05 settembre 2012

Mobbing: cos’è e come difendersi - Aggiornamento settembre 2012 -


Dato le continue richieste su chiarimenti, procedure e normative legali, riproponiamo in maniera aggiornata (2012) e precisa una mini relazione sul mobbing
Di Maria Monteleone
Spesso invocato a sproposito, ancor più spesso subìto in servile silenzio: cos’è davvero il mobbing e quando la legge offre tutela al lavoratore? Il mobbing è il sintomo di quel lato patologico delle attuali relazioni sociali e lavorative, un fenomeno spesso taciuto per vergogna o per paura di ritorsioni. Secondo le stime più recenti, su 21 milioni di lavoratori italiani, le vittime del mobbing ammontano a circa un milione e mezzo [1].
Vediamo dunque cos’è il mobbing, quali sono le cause, le conseguenze e i rimedi.
Cos’è il mobbing
Il termine “mobbing” deriva dall’inglese “to mob”, che significa assediare, attaccare. Tradotto nell’ambito lavorativo, indica le pratiche vessatorie, aggressive e persecutorie, più o meno gravi, poste dal datore di lavoro e/o dai colleghi (mobber) nei confronti di un lavoratore (mobbizzato).
Secondo i giudici, il mobbing si configura quando il datore di lavoro e/o i suoi colleghi pongono in essere, nei confronti del lavoratore:
1) una serie di comportamenti ostili, reiterati e protratti nel tempo
2) volti a realizzare forme di prevaricazione o di persecuzione psicologica nei confronti del lavoratore
3) con conseguente mortificazione morale e l’emarginazione del dipendente, con effetto lesivo del suo equilibrio fisiopsichico e del complesso della sua personalità [2].
A seconda del soggetto che pone in essere il mobbing si distingue tra:
- mobbing verticale (o bossing), perpetrato dal datore di lavoro o dai superiori gerarchici nei confronti del dipendente, attraverso lo sfruttamento della propria posizione di superiorità, non solo economica;
- mobbing orizzontale, praticato dai colleghi di pari grado gerarchico.
Al contrario di quanto comunemente si crede, il mobbing non è solo quello del superiore ai danni del lavoratore, ma è anche quello dei lavoratori nei confronti dei “capi”. A riguardo si parla di mobbing ascendente, praticato dai dipendenti che si coalizzano contro il datore di lavoro o i superiori gerarchici, con attacchi di ribellione eccessivi e non sorretti da adeguate motivazioni, con conseguenti danni, economici e non, all’azienda.
Quali sono le condotte tipiche di mobbing
Svariate sono le condotte in cui può concretizzarsi il mobbing. Ecco le più frequenti:
- aggressioni e rimproveri verbali frequenti e non giustificati, spesso a scopo di umiliazione. Nei casi più gravi, tali comportamenti possono configurare i reati di ingiuria e diffamazione;
- offese, pettegolezzi e critiche sul lavoratore (sul suo modo di lavorare, di vestire, ecc.) oppure sulla sua famiglia;
- ossessivi controlli medico-fiscali nelle prime assenze;
- ingiustificato diniego di ferie e permessi;
- demansionamento e dequalificazione professionale del dipendente, volto a ridurne fortemente l’autostima e bloccarne la carriera;
- sovraccarico di lavoro, con continuo spostamento di mansioni e/o trasferimenti, con conseguente instabilità e ripercussioni sulla vita sociale, familiare e sulla salute del dipendente;
- revoca ingiustificata di benefits aziendali (cellulare, auto, computer ecc.);
- isolamento del lavoratore in sedi o in luoghi di lavoro deserti o angusti;
- ripetute sanzioni disciplinari non necessarie;
- molestie sessuali.
Alcuni di questi comportamenti sono puniti anche se posti sporadicamente, in quanto costituiscono già di per sé un illecito civile o penale (ad es. le molestie). Altri, invece, pur se consistenti in condotte isolatamente lecite, sono sanzionati perché inseriti in un disegno globale, volto alla mortificazione e persecuzione del dipendente e quindi da considerarsi mobbing (per es. rimproveri e controlli insistenti, reiterati e non giustificati).
Le condotte di mobbing, nella maggior parte dei casi, sono finalizzate a isolare il lavoratore, ad escluderlo dall’ambito lavorativo e a provocarne così l’allontanamento spontaneo o meno (rispettivamente: dimissioni o licenziamento disciplinare) [3].
Si tratta in ogni caso di condotte idonee a ledere più o meno fortemente la dignità e la personalità del lavoratore. L’effetto negativo sulla salute psico-fisica del lavoratore è tanto più incisivo quanto più la condotta è grave (si pensi alle molestie sessuali), reiterata nel tempo e quanto più è elevato il numero di mobbers che si accaniscono contro il lavoratore o, semplicemente, che restano in silenzio di fronte ai comportamenti vessatori.
Cause del mobbing
Le cause delle pratiche vessatorie nei confronti dei colleghi o dei dipendenti possono essere le più svariate e spesso si identificano con elementi psicologici interni di difficile individuazione: invidia, gelosia, senso di superiorità e di potere, sentimenti di astio o antipatia.
In alcuni casi il mobbing può derivare da differenze di sesso, razza o religione o da una cattiva gestione aziendale. Talvolta è il frutto di una deliberata politica dell’imprenditore che, durante una crisi finanziaria, crede così di poter indurre i lavoratori ad andarsene spontaneamente.
Conseguenze del mobbing
Il mobbing può provocare seri danni alla salute psico-fisica della vittima, danni che variano a seconda del tipo di condotta e della predisposizione e sensibilità del soggetto che la subisce. Le conseguenze psicologiche riscontrate nella maggior parte dei lavoratori sottoposti a mobbing sono: ansia, depressione, disturbo dell’adattamento (DDA), calo dell’autostima, difetto di comunicazione con gli altri, tendenza all’isolamento, impotenza sessuale e sofferenze psicologiche e fisiche di vario tipo.
Per dirla con le parole di un grande studioso della materia [4], il mobbing è una forma di “terrorismo psicologico” che può provocare “una vera e propria catastrofe emotiva” nella vittima.
Qualora le condotte vessatorie incidano sulla carriera del lavoratore (per es. spostamenti continui, demansionamento), il mobbing comporta anche danni patrimoniali risarcibili nei modi che a breve si diranno.
Tutela civile
La vittima di mobbing è tutelato dal nostro ordinamento.
Non esiste però una legge appositamente dedicata al mobbing, ma solo singole disposizioni contenute nel codice civile, penale e in leggi speciali che garantiscono il ristoro della vittima.
Con riguardo alla tutela civile occorre distinguere tra tutela contrattuale e tutela extra contrattuale.
A) La tutela contrattuale (che tutela il lavoratore nell’ambito del contratto di lavoro con il datore) si sostanzia in vari precetti.
Emerge, innanzitutto, l’obbligo del datore di lavoro di adottare, nell’esercizio dell’impresa, tutte le misure idonee a tutelare l’integrità fisica e la personalità morale dei lavoratori [5].
Con riferimento al mobbing, ciò significa che il datore deve, non solo evitare di porre in essere condotte vessatorie verso i propri dipendenti, ma anche vigilare affinché non siano altri lavoratori o superiori gerarchici a tenere tali condotte.
Il datore ha, dunque, l’obbligo di fare il possibile per assicurare un ambiente lavorativo sicuro e sereno, in cui non risultino offese la dignità e la personalità dei lavoratori. Deve prevenire e sanzionare, esercitando il proprio potere disciplinare, tutti quegli atteggiamenti che rendano insostenibili le condizioni di lavoro in azienda. Diversamente, egli è responsabile nei confronti del lavoratore/i danneggiato/i [6].
Un’altra tutela per il lavoratore è nel caso di demansionamento o dequalificazione professionale. In particolare, il dipendente non può essere assegnato a mansioni inferiori rispetto a quelle per le quali è stato assunto [7]. Ciò vale sia se gli venga assegnata una qualifica più bassa, sia se – immutata la qualifica professionale – venga assegnato a compiti che, nella sostanza, sono da considerarsi di livello inferiore.
Se il datore di lavoro viola tale divieto, il lavoratore può chiedere al giudice di dichiarare la nullità dell’atto di assegnazione a mansioni inferiori e di essere reintegrato nelle mansioni precedentemente svolte o in mansioni equivalenti.
B) La tutela extracontrattuale, invece, protegge il lavoratore dai danni ingiusti subiti per colpa o dolo del datore o di colleghi, verificatisi indipendentemente dall’esistenza di un rapporto di lavoro [8].
La responsabilità extracontrattuale del datore di lavoro sussiste tutte le volte in cui dalla medesima violazione derivi una lesione di diritti del lavoratore intesa come persona, oppure indipendentemente dal rapporto di lavoro (lesione dei diritti personalissimi, della integrità psicofisica, del diritto alla salute e così via).
In questi casi il lavoratore potrà esperire entrambe le azioni: sia quella contrattuale che quella extracontrattuale. Il risarcimento può consistere nel:
- danno patrimoniale: qualora gli atti vessatori abbiano ripercussioni sul suo patrimonio o comunque sulla sua condizione economica (per es. demansionamento e riduzione della retribuzione);
- danno biologico: qualora gli effetti negativi ricadano sulla sua salute psico-fisica (per es. molestie sessuali e psicologiche);
- danno morale: qualora la condotta del mobber leda la sua dignità e personalità (per es. tramite offese).
Affinché il lavoratore possa chiedere tutela in tribunale è necessario che provi:
- l’esistenza della condotta di mobbing,
- la colpa o il dolo del mobber nel tener tale condotta
- il verificarsi di un danno ingiusto (patrimoniale, biologico, morale) come conseguenza della condotta stessa.
Tale onere probatorio è particolarmente gravoso in quanto spesso è difficile per la vittima di mobbing dimostrare il danno (per es. una lesione alla salute psichica può manifestarsi solo dopo tanto tempo) oppure, ancora peggio, dimostrare il verificarsi delle condotte di mobbing (per es. i testimoni si rifiutano di parlare perché temono ritorsioni del mobber).
Tutela penale
La tutela penale giunge in soccorso al mobbizzato solo quando la condotta di mobbing integri gli estremi di un reato. I casi più frequenti si hanno quando:
1) gli atteggiamenti umilianti del mobber configurino i reati di ingiuria e diffamazione [9] poiché ledono il decoro e la reputazione della persona;
2) le condotte persecutorie si accompagnano al reato di violenza privata [10] o di lesioni personali colpose [11];
3) il mobbing consista o si accompagni a molestie sessuali. Per molestie sessuali deve intendersi non solo la violenza sessuale vera e propria [12], ma anche i corteggiamenti indesiderati e le “proposte indecenti”. Secondo la Cassazione [13] si tratta di uno dei fenomeni più detestabili che possono verificarsi sul luogo di lavoro, per la loro forte capacità di ledere l’integrità psico-fisica della vittima.
Come si evince da questa seppur semplice analisi, il mobbing interessa svariate discipline, tra cui la psicologia, la sociologia, il diritto e la medicina del lavoro. Le ragioni di tale interesse risiedono nel fatto che esso colpisce le parti più delicate della persona: la sua dignità e il suo vivere relazionandosi con gli altri.
[1] Il fenomeno è più presente al Nord (65%) e colpisce maggiormente le donne (52%). Le categorie più esposte risultano gli impiegati (79%) e i diplomati (52%). Nell’Unione europea le persone vittime di vessazioni sul posto di lavoro sono circa 12 milioni, pari all’8% degli occupati. In testa alla classifica dei Paesi dove più numerosi sono i casi di mobbing si pone l’Inghilterra (16,3%), segue poi la Svezia (10,2%), la Francia (9,9%), Irlanda (9,4%), la Germania (7,3%). Il dato positivo è che l’Italia, con il suo 4%, si pone al di sotto della media europea (fonte dati: ISPESL – Istituto per la prevenzione e la sicurezza del lavoro-, 2008).
[2] Cons. Stato, sent. n. 14/2012.
[3] “La sussistenza di condotte mobbizzanti deve essere qualificata dall’accertamento di precipue finalità persecutorie o discriminatorie, poiché proprio l’elemento soggettivo finalistico consente di cogliere in uno o più provvedimenti e comportamenti, o anche in una sequenza frammista di provvedimenti e comportamenti, quel disegno unitario teso alla dequalificazione, svalutazione, emarginazione del lavoratore pubblico dal contesto organizzativo nel quale è inserito imprescindibile ai fini dell’ enucleazione del mobbing.” (Cons. Stato Sez. IV, 16/02/2012, n. 815).
[4] Il riferimento è a Heinz Leymann, lo studioso tedesco che, tra i primi, si è interessato dell’indagine sulle cause e le conseguenze del mobbing. Egli lo definisce come “una forma di terrorismo psicologico cheimplica un atteggiamento ostile e non etico posto in essere in forma sistematica da uno opiù soggetti, di solito nei confronti di un unico individuo che, a causa di tale persecuzione, siviene a trovare in una condizione indifesa e diventa oggetto di continue attività vessatorie epersecutorie che ricorrono con una frequenza sistematica e nell’arco di un periodo di temponon breve, causandogli considerevoli sofferenze mentali, psicosomatiche e sociali”.
[5] Art. 2087 cod. civ.
[6] In questo caso la responsabilità del datore di lavoro non ha carattere oggettivo e viene pertanto meno quando questi riesca a dimostrare che egli aveva fatto il possibile per evitare il danno all’integrità psico fisica del lavoratore e che il mobberha posto in essere la sua condotta illegittima attraverso comportamenti eccezionali e nonprevedibili.
[7] Art. 2103 cod. civ.
[8] Art. 2043 cod. civ.
[9] Artt. 594 e 595 cod. pen.
[10] Art. 610 cod. pen.: il reato di violenza private punisce chi, con violenza o minaccia, costringe gli altri a fare, tollerare o non fare qualcosa.
[11] Art. 590 cod. pen.
[12] Art. 609 bis e ss. cod. pen.
[13] C. Cass. sent. n. 143/2000.