Oggetto: firma separata su “dichiarazione comune”
in materia di arbitrato
Care compagne e cari compagni,
nella giornata di oggi 11 marzo si è consumata una grave rottura tra le organizzazioni sociali. Approfittando di una convocazione del Ministro del lavoro per discutere di “modulazione dell’orario di lavoro in funzione della conciliazione delle necessità di conciliazione”, su iniziativa della Cisl, cui si sono accodate le altre organizzazioni sindacali e cui ha fatto riscontro la condivisione di quelle datoriali, si è proceduto alla stipula di una “Dichiarazione comune” in materia di arbitrato. Secondo questo testo, le parti si impegnano a dare corso al negoziato per definire linee guida per l’utilizzo, convenendo che l’arbitrato secondo equità non dovrà applicarsi alle “controversie in materia di risoluzione del rapporto di lavoro”. Il Ministro ha “preso atto con favore” e si è impegnato a fare propri i contenuti del futuro avviso comune come base per il decreto che spetterà a lui emanare.
La Cgil ha espresso il suo netto dissenso sul metodo, davvero inaccettabile, e si è dichiarata indisponibile sul merito, giudicando la legge pessima e le norme sull’arbitrato e sulla certificazione, non toccata dalle parole della dichiarazione comune, a forte rischio di incostituzionalità. Di seguito di riportiamo il comunicato emesso al termine dell’incontro:
“La legge sulla certificazione e l’arbitrato è sbagliata e incostituzionale, per questo non solo la via dell’avviso comune non è percorribile ma svilupperemo tutte le iniziative necessarie per cambiarla, a partire dallo sciopero generale”. E’ quanto afferma Fulvio Fammoni, segretario confederale della Cgil, dopo la dichiarazione di intenti per un avviso comune in materia di arbitrato, siglata oggi dalle parti sociali ad esclusione della Cgil.
“In una riunione convocata al ministero del Lavoro su altro argomento - aggiunge il dirigente sindacale - si è consumato un accordo separato sull’applicazione di una legge che, come è noto, la Cgil non condivide. Perché lo si è voluto fare e proprio oggi? La legge, che per altro non è stata ancora pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale, prevede un anno di tempo prima di entrare in vigore. Tutto questo lascia pensare che si sia voluto operare in modo preordinato una grave rottura tra le parti, con la complicità del governo, alla vigilia dello sciopero generale”.
“A questa legge sbagliata, e a questo accordo sbagliato, - conclude Fammoni - reagiremo con tutte le iniziative necessarie, a partire dallo sciopero di domani, con una capillare informazione, con assistenza legale ai lavoratori e attivando i percorsi per fare emergere la sua incostituzionalità”.
Seguirà nei prossimi giorni un esame dettagliato dei problemi lasciati irrisolti dalla “Dichiarazione comune”.
Cordialmente
Il Segretario Confederale: Fulvio Fammoni
il Coordinatore del Dipartimento: Claudio Treves
Perché la dignità dei lavoratori non può essere messa in discussione da nessuno!
Il disegno di legge 1167-B, definitivamente approvato dal Senato, chiude e completa l’opera di destrutturazione del diritto del lavoro avviata nel 2001. In quell’anno soprattutto vede la luce il Libro Bianco di Maroni, i cui principi vengono tradotti prima nel così detto “Patto per l’Italia”, poi nella legge 30/03 e nel suo decreto attuativo (dlgs. 276/03). In quell’anno si stabilisce che il contratto a tempo indeterminato non è più la regola e le altre forme di contratto a termine l’eccezione: l’avviso comune firmato solo da Cisl e Uil e Confindustria sui contratti a termine porterà infatti al dlgs. 368/01 che riduce la funzione del CCNL fino allora principale fonte di deroga.
Il principio fondamentale che viene messo sotto attacco è quello che vede il contratto di lavoro come un contratto particolare, dove vi è una parte più debole (il lavoratore o il disoccupato in cerca di lavoro) che va tutelata rispetto a una parte più forte (l’impresa, il datore) il cui potere va limitato. Parliamo quindi di tutele salariali, tutele normative contro le discriminazioni e i licenziamenti illegittimi, per la salute e sicurezza, ecc. sono diritti che non a caso sono dichiarati “diritti indisponibili”, in quanto ne un soggetto collettivo (il Sindacato) ne il lavoratore potrebbe rinunciarci anche se volessero.
Oggi il Governo prova a rimettere in discussione proprio questo principio basilare, introducendo un concetto tanto pericoloso quanto falso: il contratto di lavoro deve diventare un contratto commerciale come tutti gli altri, dove due parti sono libere di accettare o meno.
Alcuni esempi concreti:
Vediamo ora il combinato disposto di più norme, facendo alcuni semplici esempi di cosa potrà capitare da domani ad un lavoratore.
Primo caso: lavoratore assunto con contratto individuale certificato
1) sono un disoccupato e quindi per lavorare accetto di tutto;
2) il mio datore, con l’assistenza del suo consulente, mi porta presso una delle sedi autorizzate a certificare il contratto individuale di lavoro (presso l’Ordine dei Consulenti della propria città, presso una DPL, presso un Ente Bilaterale
“compiacente”) e mi chiede, in cambio del lavoro, di rinunciare ad alcune tutele previste dal Ccnl o dalla legge (magari in materia di orario di lavoro, ecc.). In più nel contratto che sottoscrivo c’è scritto che rinuncio al giudice in caso di controversie e che mi rimetto all’arbitrato (la qualcosa viene scritta così che sia chiaro che “liberamente” ho scelto di rinunciare al giudice). Per chiudere in bellezza, nel contratto individuale vengono aggiunte ulteriori possibili cause di legittimo
licenziamento (oltre quelle già previste dalla legge e dal Ccnl) ed il tutto viene certificato;
3) dopo un po’ tra me e il datore di lavoro sorgono dei problemi: chiedo il rispetto delle norme su ferie, riposi, ecc. E per risposta vengo licenziato, senza una giusta causa;
4) non posso rivolgermi al giudice, ma devo per forza accettare il giudizio che darà l’arbitro. Arbitro che viene nominato in sede stessa di commissione di certificazione (cioè dagli stessi che hanno assistito il mio datore). L’arbitro non dovrà per forza giudicare tenendo conto dell’art. 18 della legge 300/70 o delle leggi su orario di lavoro e riposi (dlgs. 66/03) o di quanto previsto dal Ccnl, ma solo secondo la sua interpretazione di cosa è giusto (e tenendo conto di eventuali clausole presenti nel contratto individuale “certificato”): con poche mensilità (3-4) se sono fortunato, il caso è chiuso (se per di più viene data ragione al lavoratore, che non è scontato). E il lavoratore torna disoccupato per un altro “giro di giostra”.
Secondo caso: lavoratore già assunto ma cui Ccnl (o in caso di non accordo sindacale, dopo un decreto del Ministero del Lavoro) prevede ora l’arbitrato.
1) a fronte di una minaccia qualsiasi (trasferimento, peggioramento dei turni, ecc.) mi viene chiesto di inserire la clausola compromissoria nel mio contratto individuale, dove rinuncio al giudice per rivolgermi all’arbitro;
2) il mio datore mi porta presso una commissione di certificazione e registra la nuova clausola prevista ora dal mio CCNL (o dal decreto del Ministro);
3) si vedano i punti 3 e 4 dell’esempio precedente.
Terzo caso: un lavoratore già assunto, dove ne contratto ne il decreto del Ministero del Lavoro hanno introdotto la possibilità di inserire le clausole compromissorie.
1) L’azienda annuncia una riduzione di personale per motivi economici-produttivi o annuncia un trasferimento di azienda;
2) come lavoratore ritengo ingiusto il comportamento aziendale e decido di promuovere una causa presso il giudice;
3) il giudice ora potrà intervenire sulla legittimità formale o meno della scelta aziendale e delle sue conseguenze, ma non potrà entrare nel merito del trasferimento o delle motivazioni economiche alla base della scelta di impresa: quindi non potrà valutare se vi sono le condizioni tecniche e produttive oggi previste dal Codice Civile e dalle legge sui licenziamenti per motivi economici. L’autonomia del giudice viene azzerata, così come la possibilità (si vedano le tante sentenze nel passato) di
chiedere il “ripristino” delle condizioni organizzative e produttive precedenti, in quanto le nuove non motivate in base al diritto.
Quarto caso: sono assunto come contratto a progetto
1) in realtà sono sottoposto al potere disciplinare del datore, ad un’organizzazione produttiva rigida con turni ed orari (tutti possibili indicatori di un’organizzazione di impresa che impiegherebbe tipicamente dei lavoratori subordinati);
2) al termine del contratto a progetto, questo non mi viene rinnovato ed io mi rivolgo al giudice per ottenere che mi sia riconosciuto il contratto subordinato a tempo indeterminato;
3) quando mi rivolgo al giudice diviene più difficile per quest’ultimo definire una corretta qualificazione del mio contratto di lavoro alla luce di un’analisi delle scelte organizzative dell’azienda e come lavoratore dovrà fornire prove testimoniali e documentali maggiori rispetto a prima. Lo stesso esempio si potrebbe fare qualora fossi stato assunto con un contratto a termine in un’azienda che però è a ciclo continuo, con produzione non stagionale ed impiega invece solo lavoratori a termine. Sarebbe stato facile per il giudice, entrando nel merito dell’organizzazione produttiva, desumere l’abuso.
NOTA BENE: tutti i lavoratori oggetto degli esempi sopradescritti in base alle nuove norme avrebbero dovuto rivolgersi al giudice (se possibile) entro 60 giorni dal licenziamento e comunque entro i successivi 180 giorni con deposito formale presso la cancelleria dal Tribunale.
In conclusione
Come SLC-CGIL dobbiamo avviare una grande campagna di informazione e mobilitazione contro una legge inaccettabile che non solo va respinta con tutti gli strumenti sindacali a disposizione (dalla contrattazione collettiva, alla vertenzialità giudiziaria, ecc.), ma che necessita di una vera e propria campagna che dal basso coinvolga tutte le lavoratrici e lavoratori di Italia, disoccupati e semplici cittadini, iscritti e non iscritti a questo o a quel sindacato, producendo grandi iniziative di massa nei luoghi di lavoro, sui territori, nei confronti delle istituzioni e di tutte le forze politiche, sociali e del mondo della cultura.
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