Il fatto trae origine dal contenzioso instaurato tra una società ed un suo dipendente, licenziato per aver abbandonato il posto di lavoro per consumare un rapporto sessuale a pagamento.
L’uomo, dipendente della società con qualifica di operaio e con le mansioni di operatore presso una stazione metropolitana, veniva licenziato per giusta causa, individuata nel comportamento descritto nella lettera di contestazione disciplinare.
Ivi si riferiva che il lavoratore, nel normale orario di lavoro, non presenziava la sua postazione lavorativa presso il banco agenti di stazione, senza avere richiesta la preventiva autorizzazione come previsto dal regolamento aziendale per gli agenti di stazione, e veniva sorpreso da una utente nel locale in uso alla ditta di pulizie ubicato al piano banchina in atto sessuale con una donna.
Di tale circostanza la cliente aveva sporto denuncia alle forze dell'ordine dalla stessa chiamate in loco.
L'impugnativa proposta avverso il licenziamento veniva respinta dal Tribunale e la Corte d'Appello respingeva l'appello proposto dal lavoratore.
La Corte disattendeva i motivi di appello osservando che la realizzata violazione dei doveri fondamentali connessi al rapporto di lavoro, unitamente ad un comportamento manifestamente contrario agli interessi dell'impresa, rendeva irrilevante il rispetto (o meno) della garanzia di affissione del codice disciplinare prevista dallo Statuto dei lavoratori; argomentava poi che il provvedimento di recesso era stato sottoscritto dal direttore generale, procuratore generale munito dei relativi poteri, con firma leggibile apposta in calce al provvedimento.
Un'eventuale mancanza dei poteri di intimazione avrebbe dovuto peraltro essere fatta valere dalla società, che invece nel caso l'aveva ratificata.
Riteneva poi che l'esito dell'istruttoria svolta avesse confermato la fondatezza dell'addebito, che si era concretato in un allontanamento dalla postazione di lavoro per compiere un atto contrario ai doveri del servizio e con pericolo per la sicurezza.
Esso rendeva fondata la sanzione irrogata, considerato anche che le mansioni cui il dipendente era addetto erano di particolare responsabilità per la gestione della sicurezza dell'impianto della stazione, essendo egli l'unico agente di stazione, il che rendeva la condotta connotata da particolare gravità.
Riteneva poi che le previsioni che individuano le sanzioni disciplinari e la competenza della commissione di disciplina ad irrogare la destituzione dal servizio, dovessero ritenersi superate per effetto della successiva contrattazione collettiva e dello Statuto dei lavoratori.
Né poteva invocarsi il codice etico della società, afferendo la fattispecie non a violazioni del codice etico, ma a licenziamento disciplinare.
Contro la sentenza, proponeva ricorso per cassazione il dipendente, in particolare sostenendo che l'allontanamento contestato infatti era meramente temporaneo, né vi era prova del fatto che egli fosse ritornato al lavoro perché chiamato tramite interfono e non per sua spontanea volontà.
Aggiunge che il magazzino in cui si sarebbe consumato l'atto sessuale era un locale tecnico non accessibile all'utenza e che pertanto era stata rispettata la regola della riservatezza, che egli era inquadrato nel penultimo gradino del CCNL, che l'agente di stazione non è una guardia giurata né un addetto alla vigilanza pur avendo compiti generici di controllo, che la condotta non aveva determinato conseguenze pregiudizievoli per l'azienda né danno all'immagine, che non si sarebbe dato rilievo all' assenza di precedenti disciplinari.
Tali elementi avrebbero determinato una diversa valutazione della condotta contestata e della sua gravità.
La Corte di Cassazione, investita della questione, ha respinto il ricorso, affermando un principio già espresso dalla giurisprudenza di legittimità ma che, per la sua importanza, merita qui di essere ricordato.
In particolare, osservano gli Ermellini come il dipendente, nel ricondurre l' addebito alla fattispecie dell'interruzione temporanea del servizio, trascura elementi che invece sono stati analizzati dalla Corte di appello e che essa ha considerato decisivi, quali la causale (voluttuaria e contraria ai doveri d'ufficio) dell'abbandono del servizio e la natura dei compiti (di vigilanza) assegnati.
Tale sottovalutazione appare in contrasto non solo con il contenuto letterale della contestazione quale si legge nella narrativa della sentenza impugnata, che riporta i diversi profili della condotta, ma anche e soprattutto con i principi espressi dalla Cassazione in tema di individuazione della giusta causa di recesso e del giudizio di proporzionalità fra fatto addebitato e licenziamento, in ragione dei quali tale valutazione va fatta considerando l'addebito nel complesso dei suoi elementi oggettivi e soggettivi.
Da qui, dunque, il rigetto del ricorso.
Di rilievo le conseguenze pratiche della sentenza.
Ed invero, secondo l’interpretazione offerta dalla Cassazione, ai fini della proporzionalità tra addebito e recesso, rileva ogni condotta che, per la sua gravità, possa scuotere la fiducia del datore di lavoro e far ritenere la continuazione del rapporto pregiudizievole agli scopi aziendali, essendo determinante, in tal senso, la potenziale influenza del comportamento del lavoratore, suscettibile, per le concrete modalità e il contesto di riferimento, di porre in dubbio la futura correttezza dell'adempimento, denotando scarsa inclinazione all'attuazione degli obblighi in conformità a diligenza, buona fede e correttezza.
Spetta al giudice di merito valutare la congruità della sanzione espulsiva, non sulla base di una valutazione astratta dell'addebito, ma tenendo conto di ogni aspetto concreto del fatto, alla luce di un apprezzamento unitario e sistematico della sua gravità, rispetto ad un'utile prosecuzione del rapporto di lavoro, assegnandosi rilievo alla configurazione delle mancanze operata dalla contrattazione collettiva, all'intensità dell'elemento intenzionale, al grado di affidamento richiesto dalle mansioni, alle precedenti modalità di attuazione del rapporto, alla durata dello stesso, all'assenza di pregresse sanzioni, alla natura e alla tipologia del rapporto medesimo.