Le donne lavoratrici in gravidanza, qualora siano dipendenti, sia del settore privato che di quello pubblico, hanno diritto ad un periodo di astensione obbligatoria per maternità, ovvero un periodo retribuito di assenza dal lavoro, della durata di 5 mesi, più altri periodi facoltativi.
Astensione obbligatoria
L’astensione obbligatoria riguarda il periodo che intercorre tra i due mesi antecedenti al parto ed i tre mesi successivi. Tale diritto della madre costituisce un obbligo, per i datori di lavoro, sia privati che pubblici.
In alternativa, l'astensione dal lavoro può essere attuata, a scelta dell'interessata, per 1 mese prima del parto e i 4 successivi. In questo caso, è necessaria una "certificazione di flessibilità al congedo di maternità", attestante che tale scelta non pregiudica la salute della gestante e del bambino, rilasciata da un ginecologo del SSN sia un medico competente per la salute nei luoghi di lavoro.
In caso di parto prematuro, si possono aggiungere ai 3 mesi successivi al parto stesso i giorni di astensione obbligatoria non goduti prima dell'evento, nel limite massimo di 5 mesi, a condizione che ci sia stata comunque effettiva astensione dal lavoro.
Lo stesso diritto è esteso anche al padre, purché dipendente, nel caso non ne possa usufruire la madre, in quanto non dipendente.
Prima dell’inizio dell’astensione obbligatoria, la lavoratrice deve presentare al datore di lavoro e all’INPS 2 documenti:
- la domanda di corresponsione dell’indennità di maternità, precisando la data di inizio dell’astensione obbligatoria;
- il certificato medico di gravidanza, redatto su un apposito modulo in dotazione alla Asl.
È possibile richiedere alla Direzione provinciale del lavoro l’astensione anticipata dal lavoro fin dall’inizio della gestazione, in caso di:
- gravi complicazioni della gestazione;
- condizioni di lavoro o ambientali pregiudizievoli alla salute della donna e del bambino;
- impossibilità di spostare la lavoratrice a mansioni meno disagevoli.
Congedo parentale
Sia la lavoratrice madre che il lavoratore padre, anche congiuntamente, hanno diritto ad astenersi dal lavoro, successivamente all’astensione obbligatoria, per un periodo complessivo di 10 mesi, anche non consecutivi, con un limite di sei mesi per ciascun genitore, nei primi otto anni di vita del bambino.
Per tutto il periodo di astensione obbligatoria, la lavoratrice ha diritto ad una indennità giornaliera pari all’80 per cento della retribuzione globale media giornaliera percepita nel periodo precedente a quello in cui ha avuto inizio l’astensione. In tutti i casi di astensione facoltativa, l’importo dell’indennità di maternità è pari al 30 per cento della retribuzione.
Dal punto di vista previdenziale, il periodo di astensione obbligatoria per maternità è considerato utile sia per il diritto che per la misura di tutti i trattamenti pensionistici.
Il datore di lavoro deve concedere alle lavoratrici madri, durante il 1° anno del bambino, 2 permessi di riposo di 1 ora, anche cumulabili durante la giornata.
Entrambi i genitori possono assentarsi anche in caso di malattia del bambino, fino al compimento dell'8° anno di vita. Nei primi 3 anni di vita, non ci sono limiti, mentre dopo, fino all'8° anno, sono concessi 5 giorni all’anno per ciascun genitore.
La madre lavoratrice (o il padre, se può godere dei medesimi diritti) non può essere licenziata, per un periodo che va dall’inizio del periodo di gestazione fino al compimento di 1° anno di età del bambino.
Le donne in gravidanza e le madri fino a 7 mesi dopo il parto sono anche esonerate da compiti gravosi ed insalubri, quali ad esempio il trasporto e sollevamento di pesi.
La materia è regolata dalla legge 1204/1971 e dalla legge legge 53/2000.
Interruzione della gravidanza
Nei casi di interruzione spontanea o terapeutica della gravidanza, successivamente al 180° giorno della gestazione, viene prevista la facoltà per la lavoratrice di riprendere in qualunque momento l'attività lavorativa. Tuttavia è necessario che un medico specialista (medico di famiglia) e il medico competente (per la sicurezza lavoro) attestino che il rientro anticipato non arreca pregiudizio allo stato di salute.