22 dicembre 2013

Mandare a quel paese il proprio capo

Il dipendente deve rispettare l'azienda in cui lavora, onorando il contratto ed evitando di danneggiare l'immagine del datore anche all'esterno dell'impresa, ma a sua volta ha il diritto ad essere rispettato dalla gerarchia interna dell'ufficio, come persona e come lavoratore. La raccolta di sentenze di legittimità degli ultimi due anni mostra chiaramente i cardini su cui la Corte di Cassazione ha costruito la giurisprudenza "d'ufficio", regole che valgono sia nell'ambito del lavoro pubblico sia nel privato. Con le peculiarità del caso: così il mobbing, che pure deve consistere in un comportamento di emarginazione continuato ai danni del dipendente da parte della struttura gerarchica - e deve durare da almeno sei mesi per essere tale - nel "pubblico" può sfumare nell'abuso d'ufficio se il funzionario viene discriminato solo perchè "troppo indipendente" e insensibile ai condizionamenti della politica. Negli ultimi tempi i giudici, sempre nel solco della "democrazia" d'ufficio, hanno ritenuto giustificabile la reazione del dipendente che, continuamente rimproverato dal superiore, si rivolta mandandolo letteralmente a... quel paese: sempre che la reazione sia proporzionata al torto subìto.