Il datore di lavoro che ha distaccato un lavoratore presso un’altra azienda non può licenziarlo per il solo fatto che essa chiude, a meno che non dimostri che il lavoratore non era reintegrabile nell’azienda di provenienza. Lo ha stabilito la Cassazione nella sentenza 27651/13. Il caso Una società licenzia una donna dipendente di un’altra società presso la quale era stata distaccata. La Corte d’Appello di Trieste la condanna alla reintegrazione della lavoratrice nel posto di lavoro e al pagamento della differenza tra le retribuzioni maturate alla data del licenziamento fino a quello dell’effettiva reintegra e a quelle corrisposte per effetto del lavoro prestato a favore di altri soggetti. Questo perché il licenziamento oggettivo doveva essere valutato con riferimento all’ambito aziendale della dipendente e non a quello del distaccamento.
Né può valere a giustificarlo la situazione di questa seconda azienda se non si dimostra che, all’interno della sua organizzazione d’impresa, non esiste alcuna possibilità di reimpiegare il lavoratore che rientrava forzatamente dal distacco. La società propone ricorso. Motivi giustificativi del licenziamento: qual è l’ambito aziendale da considerare? Secondo la ricorrente, il licenziamento è stato deciso dopo aver verificato l’insussistenza di interessi, da parte della donna, a mantenere quel posto di lavoro, in quanto il suo apporto era richiesto esclusivamente per gestire le ultime attività commerciali dell’azienda (in chiusura) presso la quale era stata distaccata. La Cassazione ribatte che la semplice cessazione dell’interesse al distacco o la soppressione del posto di lavoro presso l’azienda distaccata non sono sufficienti a giustificare il licenziamento, perché vanno verificati «gli elementi costitutivi del giustificato motivo oggettivo con riferimento all’ambito aziendale del datore di lavoro (nella specie, la società distaccante), sul quale ricade anche l’onere probatorio circa l’impossibilità del repêchage».
Il lavoratore, quindi, va considerato a tutti gli effetti dipendente dell’azienda distaccante e, perciò, correttamente la Corte di merito ha ritenuto che il licenziamento fondato sulla cessazione dell’interesse ad distacco o la soppressione del posto presso la società distaccata non era idoneo a ritenere giustificato il recesso datoriale. La richiesta di risarcimento non configura nuova domanda. La Cassazione conferma, inoltre, quanto sostenuto anche dalla Corte di merito, secondo cui non costituisce domanda nuova quella del lavoratore che, in sede di rinvio, riduca il quantum di cui al petitum sostanziale originario (reintegrazione nel posto di lavoro e risarcimento corrispondente alle retribuzioni perdute) in ragione delle retribuzioni corrisposte da altro datore di lavoro (c.d. aliunde perceptum), atteso che la riduzione del quantum originariamente richiesto non configura domanda nuova ma solo una diversa formulazione di quella precedente. Il ricorso, pertanto, si intende respinto.









