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Sulla scia dell’ #Icebucketchallenge, i lavoratori del call center della 4U di Palermo hanno cercato di attirare l’attenzione dell’opinione pubblica, utilizzando i social e cercando di guadagnare visibilità attraverso l’aiuto dei volti noti (e non). Tutti- infatti- sono invitati a manifestare la propria solidarietà con un selfie. #146acasa è l’hashtag che hanno scelto (qui la loro pagina facebook): 146 come il numero di persone per cui è stata aperta, lo scorso 4 agosto, una procedura di mobilità. 388- invece- è il numero dei lavoratori che rischiano il loro posto.
Nel 2012, l’azienda aveva licenziato 19 dipendenti e aveva chiesto ai dipendenti rimasti sforzi, affinché gli altri potessero riavere il loro posto. Ci siamo ridotti le nostre già misere retribuzioniessendo quasi tutti lavoratori part-time o a 4 ore o a 6 ore, facendoci carico dei contratti di solidarietà che sono [...] in corso e che finiranno a dicembre 2014. ” scrivono in una lettera indirizzata alle Istituzioni. maglia
Da circa due anni, la 4u lamenta problemi a causa di una diminuzione della domanda sul territorio nazionale e ai committenti che usufruiscono dei servizi di concorrenti che hanno prezzi minori. Solo per fare un esempio, Sisal ha delocalizzato il proprio call center a Tirana. Nulla di nuovo sotto al sole, sono purtroppo molte le storie simili che caratterizzano attualmente il panorama italiano.
“A novembre 2013 la 4U ha deciso di cedere l’outbound per favorire l’ingresso di un nuovo socio, che avrebbe dovuto portare nuovo lavoro. Il nuovo socio-purtroppo- non è mai arrivato e il core-business della 4U Servizi è comunque stato spostato in un nuova società denominata 4U Italia con gli stessi proprietari” denunciano.
La 4U Servizi ha usufruito, sin dalla sua nascita, di diverse agevolazioni pubbliche: la legge 407/1990, il progetto IN.LA del ministero del Lavoro, i contratti di apprendistato, i contratti di solidarietà di tipo B art. 5 comma 5 legge n° 236/93, aumentando fatturati e crescendo.
In merito all’”inspiegabile silenzio” che avvolge il loro caso, si chiedono:“Forse perché siamo solo una realtà locale palermitana? Noi continuiamo a lavorare malgrado a peggiorare il tutto si aggiunga il ritardo dei nostri stipendi. Siamo lavoratori come tutti gli altri e come tali vogliamo essere considerati. Chiediamo solo di mantenere il nostro posto di lavoro senza essere costretti a rinunciare alla nostra terra” sottolineano, come a voler affermare che l’emigrazione dovrebbe essere una scelta e non una costrizione.
“Per noi questo lavoro è iniziato quasi come una scommessa ed è diventato nel tempo il ‘lavoro della vita’ con cui creare famiglie, investire sul proprio futuro professionale e personale, pagare mutui, bollette, sopravvivere – scrivono – siamo consapevoli del fatto che uscire dal ciclo occupazionale, in una terra arida qual è la Sicilia rappresenta per tutti noi certamente la morte lavorativa”.