17 dicembre 2012

BARBARA APUZZO: SEMINARIO LE DONNE CAMBIANO…LA CONTRATTAZIONE

INTERVENTO DI BARBARA APUZZO 
Quando ho cominciato ad immaginare, una decina di giorni fa, di dovervi raccontare la vertenza di cui vi parlerò tra un attimo, ho provato un certo disagio per il fatto di essere costretta rappresentare, anche se senza alcuna complicità da parte della SLC CGIL, una “cattiva pratica” di contrattazione.
L’azienda è Poste Italiane e il tema, non potrebbe essere più attuale, è quello del Premio di risultato.
Fortunatamente però, il mio racconto oggi ha un lieto fine, dal momento che, esattamente una settimana fa, siamo usciti fuori da un incubo.
Dico incubo non a caso.
Non mi viene infatti in mente altro termine per definire il periodo in cui Poste Italiane, un’azienda grande e lunga come l’Italia, con 140 mila dipendenti, di cui il 53% è donna, titolare del cosiddetto “Bollino Rosa S.O.N.O - Stesse Opportunità Nuove Opportunità” assegnatole dal Ministero del Lavoro e della Previdenza Sociale quale riconoscimento per essere una delle aziende italiane che - (cito testualmente) - si “pongono l’obiettivo di comprendere il fenomeno dei differenziali retributivi e di valorizzare la presenza femminile nei contesti lavorativi”;
la stessa azienda che da 9 anni consecutivi continua a registrare, anche al tempo della crisi, bilanci in utile per centinaia di milioni di euro…
ebbene, questa azienda aveva deciso, con un accordo separato siglato a luglio di quest’anno, di non pagare una parte del premio di risultato alle donne in astensione obbligatoria per maternità.
Le future mamme però, godevano di buona compagnia… insieme a loro infatti, azienda e
4 oo.ss. avevano deciso di escludere dal bonus presenza anche gli infortunati, i fruitori dei permessi previsti dalla Legge 104 per l’assistenza a portatori di handicap o malati gravi e persino i donatori di sangue, senza tuttavia dimenticare coloro che decidono di esercitare il proprio dissenso o pensano di rivendicare qualcosa aderendo ad uno sciopero.
Una sorta di selezione sociale della specie, fatta principalmente di ciò che di più debole può esserci dentro l’azienda.
Questa era fino ad una settimana fa la platea di lavoratrici e di lavoratori privati di 140 euro perché colpevoli del fatto di aver rispettato la legge non andando al lavoro ad esempio oltre l’ottavo mese di gravidanza
o dopo essersi fatti male, magari cadendo da uno scooter non perfettamante sicuro mentre si consegna la posta.
Fuori da quest’incubo dicevo, perché pochi giorni fa questa ingiustizia è stata sanata
ed io penso che a stringere quella penna che rimetteva le cose a posto ci siano state migliaia di donne, di lavoratrici, di persone che hanno provato un brivido quando hanno capito se se questo poteva succedere alle Poste, allora poteva accadere ovunque.
Su questa consapevolezza ha gravato per noi una grande responsabilità.
Una responsabilità tale da spingerci, dopo uno scontro feroce, a rompere i rapporti con altre organizzazioni sindacali e, soprattutto, con l’azienda che ha immaginato, seppur solo per qualche mese, di fare di Poste Italiane l’incubatrice della discriminazione sessista e sociale.
L’accordo arriva infatti dopo mesi di grandi battaglie, mesi in cui la SLC CGIL ha lottato con tutte le sue forze per difendere la condizione delle future mamme, per le quali l’assenza prevista dalla legge veniva impropriamente paragonata ad un’assenza per malattia…E come si dovrebbe chiamare allora una lavoratrice incinta?! “Portatrice sana di vita”?!
Non sembra neanche una malattia così terribile!
Ma anche per tutelare coloro che, subito un infortunio sul lavoro erano considerati assenti come fossero in gita da qualche parte per diletto;
ci siamo indignati e abbiamo denunciato il tentativo di considerare i fruitori di Legge 104 come degli “assenteisti di professione”,
così come abbiamo considerato inaccettabile il fatto che donare il proprio sangue per salvare una vita umana dovesse “costare” ad un lavoratore 140 euro.
Abbiamo fatto dunque un lungo cammino, determinando ferme prese di posizione da parte delle associazioni che rappresentano alcune delle categorie coinvolte, come nel caso dei donatori di sangue, così come abbiamo portato l’inaccettabile questione della discriminazione per le lavoratrici assenti per maternità all’attenzione del Ministro Fornero, provocando una sua presa di posizione a favore di quanto sostenevamo.
Con l’accordo sottoscritto venerdì scorso tutto questo viene recuperato, a partire dall’odioso tentativo di applicare quelle condizioni in maniera retroattiva per il 2011.
I 140 euro di bonus presenza verranno pagati dunque con le competenze di dicembre senza nessuna discriminazione.
Per il 2012 e il 2013 abbiamo ottenuto l’eliminazione di questa odiosa voce dal sistema premiante. I milioni di euro  recuperati saranno dunque spalmati sul montante complessivo del premio (che non prevede le penalizzazioni previste dal Super Bonus), con un aumento strutturale di 50 euro per ogni anno sul livello C (nessun aumento era previsto nell’accordo precedente).
Eliminate dunque tutte le penalizzazioni a carico dei soggetti più deboli, si recupera anche la grave e pericolosa stortura che prevedeva che il bonus non venisse riconosciuto alle lavoratrici e ai lavoratori che avessero aderito anche ad una sola giornata di sciopero, costituendo così un pericoloso precedente in cui, con il salario, si tentava di condizionare la libera espressione dei lavoratori.
Questo il lavoro fatto al tavolo.
Perché l’idea che la misurazione della presenza ai fini del riconoscimento del PDR potesse penalizzare in maniera particolare le donne è stata respinta con fermezza assoluta fin dal primo istante.
Devo dirvi però, che questa battaglia probabilmente non l’avremmo vinta se non si fosse creata intorno a noi tanta solidarietà, attenzione e vicinanza da parte di tanti soggetti, a volte anche di estrazione e sensibilità politica profondamente diversa dalla nostra.
Tanti hanno infatti compreso e supportato le ragioni del nostro conflitto, dalla Consigliera Nazionale di Parità, alle donne, quasi tutte, di Camera e Senato, fino ad arrivare al Ministro Fornero che, questa volta, forse l’unica, ha trovato il modo per stare dalla parte giusta.
E poi, ovviamente, la Confederazione, che ha accompagnato e sostenuto in ogni momento la nostra lotta.
Vedete, tutto questo ci deve dire una cosa.
Ci deve far comprendere che una trattativa non è mai solo un fatto tra due parti.
E’ anche un modo per declinare costumi, abitudini e comportamenti di un paese.
Quando si crea il vulnus?
Quando si scade nel neocorporativismo?
Quando la tecnica si sostituisce ad una rappresentanza completa della società.
E allora, anche di fronte a situazioni come questa, risulta evidente quanto sia importante fare rete, quanto siano importanti i movimenti come “se non ora quando”, che in un momento particolarmente buio ha dato una scossa forte al nostro paese,  risvegliando coscienze sociali solo apparentemente sopite.
Lo dico perché sono convinta che nella vicenda di Poste Italiane se fossimo stati solo noi e loro avremmo già perso.
La nostra capacità di intrecciare rapporti e di costruire relazioni con pezzi importanti della società ha finito invece per accerchiare persino un’azienda come questa, costringendola  a firmare un nuovo accordo che, fatto assai insolito nella storia della contrattazione italiana, modifica profondamente ampie parti di quello in vigore.
Oggi le lavoratrici delle Poste possono riconoscere dunque anche ad altri soggetti, in questo caso prevalentemente donne, il merito di aver fermato una macchina da guerra nel punto più alto dello scontro, così come tante altre lavoratrici e tanti altri lavoratori possono e potranno sostenere le loro ragioni perché alle Poste è stato riparato un torto. E a mio avviso si tratta di un fatto non di poco conto.
Infine, non provo disagio a dirlo, anche perchè il contesto in cui mi trovo mi aiuta a farlo, un’altra cosa è importante sottolineare:
qualche donna in più in trattativa, può fare la differenza, perchè a volte può concretamente per cambiare le cose.
Oggi quell’accordo separato, siglato tra soli uomini, è diventato una buona pratica.
Un’ultima considerazione. Io sono convinta che la condivisione dell’avviso comune di cui parlava Elena Lattuada nella sua relazione introduttiva vada assolutamente ricercata, perché è necessario fissare sul tema della maternità in relazione al PDR paletti che indichino responsabilità precise.
L’azienda di cui ho parlato non è un piccolo call center, magari uno di quelli in cui non viene applicato neanche il CCNL, ma è la maggiore “azionista” – lasciatemi passare il termine – di Confindustria.
Per questo aggiungo, qualche risposta più netta e decisa da parte di chi rappresenta qui, oggi, la principale organizzazione rappresentativa delle imprese, sarebbe stata sicuramente utile.