Il sindacalista preoccupato per le sorti dell'azienda minacciata dai tagli puo' reagire con il datore di lavoro dandogli dello 'sbruffone'. Parola di Cassazione che ha convalidato l'illegittimita' del licenziamento inflitto ad Angelo C., dipendente sindacalista della Security Corps nella capitale, che si era visto licenziare dopo essersi rifiutato di ricevere la documentazione relativa alla procedura di mobilita' e dopo avere reagito con l'amministratore unico della societa', dandogli appunto dello 'sbruffone'.
Secondo la sezione Lavoro (sentenza 15165), il sindacalista giustamente era stato reintegrato dal momento che la Corte di merito aveva evidenziato come "il comportamento contestatogli non aveva determinato un danno d'immagine, come supposto dalla parte datoriale, e aveva escluso che la sanzione inflitta potesse considerarsi proporzionata all'addebito".
Inutile il ricorso del'azienda contro la decisione della Corte d'appello di Roma - novembre 2009 - volto a dimostrare che l'atteggiamento di Angelo C. dimostrava "avversione e conflittualita'". La Suprema Corte ha repinto il ricorso dell'azienda e ha sotttolineato che il licenziamento inflitto al dipendente sindacalista "non era sorretto da giusta causa o da giustificato motivo". Quanto poi all'espressione utilizzata, pure censurabile "sul piano disciplinare", era inquadrabile nell'ambito "di una aspra protesta istintiva che il dipendente aveva manifestato nella sua veste di sindacalista a fronte di scelte imprenditoriali di riduzione di personale e in un momento di particolare conflittualita' tra le parti".