di Pier Luigi Tolardo
Zeus News
Con lo scorporo della rete, la parte rimanente di Telecom verrebbe declassata dalle agenzie di rating, diventando di fatto una ''bad company''.
La rete di Telecom Italia deve essere ceduta alla Cassa Depositi e Prestiti a un prezzo che la Cassa individuerebbe in 8 miliardi di euro e Bernabè intorno ai 13 miliardi di euro. A volerlo sono gli azionisti - Intesa San Paolo, Mediobanca, Generali - che hanno disperatamente bisogno di rientrare da un investimento che ritengono pessimo.
In questo modo la CDP, che già controlla la rete del gas della SNAM e la rete elettrica di Terna (ex Enel) diventerebbe una sorta di IRI delle reti del terzo millennio. Allo stesso tempo il governo darebbe così respiro a Mediobanca e a Intesa: in pratica ricapitalizzerebbe con i soldi del risparmio postale, gestito dalla CDP, le più grandi istituzioni bancarie del Paese, e ciò avverrebbe senza incappare nel no delle autorità europee di Bruxelles, contrarie a un maggiore debito pubblico e agli aiuti di Stato alle imprese private.
Una volta che gli azionisti di Telecom Italia avranno avuto ciò che ritengono il giusto, il destino di ciò che a quel punto resterebbe dell'azienda non interessa per niente.
Oggi il debito di Telecom è garantito dalla rete ma, se questa viene meno, le grandi agenzie di rating che già hanno declassato Telecom a un livello appena superiore a quello dei junkbond, cioè a poca distanza dai titoli spazzatura, dichiarerebbero l'azienda tecnicamente fallita, al di là del fatto che i suoi manager portino o meno i libri contabili in tribunale o chiedano la Prodi bis.
Accadrebbe insomma di nuovo quello che è successo a Seat, che è stata "la regina della Borsa italiana" fino al 2000 per poi essere distrutta dall’indebitamento e ora è tanto boccheggiante da essere arrivata sull’orlo del default nelle scorse settimane.
Il giorno successivo allo scorporo Telecom Italia diverebbe quindi una "balena spiaggiata" con 20.000 dipendenti di troppo: la pallida ombra di quello che fu.