27 marzo 2014

Vincono la causa i cinque lavoratori che avevano denunciato l’azienda dopo il trasferimento (legge 104)

Il “ghetto” di Telecom Italia è “illegittimo”: è quanto ha dichiarato il giudice, nella sentenza emessa nei giorni scorsi, in merito alla causa aperta da cinque lavoratori della sede romana, tutti beneficiari della legge 104 per l’assistenza a parenti disabili. A denunciare il caso  Elena Lucà, che aveva svelato l’esistenza di “un vero e proprio ghetto, in via Oriolo romano, dove l’azienda sta trasferendo lavoratori in gran parte beneficiari della legge 104”. E di “ghettizzazione” ha parlato anche il giudice nella sentenza che ora dispone l’immediato trasferimento dei lavoratori nelle loro sedi di provenienza. “Per ora Telecom non ha risposto – riferisce Lucà – ma sono sicura che faranno ricorso. Per ora quindi restiamo in attesa”. Il “ghetto”, comunque, resta. “non credo che altri lavoratori faranno causa – spiega ancora Elena Lucà – visto che si tratta in gran parte di persone disabili o malate. Intanto, però, la direzione generale no ha disposto più trasferimenti in questa sede. Spero che questo sia un segnale positivo”.

IL CASO:
 “Il ghetto di Telecom Italia”: così lo hanno ribattezzato i dipendenti, trasferiti coattamente, circa un anno fa, in questo ufficio di via Oriolo Romano, a svolgere un lavoro di call center. Perché ghetto? Perché la maggior parte dei lavoratori trasferiti qui usufruisce della legge 104: in altre parole, o è disabile o presta assistenza a un parente con disabilità. A denunciare la situazione è Elena Lucà, mamma di un ragazzo di 14 anni. “Sono stati circa 350 i trasferimenti disposti dall’azienda in tutta Italia nello stesso settore: quasi tutti i lavoratori coinvolti hanno la 104. Dei circa 150 dipendenti destinati a via Oriolo Romano, ne usufruisce più della metà". In altre parole, la legge 104 è il denominatore comune di gran parte dei trasferimenti. "Eppure - spiega Lucà - fino a questo momento l’azienda aveva tutelato questa categoria di lavoratori”.
Ora, invece, sembrerebbe discriminarli, violandone anche i diritti previsti dalla stessa normativa, tra cui proprio la prossimità casa-lavoro. “Io abito in Prati e lavoravo sull’Aurelia, la sede più vicina. Ora è tutto molto più complicato. Ma la situazione è grave soprattutto per i lavoratori disabili. E poi, si è creato un luogo di lavoro allucinante, dove stanno insieme tante persone che stanno male, spesso con problemi mentali anche seri. Il tutto, senza neanche una comunicazione scritta”. Non solo, “la maggior parte di noi ha subito anche un demansionamento: io ero impiegata da 22 anni, ora mi ritrovo in un call center: peraltro ci hanno già anticipato che, tra circa un anno, il settore sarà esternalizzato e quindi tutti noi rischiamo di restare presto a casa”.

Violazione della 104 e demansionamento, quindi: due elementi sufficienti per mettere in piedi una causa, come hanno fatto alcuni lavoratori: “Cinque di noi si sono rivolti, ciascuno singolarmente, a un avvocato: tutti noi abbiamo la 104 per un minore. La prima sentenza è attesa per marzo – spiega Lucà – Se ci darà ragione, entro 90 giorni l’azienda dovrà trasferirci. Altrimenti procederemo per le vie legali”.