi nella Sala Russo di via Crociferi, erano presenti anche il segretario generale Giacomo Rota, il segretario nazionale Fillea Walter Schiavella , il segretario generale Fillea Sicilia, Francesco Tarantino.


24 novembre 2014

GIORNATA CONTRO LA VIOLENZA SULLE DONNE


Tramite la risoluzione numero 54/134 del 17 dicembre 1999, l'Assemblea Generale delle Nazioni Unite ha designato il 25 novembre come Giornata internazionale per l'eliminazione della violenza contro le donne e ha invitato i governi, le organizzazioni internazionali e le ONG a organizzare attività volte a sensibilizzare l'opinione pubblica in quel giorno.

L'Assemblea Generale dell'ONU ha ufficializzato una data che fu scelta da un gruppo di donne attiviste, riunitesi nell'Incontro Femminista Latinoamericano e dei Caraibi, tenutosi a Bogotà nel 1981. Questa data fu scelta in ricordo del brutale assassinio nel 1960 delle tre sorelle Mirabal, considerate esempio di donne rivoluzionarie per l'impegno con cui tentarono di contrastare il regime di Rafael Leónidas Trujillo (1930-1961), il dittatore che tenne la Repubblica Dominicana nell'arretratezza e nel caos per oltre 30 anni.

In Italia solo dal 2005 alcuni centri antiviolenza e Case delle donne hanno iniziato a celebrare questa giornata. Ma negli ultimi anni anche istituzioni e vari enti come Amnesty International festeggiano questa giornata attraverso iniziative politiche e culturali. Nel 2007 100.000 donne (40.000 secondo la questura) hanno manifestato a Roma "Contro la violenza sulle donne", senza alcun patrocinio politico. È stata la prima manifestazione su questo argomento che ha ricevuto una forte attenzione mediatica, anche per le contestazioni che si sono verificate a danno di alcuni ministri e di due deputate.[1]

Dal 2006 la Casa delle donne per non subire violenza di Bologna promuove annualmente il Festival La Violenza Illustrata, unico festival nel panorama internazionale interamente dedicato alla Giornata mondiale contro la violenza sulle donne. Ormai centinaia di iniziative in tutta Italia vengono organizzate in occasione del 25 novembre per dire no alla violenza di genere in tutte le sue forme.

Il 2013 è stato un anno nero per i femminicidi, con 179 donne uccise, in pratica una vittima ogni due giorni. Rispetto alle 157 del 2012, le donne ammazzate sono aumentate del 14%. A rilevarlo è l'Eures nel secondo rapporto sul femminicidio in Italia, che elenca le statistiche degli omicidi volontari in cui le vittime sono donne.

    Aumentano quelli in ambito familiare, +16,2%, passando da 105 a 122, così come pure nei contesti di prossimità, rapporti di vicinato, amicizia o lavoro, da 14 a 22. Rientrano nel computo anche le donne uccise dalla criminalità, 28 lo scorso anno: in particolare si tratta di omicidi a seguito di rapina, dei quali sono vittima soprattutto donne anziane.

    Anche nel 2013, in 7 casi su 10 (68,2%, pari a 122 in valori assoluti) i femminicidi si sono consumati all'interno del contesto familiare o affettivo, in linea con il dato relativo al periodo 2000-2013 (70,5%). Con questi numeri, il 2013 ha la più elevata percentuale di donne tra le vittime di omicidio mai registrata in Italia, pari al 35,7% dei morti ammazzati (179 sui 502), "consolidando - sottolinea il dossier - un processo di femminilizzazione nella vittimologia dell'omicidio particolarmente accelerato negli ultimi 25 anni, considerando che le donne rappresentavano nel 1990 appena l'11,1% delle vittime totali".

Per 10 anni quasi la metà dei femminicidi è avvenuto al Nord, dal 2013 c'è invece stata un'inversione di tendenza sotto il profilo territoriale, divenendo il Sud l'area a più alto rischio con 75 vittime ed una crescita del 27,1% sull'anno precedente, anche a causa del decremento registrato nelle regioni del Nord (-21% e 60 vittime). Lo indica il rapporto Eures sul femminicidio in Italia, dal quale risulta anche un raddoppio delle vittime al Centro Italia, dalle 22 nel 2012 a 44.

    Il Lazio e la Campania con 20 donne uccise presentano nel 2013 il più alto numero di femminicidi tra le regioni italiane, seguite da Lombardia (19) e Puglia (15). Ma è l'Umbria - come riporta il dossier - a registrare l'indice più alto (12,9 femminicidi per milione di donne residenti). Nella graduatoria provinciale ai primi posti Roma (con 11 femminicidi nel 2013), Torino (9 vittime) e Bari (8). Il femminicidio nelle regioni del Nord si configura essenzialmente come fenomeno familiare, con 46 vittime su 60, pari al 76,7% del totale; mentre sono il 68,2% dei casi al Centro e il 61,3% al Sud (con 46 donne uccise in famiglia sulle 75 vittime censite nell'area). Qui al contrario è più alta l'incidenza delle donne uccise all'interno di rapporti di lavoro o di vicinato (14,7% a fronte del 5% al Nord) e dalla criminalità (18,7% contro l'11,4% del Centro e l'11,7% del Nord).

Ottantuno donne, il 66,4% delle vittime dei femminicidi in ambito familiare, hanno trovato la morte per mano del coniuge, del partner o dell'ex partner; la maggior parte per mano del marito o convivente (55, pari al 45,1%), cui seguono gli ex coniugi/ex partner (18 vittime, pari al 14,8%) ed i partner non conviventi (8 vittime, pari al 6,6%).

    I dati relativi al 2013 - come rileva la ricerca Eures sui femminicidi in Italia - sono sostanzialmente sovrapponibili a quelli complessivamente censiti a partire dall'anno 2000. Lo scorso anno si è avuto, "anche per effetto del perdurare della crisi", un forte aumento dei matricidi, spesso compiuti per ragioni di denaro o per una esasperazione dei rapporti derivanti da convivenze imposte dalla necessità: sono infatti 23 le madri uccise nell'ultimo anno, pari al 18,9% dei femminicidi familiari, a fronte del 15,2% rilevato nel 2012 e del 12,7% censito nell'intero periodo 2000-2013 (215 matricidi). Ad uccidere sono nel 91,7% dei casi i figli maschi e nell'8,3% le figlie femmine.

    Il 2013 rileva una significativa crescita dell'età media delle vittime di femminicidio, passata da 50 anni nel 2012 a 53,4 (da 46,5 a 51,5 anni nei soli femminicidi familiari).
    Diminuiscono le vittime con meno di 35 anni (da 48 a 37), e aumentano quelle nelle fasce 45-54 anni (+72,2% passando da 18 a 31) e 55-64 anni (+73,3%, da 15 a 26) e, in quella 35-44 anni (+26,1%, passando da 23 a 29 vittime) e tra le over 64 (da 51 a 56, pari a +9,8%).
  

A "mani nude", per le percosse, strangolamento o soffocamento: così nel 2013 è morta ammazzata una donna su tre. A rilevarlo è il rapporto Eures che mette in relazione tale modalità di esecuzione ad un "più alto grado di violenza e rancore".

    Se le armi da fuoco si confermano come strumento principale nei casi di femminicidio (45,1% dei casi, seguite, con il 25,1%, dalle armi da taglio), la gerarchia degli strumenti si va modificando: le "mani nude" sono il mezzo più ricorrente, 51 vittime, pari al 28,5% dei casi; in particolare le percosse hanno riguardato il 5,6% dei casi, lo strangolamento il 10,6% e il soffocamento per il 12,3%. Di poco inferiore la percentuale dei femminicidi con armi da fuoco (49, pari al 27,4% del totale) e con armi da taglio (45 vittime, pari al 25,1%).

    Collegato alla modalità di esecuzione è il movente. Quello 'passionale o del possesso' continua ad essere il più frequente (504 casi tra il 2000 e il 2013, il 31,7% del totale): "Generalmente - dice il dossier - è la reazione dell'uomo alla decisione della donna di interrompere/chiudere un legame, più o meno formalizzato, o comunque di non volerlo ricostruire". Il secondo gruppo riguarda la sfera del "conflitto quotidiano", della litigiosità anche banale, della gestione della casa, ed è alla base del 20,8% dei femminicidi familiari censiti (331 in valori assoluti). A questi possono essere aggiunti gli omicidi scaturiti da questioni di interesse o denaro, 19 nel 2013, il 16%, e si tratta prevalentemente di matricidi.

"COLPEVOLI DI DECIDERE" - Oltre 330 donne sono state uccise, dal 2000 a oggi, per aver lasciato il proprio compagno. Quasi la metà nei primi 90 giorni dalla separazione. Il rapporto Eures, diffuso oggi, li definisce i 'femminicidi del possesso', e conseguono generalmente alla decisione della vittima di uscire da una relazione di coppia; a tale dinamica sono da attribuire con certezza almeno 213 femminicidi tra le coppie separate, e 121 casi in quelle ancora unite dove la separazione si manifesta come intenzione.
    Il 45,9% avvengono nei primi tre mesi dalla rottura (il 21,6% nel primo mese e il 24,3% tra il primo e il terzo mese). Ma il "tarlo dell'abbandono", segnala il dossier, ha una forte capacità di persistenza e di riattivazione nei casi di un nuovo partner della ex, della separazione legale, o dell'affidamento dei figli. Tanto che il 3,2% dei femminicidi nelle coppie separate avviene dopo 5 anni dalla separazione.
    Il femminicidio è spesso un'escalation di violenze e/o vessazioni di carattere fisico. I dati disponibili indicano un'elevata frequenza di maltrattamenti pregressi a danno delle vittime, censiti nel 33,3% dei femminicidi di coppia nel 2013 (27 in valori assoluti) e nel 22,5% tra il 2000-2013 (193 in valori assoluti). Eures sottolinea "l'inefficacia/inadeguatezza della risposta istituzionale alla richiesta d'aiuto delle donne vittime di violenza all'interno della coppia, visto che nel 2013 ben il 51,9% delle future vittime di omicidio (17 in valori assoluti) aveva segnalato/denunciato alle Istituzioni le violenze subite".

Redazione ANSA

22 novembre 2014

Sciopero call center: altissima l'adesione degli 80mila lavoratori dei call center


Azzola (Slc Cgil): "Adesione mai vista in tanti anni" tra gli 80mila lavoratori del settore. La protesta nazionale proclamata dai sindacati per chiedere al governo di intervenire per recepire correttamente una direttiva europea che tutela i lavoratori nei casi di cambi d'appalto
Roma, 21 novembre (Adnkronos/Labitalia) - Attese infinite e telefoni muti oggi per gli italiani che hanno provato a rivolgersi ai call center di aziende e societa'. E' stata infatti altissima l'adesione degli 80mila lavoratori dei call center italiani allo sciopero nazionale proclamato dai sindacati di categoria delle tlc.
"Stiamo registrando un'adesione mai vista in tanti anni - spiega a Labitalia Michele Azzola, segretario nazionale della Slc Cgil - quasi totale e con punte mai viste in alcune realta' fino ad ora: i lavoratori hanno risposto positivamente e chiedono al governo di intervenire nella vertenza sul settore".
Le richieste di sindacati e lavoratori sono precise: "Lo Stato italiano ha recepito male - spiega ancora Azzola - una direttiva europea che tutela i lavoratori nei casi di cambi d'appalto. Negli altri Paesi europei, se il committente cambia il fornitore di un servizio, i lavoratori del precedente fornitore devono essere tutelati".


21 novembre 2014

Una dipendente palermitana di Almaviva ha scritto a Papa Francesco

Una lavoratrice palermitana di Almaviva Contact spa, parlando a nome di tutti i lavoratori del call center che in Sicilia è pronta ad annunciare per il 2015 un piano di tremila esuberi, ha scritto a Papa Francesco. E ha ottenuto dal Pontefice una risposta scritta, oltre alla sua benedizione.
“Caro Papa Francesco. Le scrivo per portarla a conoscenza di una triste e grave situazione che sta coinvolgendo la mia famiglia e altre migliaia di famiglie, le famiglie dei miei colleghi. Le scrivo con rabbia e con le lacrime agli occhi ma non con rassegnazione, quella è una parola che la mia dignità di lavoratrice non conosce. A causa dell’inerzia e dell’indifferenza della nostra classe politica, 2.500 famiglie stanno rischiando di perdere il proprio posto di lavoro”.
Inizia così l’accorata lettera di Caterina D., di 32 anni, inviata a Papa Bergoglio nei giorni scorsi. E adesso le è arrivata la risposta, scritta a nome di Papa Francesco da monsignor Peter B. Wells, della Segreteria di Stato: “Il Santo Padre Francesco ha accolto con sentimento di spirituale vicinanza l’atto di devota confidenza che gli è stato presentato. Sua Santità, nel ringraziare per il gesto filiale, incoraggia ad abbandonarsi con rinnovata fiducia tra le braccia paterne del Signore, che sempre ascolta la supplica di chi, con pazienza e umiltà, bussa alla sua porta”.





I PERMESSI PER GRAVE INFERMITÀ

I tre giorni di permesso retribuito all'anno sono previsti nel caso di decesso o grave infermità del coniuge, anche se legalmente separato, del parente entro il secondo grado, anche non convivente. I tre giorni di permesso sono concessi anche nel caso in cui il decesso riguardi un componente della famiglia anagrafica, quindi anche nell'ipotesi della famiglia di fatto.
Nei giorni di permesso non sono considerati i giorni festivi o non lavorativi e sono cumulabili con quelli concessi ai sensi dell'articolo 33 della Legge 104/1992 (lavoratori disabili e familiari di persone con handicap grave).
I giorni di permesso devono essere utilizzati entro sette giorni dal decesso o dall'insorgenza della grave infermità o della necessità di provvedere a conseguenti interventi terapeutici.
È possibile concordare con il datore di lavoro la fruizione dei tre giorni di permesso in modo articolato o frazionato. È possibile, quindi, in alternativa alla fruizione continua dei tre giorni, concordare una riduzione dell'orario lavorativo.
Per ottenere questi permessi è necessario presentare, per la grave infermità, documentazione rilasciata da un medico specialista del Servizio Sanitario Nazionale o convenzionato, dal medico di medicina generale oppure dal pediatra di libera scelta; la documentazione va presentata entro cinque giorni dalla ripresa del lavoro. Il datore di lavoro può richiedere periodicamente la verifica dell'effettiva gravità della patologia.
Per il decesso, va presentata la relativa certificazione oppure una dichiarazione sostitutiva.
I tre giorni l'anno sono relativi al lavoratore e non ai familiari cui si riferisce il permesso. Pertanto, ad esempio, se nel corso dello stesso anno un lavoratore si trova a dover affrontare due situazioni di grave infermità di due diversi parenti, avrà comunque diritto a tre sole giornate di permesso.
In tali casi, tuttavia, potrà ricorrere, in modo frazionato, al congedo - non retribuito - di cui parliamo più sotto.

I CONGEDI PER GRAVI MOTIVI FAMILIARI
La Legge 53/2000 prevede la concessione di congedi per gravi motivi familiari. Il congedo è pari a due anni nell'arco della vita lavorativa e può essere utilizzato anche in modo frazionato. La condizione più rilevante è che il congedo in questione non è retribuito.
I gravi motivi devono riguardare i soggetti di cui all'articolo 433 del Codice Civile (coniuge, figli legittimi, legittimati, adottivi, genitori, generi e nuore, suoceri, fratelli e sorelle) anche non conviventi, nonché i portatori di handicap parenti o affini entro il terzo grado. Anche in questo caso il congedo può essere richiesto anche per i componenti della famiglia anagrafica indipendentemente dal grado di parentela, ammettendo quindi anche la famiglia di fatto.
Fra i gravi motivi il Decreto Ministeriale 278/2000 elenca le necessità familiari derivanti da una serie di cause.E cioè:
a) necessità derivanti dal decesso di un familiare;
b) situazioni che comportano un impegno particolare del dipendente o della propria famiglia nella cura o nell'assistenza di familiari;
c) situazioni di grave disagio personale, ad esclusione della malattia, nelle quali incorra il dipendente medesimo.
Sono inoltre considerate "gravi motivi" le situazioni, escluse quelle che riguardano direttamente il lavoratore richiedente, derivanti dalle seguenti patologie: 1. patologie acute o croniche che determinano temporanea o permanente riduzione o perdita dell'autonomia personale, ivi incluse le affezioni croniche di natura congenita, reumatica, neoplastica, infettiva, dismetabolica, post-traumatica, neurologica, neuromuscolare, psichiatrica, derivanti da dipendenze, a carattere evolutivo o soggette a riacutizzazioni periodiche; 2. patologie acute o croniche che richiedono assistenza continuativa o frequenti monitoraggi clinici, ematochimici e strumentali; 3. patologie acute o croniche che richiedono la partecipazione attiva del familiare nel trattamento sanitario; 4. patologie dell'infanzia e dell'età evolutiva per le quali il programma terapeutico e riabilitativo richieda il coinvolgimento dei genitori o del soggetto che esercita la potestà.
Questo congedo (anche frazionato) può essere richiesto anche per il decesso di un familiare nel caso in cui il lavoratore non abbia la possibilità di usufruire dei permessi di tre giorni in quell'anno (per esempio perché ne ha già usufruito).
La documentazione relativa alle patologie viene rilasciata da un medico specialista del Servizio Sanitario Nazionale o convenzionato, dal medico di medicina generale (medico di famiglia) oppure dal pediatra di libera scelta. La documentazione va presentata contestualmente alla richiesta di congedo.
Entro 10 giorni dalla richiesta del congedo, il datore di lavoro è tenuto ad esprimersi sulla stessa e a comunicarne l'esito al dipendente.
L'eventuale diniego, o la proposta di rinvio a un periodo successivo e determinato, o la concessione parziale del congedo, devono essere motivati in relazione alle condizioni previste dal Decreto Ministeriale 278/2000 e da ragioni organizzative e produttive che non consentono la sostituzione del dipendente. Su richiesta del dipendente, la domanda deve essere riesaminata nei successivi 20 giorni.
Il Decreto prevede che i singoli Contratti Collettivi Nazionali di Lavoro che si andranno a definire disciplinino i procedimenti di richiesta e di concessione dei permessi.
Alla conclusione del congedo il lavoratore ha diritto a riprendere il suo posto e la sua mansione. Il lavoratore inoltre può rientrare anche anticipatamente al lavoro dandone preventiva comunicazione all'aziendga.


I sistemi di outobound non saranno più decisi arbitrariamente dai call center


Dal 2 ottobre 2014 i call center devono rispettare le regole fissate dal Garante della Privacy e comunicate con sei mesi di anticipo per agevolare l’aggiornamento delle configurazioni. I parametri delle impostazioni dei sistemi di outobound non saranno più decisi arbitrariamente dai call center, ma dovranno attenersi alle prescrizioni del Garante:
◦    I call center devono tenere precisa traccia delle “chiamate mute”, che devono comunque essere interrotte trascorsi 3 secondi dalla risposta dell’utente;
◦    Non possono verificarsi più di 3 telefonate “mute” ogni 100 andate “a buon fine”. Tale rapporto deve essere rispettato nell’ambito di ogni singola campagna di telemarketing; di rumore ambientale, il cosiddetto “comfort noise” (ad es. con voci di sottofondo, squilli di telefono, brusio), per dare la sensazione che la chiamata provenga da un call center e non da un eventuale molestatore;
◦    L’utente disturbato da una chiamata muta non può essere ricontattato per 5 giorni e, al contatto successivo, deve essere garantita la presenza di un operatore;
◦    I call center sono tenuti a conservare per almeno due anni i report statistici delle telefonate “mute” effettuate per ciascuna campagna, così da consentire eventuali controlli.
Quali sono le implicazioni per i contact center italiani? In primo luogo, per quelli che non l’avessero ancora fatto, la necessità di dotarsi di tecnologie che siano in grado di implementare e rispettare facilmente le regole imposte dal garante.
Un sistema di outbound professionale di fascia alta, dovrebbe permettere di configurare facilmente le restrizioni imposte, sia in termini di velocità di riconoscimento della voce umana (<3 sec.), sia in termini di richiamata posticipata e di adeguata reportistica. La maggior parte dei sistemi italiani, purtroppo, non è in grado di garantire il rispetto di tali regole: si pensi a qualsiasi sistema software only di predictive dialing, con un grado di riconoscimento massimo delle segreterie telefoniche del 70-75%, o a sistemi che non sono in grado di garantire che la richiamata del singolo utente avvenga puntualmente non prima dei 5 giorni dettati dal Garante.
Ciò significa che oggi i contact center, per fare lo stesso lavoro di prima, e di fatto con performance inferiori dovute alle restrizioni imposte, sono messi di fronte alla necessità di dotarsi di tecnologie più evolute:
◦    Un dialer di fascia alta con riconoscimento delle segreterie hardware, porta la qualità del riconoscimento a oltre il 90%, riducendo quindi sensibilmente la possibilità di errori nel distinguere una voce umana. Inoltre la possibilità di modificare alcuni elementi dell’algoritmo di predictive dialing rende più facile calibrare le campagne per minimizzare gli errori tipici di un algoritmo troppo aggressivo (ad esempio troppe chiamate pronte senza agenti che possano rispondere, oppure al contrario troppo poche chiamate con voce umana e agenti in attesa).
◦    Un sistema avanzato di List Management, che permetta di gestire le liste di record da chiamare in maniera intelligente e dinamica, tenendo traccia di recall e appuntamenti, cercando il momento migliore in cui chiamare il cliente, anche rispetto alle sue indicazioni preferenziali, qualora indicate nel suo profilo, e permettendo soprattutto di configurare la “do not call” list prima di ogni altra valutazione da parte del dialer.
◦    Una volta implementate le regole grazie alla tecnologia, si rende tuttavia necessario ottimizzare il processo di creazione e messa in atto delle campagne outbound per riuscire a compensare, e possibilmente migliorare, il gap di performance introdotto dalle nuove restrizioni. A questo scopo sono in genere utili, e in ordine di importanza, strumenti di:
◦    Workforce management, in grado di ottimizzare i turni degli agenti sulla base di parametri qualitativi della campagna, come penetration rate e RPC rate delle campagne in corso, e in ambienti blended, e di tenere conto dei picchi di volume delle chiamate inbound e degli altri canali di interazione.
◦    Quality management, in grado di registrare le conversazioni e di fornire strumenti di valutazione ad agenti e supervisori, così da evidenziare eventuali necessità di formazione.
◦    Speech analytics, tecnologia innovativa che permette di conoscere, attraverso le registrazioni audio delle chiamate, il contenuto delle conversazioni, e in ambito outbound, ad esempio, individuare quale impostazione o script di chiamata ottiene i risultati migliori, per poterla poi implementare su tutte le chiamate.
◦    Real-time speech analytics, che permette di riconoscere se un operatore ha seguito correttamente lo script e di correggerlo in tempo reale, ottimizzando così il tempo speso durante la conversazione.
◦    Performance management, strumento indispensabile di controllo delle intere operazioni del contact center, permette di capire l’andamento generale delle metriche di business correlate a quelle del contact center, di capire gli impatti degli scostamenti e di eventuali modifiche, e di correlare problemi ad azioni risolutive a breve, medio e lungo termine, fornendo al contempo uno strumento di analisi per supervisori, analisti e manager.
L’outbound quindi, in Italia come all’estero, non adrebbe fatto solo con un buon script e un predictive dialer, bensì utilizzando al meglio ciò che la tecnologia è in grado di offrire oggi, senza dimenticare da un lato di prendere spunto da paesi che hanno implementato restrizioni analoghe a quelle imposte dal Garante già da diversi anni (ad es. OFCOM in Inglhilterra, oppure le Telephone Consumer Protection Act in USA) e con successo, e dall’altro di adeguare alle nuove regole anche il resto dei processi aziendali, offrendo quindi ai consumatori un dialogo coerente attraverso tutti i canali aziendali di comunicazione, e rispettandone la privacy secondo quanto stabilito dalla normativa.
A cura di Paola Annis, Senior Solutions Consultant


Assenza per malattia, ecco le regole per dipendenti pubblici e privati


L'Istituto nazionale della previdenza sociale ha emanato le nuove regole per l'invio a domicilio del medico fiscale, valide per l'anno 2015. Spetta all'Inps, come noto, la verifica della condizione di salute di dipendenti pubblici e privati che si assentano dal lavoro per malattia. Il controllo avviene tramite l’invio a domicilio del medico fiscale. "Ispettori" e lavoratori sono tenuti a rispettare delle regole e degli orari prefissati dall’ente, condizioni che variano a seconda della categoria dei dipendenti. Ecco le regole valide per il settore pubblico e privato.

DIPENDENTI STATALI

Devono essere reperibili 7 giorni su 7, ivi compresi i giorni non lavorativi, festivi, prefestivi e weekend. Le fasce orarie di riferimento sono le seguenti:
- dalle ore 9.00 alle ore 13.00
- dalle ore 15:00 alle ore 18:00.

Negli orari e nei giorni sopra indicati, i lavoratori statali devono rimanere presso la residenza indicata nella documentazione medica di malattia e attendere la visita del medico fiscale inviata dal datore di lavoro o dall’Inps.

Sono esclusi dal vincolo di reperibilità unicamente i dipendenti che si assentano per questi motivi:
1) malattie di una certa entità di cui necessitano cure salvavita
2) Infortuni di lavoro
3) Patologie documentate e identificate le cause di servizio
4) Quadri morbosi inerenti alla circostanza di menomazione attestata
5) Gestazione a rischio.

Sono esenti anche i dipendenti nei confronti dei quali è stata già effettuata la visita fiscale per il periodo di prognosi indicato nel certificato.


DIPENDENTI PRIVATI

Identico obbligo di reperibilità 7 giorni su 7. Cambiano, invece, le fasce orarie:
- dalle ore 10:00 alle ore 12:00.
- dalle ore 17:00 alle ore 19:00.

Permangono l’obbligo di permanenza nella residenza indicata sulla documentazione e le esenzioni previste per i lavoratori pubblici.

VISITE FISCALI: LE REGOLE
Il medico fiscale ha l’obbligo di verificare le condizioni fisiche del soggetto e di analizzare la patologia riportata all’interno del documento di malattia. In caso di necessità, potrà protrarre la diagnosi di 48 ore. Dopo aver accertato la diagnosi potrà, se necessario, variarla e sollecitare il dipende a sottoporsi ad un controllo specialistico.

Nel caso in cui, al momento della visita fiscale, il lavoratore non si trovasse all’interno della residenza segnalata sprovvisto di motivazione, perde il diritto al 100% retribuzione per i primi 10 giorni di malattia. Per i giorni seguenti invece la retribuzione scenderà al 50%. Il dipendente avrà inoltre 15 giorni di tempo per comprovare la propria assenza ed evitare la detrazione dallo stipendio.


18 novembre 2014

Sciopero nazionale e notte bianca dei call center il 21 novembre


Le Segreterie Nazionali di Slc Cgil, Fistel Cisl e Uilcom Uil hanno deciso di dichiarare la seconda giornata di sciopero nazionale del settore con manifestazione da tenersi a Roma il prossimo 21 novembre, nell’ambito di un evento più ampio, una vera e propria NOTTE BIANCA DEI CALL CENTER In cui le organizzazioni sindacali inviteranno mondo della cultura, dello spettacolo, della società civile e della politica ad incontrare e confrontarsi con i lavoratori del settore e a solidarizzare con loro nella dura vertenza che li contrappone al Governo.

Mentre la vertenza che vede contrapposte British Telecom e Accenture con 262 licenziamenti non ha ancora trovato una soluzione, oggi E-Care ha annunciato la volontà di procedere alla chiusura della sede Milanese con il licenziamento di oltre 500 persone. Nelle prossime settimane la chiusura delle gare di Enel, Comune di Roma e il continuo ribasso delle tariffe praticato dai clienti porterà all’avvio di ulteriori centinaia di dipendenti.

Quanto sta accadendo era stato previsto e preannunciato tanto che il Governo aveva avviato, nel mese di giugno, un tavolo di crisi per il settore. In tale occasione le Organizzazioni Sindacali avevano evidenziato come, l’errata trasposizione della Direttiva Europea 2001/23 sulla tutela dei lavoratori, con la mancata estensione delle tutele previste dall’articolo 2112 del c.c. in occasione della successione o cambio di appalti ha creato in Italia un vuoto normativo che consente di creare crisi occupazionali esclusivamente per ridurre il salario dei lavoratori e ridurne i livelli di diritti.

A ciò si aggiungono gli incentivi per le nuove assunzioni già oggi previsti dalla legislazione, legge 407/90, per le regioni del sud che prevedono il mancato versamento contributivo per i primi tre anni.

Il combinato disposto delle due norme crea le crisi occupazionali odierne, che non sono determinate da un calo dell’attività lavorativa, ma unicamente dall’opportunità concessa al committente di cambiare liberamente il fornitore del servizio senza essere tenuto a garantire la continuità occupazionale a quei lavoratori che già prestavano la propria attività.

In questo modo il committente mantiene basso il costo con gli sgravi contributivi permanenti e le retribuzioni dei lavoratori ai minimi contrattuali e senza anzianità mentre lo Stato paga due volte, gli ammortizzatori sociali per i disoccupati e gli incentivi per le nuove assunzioni, senza creare nemmeno un posto di lavoro nuovo.

In nessun Paese Europeo ciò è possibile in quanto il recepimento della direttiva su citata ha portato al varo di leggi che direttamente, come nel caso della TUPE inglese, o con rimandi ai contratti di lavoro, come nel caso spagnolo, impone di garantire continuità occupazionale in caso di successione di appalti per le stesse attività. In questo modo quei mercati hanno deciso di premiare le aziende che investono in tecnologia e che riescono ad essere efficaci sviluppando ed investendo in IT e ricerca.

In Italia no! L’Italia premia l’imprenditore più spregiudicato che viola regole e leggi e in questo modo comprime il costo del lavoro, chi invece prova a competere nel rispetto delle regole viene messo fuori mercato con la conseguenza che i lavoratori saranno licenziati.

Il Governo, in una prima fase, aveva  ritenuto giuste le rivendicazioni sindacali nonchè doveroso provare a dare una risposta ai lavoratori. Dopodiché, le pressioni esercitate dalla committenza che immaginiamo non esser mai state effettuate alla luce del sole, hanno portato il Governo a ritirarsi e non convocare più il tavolo sui Call Center che invece viene sbandierato nelle risposte alle interrogazioni parlamentari dal ministro di turno.


16 novembre 2014

L’assassino dei call center Corto contro il precariato


Un noir, realizzato in vista dello sciopero nazionale dei lavoratori dei call center del 21 novembre, dedicato al fenomeno delle delocalizzazioni, cioè al trasferimento del lavoro all'estero, che sta piegando il settore dei call center. Un modo originale, quello dei thriller sindacali, di raccontare i problemi del mondo del lavoro e dei lavoratori. Il protagonista de L’assassino del call center è proprio un imprenditore che sceglie di portare all'estero la sua attività. Un'antieroe che trasferisce cuffie e telefoni in Transnitria, regione moldava autoproclamatasi autonoma, resa nota da una recente puntata della trasmissione d'inchiesta Report. Uno dei pochi riferimenti diretti presenti nel cortometraggio, tutto giocato su riferimenti non espliciti. Come le citazioni del presidente del consiglio Matteo Renzi, mai nominato ma più volte chiamato in causa. Regia di Riccardo Napoli, lo stesso dei riuscitissimi videospot "Roma Calling" (sulla manifestazione Cgil del 25 ottobre) e "Buongiorno sono Lucia" (sullo sciopero dei call center del 4 giugno). Interpreti Lucia Fossi e Francesco Russo, Desy Arena, Natale Falà e Massimo Allegra. Da un'idea di Massimo Malerba

14 novembre 2014

Canone Rai legato alla bolletta elettrica Lo pagherà anche chi ha un pc o tablet


La riforma del Canone Rai è pronta. Il Messaggero scrive oggi che Matteo Renzi ha dato il suo via libera alla rivoluzione per l’imposta, che verrà legata alla bolletta della luce con l’obiettivo di garantire all’azienda di viale Mazzini un gettito di 1,8 miliardi di euro l’anno. Più o meno quanti ne incassa oggi la Rai, ma allargando la platea. Non si pagheranno più i 113,50 euro, ma si chiederà un importo inferiore. Resteranno le fasce di esenzione e i bonus per i meno abbienti, ma tutti gli altri pagheranno una cifra che viene stimata dai 35 a 80 euro in base agli indicatori Isee. In media, il Canone Rai costerà 60 euro agli italiani.
Renzi ha ricevuto il sottosegretario alle Comunicazioni, Antonello Giacomelli, e ha approvato l’idea di legare il Canone Rai alla bolletta elettrica. Per non pagare la tassa diventa compito dell’utente dimostrare di non possedere una tv o anche qualsiasi device con cui raggiungere i programmi del servizio pubblico – tablet, iPad, smartphone, pc. Nell’Italia di oggi, pochissimi saranno esclusi dall’imposta.
Spetta ora al Tesoro e a Palazzo Chigi decidere quale sarà lo strumento normativo, se presentare un emendamento alla Legge di Stabilità oppure varare un decreto ad hoc. Lo stato delle casse Rai richiede di non esitare. L’evasione del Canone Rai è stimata in 450 milioni di euro e un ulteriore rinvio sarebbe deleterio. Per questo Giacomelli confida di portare a casa l’operazione entro l’anno, ma dovrà superare i dubbi dell’Authority per l’Energia – che già ha definito un “uso improprio” quello del Canone in bolletta e ha sollevato perplessità legate alla privacy.


Call Center Raccolta firme per denuncia a Commissione Europea


Parte oggi la raccolta di firme per una denuncia alla Commissione Europea relativa all’errata trasposizione dei contenuti della Direttiva Europea 2001/23 in materia di tutele dei diritti dei lavoratori.
Lo annunciano le Segreterie Nazionali di Slc Cgil, Fistel Cisl e Uilcom Uil, nell’ambito delle iniziative che porteranno allo sciopero generale e alla Notte Bianca dei Call Center il prossimo 21 novembre. Le crisi occupazionali che colpiscono migliaia di lavoratori, prosegue la nota, non sono figlie della crisi economica ma di un vuoto normativo che permette, nella successione dei medesimi appalti, di cambiare fornitore e lasciare disoccupate migliaia di persone.
In tutti gli altri Paesi europei la successione e il cambio di appalto è gestito attraverso tutele occupazionali, che nascono dalla direttiva, che tutelano i lavoratori, il loro salario e i loro diritti nel cambio di fornitore.
In Italia no! Nel cambio di appalto si agisce unicamente attraverso la compressione di salari e diritti in modo tale da garantire al committente il prezzo più vantaggioso e scaricando i costi sulle tasse dei cittadini (gli ammortizzatori sociali e gli incentivi) e sui lavoratori.
Tale norma ha anche l’effetto di definire un modello industriale, perché la difesa delle competenze e della qualità induce le aziende a qualificarsi per la capacità di offrire servizi di qualità a prezzi migliori, garantendo un più elevato standard di servizi ai cittadini che in questo modo non vivono, come accade in Italia, i Call Center come molestatori.
Per questo le Segreterie Nazionali raccoglieranno le firme dei lavoratori del settore, l’obiettivo è quello di superare le 10.000 adesioni, per inviarle al Presidente della Commissione Europea chiedendo un intervento sulla materia. L’Europa non è solo burocrazia, ci sono decisioni europee che se recepite in Italia migliorerebbero di molto la qualità dei servizi e la vita dei lavoratori.
Roma, 14 Novembre 2014

Le Segreterie Nazionali di SLC‐CGIL, FISTEL‐CISL e UILCOM‐UIL


Susanna Camusso dal palco di piazza Duomo (Milano) 14 novembre 2014


"Al presidente di Confindustria e al Governo diciamo che medievale è chi vuole riportare il lavoro al servilismo, senza diritti né tutele". Ha parlato chiaro e senza giri di parole Susanna Camusso dal palco allestito in piazza Duomo a Milano per la manifestazione collegata allo sciopero per il nord Italia indetto dalla Fiom. Quanto alla mediazione annunciata oggi dal Pd sul JobsAct, il segretario generale della Cgil ha evidenziato che non difende né estende i diritti del lavoro e che quindi è confermato lo Sciopero generale del 5 dicembre". Camusso ha ricordato che l'Italia è un Paese in difficoltà e che per rilanciare il lavoro e l'economia servono investimenti pubblici. "Le risorse? da una patrimoniale. Mi sembra giusto che quel 5% di famiglie che detiene grande parte del patrimonio nazionale contribuisca in un momento di crisi". Camusso ha poi ricordato che a frenare gli investimenti è l'illegalità non l'art18 e ha sollecitato la reintroduzione del reato di falso in bilancio. La lotta per i diritti del lavoro prosegue. Appuntamento per tutti il 5 dicembre! (gli scatti allegati si riferiscono alle manifestazioni di Milano e Genova)

Jobs act, Camusso e Landini insieme annunciano battaglia


La leader della Cgil Susanna Camusso e il segretario della Fiom Maurizio Landini, insieme 'bocciano' la mediazione raggiunta all'interno del Pd sul Jobs Act e promettono battaglia "fino in fondo" sul provvedimento per la tutela dei lavoratori.
   Ma a stretto giro arriva la difesa della sinistra Dem che spiega che con quell'intesa si estendono i diritti. Un accordo, quello interno al Pd, sul quale, però, restano i dubbi di Ncd.  "Sono fiducioso in un riconoscimento da parte di Ncd", dice Filippo Taddei, responsabile economico del Pd, parlando a Sky Tg24 delle reazioni politiche alla mediazione sul Jobs act. "Quando dalle dichiarazioni si passerà al provvedimento - aggiunge - tutti si sentiranno rassicurati". Ma Ncd è sulle barricate: "quello che accade nel Pd è legittimo ma non si può far pagare il conto agli alleati", ammonisce Gaetano Quagliariello
   Dalla testa del corteo in corso Venezia a Milano, in occasione dello sciopero Fiom Cgil, Susanna Camusso afferma che ''non ci pare che quella mediazione sia una risposta per mantenere la difesa dei diritti che noi facciamo''. Poco dopo arriva Maurizio Landini e anche lui tuona: l'intesa raggiunta è "una presa in giro che serve solo ai parlamentari a mantenere il loro posto". Landini replica anche a chi ha polemizzato sulla data dello sciopero generale il 5 dicembre a ridosso del ponte dell'Immacolata.  "Bisogna avere rispetto dei lavoratori - ha detto - chi parla senza sapere di cosa parla è meglio che stia zitto". "Noi non siamo quelli che pagano mille euro per una cena, siamo quelli che con mille euro debbono mangiare per un mese".
   Sul Jobs act avverte la Camusso: "la partita non è assolutamente chiusa" sul Jobs Act. "L'abbiamo già detto e lo ripetiamo - aggiunge - non è un voto di fiducia che cambierà il nostro orientamento e le nostre iniziative". "Non ci fermiamo - ha detto anche Landini - andiamo avanti fino in fondo, finchè non cambieranno le loro posizioni". "Lo si deve sapere - ha aggiunto - abbiamo la forza e l'intelligenza per farlo".
   Camusso, all'avvio del corteo, commentando la forte partecipazione, la definisce ''la conferma di quello che diciamo da sempre''. ''C'è bisogno - spiega - di un grande investimento pubblico che crei lavoro e rimetta in sicurezza il Paese, il governo Renzi si dovrebbe decidere a fare qualcosa anziché ridurre i diritti''.
   "Questa volta - replica con un tweet il presidente Pd Matteo Orfini - ha ragione @SusannaCamusso: la mediazione del Pd sul jobs act non difende i diritti. Li estende".
Per il vicesegretario del Pd, Lorenzo Guerini "la piazza si rispetta" ma "ascoltiamo anche le sigle sindacali che non ci stanno". Per Camusso nostri sforzi non bastano? "Noi crediamo che sia uno sforzo titanico che in questo Paese nessuno ha mai fatto", sulle scelte di politica economica e sul Jobs Act.
Sul jobs act interviene anche il capogruppo Ncd al Senato Maurizio Sacconi: "L'accordo? Ci stiamo lavorando, non è ancora fatto ma mi pare che ci siano tutte le condizioni per raggiungerlo. Il Governo mi ha dato rassicurazioni che non vuole attenuare la portata innovativa della riforma proprio perché risulti efficace a fare lavoro e impresa", spiega il capogruppo Ncd al Senato a Effetto Giorno, su Radio 24. "Da ieri sera negoziamo con il Governo che deve operare una sintesi. Credo che avremo alla fine una soluzione concordata che conserva l'impostazione individuata comunemente al Senato", spiega il presidente della commissione Lavoro. "Rimarrà - aggiunge Sacconi - quell'impulso innovativo ai contratti a tempo indeterminato, non verranno modificate le regole relative alla maggiore flessibilità delle mansioni, non si modificheranno le regole che vogliono allargare l'impiego dei voucher per dare tutela agli spezzoni lavorativi e sulla stessa disciplina del licenziamento resteremo sostanzialmente nell'impostazione del Senato, che già prevedeva il reintegro per i licenziamenti discriminatori e dall'altra parte vi si assimileranno alcune limitatissime tipologie di licenziamenti disciplinari. Questa è la nostra tesi".

Beatrice Lorenzin a chi le ha chiesto se oggi il Jobs Act mette a rischio il Governo, risponde: "No, non mette a rischio il Governo, ma credo che una buona riforma del lavoro interessi prima di tutto l'Italia e quindi il Jobs Act è fatto per far crescere il paese e non per rispondere a un problema sindacale".

Pensioni. La legge Fornero secondo la Corte dei Conti è incostituzionale


La Corte dei Conti ligure ha infatti sollevato la questione di legittimità davanti alla Corte Costituzionale in seguito al ricorso presentato da una donna che chiedeva all’INPS l'adeguamento del trattamento pensionistico per gli anni 2012-2013.
Difatti la Legge Fornero stabilisce ‘il blocco della perequazione automatica delle pensioni di importo superiore a tre volte il minimo INPS’ per gli anni 2012-2013, con ciò contribuendo, secondo la valutazione dei tecnici della Corte dei Conti, a ‘minare il sistema di adeguamento di tali trattamenti pensionistici sganciandoli, per un tempo considerevole, dalle variazioni derivanti dal costo della vita. Verrebbero in questo modo violati i principi di sufficienza e adeguatezza e causando inoltre effetti sul patrimonio dei destinatari. Tradotto, la Legge Fornero sarebbe incostituzionale perché comporta per i pensionati una perdita del potere d’acquisto; gli assegni rimangono bloccati ma il costo della vita sale.
La pronuncia della Corte Costituzionale non arriverà quasi certamente prima di un paio di mesi, ma quanto accaduto dimostra come il vento sia cambiato: La Legge Fornero non è più intoccabile.


NUOVA ASPI: FINO A 1000 EURO AL MESE PER I DISOCCUPATI. ECCO COME AVERLI

La nuova ASPI (Assicurazione Sociale per l’Impiego) è istituita per garantire un sussidio mensile di disoccupazione ai lavoratori che restano disoccupati a partire dal 1 gennaio 2013, questo sussidio va a sostituire l’indennità di disoccupazione ordinaria, non solo ai dipendenti che restano senza impiego, ma anche a coloro che non hanno alcuna tutela, i collaboratori a progetto e i lavoratori a tempo determinato, oltre alle indennità di disoccupazione con requisiti ridotti e la disoccupazione speciale edile.
Il sussidio previsto arriva fino a mille euro mensili, ma non tutti potranno goderne. Ecco chi e come potrà usufruirne.

Il sussidio spetta a quei lavoratori che abbiano perduto involontariamente l’occupazione:

• gli apprendisti;
• i soci lavoratori di cooperative con rapporto di lavoro subordinato;
• il personale artistico con rapporto di lavoro subordinato.
• i dipendenti a tempo determinato delle Pubbliche Amministrazioni;

Per accedervi bisogna possedere i seguenti requisiti:

• Stato di disoccupazione involontario.
• Almeno due anni di assicurazione (devono essere trascorsi almeno due anni dal versamento del primo contributo contro la disoccupazione)
• Dev’essere stato versato almeno un anno di contribuzione contro la disoccupazione nel biennio precedente l’inizio del periodo di disoccupazione.
Per accedere all’ASPI bisogna presentare domanda all’INPS, esclusivamente in via telematica:

• WEB – servizi telematici accessibili direttamente dal cittadino tramite PIN attraverso il portale dell’Istituto;
• Contact Center multicanale attraverso il numero telefonico 803164 gratuito da rete fissa o il numero 06164164 da rete mobile a pagamento secondo la tariffa del proprio gestore telefonico;
• Patronati/intermediari dell’Istituto – attraverso i servizi telematici offerti dagli stessi con il supporto dell’Istituto.

Il sussidio di disoccupazione decade nei seguenti casi:

• perdita dello stato di disoccupazione;
• rioccupazione con contratto di lavoro subordinato superiore a 6 mesi;
• inizio attività autonoma senza comunicazione all’INPS;
• pensionamento di vecchiaia o anticipato;
• assegno ordinario di invalidità, se non si opta per l’indennità;
• rifiuto di partecipare, senza giustificato motivo, ad una iniziativa di politica attiva (attività di formazione, tirocini ecc.) o non regolare partecipazione;
• mancata accettazione di un’offerta di lavoro il cui livello retributivo sia superiore almeno del 20% dell’importo lordo dell’indennità.


Per maggiori informazioni visitare il sito www.inps.it

12 novembre 2014

Cgil: 5 dicembre sciopero generale, testo Odg approvato dal Direttivo


Di seguito il documento approvato dal Comitato Direttivo della Cgil Nazionale da tutti i componenti, ad eccezione di tre che hanno votato un documento alternativo, che dà il via libera allo sciopero generale di 8 ore proclamato per il prossimo 5 dicembre.
Ordine del Giorno Comitato Direttivo Cgil Nazionale - mercoledì 12 novembre 2014
Lo straordinario successo della manifestazione del 25 ottobre rappresenta un reale dato di novità nel quadro politico e sociale del Paese, ancora nel pieno della crisi e rispetto a provvedimenti del Governo – Jobs Act e Legge di Stabilità – che sono sbagliati ed inefficaci, oltre che ridurre i diritti e la dignità delle persone, e che non determinano quel cambio di verso nella politica economica e sociale che sarebbe necessario ed urgente per riaprire una fase di crescita dell'economia e dell'occupazione, a partire dall'incidere sulle scelte dell'Unione Europea per cambiare la logica del rigore e dell'austerità.
La manifestazione del 25 ottobre ha mostrato a tutti come il lavoro possa e debba riprendere il centro della scena: solo ripartendo dal lavoro, dal suo valore e dalla sua centralità, si può dare un senso ed una risposta alla diffusa richiesta di cambiamento che emerge da lavoratori, pensionati, giovani e da larghissima parte della Società italiana.
Il Comitato Direttivo della CGIL ringrazia tutte le Strutture, le delegate e i delegati, le compagne ed i compagni per lo sforzo politico ed organizzativo che hanno prodotto e che ha determinato il successo della manifestazione del 25, mostrando – a dispetto degli attacchi scomposti e nervosi cui da tempo siamo oggetto – il volto di un'Organizzazione che non si chiude nei propri confini, bensì guarda all'insieme del Paese e ad esso offre il proprio contributo di proposte, rapportando la propria iniziativa di mobilitazione e di lotta alle risposte che chiediamo al Governo e al Parlamento.
Allo stesso tempo, la CGIL sottolinea l'importanza del successo che hanno avuto sia la mobilitazione unitaria dei Sindacati dei Pensionati il 5 novembre, sia la grande partecipazione alla manifestazione unitaria delle lavoratrici e dei lavoratori pubblici dell'8 novembre.
Tali iniziative caricano tutto il Sindacato confederale della responsabilità di non disperdere la richiesta di unità che ci viene dal mondo del lavoro pubblico e non solo e dai pensionati.
Si tratta ora di proseguire la nostra iniziativa, capitalizzando al meglio la spinta e la forza che ci vengono dal 25 ottobre e dalle iniziative unitarie che si sono realizzate.
La situazione sociale ed economica, l'iter parlamentare del Jobs Act e della Legge di Stabilità – con un reiterato ed eccessivo ricorso al voto di fiducia che priva il Parlamento della propria funzione di luogo del dibattito e della mediazione politica – nonché la sempre più evidente scelta del Governo di avere a riferimento il blocco sociale rappresentato da Confindustria e dalle altre Associazioni datoriali, impongono di continuare nella mobilitazione e nella lotta, dando ad esse respiro e prospettiva.
In questo mese di novembre, alle iniziative di sciopero già decise, sia dalla FIOM nazionale e dalla CGIL di Genova, sia a livello unitario come nel caso dello sciopero territoriale del 25 novembre a Livorno, alle mobilitazioni unitarie previste nei comparti agro alimentare e dell'edilizia, la CGIL unirà il prosieguo della propria mobilitazione, con iniziative di lotta – sino ad un massimo di 4 ore di sciopero – che abbiano il tratto di una forte e diffusa articolazione, sia nelle forme, sia per i soggetti cui sono rivolte, con particolare attenzione sia a proseguire la campagna di assemblee nei luoghi di lavoro e sul territorio che è stata la chiave di volta della imponente partecipazione alla manifestazione del 25 ottobre, sia a promuovere una nostra specifica iniziativa - i cosiddetti “scioperi alla rovescia” - al servizio dei cittadini, soprattutto in quelle realtà territoriali oggi duramente colpite in coincidenza con una condizione meteorologica disastrosa.
Nel contempo la CGIL garantirà il pieno impegno per la riuscita delle altre iniziative in programma, quali il viaggio della legalità, la raccolta di firme per la legge sugli appalti e la campagna “salviamo la salute”.
La CGIL plaude con convinzione alla scelta dei Sindacati dei comparti pubblici di proclamare per il prossimo 5 dicembre uno sciopero generale unitario.
Si tratta di un patrimonio di iniziativa e lotta comuni che va valorizzato ed esteso.

Per questo il Comitato Direttivo della CGIL sceglie di stare e sostenere l'unità delle Categorie dei pubblici e proclama per venerdì 5 dicembre uno sciopero generale di 8 ore di tutti i settori pubblici e privati, rivolgendo nel contempo un appello a CISL e UIL perché tale occasione possa costituire l'opportunità di un momento di mobilitazione unitaria e generale.