08 marzo 2010

Diritti e Lavoro: La scandalosa controriforma di Sacconi: analisi del disegno di legge 1167-B

Leggete bene e facciamone tutti tesoro di quanto sta succedendo sulla normativa del lavoro in Italia. Se tutto questo passa non ci sarà futuro ne per noi ne per i nostri figli. In particolar modo diamo attenzione anche a tutti quei casi in cui si parla di trasferimento e/o cessione di ramo d'azienda. Ecco perchè alcune grosse aziende delle tlc non stanno presentando dei veri e propri piani industriali e vanno avanti nei loro piani attraverso le riorganizzazioni interne disposte tramite ordini di servizio. Si preparano..... Allo stesso modo prepariamoci pure noi...alla mobilitazione generale. Iniziando da Giorno 12 marzo.. tutti in piazza.


Come SLC-CGIL dobbiamo avviare una grande campagna di informazione e mobilitazione contro una legge inaccettabile che non solo va respinta con tutti gli strumenti sindacali a disposizione (dalla contrattazione collettiva, alla vertenzialità giudiziaria, ecc.), ma che necessita di una vera e propria campagna che dal basso coinvolga tutte le lavoratrici e lavoratori di Italia, disoccupati e semplici cittadini, iscritti e non iscritti a questo o a quel sindacato, producendo grandi iniziative di massa nei luoghi di lavoro, sui territori, nei confronti delle istituzioni e di tutte le forze politiche, sociali e del mondo della cultura.

Come SLC-CGIL sosterremo tutte le iniziative che la Confederazione metterà in campo, a partire dal ricorso alla Corte Costituzionale, e soprattutto tutte le iniziative che si svilupperanno nel Paese da parte di qualsivoglia soggetto sociale, politico, culturale, dell’associazionismo.

Perché la dignità dei lavoratori non può essere messa in discussione da nessuno!

Il disegno di legge 1167-B, definitivamente approvato dal Senato, chiude e completa l’opera di destrutturazione del diritto del lavoro avviata nel 2001. In quell’anno soprattutto vede la luce il Libro Bianco di Maroni, i cui principi vengono tradotti prima nel così detto “Patto per l’Italia”, poi nella legge 30/03 e nel suo decreto attuativo (dlgs. 276/03). In quell’anno si stabilisce che il contratto a tempo indeterminato non è più la regola e le altre forme di contratto a termine l’eccezione: l’avviso comune firmato solo da Cisl e Uil e Confindustria sui contratti a termine porterà infatti al dlgs. 368/01 che riduce la funzione del CCNL fino allora principale fonte di deroga.

Il principio fondamentale che viene messo sotto attacco è quello che vede il contratto di lavoro come un contratto particolare, dove vi è una parte più debole (il lavoratore o il disoccupato in cerca di lavoro) che va tutelata rispetto a una parte più forte (l’impresa, il datore) il cui potere va limitato. Parliamo quindi di tutele salariali, tutele normative contro le discriminazioni e i licenziamenti illegittimi, per la salute e sicurezza, ecc. sono diritti che non a caso sono dichiarati “diritti indisponibili”, in quanto ne un soggetto collettivo (il Sindacato) ne il lavoratore potrebbe rinunciarci anche se volessero.

Oggi il Governo prova a rimettere in discussione proprio questo principio basilare, introducendo un concetto tanto pericoloso quanto falso: il contratto di lavoro deve diventare un contratto commerciale come tutti gli altri, dove due parti sono libere di accettare o meno.


Vediamo nel dettaglio l’articolato di legge appena approvato

e proviamo a spiegarne in concreto gli effetti devastanti sui lavoratori:


1) Azzeramento dell’autonomia dei servizi ispettivi e di prevenzione per la salute. Falso contrasto al lavoro “grigio”.

Con l’art. 2 si completa la controriforma dei servizi ispettivi iniziata con il dlgs. 124/04 (che riduceva l’autonomia dei singoli ispettori, introducendo i comitati regionali per i rapporti di lavoro e altre funzioni quali l’interpello) e che era continuata con una serie di circolari del Ministero del Lavoro nel 2008 e 2009, secondo cui la funzioni ispettiva da repressiva doveva divenire di “consulenza” ed informazione alle imprese (da qui anche il calo dei verbali sanzionatori e di diffida registrati negli ultimi anni). Con l’articolo 2 il Governo è delegato ad adottare decreti che riorganizzeranno i servizi ispettivi riducendone ulteriormente l’autonomia, sottoponendo la loro attività agli indirizzi e direttive della parte politica (Ministro), rientrando in questo “commissariamento” di fatto anche i servizi di prevenzione e sicurezza del lavoro (ISPELS). I pareri della Conferenza Unificata e delle Camere al riguardo avranno valore pleonastico in quanto, passati 30/40 giorni, il Governo potrà comunque emanare i decreti attuativi. Con l’art. 4 (misure contro il lavoro sommerso) si modifica il comma 4 dell’art. 3 della legge 73/2002 prevedendo che le attuali sanzioni, in caso di “scoperta” di lavoratori privi di contratto al momento dell’ispezione, non trovano applicazione qualora il datore avesse nel passato versato i contributi per il lavoratore anche se per un contratto di diversa “qualificazione”. Tradotto: a marzo gli ispettori mi scoprono mentre lavoro su attività in bound (facciamo un esempio “da call center” per capire meglio) con tanto di orari, ecc. (e quindi dovrei essere un lavoratore subordinato); al momento dell’ispezione risulto privo di qualsiasi contratto di lavoro; il mio datore mi aveva segnato però per il mese di gennaio come collaboratore a progetto (e quindi aveva versato il 17% all’Inps); il mio datore dovrà solo mettermi in regola e non pagherà le sanzioni aggiuntive.

Un incentivo vero e proprio per segnarmi all’INPS con il contratto meno oneroso possibile (indipendentemente da quello che faccio realmente!).


2) Limitazione dell’autonomia del giudice e rafforzamento dello strumento della certificazione del contratto individuale di lavoro.

Il nuovo art. 30 prevede che in tutti i casi in cui le disposizioni di legge relative ai rapporti di lavoro contengano clausole generali (cioè praticamente tutte le principali leggi in materia di lavoro) comprese disposizioni inerenti l’assunzione e l’instaurazione del rapporto di lavoro, l’esercizio del potere datoriale (sanzioni, orari, straordinario, ecc.), trasferimento di azienda (pensiamo alle leggi sulla cessione d’azienda o di ramo e nel caso specifico alle esternalizzazioni di Telecom Italia per esempio), recesso (cioè risoluzione del rapporto di lavoro, con o senza giusta causa) il controllo del giudice è “limitato esclusivamente”, all’accertamento del presupposto di legittimità (se cioè è legittimo o meno l’atto o il fatto contestato).

Il giudice non potrà estendere cioè la propria valutazione sulle questioni tecniche, organizzative e produttive. E’ evidente il “fattaccio”: molte delle valutazioni finali di un giudice si basano proprio su valutazioni legate a come l’azienda si organizza e produce. Tutti possibili indicatori di genuinità del rapporto, dell’esistenza o meno di autonomia funzione del ramo ceduto, dell’esistenza o meno di ragioni economiche-produttive per i licenziamenti collettivi ecc. In più – nel caso specifico di qualificazione di un rapporto (se cioè è un vero o falso co.co.pro, un vero o falso contratto a termine, ecc.) o nel caso di interpretazione delle clausole del contratto individuale (per esempio per quanto riguardo l’uso delle ferie o dei riposi) - il giudice “non potrà discostarsi” dalle valutazioni delle parti (aggiungiamo noi “libere”, per quanto libero possa essere un disoccupato nel momento in cui gli offrono un lavoro) espresse in sede di certificazione del contratto individuale. Cioè, se in sede di assunzione/certificazione sono state inserite delle deroghe al Ccnl, il giudice non potrà che prenderne atto! Infine – nel caso di licenziamento – il giudice dovrà tenere conto, nel valutare le motivazioni poste alla base del licenziamento, oltre che delle tipizzazioni di giusta causa presenti eventualmente nei contratti collettivi di lavoro, anche di ulteriori tipizzazioni (cioè cause per cui è legittimo il licenziamento) presenti nel contratto individuale di lavoro certificato (fatte cioè inserire in aggiunta dal datore di lavoro). E’ utile ricordare chi, in base al dlgs. 276/03, può essere un soggetto che certifica: gli Enti Bilaterali composti da associazioni di imprese e sindacati, le Direzioni Provinciali del Lavoro, le Province, le Università e soprattutto le commissioni dell’Ordine dei Consulenti del lavoro, ormai presenti in tutte le province del paese.


3) L’arbitrato sarà di fatto obbligatorio e l’autonomia delle parti sociali nel decidere se inserirlo e come regolarlo è finta.

Con l’art. 31 si riscrivono gli articoli 410 e seguenti del Codice di procedura Civile, dove il tentativo obbligatorio di conciliazione viene meno (tranne che per i contratti certificati per cui permane l’obbligo del tentativo). Le parti potranno rivolgersi all’arbitro (la commissione di conciliazione presso la DPL o un soggetto terzo scelto o da due arbitri nominati dalle due parti o dal tribunale competente territorialmente) che deciderà secondo equità. E qui sta uno dei punti importanti: decidere “secondo equità” è diverso da decidere “secondo legge”, nel senso che, mentre secondo legge vi sono “applicazioni della norma prescrittive” (hai diritto ad essere riassunto se licenziato senza giusta causa, hai diritto a X giorni di ferie, a X ore di riposo, ad un corretto inquadramento professionale come da Ccnl, ecc.), secondo equità vuol dire che ci si rimette ad una valutazione soggettiva dell’arbitro che potrà tenere conto di più variabili e decidere secondo un generico principio di “equo indennizzo”. Per esempio potrà decidere non la reintegra (come espressamente previsto da norme “prescrittive e sanzionatorie” quali la legge 300/70 o la legge 604/66), ma solo un numero X di mensilità. Si noti poi la “finezza” nel riscrivere l’art. 412-ter che prima riconosceva la “possibilità” di ricorrere all’arbitrato solo dopo il tentativo di conciliazione e solo se lo prevedevano “accordi nazionali o contratti collettivi nazionali”: il nuovo articolo parla genericamente di “contratti collettivi” senza specificarne il livello (nazionale e/o aziendale e/o territoriale). Così come viene sostituito, con un articolo che nulla a che fare con il precedente, l’art. 412-quarter dedicato all’impugnazione ed esecutività del lodo arbitrale. Ma l’aspetto più grave di tutto risiede nel comma 9 dell’articolo 31 appena varato: quella che viene presentate come una possibilità su cui le parti (impresa e lavoratore) possono concordare o meno, riservandosi sempre di ricorrere al giudice, rischia infatti di divenire una condizione obbligatoria per il lavoratore. Le parti (cioè il singolo lavoratore e il datore) possono nel contratto individuale (pensiamo al momento dell’assunzione, ma anche a fronte di un minacciato trasferimento per esempio) pattuire clausole compromissorie che rinviano all’arbitrato le future controversie su tutte le materie inerenti il rapporto stesso (dalle ferie, alla malattia, alla corretta qualificazione di un part-time, fino al licenziamento) invece che al giudice. Cioè il lavoratore rinuncia preventivamente al diritto di rivolgersi al giudice e l’arbitrato diviene obbligatorio.

“Ovviamente” tale clausola dovrà essere certificata presso le competenti commissioni (vedi articolo 30 e il cerchio si chiude!). Tutto ciò sarà fattibile solo se previsto da accordi Accordi interconfederali o Contratti collettivi (a quale livello?).

Ed ecco il trucco: la nuova norma recita “in assenza dei predetti accordi interconfederali o contratti collettivi, trascorsi dodici mesi, il Ministro del lavoro definisce con proprio decreto, sentite (sic!) le parti sociali, le modalità di attuazione e di piena operatività delle disposizioni”. Cioè se il sindacato ci sta, bene; altrimenti comunque fa il Ministro (alla faccia dell’importanza della contrattazione). Ovviamente camere arbitrali (comma 10) potranno essere istituite presso le stesse commissioni di certificazione (così l’azienda si potrà fare tutto in casa con il suo consulente o con l’ente bilaterale di “fiducia”: certificazione iniziale, con o senza deroghe, con causali aggiuntive per il legittimo licenziamento e rinvio all’arbitrato obbligatorio e – sempre gli stessi – faranno gli arbitri “super partes”). Il tutto potrà svolgersi anche presso un Ente Bilaterale composto dai sindacati che potranno così certificare deroghe ai loro stessi contratti collettivi e poi svolgere funzione di assistenza tanto all’azienda quanto al lavoratore, sia nel momento in cui si istaura il rapporto di lavoro, sia durante, sia in sede di controversie/licenziamento. Da qui l’evidente tentativo di “snaturare” la funzione del sindacato, sempre meno difensore del lavoratore e sempre più – per usare le parole del Ministro del Lavoro On. Sacconi – “complice dell’azienda”.


4) Si riducono i tempi per l’azione giudiziaria, confidando nella scarsa conoscenza dei lavoratori più deboli. Il lavoratore poi perde, anche quando vince.

Il nuovo articolo 32 riduce i tempi entro cui un lavoratore potrà in futuro fare causa per vedersi riconosciuti i propri diritti. Ora bisognerà (per esempio in caso di contratto a termine, a progetto, in somministrazione, ecc. di cui si contesta la genuinità) impugnare il rapporto precario al massimo entro 60 giorni dalla sua conclusione e l’azione giudiziaria dovrà essere effettivamente iniziata entro i successivi 180 giorni (e non entro 5 anni, come è stato finora). I nuovi limiti temporali per l’impugnazione (oltre i quali non si potrà più fare causa) varranno anche nei casi di:

- diversa qualificazione del rapporto (esempio falso part-time);

- recesso di un contratto a progetto;

- trasferimento del lavoratore (articolo 2103 del Codice Civile);

- cessione del contratto in seguito a trasferimento di azienda (o cessione di ramo).

Infine il nuovo articolo 32 (comma 5) prevede – in violazione di decine di sentenze della Corte Costituzionale – che, anche quando il giudice riconosca la nullità del contratto a termine, trasformandolo in contratto a tempo indeterminato dal momento dell’illegittima risoluzione del rapporto (proprio perché era un falso contratto a termine) – il datore non dvrà più corrispondere al lavoratore tante mensilità quante quelle maturate dal momento dell’illegittima risoluzione al momento della sentenza (che magari arriva dopo anni perché il tribunale è stato intasato di cause o perché l’azienda ha fatto sempre ricorso al grado superiore), ma al massimo 12 mensilità. E la nuova norma si applica anche ai giudizi pendenti ad oggi. E’ evidente che il legislatore scommette sulla scarsa conoscenza dei propri diritti (e dei tempi così brevi) da parte dei lavoratori, soprattutto dei più deboli (immigrati, giovani alle prime esperienze, donne rientrate da poco sul mercato, ecc.).

5) Altre questioni aperte:

- Lavoratori usuranti: l’art. 1 invece di aumentare le risorse per permettere ai lavoratori con caratteristiche “usuranti” (notturnisti, lavoratori a ciclo continuo in catena, ecc.) di andare prima in pensione, introduce dei criteri di priorità per scegliere a chi riconoscere tale diritto qualora (fatto molto probabile) le domande di pensionamento superino le risorse stanziate.

- Congedi, aspettative, permessi: l’art. 23 delega il Governo ad emanare (nei prossimi 6 mesi) specifici decreti per il riordino completo della normativa relativa a congedi, aspettative e permessi. I criteri e i principi da seguire sono molto vaghi (e per questo pericolosi, si veda il principio di “ridefinirne i presupposti per beneficiarne”). Inoltre, anche in questo caso, sentiti i sindacati e la Conferenza Unificata Stato-Regioni e passati 30 giorni se non vi è un parere, il Governo può adottare i propri decreti.

- Legge 104/92: con l’art. 24 si introducono modifiche alle attuali norme, volte a rendere più complicato l’accesso alle agevolazioni riconosciute finora.

Certificato di malattia: con l’art. 25 si introduce l’obbligo anche per i lavoratori privati della consegna telematica del certificato di malattia da parte del medico, che dovrà inviarne copia per e-mail all’Inps (pesanti le sanzioni per i medici che non lo faranno).

- Deleghe per riforma ammortizzatori sociali, servizi all’impiego, incentivi all’occupazione e apprendistato e all’occupazione femminile: con l’art. 46 il Governo porta a 24 mesi il termine delle deleghe contenute nella legge 247/07 (anche se molte sono le perplessità sulla validità tecnica della norma, in quanto delega già scaduta).

- Modifiche varie al dlgs. 276/03 e possibilità di svolgere a 15 anni gli ultimi anni di formazione obbligatoria in azienda, con contratto di apprendistato: con l’art. 48 il Governo interviene ampliando le funzioni delle aziende private di somministrazione e di intermediazione di manodopera. Il comma 8 dell’articolo inoltre prevede che l’ultima parte dell’obbligo scolastico (dal 15° al 16° anno di età) possa essere assolta in azienda (e non più a scuola) con contratto di apprendistato. E’ il ritorno al vecchio “avviamento professionale”.

SLC CGIL