A che punto siamo con la situazione societaria di Telecom? Facciamo il punto con Michele Azzola, segretario nazionale della Slc Cgil. “A settembre dello scorso anno Telefonica ha acquisito con una somma irrisoria (800 milioni) il controllo di Telco, la ‘scatola vuota’ che le garantisce di fatto il controllo di Telecom. L’ha fatto non puntando sull’Italia ma sui suoi interessi nei paesi sudamericani: Tim rappresenta oggi il principale competitor di Vivo, l’azienda di Telefonica in Brasile. C’è stata subito una reazione, che abbiamo probabilmente avviato noi con un’iniziativa che si chiamava Made for Italy, in cui abbiamo denunciato questo stato di cose. Ora c’è uno scontro all’interno della proprietà, con azionisti di minoranza di peso, primo tra tutti Fossati, con cui si sono alleati personaggi del calibro di Gamberale, e si è riaperta la discussione”.
La situazione non è scontata. “Intanto – spiega il segretario della Slc – si è blindato Tim Brasil. Oggi, per venderla, non è più possibile fare un blitz come è stato per Telecom Argentina. Siccome il conflitto d’interessi è ormai evidente, la vendita di Tim Brasil deve passare attraverso un comitato di indipendenti. Lo stesso capo azienda Patuano sta iniziando a lavorare su una proposta brasiliana che punta a fondere Tim Brasil, che si occupa del mobile, con una società della francese Vivendi, che si occupa del fisso. Questo va contro le strategie di Telefonica, cui l’antitrust brasiliano ha dato del resto 18 mesi di tempo per risolvere i suoi conflitti di interessi. E quindi Telefonica o riesce a far vendere Tim Brasil o è costretta a uscire da Telecom. La partita è aperta”.
L’interesse strategico. “Telecom è una grande azienda – ricorda Azzola –, ha più di 40mila dipendenti, ma soprattutto ha la rete. C’è un ritardo negli investimenti che porta il paese a bucare tutti gli impegni fissati dall’Agenda digitale europea. E se è vero che la vera riforma del paese passa attraverso la sua digitalizzazione, il danno potrebbe essere irreparabile. Per questo abbiamo più volte detto al governo: non potete dichiarare che Telecom è un’azienda privata come le altre; Telecom è un’azienda di interesse strategico perché è l’unico operatore in grado di sviluppare la rete di nuova generazione che serve a modernizzare il paese. Anche la nuova televisione 4K – che è la televisione del futuro – funzionerà solo via cavo perché ha bisogno di altissima definizione. Recentemente quel pezzo del mondo finanziario che fa capo al Fondo di investimenti strategico di Cdp e a Fossati ha dichiarato che nei mercati internazionali sono presenti ingenti risorse – cinque miliardi di euro – per ricapitalizzare Telecom, finalizzando queste risorse alla rete di nuova generazione. Poteva essere la soluzione a tanti problemi, con gli investimenti e il lavoro di cui il paese ha tanto bisogno. Ma non se ne fa ancora niente. Perché? La situazione è tale da far pensare male. Come tanti anni fa non s’è fatta la tv via cavo per il peso del duopolio di Rai e Mediaset, così anche oggi quel duopolio, ancora esistente, potrebbe bloccare la rete di nuova generazione”.
Per chiudere. “Si è discusso tanto, ed è un abbaglio clamoroso in cui spero non cada anche Renzi, di scorporare la rete da Telecom e di fare la società delle reti. Una sciocchezza – spiega Azzola –. Primo perché Telecom dovrebbe essere d’accordo (e non lo è). E poi perché, se nessun paese al mondo ha fatto la società delle reti, una ragione ci sarà, no? Oggi le cose funzionano perché – da noi come negli altri paesi – c’è un conflitto d’interessi tra la società che gestisce la rete e gli operatori che la utilizzano, con in mezzo un’agenzia di regolazione che stabilisce il livello giusto del costo di unbundling. Se ci fosse una società pubblica o parapubblica per le reti, e tutti gli operatori ne fossero fuori, a premere sul governo perché abbassi i prezzi, magari puntando sul ricatto occupazionale, quanto durerebbe quell’azienda prima di diventare un carrozzone, con tutti i profitti ai privati e tutte le spese al pubblico?”.