30 settembre 2013

SINDACATI: SERVE UN VERO GOVERNO DEL PAESE


Cgil, Cisl e Uil esprimono la loro preoccupazione per la crisi istituzionale causata dall’irresponsabilità di chi vorrebbe anteporre gli interessi personali alle condizioni del Paese. L’incertezza di queste ore determina gravi ripercussioni sulla nostra economia e rischia di far aumentare la pressione fiscale sul lavoro e sulle pensioni.
Cgil, Cisl e Uil ribadiscono che occorre una buona legge di stabilità che inverta le scelte recessive compiute in questi anni: non si può immaginare un’uscita dalla crisi senza puntare sul lavoro e sulla buona occupazione. Per questo serve un vero Governo del Paese, capace di compiere le scelte necessarie a rispondere alle richieste del mondo del lavoro.
In ragione di ciò, Cgil, Cisl e Uil chiedono che la legge di stabilità preveda:
 un’ effettiva restituzione fiscale ai lavoratori dipendenti e ai pensionati;
 una riduzione fiscale alle imprese collegata agli investimenti e all’ occupazione
 il completo finanziamento della cassa integrazione in deroga e la definitiva soluzione al problema degli esodati e dei precari della Pubblica amministrazione, della scuola e della ricerca
È essenziale che la legge di stabilità determini una riduzione del livello di tassazione, non solo in nome della giustizia fiscale, ma per la necessità di rilanciare investimenti, consumi e occupazione che non possono crescere se si accentua l’impoverimento di lavoratori e pensionati.
È, inoltre, irrinunciabile che la legge di stabilità compia scelte di politica industriale e di investimenti, senza le quali le grandi imprese di rete fondamentali per lo sviluppo, come Telecom e Alitalia, e grandi gruppi industriali, come Finmeccanica e quelli siderurgici, perdono la loro funzione e rischiano di essere svenduti.
Infine, bisogna affrontare il nodo della spesa pubblica, abbandonando la dannosa logica dei tagli lineari e realizzare, invece, un vero riordino istituzionale e una riduzione della spesa corrente attraverso i costi standard, avviando un processo contrattuale di riorganizzazione della pubblica amministrazione.
L’assenza di queste scelte e una legge di stabilità ragionieristica determinerebbero un ulteriore peggioramento delle condizioni dei lavoratori, dei pensionati e delle imprese e, soprattutto, una diminuzione dei livelli occupazionali.
Affinché non continui quello stato di ingovernabilità del Paese che impedisce la realizzazione di tutte queste necessarie riforme, occorre che il Parlamento cambi la legge elettorale, ridando ai cittadini la possibilità di scegliere, superando la logica personalistica della politica e ricostruendo un clima di fiducia nelle istituzioni della Repubblica.
Cgil, Cisl e Uil impegnano le loro strutture ad attuare, da subito, assemblee in tutti i luoghi di lavoro, a indire presidi in tutti i territori e a organizzare, nelle giornate di sabato e domenica prossima, volantinaggi con le nostre proposte nelle piazze e nei punti di maggiore incontro dei cittadini.

RAI: APUZZO (SLC CGIL), AZIENDA RECUPERA SU DISCRIMINAZIONE LAVORATORI DISABILI

“Oggi la Rai ha recepito la richiesta di Slc Cgil di ritirare la circolare aziendale che “suggeriva” di formalizzare, per un periodo di sei mesi meno un giorno, i contratti a tempo determinato del personale delle testate giornalistiche e delle reti televisive, aggirando così quanto previsto dalla legge per l'inserimento e l'integrazione lavorativa di persone disabili” dichiara Barbara Apuzzo, segretaria nazionale Slc Cgil.
“L’azienda ha infatti rivisto la propria posizione – prosegue la sindacalista – confermando che “la durata dei contratti a tempo determinato è legata alle specifiche e determinate esigenze produttive, per far fronte alle quali detti contratti vengono stipulati” e non a calcoli matematici per evitare di “ampliare immotivatamente” il computo dei rapporti a tempo determinato ai fini delle assunzioni da collocamento obbligatorio.”
“Siamo molto contenti che l’azienda abbia così dato seguito alle affermazioni presenti nello stesso Codice Etico della Rai.”

28 settembre 2013

Telecom, Franco Bernabè pronto a lasciare. Massimo Sarni al suo posto?

Franco Bernabè pronto a lasciare Telecom Italia. Al suo posto potrebbe arrivare Massimo Sarni. Secondo indiscrezioni pubblicate dall’Ansa, Bernabè avrebbe deciso di lasciare la guida di Telecom Italia per evitare spaccature nel Cda che sarebbero state fortemente dannose per la società.
Bernabè, continua l’Ansa, potrebbe presentare le proprie dimissioni al prossimo consiglio di amministrazione, convocato per giovedì 3 ottobre.
Scrive sempre l’Ansa che il manager avrebbe maturato la decisione dopo i cambiamenti avvenuti nella compagine azionaria di Telco. In audizione al Senato, Bernabè aveva già espresso le sue perplessità sull’operazione, indicando nella ricapitalizzazione la strada da seguire per rilanciare Telecom Italia.
Per quanto riguarda la successione, scrive sempre l’Ansa, il nome più accreditato, si apprende da fonti vicine alla situazione, è quello di Massimo Sarmi, attuale amministratore delegato di Poste Italiane.

27 settembre 2013

Femminicidio: braccialetto elettronico per stalker

Femminicidio: braccialetto elettronico per tenere lontani gli stalker dalle vittime. È stato approvato alla Camera, giovedì pomeriggio, un emendamento del Pd al decreto sul femminicidio grazie a cui aumenteranno le misure per contrastare la violenza contro le donne. Un emendamento che prevede anche l’estensione delle intercettazioni telefoniche al reato di stalking nei casi gravi.

Il testo prevede che il giudice possa disporre, per chi sia stato allontanato dalla casa familiare per stalking o maltrattamenti, previo consenso dell’imputato, il “controllo mediante mezzi elettronici o altri strumenti tecnici”, che in questo momento coincidono con il braccialetto elettronico.

Un altro emendamento ha stabilito poi che la querela per stalking è irrevocabile nei casi di minacce gravi e reiterate. Il testo del governo prevedeva l’irrevocabilità in tutti i casi di stalking, mentre dopo un lungo dibattito la commissione ha deciso, con un’intesa recepita in un emendamento dei relatori, di permettere la revocabilità nei casi di molestie meno gravi.

Statali precari: i concorsi si faranno anche nel 2016. Tutte le novità

Statali precari: i concorsi si faranno anche nel 2016. Tutte le novità. I concorsi per i precari si faranno anche nel 2016 e non più solo fino al 2015. E’ una delle novità del decreto 101, quello del salva-precari, che è dovuto tornare all’esame del Parlamento. L’estensione dei termini dei concorsi vale per i precari della Pubblica Amministrazione che abbiano totalizzato tre anni di contratti a  termine negli ultimi 5 anni. Il calcolo di questi 3 anni, è l’altra novità, vale anche sommando contratti di amministrazioni erogatrici diverse.
Il Senato, che affronta in prima lettura in Commissione Affari Costituzionali il decreto, ha raggiunto un compromesso di maggioranza per l’approvazione dei due canali per le selezioni del personale (doppio concorso). Si è voluto dare cioè più tempo e discrezionalità alle amministrazioni, anche considerando che nel 2016 sulle assunzioni non peserà più il vincolo imposto al turn-over, 20% di ricambio nel 2014, 50% nel 2015.
Confermato anche l’allungamento dei termini, un anno, sempre fino al 2016, per la maturazione dei requisiti di prepensionamento con regole pre-legge Fornero consentita ai dipendenti pubblici tagliati dalla spending review (soprannumerari).


SCIOPERO IN BRITISH TELECOM ITALIA CONTRO I LICENZIAMENTI

I sindacati confederali di categoria Slc Cgil, Fistel Cisl e Uilcom Uil dichiarano lo sciopero dei lavoratori di British Telecom Italia per l’intera giornata di giovedì 10 ottobre.
Dopo l’apertura delle procedure di sciopero contro i 147 licenziamenti disposti dall’azienda, si sono svolti gli incontri previsti nel corso dei quali i vertici aziendali hanno ribadito la volontà di procedere con i licenziamenti.
E’ veramente sconcertante che l’azienda si privi di professionalità strategiche tanto più alla luce del Piano Industriale presentato dall’A.D. che, ha come obiettivo, la ricerca di nuovi importanti clienti sul mercato. E’ ormai evidente il reale obiettivo di British Telecom, il ridimensionamento del perimetro che porterà all’uscita dal mercato italiano con un danno pesantissimo all’occupazione.
Durante lo sciopero ci saranno manifestazioni presso la sede aziendale di Milano, dove confluiranno i lavoratori di Torino, e presso quella di Roma dove potranno confluire i lavoratori delle altre sedi.




ABBRACCIAMOLACULTURA INCONTRA COMMISSIONI CULTURA DI CAMERA E SENATO

‘Una riforma del MiBAC moderna; l’informatizzazione reale delle reti; la gestione e valorizzazione dei Beni e delle Produzioni culturali che sia realmente concorrente a tutti i livelli istituzionali, così come previsto dalla Costituzione. Dare dignità alle professioni relative ai Beni e alle Produzioni culturali. Rivedere le scelte per le Fondazioni lirico sinfoniche e indirizzarle in reali politiche di valorizzazione. Perfezionare le proposte su Pompei affinché possa divenire in futuro un polo di eccellenza di gestione e valorizzazione’. Di questi e altri interventi strategici per il settore dei Beni e delle Produzioni culturali si è parlato oggi all’incontro che si è tenuto presso la Sala dell'ex-Comitato Legislazione a Montecitorio nel corso del quale la coalizione Abbracciamolacultura* ha incontrato alcuni componenti delle Commissioni Cultura Camera e Senato per presentare il proprio documento ‘Più cultura per lo sviluppo’. “La cultura - ha sostenuto la delegazione presente oggi all’incontro- deve essere il cardine per il futuro di questo Paese; questa deve essere la scelta strategica del Governo. Custodiamo uno straordinario patrimonio storico, culturale, paesistico, con enormi potenzialità di crescita economica e sociale, oltre ad avere professionalità e saperi che non devono essere dispersi, ma anzi devono crescere e riqualificarsi: devono essere riconosciuti e tutelati”. L’accesso alla fruizione della cultura e alla conoscenza deve essere aperto a tutti, in modo equo. Questo principio deve essere un must per qualsiasi Paese moderno, perché la promozione della partecipazione dei cittadini è condizione per un humus culturale fertile, diffuso, intimamente connesso al territorio.
La delegazione ha espresso perplessità rispetto alle presunte opportunità di lavoro previste dal Decreto Valore Cultura (DL n°91/2013) che prevede che saranno selezionati 500 laureati under 35 per procedere all’inventario e alla digitalizzazione del patrimonio. Di fatto viene proposto a questi giovani uno stage di un anno senza alcuna prospettiva futura, e non si valorizzano le competenze dei collaboratori già coinvolti, ancora una volta senza cogliere l’occasione di mettere in campo un piano strategico: più che una grande opportunità sembra una grande illusione che rischia di esasperare ancora di più la dilagante precarizzazione.
Quattro i temi su cui la coalizione Abbracciamolacultura ha ritenuto fondamentale confrontarsi:
1.        Cultura materia prima italiana: occorre un sistema partecipato di  programmazione pluriennale integrata, che possa contare su un ciclo di investimenti produttivi, capaci di esprimere una reale domanda di lavoro qualificato. Serve una cultura della programmazione che faccia dialogare i diversi livelli istituzionali;
2.         Cultura = lavoro: è necessario che il lavoro per conservare, valorizzare, promuovere, gestire i Beni e Produzioni culturali disponga di un convinto sostegno, di riconoscimento, in termini sia professionali sia di stabilità e diritti, anche nel mondo degli appalti.
3.         Apprendimento permanente e partecipazione attiva: occorre promuovere la partecipazione attiva dei cittadini alla fruizione delle opportunità culturali, alla definizione delle scelte e degli obiettivi, e all’elaborazione dei piani strategici che coinvolgono gli specifici  territori. La scuola pubblica e l’università devono avere un ruolo fondamentale per far maturare linguaggi e strumenti utili all’accrescimento culturale.
4.         Risorse: investire risorse pubbliche, portandole almeno alla media europea, come scelta strategica per lo sviluppo.

E’ per questo che Abbracciamolacultura auspica che il Parlamento e le sue Commissioni tornino ad avere un ruolo propositivo sul tema dei Beni e delle Produzioni culturali come promotori delle leggi nel settore, anche attraverso  raccomandazioni e ordini del giorno. Il disegno di legge n°958 - Misure di semplificazione degli adempimenti per i cittadini e le imprese e di riordino normativo – all’ art.5 reca la delega al Governo ad adottare uno o più decreti legislativi correttivi e integrativi del Codice dei Beni Culturali e del Paesaggio, norma che richiede  la definizione di stringenti criteri di delega e un ruolo decisivo del Parlamento nelle definizioni legislative.
I/le parlamentari presenti hanno sottolineato l'importanza delle tematiche poste da “AbbracciamoLaCultura”, ed hanno condiviso l'esigenza di prevedere futuri incontri sui punti specifici, nel quadro del mantenimento di costanti rapporti con la Coalizione e della prossima discussione parlamentare sulla Legge di stabilità e sul disegno di legge “Semplificazioni”.

Il "non futuro" di Telefonica. Ma Telecom non può vivacchiare

di Gildo Campesato
Golden power e nuove regole sull’Opa. La prima è un’opzione potente che il governo intende tenersi in mano (con l’accelerazione di una normativa già in cantiere la latitante da mesi) per costringere Telecom Italia a scorporare la rete ritenuta un asset strategico del Paese (con tanto di timbro del Copasir) nel caso Telefonica entri in possesso da sola della quota di controllo.

La seconda è una modifica della legge sull’Opa così da smontare l’effetto scatola cinese di Telco (con qualche dubbio del Tesoro che preferirebbe più cautela in materia) e rendere molto più oneroso per Telefonica il controllo di Telecom.

Sono questi i due cavalli di Frisia che questa sera il Consiglio dei ministri si appresta ad impiantare nell’ordinamento italiano per sbarrare la strada agli spagnoli.

Per i quali, a questo punto, la via si fa tutta in salita. E non soltanto perché i macigni che il governo gli ha messo sulla strada rischiano di fermare davvero la marcia sull’Italia del presidente di Telefonica Cesare Alierta.

Ma anche perché ci sembra particolarmente temerario buttarsi a testa bassa in un’operazione cui almeno a parole sono tutti contrari (a parte qualche eccezione come Renato Brunetta): governo, maggioranza, opposizione, sindacati, i consiglieri indipendenti del cda di Telecom Italia e non solo il suo presidente Franco Bernabè. Potrà anche non piacere, ma è difficile fare affari in un Paese dove non ci si sente benvenuti, per usare un eufemismo.

Ovviamente, in certe posizioni ci sono riflessi di chiusure nazionalistiche poco condivisibili o di strumentalizzazioni politiche altrettanto deplorevoli. O magari preoccupazione eccessive sugli effetti occupazionali.

Probabilmente, Alierta avrebbe trovato mura contrarie meno solide se si fosse presentato in Italia con un progetto industriale per Telecom chiaro. Spiegando cosa vuole fare della società, quali investimenti ha in mente, come pensa di fare uscire l’azienda dalla tagliola del debito che rischia di strangolarla già da fine anno. Insomma, con in mano un progetto industriale di sviluppo.

Nulla di tutto questo: solo un comunicato stampa in cui si parlava genericamente di “sinergie” tra i due gruppi. Le stesse ragioni formali che hanno motivato l’ingresso di Telefonica in Telco sei anni fa ma che alla prova dei fatti si sono dimostrate poca cosa, al punto che ormai se ne sono dimenticati tutti. La verità è che Alierta è venuto in Italia solo per impedire che se la prendesse qualche suo concorrente per dargli fastidio in Brasile.

Vi sono indubbie ragioni che testimoniano a favore della strategicità della rete di telecomunicazioni fisse, anche il vista del fatto che in Italia la rete è un monopolio naturale che non perderà di importanza; anzi, con lo sviluppo delle nuove reti ultra-broadband rischia di acquisirne ancora di più. Anche se è vero che non sono problemi da affrontare con la lente deformante dello spirito nazionalistico.

In ogni caso, Telecom Italia è più della sua rete: è un grande gruppo industriale integrato (tra l’altro, scorporare la rete, volontariamente o d’imperio che sia, richiede almeno un paio d’anni che vada bene). Il suo futuro riguarda gli interessi di tutto il Paese. E il passaporto degli azionisti non c’entra. 

Con Telefonica, ci sia consentito di rubare un calambour a Susanna Camusso, Telecom Italia ha un “non futuro”. Fatto di perdita delle attività in Brasile, disinteresse ad investire in Italia, spostamento degli assi decisionali a Madrid.

Tutto questo non ci sembra andare affatto in direzione dell’interesse dell’azienda, unico faro che dovrebbe guidare i consiglieri di Telecom, come giustamente osservato da uno di loro Tarak Ben Ammar. Il fatto è che a Telefonica di Telecom Italia non interessa nulla: vuole prendersi le attività in Brasile e lasciarla vivacchiare in Italia. Anche perché, indebitati come sono, l’Italia non rientra certo nelle loro priorità di investimento. Tutto questo col nazionalismo non c’entra nulla.

La marcia di Telefonica sull’Italia sembra potere essere stoppata o comunque resa più incerta. Ma questo non serve a risolvere i problemi di Telecom. È solo una precondizione. L’emergenza parla di necessità di risorse finanziarie: per far fronte al debito e per investire. È innanzitutto da lì che bisogna ripartire. Telecom non può più permettersi di tirare a campare.

26 settembre 2013

Ciao Enza



Nelle ultime ore, è venuta meno la stimatissima ed amata compagna Enza Costa della Filctem Catania. Nelle compagne  ed i compagni della SLC CGIL Catania ne rimarrà sempre vivo il ricordo. Esprimiamo alla famiglia le più sincere condoglianze per questo profondo momento di lutto.
SLC CGIL Catania

Violenza sulle donne: il 25 novembre "sciopero" contro il femminicidio

Uno ''sciopero delle donne'' per fermare la cultura della violenza e il femminicidio. Dopo l'appello lanciato in rete e centinaia di firme raccolte, la manifestazione nazionale prenderà forma il prossimo 25 novembre, in concomitanza con la Giornata mondiale contro la violenza di genere proclamata dall'Onu.
A lanciare l'iniziativa in Italia un gruppo di donne impegnate nel giornalismo e nella cultura, che fanno capo all'associazione Giulia, rete nazionale delle GIornaliste Unite LIbere Autonome. In due mesi hanno raccolto adesioni di personaggi noti come i giornalisti Riccardo Iacona e Loredana Lipperini, di Susanna Camusso, segretaria generale della Cgil.
"Con loro -spiegano le organizzatrici- ci sono responsabili di centri antiviolenza, attiviste di Amnesty International, scrittrici e intellettuali di ''Se Non Ora Quando'', professioniste, casalinghe, insegnanti, madri, direttrici di banca, consigliere comunali, amministratrici e impiegate.
Circa l'organizzazione dello "sciopero", è stata aperta la pagina "Le iniziative, città per città, che verrà aggiornata via via che arriveranno le informazioni sulle manifestazioni/iniziative organizzate nei territori. "Pensiamo che la pagina sia utile - spiegano le organizzatrici - anche per mettere in contatto gruppi e singole persone".

Disabili: ricorso collettivo per riconoscere figura caregiver

E' pronto e sarà depositato nei prossimi giorni nei tribunali di Milano, Palermo e Roma, un ricorso collettivo per chiedere il riconoscimento della figura del "family caregiver" e le tutele e i diritti collegati. Ne da' notizia un gruppo di cittadini che vivono questa particolare condizione di vita e che denunciano di essere stati abbandonati dallo Stato.
Il Family Caregiver è colui - ma molto più spesso colei - che si occupa in ambito domestico di un familiare affetto da grave
disabilità. "Una figura fondamentale ma in Italia misconosciuta - spiegano in una nota - nonostante tutti i Paesi Europei ne
riconoscano, invece, l'altissima rilevanza con leggi e provvedimenti specifici.
Dopo un'attesa di quasi vent'anni, durante i quali il Parlamento italiano non è riuscito a legiferare nemmeno sul prepensionamento dei family caregiver, nonostante in tutte le passate legislature centinaia di parlamentari avessero caldamente appoggiato il provvedimento,  si è deciso di passare ad azioni concrete". Oltre ai ricorsi in tribunale, da ogni angolo d'Italia stanno partendo migliaia di lettere indirizzate all'Inps, con le quali i family caregiver chiedono che vengano riconosciuti i diritti più elementari rispetto al loro impegno di assistenza e cura, che può protrarsi anche 24 ore su 24 per 365 giorni l'anno.

Lo scorporo della rete non si può fare…a meno che…

di Raffaele Barberio
Le vicende relative allo scorporo della rete di Telecom Italia stanno assumendo toni parossistici.

Per lunghi mesi ci hanno fatto familiarizzare con l’idea che l’operazione potesse essere presa in carico dalla Cassa Depositi e Prestiti.
Poi contrordini e stop-and-go, con un tira e molla che è culminato negli ultimi giorni con uscite concitate e contraddittorie: dichiarazioni di scorporo imposto per decreto da fonti AgCom,  poi smentite, con dichiarazioni nelle stesse ore di fonti governative che smentiscono ogni ipotesi di azioni coercitive, per poi smentire se stesse dicendo che lo scorporo per decreto potrebbe essere la soluzione migliore per tutti.
Ma per tutti chi?

Va detto a chiare lettere che uno scorporo per decreto è impensabile.
Lo è per il diritto italiano.
Lo è per le norme europee.
Lo è perché non esiste alcun precedente in materia.
Ma lo è innanzitutto perché chi avrebbe potuto prendere decisioni che scongiurassero le circostanze che tutti oggi dicono di temere non lo ha fatto per anni e ha lasciato che le cose arrivassero allo stato attuale: 13 lunghi anni in cui non è stata registrata alcuna traccia, una dico una, di politica industriale nelle telecomunicazioni.
Altro che sistema strategico per il Paese…

Telecom Italia non è obbligata in alcun modo a fare lo scorporo e, avendo avviato un “processo volontario”, è nella condizione di fare marcia indietro in qualunque momento, se non sussistessero le condizioni per procedere.
D’altro canto, l’ipotesi di uno scorporo coercitivo della rete di Telecom Italia rappresenta un’opzione da cancellare, nonostante la straordinaria bagarre di queste ore e le vesti stracciate a destra e a sinistra, spesso con conflitti d’interesse di rappresentanti parlamentari a favore dello scorporo grandi come una casa.
Quindi, l’idea di uno scorporo della rete di Telecom Italia rischia ormai di diventare un’opzione da cancellare.
Tranne che in un caso.
Un solo caso.
L’unico che potrebbe rendere percorribile l’ipotesi di scorporo della rete.
Ed è a portata di mano…

Il cuore del problema è, infatti, la sostenibilità di una compravendita del genere e il punto di partenza è l’unbundling (ULL).
Il prezzo troppo basso dell'ULL in Italia, attualmente 9,28 euro con una proposta di riduzione di AgCom addirittura a 8,68 euro, rende di fatto impossibile lo scorporo della rete di Telecom.
I numeri non girano più.
Telecom Italia non riesce a valorizzare i propri asset in maniera adeguata.
La Cassa Depositi e Prestiti, dal canto suo, non può pagare a valore di mercato la rete e deve avere un ritorno tale da giustificare il proprio investimento.
Se il prezzo dell'ULL fosse aumentato a 10 euro (al valore fissato, ad esempio, in Germania, paese leader per numero di linee ULL in Europa), Telecom Italia potrebbe valorizzare la propria rete in maniera più corretta e Cassa Depositi e Prestiti potrebbe avere, solo in questo modo, un ritorno adeguato sull’investimento.
D’altra parte è dimostrato che i paesi del nord Europa che hanno un più alto prezzo dell’unbundling sono quelli in cui vi è la maggior diffusione di banda larga, il più alto livello di competizione, il più consistente flusso di investimenti.
Nella Newco della rete, Cassa Depositi e Prestiti potrebbe entrare con una quota tra il 30% e 40% lasciando, inevitabilmente, a Telecom Italia la maggioranza ed il ruolo di socio industriale con guida e gestione.
Non si intravedono altre soluzioni plausibili e realmente percorribili.
Il resto è deterrenza.
E vorremmo capire perché…

Licenziamento illegittimo e scelta fra reintegra e indennità sostitutiva

La Cassazione, con sentenza nr. 21452 dello scorso 19 settembre, pronunciandosi in tema di licenziamento, ha affermato che, in caso di licenziamento illegittimo, il diritto del lavoratore all’opzione tra reintegra ed indennità sostituiva (previsto dall’articolo 18, comma 5, dello Statuto dei lavoratori), “è conseguenza dell’accertamento con sentenza, dell’illegittimità del licenziamento, quindi, prima della sentenza stessa, non sussite per il lavoratore alcuna facoltà di scelta e, di conseguenza, alcuna possibilità di esercizio dell’opzione”.
A seguito di licenziamento dichiarato illegittimo, un lavoratore,  esercitava l’opzione per l’indennità sostitutiva in luogo della reintegra; quindi, in merito a tale titolo, chiedeva al Giudice del lavoro di Roma, decreto ingiuntivo avverso il datore, per il pagamento di circa 27mila euro, a titolo, appunto di indennità sostitutiva.
Il giudice di primo grado, accoglieva la richiesta; non la Corte di Appello, secondo la quale, il rapporto di lavoro era stato ripristinato durante la causa e proseguito anche dopo la sentenza che dichiarava illegittimo illicenziamento (infatti il lavoratore, licenziato nell’agosto del 98, invitato dal datore, aveva ripreso servizio nell’ottobre 99 fino al 31 dicembre 2001, quando  era già intervenuta la sentenza del giudice del lavoro che dichiarava inefficace il licenziamento disponendola reintegra).
Pertanto, non poteva essere riconosciuta al lavoratore l’indennità prevista dall’art. 18 statuto lavoratori, in quanto, l’opzione prevista presuppone il difetto di presentazione al lavoro e, non è possibile quando il lavoratore abbia ripreso il servizio, manifestando così  una volontà incompatibile con la rinunzia alla prosecuzione del rapporto di lavoro.
Per la Cassazione, invece,  il diritto all’opzione tra reintegra ed indennità sostituiva non è intaccato dal fatto che il lavoratore abbia di fatto ripreso a lavorare durante lo svolgimento del processo. Tale diritto, matura solo all’esito di una sentenza favorevole.
Il comma 5 dell’art. 18 Statuto dei lavoratori, dispone che “Fermo restando il diritto al risarcimento del danno così come previsto al quarto comma, al prestatore di lavoro è data la facoltà di chiedere al datore di lavoro in sostituzione della reintegrazione nel posto di lavoro, un’indennità pari a quindici mensilità diretribuzione globale di fatto. Qualora il lavoratore entro trenta giorni dal ricevimento dell’invito del datore di lavoro non abbia ripreso il servizio, né abbia richiesto entro trenta giorni dalla comunicazione del deposito della sentenza il pagamento dell’indennità di cui al presente comma, il rapporto di lavoro si intende risolto allo spirare dei termini predetti”.
Secondo gli Ermellini, in sostanza: “Il lavoratore può esercitare la facoltà di chiedere al datore l’indennità di cui all’art. 18, co. 5, della legge 20.05.70 n. 300, solo dopo l’emanazione della sentenza che dichiara l’illegittimità del licenziamento e ordina la reintegrazione nel posto di lavoro, a nulla rilevando che nelle more del giudizio, aderendo all’invito del datore il lavoratore abbia ripreso il servizio, salvo che da tale reciproco comportamento delle parti possa desumersi che tra le stesse è intervenuto l’accordo, anche implicito, di ricostituzione del rapporto di lavoro.

Stress da lavoro. Le aziende possono essere considerate colpevoli dei suicidi

Se una persone si suicida a causa di una patologia derivante anche dallo stress maturato nell'ambiente di lavoro, l'azienda può essere considerata colpevole.
A decretarlo, una sentenza di Cassazione in merito ad una causa intentata dal vedovo di una donna che, nel giugno del 2006, si tolse la vita lanciandosi dal tetto dell'azienda di prodotti farmaceutici in cui lavorava, sita nel veneziano. A seguito del processo, la ditta dovrà ora pagare a favore del congiunto gli arretrati, gli interessi di natura legale e le spese funerarie.
La causa era stata intentata all’Inail, la quale non aveva accolto la richiesta del marito di accedere al risarcimento previsto per le vittime del lavoro, dal momento che non era in alcun modo provato il legame che intercorre tra stress da lavoro e suicidio.
Secondo quanto riferito dal vedovo, gli ultimi tre anni della compagna erano stati un inferno, in relazione anche a problemi lavorativi.






Bernabè: "La governance di Telecom è come il porcellum"

"La tutela degli azionisti di minoranza Telecom richiede cambiamenti di statuto, ovvero che i voti in consiglio siano proporzionali ai voti in assemblea". Ma per cambiare la corporate governance è necessario l'appoggio di Telco, che in assemblea ha una sorta di potere di blocco di fatto.  Si crea così uno stallo  "un po' come per la legge elettorale italiana (il cosiddetto Porcellum, ndr) dove tutti vogliono cambiarla ma sta bene a tutti quanti perché consente di nominare i rappresentanti del popolo con i listini bloccati".

Così Franco Bernabè, presidente esecutivo di Telecom Italia, dopo il passaggio del controllo di Telco a Telefonica, torna a parlare da Trento di una questione a lui cara: la modifica della corporate governance del gruppo tlc per migliorare la tutela dei piccoli azionisti.

Per Telecom ci vorrebbe un cambio nello statuto "cosi' come è stato fatto per tutte le società che sono state privatizzate e che hanno un interesse nazionale", spiega Bernabè, che nel corso della scorsa assemblea dei soci aveva già annunciato l'avvio di un percorso in tal senso. "Ho detto ieri in Commissione al Senato che la differenza tra il modo in cui è stata privatizzata Telecom e quello in cui è stata privatizzata Telefonica sta proprio nella corporate governance che il governo spagnolo ha deciso di adottare per Telefonica.

Telefonica ha uno statuto che prevede dei limiti al diritto di voto e prevede una rappresentanza dei consiglieri in cda che sia in qualche modo correlata al peso in assemblea. Nel caso di Telecom anche se l'azionista di maggior peso avesse solo il 10% potrebbe nominare l'80% dei consiglieri, non solo  Telco che ha il 22,4%", considerando che dalla lista di maggioranza vengono infatti scelti i 4/5 dei consiglieri", sottolinea il numero uno di Telecom a margine del convegno "Italia Connessa, Trentino e Innovazione, perché  il digitale non resti solo in agenda". Il tema della corporate governance, in generale, rappresenta  "un quadro di regole che nessuno è in grado di cambiare perché c'è un potere di blocco (di fatto, ndr) rappresentato dall'attuale azionista di maggioranza relativa". Per Bernabè la situazione non puòcambiare "a meno che Telco non decida di fare un cambiamento che però andrebbe contro i suoi interessi e quindi difficilmente Telco farà un cambiamento di questo genere". Un modifica dello statuto per avere possibilità di successo in assemblea "dovrebbe necessariamente avere il consenso di Telco".

Il preseidente attacca poi l'Europa definita "miope" e vittima di "lacci e lacciuoli".''Bruxelles ha bloccato per due anni un progetto sperimentale (rete tutta in fibra, ndr) per verificare se si configuravano aiuti di Stato mentre in questi due anni avremmo potuto avere grandi progressi - ha detto il manager - 'In Trentino l'agenda digitale ha fatto piu' progressi di ogni altra regione in Italia e in Europa. E' la prima con una copertura integrale di 20 Mbit al secondo, abbiamo realizzato un progetto importante di sostituzione della vecchia rete in rame in fibra. A Bruxelles non hanno ancora capito l'importanza delle tlc'' e l'Europa accumula cosi' ritardi sull'Asia e sugli Stati Uniti. ''E' la ragione per cui l'Europa è in declino, dovrebbero darsi da fare per creare le condizioni per far investire le societa' che vogliono investire come quelle delle tlc'' ha concluso Bernabè.

Telecom: Azzola (Slc Cgil) chi parla di opportunità non sa di che cosa parla

“Si susseguono commenti politici che individuano come "opportunità" l’acquisizione del controllo di Telecom da parte di Telefonica. Mi piacerebbe sapere a cosa si riferiscano.” Questo il commento di Michele Azzola, segretario nazionale di Slc Cgil, alle dichiarazioni rilasciate da esponenti del Governo e di forze politiche in merito alla vicenda Telecom.

“L’acquisizione dell’azienda – prosegue il sindacalista - comporterà la necessità di svendere le società in Brasile e Argentina (vero e proprio motore di propulsione per lo sviluppo del Gruppo) per problemi di Antitrust, la totale incertezza sugli investimenti che saranno realizzati sull’ammodernamento della rete e ricadute occupazionali rilevantissime soprattutto nei settori dell’innovazione, dell’It e dello sviluppo oltre all’incognita sugli oltre 10000 addetti alle attività di customer. In tutto questo non vedo traccia di opportunità alcuna.”

“Chi oggi si lava la coscienza con dichiarazioni di questo tenore o con pilateschi richiami ad un semplice affare tra privati, si sta assumendo la responsabilità di velocizzare il declino industriale del Paese, mettendo a rischio l’innovazione delle reti di telecomunicazione e la possibilità del Paese di ammodernarsi oltre a decretare la fine della compagnia telefonica nazionale.”

“Imbarazzante il richiamo allo scorporo della rete da riportare in mano pubblica – conclude Azzola: primo perché tale bene è di proprietà di Telecom e difficilmente Telefonica ci rinuncerà; poi perché tale soluzione rischia di essere peggio del problema che si vuole risolvere. Non a caso non è stata adottata da nessun Paese al mondo.”

“Telecom ha bisogno di un aumento di capitale. Il management ha il dovere, viste le dichiarazioni rilasciate dal presidente Bernabè all’audizione al Senato, di uscire allo scoperto per garantire tutti gi azionisti. Il Governo ha le condizioni per riaprire la partita e garantire l’asset strategico nella disponibilità del Paese.”

Telecom: Slc Cgil, eventuale aggiornamento Piano Industriale sia in continuità con accordi di marzo

“Se ci sarà un aggiornamento del Piano Industriale di Telecom, in discussione al prossimo CdA del 3 ottobre, dovrà essere in continuità con gli impegni presi dall’azienda lo scorso 27 marzo che definiva le attività core non cedibili, delineando un percorso di reinternalizzazione delle attività - così Riccardo Saccone, coordinatore Telecom Italia di Slc Cgil.

“Alla preoccupazione per il riassetto societario in corso in queste ore si aggiunge - prosegue la nota- quella per le possibili variazioni delle linee strategiche del gruppo. Per parte nostra non accetteremo cambiamenti che stravolgano il quadro sancito con gli accordi del 27 marzo, soprattutto sul perimetro del gruppo.”

“Solo il rinnovato impegno di Telecom a proseguire sulla strada intrapresa con l’ultimo Piano Industriale permetterà il prosieguo di un confronto costruttivo altrimenti - termina il sindacalista - metteremo in campo tutte le azioni sindacali più appropriate a difesa del perimetro occupazionale dell’azienda.”


24 settembre 2013

Telecom Italia, Letta si chiama fuori

Il governo di Enrico Letta non prevede intromissioni da parte del livello politico sulle vicende che riguardano gli assetti proprietari di Telecom Italia. "Il governo si chiama fuori", ha detto una fonte governativa interpellata da Reuters sulle reazioni dell'esecutivo a quanto sta avvenendo nella compagnia italiana. Oggi sia il Pd sia il Pdl hanno chiesto al governo di riferire sulle due vicende in Parlamento.
Per il ministro dello Sviluppo Economico, Flavio Zanonato, è "difficile sostenere" che, con la salita di Telefonica in Telco, "Telecom Italia diventi spagnola". A margine di un appuntamento nel veneziano, il ministro ha lamentato, riferendosi alle ricostruzioni sui giornali, che "c'è molta confusione su queste cose". "Telco, che possiede un 20% di Telecom Italia, era già a maggioranza Telefonica, che passerà dal 46 al 61%. Mi pare che sia dura sostenere che Telecom diventa spagnola", ha detto.
Intanto questa mattina il presidente di Telecom Italia Franco Bernabè ha incontrato in mattinata il viceministro allo Sviluppo economico con delega alle Comunicazioni Antonio Catricalà. Il colloquio e' avvenuto nella sede del dicastero a Largo di Brazza'.
Secondo l'accordo , raggiunto nella tarda notte, in una prima fase Telefonica sottoscriverà un aumento di capitale per complessivi 324 milioni di euro a 1,09 euro per azione: in cambio verranno emesse azioni di classe C prive del diritto di voto, convertibili in azioni con diritto di voto a determinate condizioni. L'agenzia di ratingMoody's ha annunciato che non ci saranno impatti sulla valutazione del merito di credito da questa operazione.


L'obiettivo è quello di fornire a Telco le risorse per rimborsare una prima parte dell'indebitamento finanziario a scadenza il prossimo novembre, mentre i residui 700 milioni saranno interamente finanziati da Mediobanca e Intesa in parti uguali. A seguito dell'aumento, Telefonica avrà il 66% di Telco, di cui il 46,2% con diritto di voto, Generali il 19,32%, con diritto di voto per il 30,6%, e Intesa e Mediobanca il 7,34% entrambe, con diritto di voto pari all'11,6%. Contestualmente all'aumento, Telefonica acquisterà pro-quota una parte del prestito obbligazionario Telco fino al 70% del totale, in cambio di azioni proprie al valore di 10,86 euro ciascuna.
Telefonica, poi, dopo le autorizzazioni previste dalle Autorità, sottoscriverà un nuovo aumento di capitale di Telco per 117 milioni di euro, sempre senza diritto di voto, convertibile poi in azioni ordinarie con diritto di voto, fino a raggiungere il 70% di Telco. Gli spagnoli potranno salire al 100% della holding a partire dal prossimo anno: l'opzione, però è soggetta all'autorizzazione delle autorità di Brasile e Argentina. Il prezzo fissato per l'ultima tranche è sarà nella parte alta della forchetta compresa tra 1,1 euro e il valore di mercato previsto al momento dell'esercizio. In caso di esercizio dell'opzione di acquisto, Telefonica sarà obbligata ad acquistare a valore nominale anche tutte le quote residue del prestito obbligazionario Telco in mano ai soci italiani. Di fatto, Telefonica verserà 441 milioni cash per i due aumenti di capitali, ai quali si sommano 425 milioni di euro in azioni Telefonica (quelle che trasferirà ai soci italiani in cambio del prestito obbligazionario). Tra carta e contante, l'operazione vale 850 milioni circa.

Telecom Italia, i dettagli dell'operazione

Telefonica salira' nel capitale di Telco dal 46% al 66% attraverso un aumento di capitale della holding che controlla Telecom, per un ammontare di 324 milioni. L'aumento, secondo l'accordo raggiunto con Generali, Intesa e Mediobanca, valorizzera' le azioni Telecom a 1,09 euro. Telefonica, informa una nota, salira' inoltre in una seconda fase al 70% di Telco con un ulteriore aumento di capitale di 117 milioni di euro. In entrambi gli aumenti le azioni Telco che verranno emesse saranno prive del diritto di voto. Sottoscrivendo azioni senza diritto di voto, Telefonica restera' al 46% di Telco fino alla fine dell'anno.
Il presidente di Telecom, Franco Bernabè, ha provato a ridimensionare l'operazione: "Telecom Italia non diventa spagnola perché l'operazione riguarda Telco". Di fatto, però, Telefonica si apre un'autostrada  verso il controllo di Telecom.
A partire dal 1 gennaio 2014 Telefonica potra' convertirle in azioni con diritto di voto, salendo fino a un massimo del 64,9% dei diritti di voto. Al superamento della soglia del 50% - informa una nota - vi sara' anche una modifica della governance. In particolare, in Telco il cda continuera' a essere composto da 10 membri, ma con la meta' nominata da Telefonica e meta' dai soci italiani. In Telecom Italia verrano eletti non meno di 13 amministratori. Al netto dei posti riservati agli azionisti di minoranza i soci italiani avranno la possibilita' di indicare i primi due nominativi della lista, riservati a presidente e a.d., mentre i restanti nominativi saranno indicati per metà dai soci italiani e per metà da Telefonica. Telco utilizzera' gli importi derivanti dall aumento di capitale di 324 milioni, che viene eseguito gia' oggi, per rimborsare, immediatamente e fino a concorrenza, l'indebitamento bancario in essere in scadenza a novembre 2013.
Il residuo debito bancario di Telco sara' interamente rifinanziato fino a 700 milioni di euro, da Mediobanca e Intesa Sanpaolo in parti uguali, attraverso un nuovo finanziamento a condizioni di mercato. Contestualmente all'esecuzione dell'aumento di capitale, aggiunge la nota - Telefonica acquistera', al valore nominale, dai soci italiani - pro quota - una parte del prestito obbligazionario emesso da Telco, cosicche' la quota di tale prestito detenuta da Telefonica dopo la compravendita sara' pari al 70% del totale. Il corrispettivo sara' costituito da azioni ordinarie Telefonica, valorizzate a 10,86 euro liberamente liquidabili sul mercato, entro limiti quotidiani predefiniti e decorso un periodo di 15 giorni.
Il disimpegno dei soci italiani era nell'aria da tempo, in ultimo lo stesso, Alberto Nagel, Ceo di Mediobanca, nell'ultima conference call con gli analisti sul futuro di Piazzetta Cuccia in Telco era stao chiaro, ''non ci metteremo piu' soldi, il nostro obiettivo e' disinvestire''. E non a caso la quota in Telco era stata svalutata a un prezzo che valutava Telecom 0,53 euro per azione. Anche Generali e Intesa SanPaolo avevano da tempo spiegato che l'avventura in Telecom era destinata ad arrivare al capolinea.
L'accordo sottoscritto prevede un graduale disimpegno dei soci italiani da Telco attraverso un primo aumento di capitale di Telco che sara' sottoscritto interamente da Telefonica per 324 milioni, valutando le azioni Telecom a 1,09 euro contro una quotazione odierna di 0,59 euro. L'aumento di capitale sara' interamente utilizzato per rimborsare parte del debito di Telco che scendera' a 700 milioni e sara' rifinanziato in parte uguali da Mediobanca e Intesa SanPaolo. Dopo il primo aumento di capitale i soci italiani di Telco si diluiranno: Generali scendera' al 19,32%, Intesa San Paolo al 7,34%, Mediobanca al 7,34%, Telefonica salira' al 66%. Poi con il secondo aumento di capitale a 117 milioni, Telefonica salira' al 70% di Telco, con l'opzione di arrivare al 100% da esercitare tra il 15 e 30 giugno 2014 e tra l'1 e il 15 febbraio del 2015. L'opzione potra' essere esercitata valutando il prezzo delle azioni Telco al valore piu' alto tra 1,10 euro e la media dei prezzi di chiusura della azioni Telecom registrati nei trenta giorni precedenti l'esercizio dell'opzione.
Al momento dell'esercizione dell'opzione, Telefonica riacquistera' i bond della holding Telco ancora in mano ai soci italiani. Da un punto di vista della governance e' stato stabilito che il Cda di Telco rimane composto da 10 membri, cinque designati da Telefonica e cinque dai soci italiani. Per quanto riguarda il Cda di Telecom e' stato deciso che non sara' inferiore a 13 consiglieri e che, al netto dei consiglieri eletti nella lista di minoranza, i soci italiani avranno la possibilita' di indicare i primi due nomi della lista proposta da Telco, mentre il resto dei nomi sara' indicato meta' dai soci italiani e meta' da Telefonica.
''Siamo soddisfatti di aver concluso questo accordo che e' in linea con i nostri obiettivi di rafforzamento patrimoniale e che ci permette di guardare con ottimismo alla distribuzione di un dividendo soddisfacente a fine anno'', cosi' Mario Greco, Ad del Gruppo Generali, ha commentato l'accordo tra i soci italiani e Telefonica sulla holding Telco. Generali, con una nota, spiega chela svalutazione netta della quota Telco sara' di circa 65 milioni euro e sara' registrata nel terzo trimestre del 2013. L'accordo definisce infine in modo chiaro i possibili periodi di uscita da Telco, il primo a giugno 2014; il secondo a febbraio 2015, e riduce i rischi patrimoniali derivanti dall'eventuale futura cessione a Telefonica.
LA REAZIONE A PIAZZA AFFARI - Vola in apertura di contrattazioni a piazza Affari il titolo Telecom, che esordisce guadagnando il 4%, per poi ridurre i profitti e attestarsi intorno a un rialzo dello 0,34% a 0,59 euro. Lo sprint del titolo, dopo l'accordo tra i soci italiani di Telco e Telefonica, che consente a quest'ultima di salire nel capitale di Telco dal 46% al 66% attraverso un aumento di capitale della holding che controlla Telecom. L'aumento, secondo l'accordo raggiunto con Generali, Intesa e Mediobanca, valorizzera' le azioni Telecom a 1,09 euro.

TELECOM ITALIA: COMUNICATO STAMPA CONGIUNTO CGIL e SLC

Nel mentre il Presidente del Consiglio tenta di promuovere l’Italia all’estero e nel totale silenzio della politica, è strato raggiunto l’accordo per l’acquisto della quota di controllo di Telecom Italia da parte di Telefonica
E’ la prima volta che un asset strategico per il futuro del Paese è acquisito da un’impresa straniera, senza che ci sia stata una preventiva discussione pubblica sulle ricadute e sugli interessi del Paese e, in assenza di un deciso cambio di passo, quanto avvenuto è destinato a ripetersi fin dalle prossime settimane.
Siamo in presenza di un’operazione i cui contorni sono inquietanti perché i problemi di sottocapitalizzazione di Telecom e l’ingente debito che ne paralizza le capacità d’investimento sono tutt’altro che risolti, anzi potrebbero essere aggravati dalla situazione finanziaria di Telefonica a sua volta caratterizzata da un elevatissimo tasso di indebitamento.
E’ evidente, che se i contorni di un possibile piano industriale fossero la vendita di Tim in Brasile e Argentina, riorganizzando l’azienda attraverso la cessione di assets strategici quali le attività di customer e quelle dell’informatica per poi procedere alla fusione per incorporazione di Telefonica e Telecom Italia saremmo in presenza di un’operazione che fa uscire l’Italia dal settore delle telecomunicazioni, togliendo al Paese la possibilità di indirizzare gli investimenti e potenziare la rete, condizioni imprescindibili per il rilancio dell’economia.
In tal caso le ricadute occupazionali sull’attuale perimetro di Telecom Italia potrebbero essere incalcolabili.
La situazione determinatasi, conseguenza diretta degli errori commessi durante la privatizzazione le cui conseguenze negative hanno portato Telecom Italia a passare da 5° operatore mondiale di telefonia con 120.000 dipendenti a un’azienda sottocapitalizzata e indebitata in misura spropositata, deve vedere una pronta reazione al fine di evitare i rischi per il Paese e ridare un quadro di certezze e di trasparenza nei confronti dei 46.000 dipendenti diretti e delle altre decine di migliaia di lavoratori indiretti che dipendono dall’azienda stessa.
Il Governo deve convocare immediatamente gli azionisti di riferimento di Telecom Italia e le Parti Sociali per verificare quale sia il progetto industriale su Telecom, come si pensi di affrontare il tema della sottocapitalizzazione e degli investimenti necessari a rinnovare la rete, elemento strategico per l’ammodernamento dell’intero Paese.
Nel caso non vi fossero gli elementi di chiarezza necessari, i Ministeri competenti dovranno esercitare i poteri previsti dalla golden share per dettare tutte le condizioni necessarie a salvaguardare gli interessi generali e le tutele occupazionali di migliaia di lavoratori.
La stabilità non può rappresentare un valore a prescindere da quel che accade all’economia reale del Paese, e l’Italia non può permettersi di perdere ulteriori opportunità per poter tornare a crescere.
Il sindacato è determinato a mettere in campo tutte le iniziative necessarie per evitare che ulteriori errori facciano pagare ai dipendenti e al Paese un ulteriore prezzo che riteniamo insopportabilequanto ingiustificato.
Roma, 24 settembre 2013

23 settembre 2013

E' scontro sul destino di Telecom Italia

di Federica Meta
L'offerta - riportata dalla stampa nei giorni scorsi - secondo cui Telefonica sarebbe pronta a offrire 750 milioni euro da parte per salire dal 46,2% al 70% di Telco, preoccupa la politica. L’ipotesi sta infatti suscitando polemiche, dato che andrebbe ad impattare sulla produttività del sistema Paese e determinare - avvertono i sindacati - circa 12mila potenziali esuberi, concentrati soprattutto nell’area commerciale. Secondo il vicemistro all’Economia, Stefano Fassina, si tratta di una cifra insostenibile''.  “Il problema Telecom – ha evidenziato - credo che si possa affrontare senza conseguenze così drastiche''.
Preoccupato dei possibili effetti sul sistema Paese  anche il senatore Pd, Massimo Mucchetti. ''L'iniziativa spagnola interpella l'Italia intera - dice - Governo e Parlamento devono intervenire. Il Pd non può distrarsi perché ha un congresso alle porte. Il Pdl non può ridursi a pensare solo al destino del suo padrepadrone''.
''La mossa di Telefonica potrà forse interessare i tre soci italiani di Telco - spiega il senatore - ma, allo stato attuale delle informazioni, non mi pare utile per l'azienda, il mercato finanziario e il Paese. Telefonica ha 66,8 miliardi di debiti finanziari e un patrimonio netto tangibile negativo per 22,4. Telecom ha 40 miliardi di debiti e un patrimonio netto tangibile negativo per 17. Sommate hanno un po' di liquidità, 17 miliardi, ma è posta a garanzia del debito e costa più di quanto rende. Con i debiti che hanno tendono a non guadagnare piu' abbastanza''. Telefonica insomma vuole Telecom ''per prendersi il mercato italiano, che resta importante, a prezzo vile. Poi venderà Tim Brasil e Argentina per ridurre il debito''. L'Italia invece non può permettersi ''di perdere il controllo sul primo operatore di telefonia dopo averlo perso su Omnitel, Wind, Fastweb e H3g. L'Italia ha poche grandi imprese, non può perderle''.
Mucchetti propone che il numero uno di Telefonica, Cesar Alierta, ''venga ad illustrare i suoi progetti al Parlamento e al governo, il quale - aggiunge - dovrebbe subito completare la normativa sulla golden share a tutela delle risorse strategiche nazionali, comunicazioni comprese''.
Adusbef e Federconsumatori, preoccupate dall'ennesima manovra, che vorrebbe scippare un asset importante di un'azienda strategica come Telecom Italia a prezzi di realizzo, la cui rete è stata finanziata dai consumatori italiani tramite il pagamento del canone e delle bollette telefoniche, "chiedono che il governo intervenga, anche tramite la Cassa Depositi e Prestiti, per impedire che possa diventare una colonia spagnola, in ossequio ai desiderata di Telefonica e alle smodate ambizioni di Cesar Alierta". Le associazioni chiedono al Governo "di porre il veto così come previsto dalle normative di legge su Telefonica, la cui finalità è stata quella di paralizzare l'azione del cda della Telecom per impedire la concorrenza e di puntare sullo spezzatino per fare di Telecom un'azienda residuale".
Oggi il ministro delle Infrastrutture, Maurizio Lupi, ha sottolineato che "Telecom Italia ha altri problemi oltre al ruolo della Cassa Depositi e Prestiti".  "Con Cdp il dialogo va avanti su tanti asset, perché Cdp può e deve svolgere un ruolo fondamentale in questo momento in cui stiamo guardando al rilancio del paese e alla crescita del paese nelle infrastrutture - ha spiegato Lupi a margine di un congresso a Milano - Penso al ruolo che può svolgere nelle infrastrutture strategiche che riguardano i collegamenti dell'Italia. Cdp potrà svolgere un ruolo anche su altre infrastrutture, ma credo che il problema di Telecom non sia solo il ruolo di Cdp, mi sembra che abbia altri problemi".
Secondo indiscrezioni di stampa il piano di Alierta prevede che Telefonica salga subito oltre la maggioranza assoluta in Telco, incrementando la sua partecipazione fino al 70% e i soci italiani aspettano sei mesi, ovvero fino alla naturale scadenza del patto Telco a marzo prossimo, per uscire definitivamente dalla società di tlc.
Nel dettaglio gli spagnoli, che ora controllano il 46,179% della holding, dovrebbero acquistare in maniera proporzionale azioni dai tre soci italiani, nel dettaglio Generali con il 30,67% e Mediobanca e Intesa Sanpaolo con l'11,57% ciascuno. Di fatto acquistando dai soci italiani parte delle azioni Telco acquisterebbero anche del tempo supplementare che consentirebbe loro di guardare al nuovo piano industriale di Telecom e decidere tra aumento di capitale e scorporo della rete quale passaggio sia meglio fare per mettere in sicurezza la società.
Il termine per la disdetta del patto di Telco scade il prossimo 28 settembre, ma è escluso che i soci italiani possano aspettare fino all'ultimo le mosse degli spagnoli. Una decisione, dentro o fuori, dovrebbe essere presa entro la metà della settimana. Quello di cui sono tutti consapevoli, al tavolo delle trattative, è che il protrarsi dello status quo non accompagnato da una road map credibile per il suo cambiamento potrebbe essere dannosissimo per la societa' e in particolare per le quotazioni del titolo in Borsa.
Sullo sfondo delle trattative per Telco si stagliano i ragionamenti che vengono fatti sul futuro della rete nella consapevolezza che il valore di Telecom Italia senza la sua maggiore infrastruttura sarebbe molto penalizzato e che e' impensabile che un asset tanto strategico per il Paese possa finire della esclusiva disponibilita' di un socio straniero.
La quadratura del cerchio sarebbe uno spin-off della rete che consenta al tempo stesso alla Cdp di entrare nel capitale e a Telefonica di deconsolidare parte del debito, incassando anche dei soldi per la cessione di parte delle azioni, senza pero' far si che la società che conterrà l'infrastruttura esca definitivamente dal perimetro di Telefonica stessa.
Ma il presidente di Cdp, Franco Bassanini oggi è stato chiaro: "Cassa depositi e prestiti non si è mai espressa sull'ipotesi di un investimento in Telecom Italia".
Intanto in vista del Cda del 3 ottobre, Franco Bernabè continua a lavorare sul progetto di societarizzazione che punta a separare le divisioni retail e business riunendole sotto Telecom Italia Services. Un progetto a cui è vincolato l'aumento di capitale da 3 miliardi chiesto dal presidente esecutivo.
Secondo gli analisti di Intermonte, "un incremento della quota di Telefonica dovrebbe portare a un successivo forzato disimpegno da Tim Brasil e Argentina, o al breakup, per problemi Antitrust e per evitare una ricapitalizzazione. Più favorevole un'ipotesi di aumento di capitale riservato per Cdp, anche se esistono ostacoli legati allo statuto della Cassa e forse divergenze al suo interno", aggiungono gli esperti.
Per Banca Akros il Cda del 3 ottobre "resta cruciale per capire le intenzioni di Telecom, che con una cristallizzazione dell'attuale struttura dell'azionariato potrebbe annunciare una nuova organizzazione, con nuovi investimenti e potenzialmente un aumento di capitale". Il congelamento del riassetto di Telco, riportato nei giorni scorsi dalla stampa, "farebbe guadagnare tempo alla società ma non risolve alcuna delle questioni sottostanti, in particolare il rafforzamento patrimoniale per evitare un downgrade del gruppo", affermano gli esperti, secondo cui "chiaramente ogni possibile scenario coinvolgerà Telefonica e passerà via Telco, senza alcun beneficio diretto sugli azionisti di minoranza". Un driver per le decisioni degli spagnoli, spiega Akros, potrebbero essere "le implicazioni antitrust in Brasile". In generale, secondo gli analisti l'azione Telecom I. presenta una debolezza di breve, ma limitati rischi di calo in vista dello scorporo della rete e" di eventuali mosse in Brasile.
Gli esperti di Credit Suisse hanno confermato sul titolo il rating neutral e il target price a 0,75 euro, anche se hanno tagliato le stime "per riflettere i risultati del 2° trimestre, i cambi e il recente andamento del settore". Si aggiunge poi a questo, continuano gli esperti, "il taglio dei prezzi effettuato dalla società durante il periodo estivo".

22 settembre 2013

In caso di riduzione del personale, l'appartenenza ad un reparto soppresso non è sufficente a giustificare il licenziamento

In materia di licenziamento per riduzione di personale, il doppio richiamo operato dalla L. n. 223 del 1991, art. 5, comma 1, alle esigenze tecnico-produttive ed organizzative ("L'individuazione dei lavoratori da collocare in mobilità deve avvenire, in relazione alle esigenze tecnico-produttive ed organizzative del complesso aziendale, nel rispetto dei criteri previsti dai contratti collettivi stipulati con i sindacati di cui all'art. 4, comma 2 ovvero, in mancanza di questi contratti, nel rispetto dei seguenti criteri, in concorso tra loro: a) carichi di famiglia; b) anzianità; c) esigenze tecnico-produttive ed organizzative"), assume il seguente significato: al primo di essi è attribuibile la funzione di individuare l'ambito aziendale entro il quale dovranno operare i criteri di scelta veri e propri, tra i quali, ove siano applicabili quelli legali, va considerato anche il criterio delle esigenze tecnico produttive e organizzative.

Sotto il primo profilo, "la riduzione di personale deve, in linea generale, investire l'intero complesso aziendale, potendo essere limitato a specifici rami aziendali soltanto se caratterizzati da autonomia e specificità delle professionalità utilizzate, infungibili rispetto alle altre" (cf r. al riguardo, Cass. 14 giugno 2007 n. 13876 e, in precedenza, Cass. sent. nn. 7752/06, 9888/06, 11034/06 e 11886/06). Con il che si può spiegare, nell'art. 5 citato, la duplicità - altrimenti scarsamente comprensibile - del richiamo alle "esigenze tecnico-produttive ed organizzative", perché, nella prima parte, esse si riferiscono all'ambito di selezione, mentre, nella seconda parte, le medesime esigenze concorrono poi nel momento successivo, con gli altri criteri dell'età e del carico di famiglia, all'individuazione del singolo lavoratore (salvo che non operino altri criteri concordati con i sindacati).

Ne consegue, che la platea dei lavoratori interessati alla riduzione di personale può essere limitata agli addetti ad un determinato reparto o settore solo sulla base di oggettive esigenze aziendali, in relazione al progetto di ristrutturazione aziendale,   ed è onere del datore provare il fatto che determina l'oggettiva limitazione di queste esigenze, e giustificare il più ristretto spazio nel quale la scelta è stata effettuata (Cass. 23 giugno 2006, n. 14612).

Pertanto, non può essere ritenuta legittima la scelta di lavoratori solo perché impiegati nel reparto lavorativo soppresso o ridotto, trascurando il possesso di professionalità equivalente a quella di addetti ad altre realtà organizzative (Cass. n. 14 612/06, n. 25353/09, n. 9711/11; v. pure Cass. n. 2637 6/08, n. 11034/0 6, n. 13783/06).