La Cassazione, con sentenza nr. 21452 dello scorso 19 settembre, pronunciandosi in tema di licenziamento, ha affermato che, in caso di licenziamento illegittimo, il diritto del lavoratore all’opzione tra reintegra ed indennità sostituiva (previsto dall’articolo 18, comma 5, dello Statuto dei lavoratori), “è conseguenza dell’accertamento con sentenza, dell’illegittimità del licenziamento, quindi, prima della sentenza stessa, non sussite per il lavoratore alcuna facoltà di scelta e, di conseguenza, alcuna possibilità di esercizio dell’opzione”.
A seguito di licenziamento dichiarato illegittimo, un lavoratore, esercitava l’opzione per l’indennità sostitutiva in luogo della reintegra; quindi, in merito a tale titolo, chiedeva al Giudice del lavoro di Roma, decreto ingiuntivo avverso il datore, per il pagamento di circa 27mila euro, a titolo, appunto di indennità sostitutiva.
Il giudice di primo grado, accoglieva la richiesta; non la Corte di Appello, secondo la quale, il rapporto di lavoro era stato ripristinato durante la causa e proseguito anche dopo la sentenza che dichiarava illegittimo illicenziamento (infatti il lavoratore, licenziato nell’agosto del 98, invitato dal datore, aveva ripreso servizio nell’ottobre 99 fino al 31 dicembre 2001, quando era già intervenuta la sentenza del giudice del lavoro che dichiarava inefficace il licenziamento disponendola reintegra).
Pertanto, non poteva essere riconosciuta al lavoratore l’indennità prevista dall’art. 18 statuto lavoratori, in quanto, l’opzione prevista presuppone il difetto di presentazione al lavoro e, non è possibile quando il lavoratore abbia ripreso il servizio, manifestando così una volontà incompatibile con la rinunzia alla prosecuzione del rapporto di lavoro.
Per la Cassazione, invece, il diritto all’opzione tra reintegra ed indennità sostituiva non è intaccato dal fatto che il lavoratore abbia di fatto ripreso a lavorare durante lo svolgimento del processo. Tale diritto, matura solo all’esito di una sentenza favorevole.
Il comma 5 dell’art. 18 Statuto dei lavoratori, dispone che “Fermo restando il diritto al risarcimento del danno così come previsto al quarto comma, al prestatore di lavoro è data la facoltà di chiedere al datore di lavoro in sostituzione della reintegrazione nel posto di lavoro, un’indennità pari a quindici mensilità diretribuzione globale di fatto. Qualora il lavoratore entro trenta giorni dal ricevimento dell’invito del datore di lavoro non abbia ripreso il servizio, né abbia richiesto entro trenta giorni dalla comunicazione del deposito della sentenza il pagamento dell’indennità di cui al presente comma, il rapporto di lavoro si intende risolto allo spirare dei termini predetti”.
Secondo gli Ermellini, in sostanza: “Il lavoratore può esercitare la facoltà di chiedere al datore l’indennità di cui all’art. 18, co. 5, della legge 20.05.70 n. 300, solo dopo l’emanazione della sentenza che dichiara l’illegittimità del licenziamento e ordina la reintegrazione nel posto di lavoro, a nulla rilevando che nelle more del giudizio, aderendo all’invito del datore il lavoratore abbia ripreso il servizio, salvo che da tale reciproco comportamento delle parti possa desumersi che tra le stesse è intervenuto l’accordo, anche implicito, di ricostituzione del rapporto di lavoro.