28 febbraio 2014

DOCUMENTO POLITICO V CONGRESSO SLC CGIL CATANIA


La COMMISSIONE POLITICA del V Congresso Provinciale della SLC CGL di Catania condivide i contenuti della relazione del Segretario Generale uscente Davide Foti e le conclusioni del Segretario Nazionale Michele Azzola.
Le istanze emerse durante il dibattito congressuale vengono integralmente recepite e impegnano il sindacato a mettere in campo tutte le iniziative necessarie per la loro attuazione.
E’ prioritario garantire la libertà e la pluralità dell’informazione e la trasparenza nella gestione delle attività culturali, siano esse di tipo lirico, teatrale, cinematografico, giornalistico e televisivo e in tutte le altre forme di espressione.
Nell’ambito di uno sviluppo equo e sostenibile è fondamentale promuovere nel territorio la creazione di nuove infrastrutture e tecnologie digitali (ICT Information, Communication & Tecnology) in grado di renderlo più fruibile ai cittadini e capace di attrarre investimenti.
Si ritiene importante perseguire ad ogni livello di contrattazione le problematiche di sicurezza e salute nei luoghi di lavoro recependo quanto contenuto nella recente piattaforma unitaria sulla sicurezza.
INOLTRE
Reputa fondamentale l’impegno della Categoria nell’elaborazione di politiche e azioni tese a preservare e sviluppare l’occupazione e ad arginare il fenomeno delle delocalizzazioni, esternalizzazioni, societarizzazione e del dumping territoriale e contrattuale.
Occorre infine porre la massima attenzione alle nuove forme di comunicazione ed informazione che utilizzano il web come piattaforma multimediale. Nuove figure professionali emergono da questa realtà che non trovano collocazione nelle forme contrattuali tipiche del lavoro proseguendo nel percorso tracciato dalla SLC CGIL Nazionale a favore dell’inclusività e a sostegno del diritto e delle libertà.
Catania, 28 febbraio 2014

LA COMMISSIONE POLITICA:
GIOVANNI SCIUTO - NATALE FALA’ - VALENTINA BORZI’- ROSAMARIA COSTANZO - SALVO MOSCHETTO - DESIREE ARENA - FRANCESCO SCUDERI


Davide Foti è il Segretario Generale Provinciale della SLC CGIL Catania


Oggi 28 febbraio 2014 è stato eletto come Segretario Generale della SLC CGIL Catania Davide Foti. Da parte di tutti noi vanno i più sinceri e sentiti auguri di buon lavoro nel segno della continuità e della grande lealtà morale ed intellettuale, che lo ha  contraddistinto da sempre.
La fase congressuale è iniziata ieri nella location del Teatro “Stabile” di Catania con l'esibizione di attori e musicisti che hanno così voluto rimarcare un no deciso ai tagli alla cultura. Ha proseguito il Segretario Generale uscente Davide Foti con una dettagliata relazione che a breve troverete per intero sul nostro sito. Oggi insieme a tutto il gruppo dirigente di Catania e con la partecipazione del Segretario Nazionale Michele Azzola si è proceduto alla continuazione dei lavori che è finita con la conferma e la rielezione  di Davide Foti come Segretario Generale della Slc catanese.  (A breve verranno pubblicati i documenti ufficiali del Congresso)


27 febbraio 2014

Congresso Slc Cgil Catania apertuta lavori ore 17

Oggi giovedì 27 febbraio alle ore 17, la prima giornata congressuale della SLC Cgil (il sindacato dei lavoratori della comunicazione) sarà aperta nella sede del Teatro Stabile di Catania in via Fava, con la relazione del segretario generale uscente, Davide Foti. Il congresso proseguirà l'indomani, venerdì 28 nella Sala "Russo" di Via Crociferi, a partire dalle 9,30. Concluderà i lavori il segretario nazionale Michele Azzola.
"La scelta di aprire il nostro congresso nel luogo simbolo della cultura catanese, qual è appunto il Teatro Stabile, deve essere letta come un segnale di grande fiducia nella ripresa di un settore - spiega Foti- che deve tornare ad essere centrale per la città e per la sua stessa economia. Crediamo infatti che di cultura si possa anche vivere e discutere in ambito di sviluppo territoriale"

Social card agli immigrati: Cgil e Inca avviano una diffida contro Inps, Poste e Ministero dell’economia.

Doveva essere una certezza  data per acquisita, ma così ancora non è. E' quanto denunciano Cgil e Inca in merito al mancato rispetto della norma contenuta nella legge di Stabilità che estende il diritto alla social card anche agli immigrati, regolarmente presenti nel nostro paese.
Nonostante la legge di Stabilità 2014 abbia previsto l'estensione del diritto alla social card agli immigrati più poveri, cittadini comunitari o extracomunitari titolari di una carta di soggiorno, ancor oggi viene di fatto impedito loro anche solo di presentare le domande.
L'Inps, incaricato di pagare il contributo di ottanta euro ai più bisognosi, e  le poste, che devono raccogliere le richieste, non avendo adeguato le procedure informatiche, di fatto, impongono una interpretazione della norma sbagliata, che nei fatti diventa discriminatoria, facendo sopravvivere il requisito del possesso della cittadinanza italiana, come conditio sine qua non.

Dopo le denunce di A.S.G.I. e dell'Inca, adesso arriva una formale diffida avviata dalla Cgil e dal suo patronato contro Inps, Poste e Ministero dell'Economia e delle Finanze, responsabili “dei mancati “adeguamenti procedurali – si legge nel documento – indispensabili alla piena rimozione della disparità di trattamento denunciata dalla Commissione europea e prontamente rimossa dal legislatore”.  La scelta di riconoscere il diritto a questa prestazione, infatti, non nasce da un atto di liberalità del nostro paese verso gli immigrati, ma da una procedura di infrazione aperta contro l'Italia dalla Commissione Europea (n. 2013/4009) che ha definito discriminatoria la decisione di destinare la misura di sostegno economico, prevista dall'articolo 81 del decreto legge 112/2008, solo ai cittadini italiani, imponendo alle istituzioni nazionali di correggere la norma.

Nella diffida, Cgil e 'Inca sottolineano quanto sia rilevante  il danno subito dagli utenti, privati come sono, del diritto a ricevere l'erogazione prevista dalla legge, senza neppure avere la possibilità di dimostrare, come sarebbe loro diritto, almeno la circostanza dell'avvenuta presentazione della domanda. “Detto in altri termini – si legge nella diffida -, il diritto a ricevere la social card, con riguardo alle mensilità già trascorse, rischia di essere pregiudicato in via definitiva, senza neppure la possibilità di ricorrere facilmente all'Autorità giudiziaria o di richiedere il rimborso degli arretrati in via amministrativa, non appena il disguido tecnico fosse risolto”.

Una prospettiva inaccettabile per Cgil e Inca che può essere evitata solo se Inps e Poste rimuoveranno con sollecitudine gli ostacoli applicativi, adeguando i software in loro dotazione, consentendo la presentazione delle domande e fornendo, attraverso l'emanazione di circolari, le istruzioni necessarie alle loro strutture. Per riparare ai danni già subiti dagli aventi diritto, sarebbe auspicabile anche che fosse garantito loro il riconoscimento della social card con effetto retroattivo, a partire dai mesi trascorsi durante i quali non hanno potuto usufruire dell'aiuto economico.

Per Cgil e Inca, che hanno già intrapreso altre azioni a difesa dei diritti dei cittadini e cittadine straniere in varie realtà territoriali, ogni ulteriore ritardo nell’aggiornamento delle procedure telematiche da parte di Inps e Poste, sarà oggetto di ulteriori ricorsi amministrativi e giudiziari.


“Il ghetto di Telecom Italia”: nel call center solo disabili o caregiver

La denuncia: in una struttura a Nord di Roma l’azienda ha concentrato i dipendenti che fruiscono della “104” perché disabili o assistenti di congiunti con disabilità. Cinque di loro fanno causa per violazione della legge e demansionamento, a marzo la prima sentenza
ROMA - “Il ghetto di Telecom Italia”: così lo hanno ribattezzato i dipendenti, trasferiti coattamente, circa un anno fa, in questo ufficio di via Oriolo Romano, a svolgere un lavoro di call center. Perché ghetto? Perché la maggior parte dei lavoratori trasferiti qui usufruisce della legge 104: in altre parole, o è disabile o presta assistenza a un parente con disabilità. A denunciare la situazione è Elena Lucà, mamma di un ragazzo di 14 anni. “Sono stati circa 350 i trasferimenti disposti dall’azienda in tutta Italia nello stesso settore: quasi tutti i lavoratori coinvolti hanno la 104. Dei circa 150 dipendenti destinati a via Oriolo Romano, ne usufruisce più della metà". In altre parole, la legge 104 è il denominatore comune di gran parte dei trasferimenti. "Eppure - spiega Lucà - fino a questo momento l’azienda aveva tutelato questa categoria di lavoratori”.
Ora, invece, sembrerebbe discriminarli, violandone anche i diritti previsti dalla stessa normativa, tra cui proprio la prossimità casa-lavoro. “Io abito in Prati e lavoravo sull’Aurelia, la sede più vicina. Ora è tutto molto più complicato. Ma la situazione è grave soprattutto per i lavoratori disabili. E poi, si è creato un luogo di lavoro allucinante, dove stanno insieme tante persone che stanno male, spesso con problemi mentali anche seri. Il tutto, senza neanche una comunicazione scritta”. Non solo, “la maggior parte di noi ha subito anche un demansionamento: io ero impiegata da 22 anni, ora mi ritrovo in un call center: peraltro ci hanno già anticipato che, tra circa un anno, il settore sarà esternalizzato e quindi tutti noi rischiamo di restare presto a casa”.
Violazione della 104 e demansionamento, quindi: due elementi sufficienti per mettere in piedi una causa, come hanno fatto alcuni lavoratori: “Cinque di noi si sono rivolti, ciascuno singolarmente, a un avvocato: tutti noi abbiamo la 104 per un minore. La prima sentenza è attesa per marzo – spiega Lucà – Se ci darà ragione, entro 90 giorni l’azienda dovrà trasferirci. Altrimenti procederemo per le vie legali”.


Donne vittime di violenza: 128 femminicidi nel 2013


La violenza sulle donne è un fenomeno che riguarda sempre più persone con un'età media elevata, sia nel caso delle vittime (dal 25 al 28 per cento si tratta di persone tra i 45 e 54 anni) che nel caso degli aggressori ( il 17 per cento ha tra 55e65 anni e il 10 percento è over65).
Oltre al dato anagrafico cresce anche il tempo di esposizione alla violenza: nel 20 per cento dei casi si tratta di violenze subite dai 5 ai dieci anni, ma c'è anche un alto numero di donne che subisce abusi da più di dieci anni: succede dal 16 al 19 per cento dei casi.
L'indagine, realizzata su un campione di 1504 donne che si sono rivolte all'assozione,  è relativa al 2013 quando sono state 128 le donne tra i 15 e gli 89 anni ad essere accoltellate, strangolate, soffocate e uccise da uomini, che nella maggior parte dei casi sono compagni, mariti, fratelli ma anche figli.
Secondo Telefono Rosa la violenza si continua a consumare all'interno della coppia e della famiglia nel corso di una relazione affettiva (fidanzamento, matrimonio e convivenza) nel 58 per cento dei casi o dopo la separazione (24 per cento). La violenza quindi rimane ben radicata nel contesto domestico e si manifesta in forme più o meno palesi, sempre più subdole e invisibili, e difficili da riconoscere: violenza psicologica (35 per cento) minacce (15 per cento) e stalking (6 per cento). Una particolare ripetitività (93 per cento) riguarda la violenza di tipo economico: impegni economici imposti, controllo e appropriazione del salario della donna.
L'80 per cento del campione indagato dall'indagine ha figli, nel 60 per cento dei casi minorenni. Un dato molto preoccupante è che nel 29 per cento di casi i bambini reagiscono contro il padre, fanno da scudo alla madre(17 per cento) o lo affrontano sullo stesso piano(12 per cento). A preoccupare l'associazione è questo fenomeno della violenza assistita da parte dei minori " dietro a ogni donna vittima di violenza c'è un figlio vittima della stessa violenza - sottolineano - dal nostro campione di 1504 vittime che si sono rivolte a noi emerge che il 31 per cento dei violenti ha alle spalle storie di padri violenti (63 per cento) e il 18 per cento delle donne è stata a sua volta vittima in contesti in cui era una volta la figura maschile (nel 62 per cento il padre, nel 10 per cento il fratello) ad esercitare la violenza". Altro dato allarmante riguarda la maternità: sale la percentuale di donne (dal 9 al 12 per cento) che situa l'inizio della violenza al momento della gravidanza o alla nascita dei figli.



L'assessore parla di "stipendio basso" La Cgil: "Si vergogni, pensi agli esodati"

"E' incredibile che un esponente del governo si lamenti del suo stipendio, di fronte al dilagare del disagio sociale, di fronte al fatto che ci sono migliaia di lavoratori senza neanche tutele sociali. Ci vorrebbe più senso della misura e certamente maggior buon gusto, evitando certe esternazioni". Elvira Morana, della segreteria della Cgil Sicilia, risponde così allle dichiarazioni dell'assessore regionale al lavoro, Ester Bonafede, in merito agli stipendi degli assessori tecnici. "Il governo e gli assessori tecnici - aggiunge Morana- dovrebbero occuparsi di risolvere, ad esempio, il problema degli esodati regionali della Resais (competenza dell'assessore alle attività produttive), che finiscono il periodo di mobiltà e sono fuori dalle nuove regole, quindi senza pensione nè retribuzioni. E' con questo mondo del lavoro in difficoltà, per il quale il governo dovrebbe adoperarsi, che l'assessore dovrebbe fare i paragoni, o almeno tacere. Non con i deputati regionali e i loro stipendi -conclude la sindacalista- rispetto ai quali certamente si sarebbe potuto fare di più in una logica di spending rewiew".

Ieri, durante i lavori all'Ars, la Bonafede ha sbottato: "E' un paradosso che un assessore regionale guadagni meno del suo capo di gabinetto, meno di un deputato e, in certi casi, perfino di un commesso? Eppure è così", ha detto riferendosi agli effetti della delibera applicativa della spending review in vigore dal primo gennaio. "Oltre ai tagli orizzontali - ha spiegato - gli assessori subiscono la tassazione dell'unica indennità percepita per intero. Così per quanto mi riguarda, il mio personale stipendio netto, con la tassazione al 44%, è di 5.440 euro mensili. Meno di quanto percepisca il mio capo di gabinetto o un semplice deputato, che non ha lo stesso carico di responsabilità di un componente del governo".
"L'attività dedicata al lavoro di assessore che non prevede pause e vacanze meriterebbe pertanto un riconoscimento economico proporzionato al lavoro svolto, ai risultati ottenuti e all'assunzione delle responsabilità connesse", aggiunge l'assessore Bonafede, chiarendo il senso della sue dichiarazioni. "Di conseguenza - prosegue - tutti gli assessori della giunta tecnica avvertono, dall'entrata in vigore della legge, di essere discriminati, perchè non viene riconosciuto loro nemmeno lo stesso trattamento dei deputati".


"Chiarisco che le mie dichiarazioni non vogliono sminuire il ruolo e l'importanza del lavoro svolto dell'apparato amministrativo e sicuramente non si vuole innescare una polemica su una riforma che nasce dalla volontà dell'Aula, ma semplicemente sottolineare che c'è una dissacrazione del ruolo del politico, e che non è attraverso la demagogia e la dissoluzione del ruolo ontologico della politica, che si ricongiunge il legame tra la questa e cittadino. Ciononostante, a prescindere dal riconoscimento economico ridotto, io e la giunta continueremo a svolgere il nostro lavoro con la stessa dedizione e lo stesso entusiasmo".

Il pasticciaccio della webtax


di Guido Scorza, avvocato esperto di diritto di Internet
Tra meno di 48 ore, l’Italia sarà il primo Paese in Europa nel quale chi vorrà comprare pubblicità online dovrà rivolgersi necessariamente a un fornitore di servizi dotato di partita Iva italiana. Sabato 1° marzo, infatti - salvo colpi di scena dell’ultim’ora, nel senso letterale del termine -  entrerà in vigore l’ormai nota webtax, la legge fortemente voluta da Francesco Boccia, presidente della commissione Bilancio della Camera dei Deputati che prevede, appunto, l’obbligo di acquistare servizi di advertising online solo da fornitori con partita iva italiana.
Quello che ci aspetta è uno scenario grottesco, figlio dell’improvvisazione e del pressappochismo con il quale il Parlamento prima e il Governo dopo hanno gestito una questione straordinariamente delicata sulla quale, nel resto del mondo, si studia e discute da anni.
E’ un giudizio severo ma è anche l’unico possibile su una vicenda che – anche a prescindere da ogni questione di merito – rappresenta un’innegabile sconfitta per tutti, Parlamento e Governo in testa.
Una storia cominciata male, proseguita nello stesso modo e destinata a finire peggio.
La storia è cominciata male perché non si sarebbe mai dovuto neppure ipotizzare di infilare una norma destinata a riscrivere le regole della fiscalità nei servizi online, quasi “a panino”, tra le pieghe di uno zibaldone normativo come la Legge di Stabilità, contro il parere negativo del Ministero dell’economia e del centro Studi della Camera dei Deputati. 
Eppure è esattamente quello che è accaduto.
Ma non basta, perché non saremmo dove siamo se, nel disperato tentativo di porre rimedio ad un pasticcio normativo figlio dell’ostinazione di un singolo parlamentare e delle influenze di pochi gruppi di pressione, il Governo – quello precedente di Enrico Letta – non avesse mancato di coraggio ed avesse abrogato, senza esitazioni, la norma con un apposito provvedimento.
Invece no. Il precedente Governo si è limitato ad infilare, ancora una volta “a panino”, in un altro zibaldone normativo come il c.d. Decreto Salva Roma, una manciata di caratteri per rinviare al 1° luglio l’entrata in vigore della webtax, nella segreta speranza che, frattanto, il problema sarebbe stato affrontato e risolto in Europa.
Ieri il colpo di scena, inaspettato ma non imprevedibile: il Decreto Salva Roma è decaduto per mancata conversione in legge e con esso è decaduta pure la previsione che avrebbe dovuto rinviare l’entrata in vigore della creatura dell’On. Boccia.
E ora? Lo scenario è davvero grottesco.
Da sabato saremo un Paese fuori legge, popolato da imprenditori anch’essi fuori legge. Sembra un paradosso ma non lo è.
L’Italia, sabato, con l’entrata in vigore della webtax violerà inesorabilmente il diritto dell’Unione Europea che stabilisce che una legge come quella in questione, prima di entrare di entrare in vigore, debba essere comunicata alla Commissione Ue alla quale devono essere lasciati novanta giorni per fare le proprie valutazioni.
Nessuna comunicazione, tuttavia, risulta partita da Roma per Bruxelles e se anche ciò fosse avvenuto, certamente, non sarebbe trascorso il termine di novanta giorni a disposizione della Commissione europea per formulare al nostro Paese rilievi e proposte di modifica.
Ma sempre da sabato decine di migliaia di imprenditori italiani dovranno scegliere tra smettere di comprare pubblicità da Google e gli altri gestori di circuiti di advertising internazionali o continuare a comprarla, violando la webtax e, dunque, divenendo autentici fuorilegge.
E, infatti, da escludere che – per di più senza un briciolo di preavviso – qualcuno dei giganti della pubblicità online, senza neppure esservi tenuto, chieda e ottenga una partita Iva italiana.
E’ la prima “bega digitale” che il neo Governo di Matteo Renzi si trova ad affrontare.
Solo l’Esecutivo, infatti, a questo punto può limitare i danni e arginare la figuraccia che ci aspetta in Europa, giusto alla vigilia del nostro semestre di presidenza.
Serve – e serve subito – un nuovo decreto legge con il quale la webtax venga definitivamente spedita in soffitta in attesa che della questione si occupi l’Europa magari forte proprio dei suggerimenti del nostro Governo che nel proprio semestre di Presidenza ben potrà imporla nell’agenda politica dei 28 Paesi dell’Unione.





Call center, il rifugio forzato di tanti disoccupati siciliani

di Margherita Montalto
CATANIA - “Centro chiamate” meglio noto come “call-center”, certamente utile, pratico con chiamate telefoniche da e verso un'azienda, è gestito da risorse umane attraverso un sistema di reti per fornire informazioni, attivare servizi, fornire assistenza tecnica, offrire servizi di prenotazione, consentire acquisti e organizzare campagne promozionali, attività di ricerca di mercato, statistiche, aggiornamento dati, etc.. Le telefonate si concludono con la richiesta al cliente di accettare brevi domande e risposte utili per l’indicatore di prestazione, il Customer Satisfaction, per valutare se l’operatore sia riuscito a soddisfare il cliente per il servizio fornito.

Ormai i sistemi del call center fanno parte dei sistemi di mercato adottate dalle aziende. Cosa c’è da sapere? Le chiamate del call center sono gestite in Outbound (chiamate in uscita), e Inbound (chiamate in entrata). Nella Circolare n. 14/2013 il ministero del Lavoro richiama la Circolare 17/2006 in cui si definisce le attività di Outbound come quelle nell'ambito delle quali “il compito assegnato al collaboratore è quello di rendersi attivo nel contattare, per un arco predeterminato di tempo l’utenza di un prodotto o servizio riconducibile ad un singolo committente, mentre l’Inbound l’operatore non gestisce la propria attività né può in alcun modo pianificarla giacchè la stessa consiste prevalentemente nel rispondere alle chiamate dell’utenza, limitandosi a mettere a disposizione del datore di lavoro le proprie energie psicofisiche per un dato periodo di tempo”.

Tipologia di lavoro regolamentato già dal 2003 con una serie di decreti e normative e sulla base delle disposizioni in vigore sino al giugno del 2013, i contratti devono mettere i lavoratori nelle condizioni di svolgere la loro attività in modo autonomo e senza i vincoli tipici del lavoro subordinato. Il ministero del Lavoro ha dato indicazioni precise attraverso la suddetta circolare (17/2006) con la quale sono stati forniti i criteri di legittimo utilizzo del contratto nel settore dei call-center. Il collaboratore deve potere decidere, nel rispetto delle forme concordate di coordinamento, anche temporale, della prestazione: se seguire le prestazioni ed in quali giorni; a che ora iniziare ed a che ora terminare la prestazione giornaliera, se e per quanto tempo sospendere la prestazione giornaliera.

Ulteriore approfondimenti da parte delle norme in riferimento al call-center riguardano la delocalizzazione delle attività, azione che comporta una dispersione di dati e informazioni. Con un Emendamento, si legge da una nota, “è riconosciuto il diritto del cittadino-cliente di essere informato sul luogo fisico in cui saranno gestiti i suoi dati personali consentendogli di opporre un rifiuto al trattamento di dati in paesi diversi dall'Italia. E’ un emendamento che incoraggia a proseguire nella battaglia contro il mercato nero dei database di dati sensibili”. Con questo Emendamento “le aziende che delocalizzano le attività non potranno ricevere incentivi all'occupazione e, comunque, dovranno darne comunicazione almeno 120 giorni prima al Ministero del lavoro, indicando i lavoratori coinvolti, e all'Autorità garante della privacy informando sulle misure adottate per la tutela dei dati personali. Il mancato rispetto delle norme vien punito con una sanzione di 10 mila euro per ogni giornata di violazione”.

L’approfondimento. La GdF attiva sul territorio per scovare irregolarità

I call center si aprono all'utenza con un ventaglio di proposte e permettono di impiegare personale attraverso contratti di collaborazione. La voce che propone qualcosa è di giovani e meno giovani. Pressanti le telefonate, ma per gli operatori è il loro lavoro e sperano a volte che, fra mille telefonate, possa capitare qualcuno che accetti la proposta, l’offerta. Uno sfruttamento sul lavoro e del lavoro che non passa inosservato agli attenti controlli della GdF volti a contrastare il fenomeno del ricorso a forza lavoro in nero. I militari del Comando Provinciale della Guardia di Finanza di Catania hanno eseguito recentemente un controllo focalizzato sui cc.dd. “contratti di collaborazione a progetto”, frequentemente utilizzati dalle società per i vantaggi che ne derivano in termini di riduzione dei versamenti dei contributi previdenziali e, conseguentemente, di abbassamento del costo del lavoro. Sono emerse irregolarità che violano quanto stabilito dalla normativa: orari di lavoro predeterminati, retribuzioni legate alla produttività, nessuna libertà nella scelta e nella gestione dei contatti e, nella quasi totalità dei casi, mancata conoscenza da parte dei lavoratori del progetto specifico per cui si era stati assunti e della finali

BARCELLONA 2014: Marco Patuano "rottama" le Tlc: "Servono più giovani"

Marco Patuano “rottamatore” delle tlc, o per l’esattezza del personale troppo anziano. “Gli operatori delle telecomunicazioni – ha detto l’amministratore delegato di Telecom Italia in un’intervista alla Cnbc – hanno bisogno di assumere giovani. A Google, Amazon e in altre aziende di questo tipo vediamo sempre giovani. Invece nel settore delle tlc io ad esempio sono considerato piuttosto giovane, ma di fatto non lo sono”.
Quali premesse per riuscire a svecchiare il settore? “Per farlo – ha proseguito l’ad, intervistato a margine del Mobile World Congress di Barcellona - abbiamo bisogno di un’industria più sana in un ambiente sano, con maggiori investimenti e maggiore qualità. E senza inutili dogmatismi”.
Alla domanda del giornalista dell’emittente statunitense sul governo italiano (“Come si riesce a fare business quando l’esecutivo cambia così spesso?”), Patuano ha risposto sottolineando l’esigenza di “stabilità” del nostro Paese ed esprimendo apprezzamento per il nuovo premier Matteo Renzi. “Ha iniziato molto bene - ha aggiunto - perché ha centrato due o tre problemi reali. Il Jobs Act è qualcosa di cui abbiamo davvero bisogno, l’altra questione importante è snellire la nostra burocrazia. Lui è molto determinato e chi lo conosce sa che è anche molto svelto. E abbiamo quanto mai bisogno di fare le cose rapidamente in Italia. Gli faccio i miei migliori auguri e sono moderatamente ottimista sulle sorti del Paese”.


Dipendente licenziato per uso extra lavorativo del PC. Datore di lavoro condannato per videosorveglianza non autorizzata.

Sono recenti due sentenze della Cassazione in materia di Privacy & Lavoro. La prima è relativa alla legittimità del licenziamento per giusta causa di un lavoratore dipendente per l’utilizzo non corretto del proprio PC aziendale e la seconda sanziona un datore di lavoro per un utilizzo indebito dell’impianto di videosorveglianza installato nel proprio supermercato.
Il lavoratore, nel primo caso di specie, è stato licenziato a seguito dell’utilizzo per finalità non lavorative del personal computer messo a disposizione dal datore di lavoro per l’espletamento delle proprie mansioni: il lavoratore tramite un programma di connessione peer-to-peer da lui installato, e-Mule, durante l’orario di lavoro scaricava materiale non autorizzato e in violazione dei diritti d’autore anche dai contenuti pornografici e procedeva ad acquisti personali su internet tramite siti web di vendite on-line.
Si precisa che, il provvedimento disciplinare in questione era già il secondo al quale era ricorso il datore di lavoro nei confronti del medesimo dipendente. Nel primo caso, sentenza del 26 Novembre 2013 n. 26397, il licenziamento era stato considerato non giustificato in quanto la Corte aveva ritenuto le motivazioni della contestazione quali generiche: rischio di compromissione della sicurezza informatica dell’azienda e utilizzo non autorizzato di e-Mule in violazione tra l’altro della policy aziendale e la contestazione al lavoratore di negare tale comportamento non corretto nonostante le evidenze. In questo caso l’azienda non aveva dimostrato anche la relativa navigazione in internet su siti non autorizzati, tra questi quelli dai contenuti pornografici per altro bloccati e gli acquisti personali on-line, essendo installato nella rete aziendale un firewall che bloccava gli accessi ai siti a luci rosse e che comunque tracciava la navigazione in generale sul web, ma si erano limitati a dimostrare il transito di alcuni file non autorizzati tramite un supporto esterno di memorizzazione dati.
Con la sentenza del 6 dicembre 2013 n. 27392, la Cassazione invece sancisce la legittimità del secondo licenziamento, provvedimento disciplinare “notificato” al lavoratore immediatamente al suo primo giorno di lavoro, dopo la sua reintegra, tramite lettera consegnata a mano.  Nel caso di specie le motivazioni sono state considerate valide, in quanto l’azienda poneva in essere la contestazione relative alle “gravità delle violazioni, reiterate, massicce e continuative”, come cita la stessa sentenza, con particolare riferimento al contenuto del materiale scaricato e archiviato sul personal computer aziendale, files in violazione dei diritti d’autore e dai contenuti pornografici.
L’azienda inoltre contestava anche l’eccesso di tali attività compiute durante l’orario di lavoro e in totale violazione al c.d. Regolamento Informatico, che vietava in maniera chiara l’installazione e l’utilizzo di programmi non autorizzati in generale e soprattutto quelli di connessione peer-to-peer per finalità di sicurezza del sistema informatico aziendale, non che attività non per fini lavorativi quali la navigazioni su siti web di vendite on-line effettuando acquisti di natura personale sempre durante l’orario lavorativo. Tutte attività questa volta adeguatamente documentate.
Essendo venuto meno anche il relativo rapporto fiduciario tra il datore di lavoro e il suo dipendente, la Corte ha reputato legittimo questo secondo provvedimento di natura disciplinare ed ha condannato quest’ultimo anche al risarcimento delle spese processuali.
Diverso il caso di un datore di lavoro sanzionato con una ammenda per aver installato un sistema di videosorveglianza senza l’autorizzazione della Direzione Territoriale del Lavoro.
I fatti. Nel giugno 2012 il Tribunale di Lodi condanna il Datore di Lavoro alla pena di € 200,00 di ammenda pecuniaria per la violazione dell’art. 4, comma 2, L. 300/1970, c.d. Statuto dei Lavoratori, e alla relativa menzione di tale fatto nel proprio casellario giudiziale con sospensione condizionale della pena, per l’installazione nel proprio supermercato di un sistema di videosorveglianza costituito da n. 8 microcamere a circuito chiuso, alcune delle quali puntate sulle casse dove stazionano in maniera permanente alcuni lavoratori, il tutto senza la relativa autorizzazione, preliminare e obbligatoria, della Rappresentanza Sindacale Aziendale e in sua assenza della Direzione Territoriale del Lavoro, o come da altra sentenza della Corte di Cassazione, sezione lavoro, senza il consenso informato di tutti i lavoratori.
In seguito, il datore di lavoro chiede e ottiene approvazione dalla competenze DTL, presentando tutta la documentazione necessaria e relativa descrizione dell’impianto. Ottenuta tale autorizzazione, il datore di lavoro ricorre in Cassazione avverso il provvedimento di cui prima, chiedendo la cancellazione del reato dal proprio casellario giudiziale sostenendo di non essersi avvalso di nessuna concessione di benefici e che avendo ricevuto autorizzazione del proprio sistema di videosorveglianza dalla DTL, questa dimostrava che non sussisteva l’atto criminoso di violazione del Codice Privacy previsto dall’art. 179 (combinato con l’art. 114 e 171): condotta criminosa rappresentata dall’installazione di impianti audiovisivi idonei a ledere la riservatezza dei lavoratori qualora non vi sia stato consenso sindacale (o autorizzazione scritta di tutti i lavoratori interessati: Cassazione Sezione IlI, 17 aprile 2012 n. 22611) o permesso dall’Ispettorato del lavoro.
Il ricorso è infondato, così sentenzia la Corte. L’impianto installato in assenza di relativa autorizzazione costituisce anche senza la sua entrata in funzione un atto criminoso. Stesso principio rimane applicabile anche qualora la DTL abbia in seguito verificato la relativa idoneità, poiché trattasi di reato di pericolo. La norma sanziona a priori l’installazione, prescindendo dal suo utilizzo o meno. Si ricorda che per le stesse ragioni è vietata anche l’installazione di finte videocamere ed è obbligatoria anche la segnalazione della videocamera “rotta” e/o in manutenzione.
In merito invece alla richiesta di non menzione della condanna nel certificato del casellario giudiziale come previsto dall’art. 175 del Codice Penale, la richiesta non è stata accolta proprio in considerazione dell’esiguità della sanzione amministrativa pari a soli € 200,00 e dell’applicazione della sospensione della pena.
Pertanto, il provvedimento del ricorrente è stato dichiarato illegittimo ed è stato condannato al pagamento delle spese processuali e della somma di € 1000,00 in favore della Cassa delle Ammende.



Aziende, 10mila fallimenti nel 2013: anno nero per piccole e medie imprese

Un anno ”pesantissimo, il 2013, per le micro, piccole e medie imprese italiane. Il saldo tra iscrizioni e cessazioni è stato il peggiore degli ultimi anni: oltre 10.000 i fallimenti nei 12 mesi, ”livello mai raggiunto nel decennio precedente”. L’analisi del Garante delle Pmi, Giuseppe Tripoli, nella Relazione annuale inviata al presidente del Consiglio, traccia un quadro drammatica degli effetti della crisi sulla ‘spina dorsale’ più vitale del Paese.
Nel 2013, a fronte di 1.053 imprese nate al giorno, 1.018 hanno chiuso i battenti. Le Pmi nazionali scontano poi un gap crescente sui costi di accesso al crediti, energia e trasporti rispetto al sistema delle imprese dei principali Paesi competitor europei. In tema di credit crunch, il Garante stima costi per 160 punti percentuali superiori a quelli di una Pmi concorrente francese o tedesca; + 20% il costo energetico rispetto alla media Ue).
In quanto ai costi di logistica, pesano annualmente per 12 miliardi di euro sul sistema micro-Pmi. ”Questi sono solo alcuni degli indicatori della gravità della situazione” afferma Tripoli nella Relazione. Eppure, in Italia le MicroPMI rappresentano ”un vero caposaldo per l’economia del Paese”, sottolinea.
Su oltre 4,4 milioni di imprese extra-agricole, il 99,9% è costituito da micro Pmi e di queste la quasi totalità (95%) rientra nella dimensione di micro impresa10. Nelle micro Pmi italiane trova impiego l’81% dell’occupazione totale e si produce il 71,3% del valore aggiunto. ”Rilevante” è anche il loro contributo in termini di export (il 54% del totale). Le imprese di dimensione media in Italia sono appena lo 0,5% del totale, mentre la grande dimensione incide solo per lo 0,1%.
”La lunga recessione ha portato a una lenta trasformazione del tessuto imprenditoriale del Paese” scrive il Garante. Dal 2008 al 2013 oltre 2,1 milioni di imprese hanno cessato l’attività e ogni anno si è registrata una lenta ma costante erosione dei saldi. Il 2013 è stato quello con il saldo tra imprese iscritte e cessate peggiore degli ultimi dieci anni (+12.681). Peggiore persino dei risultati del 2009 e 2012 (saldi rispettivamente pari a 17.385 e 18.900 imprese).
Il mondo artigiano, struttura portante del ‘made in Italy, ne esce in ginocchio: per il quinto anno consecutivo presenta saldi negativi. ”Il perdurare della crisi sta infatti stremando, pesantemente e in misura crescente, la capacità di tenuta di questo settore” scrive il Garante. Industria, le costruzioni e i trasporti-magazzinaggio i settori più colpiti.
Viceversa, sono leggermente cresciute le imprese del commercio, quelle che operano negli alloggi e ristorazione, e i servizi di supporto alle imprese (che includono noleggio e agenzie di viaggio). L’aumento dei default riguarda tutte le forme giuridiche, con tassi di crescita a due cifre: +12,6% per le società di capitale, +10,2% per le società di persone e +11,4% per le altre forme giuridiche..

Telegram sfida WhatsApp: messaggi top secret a prova di privacy ed intercettazione

Dopo la maxi acquisizione di WhatsApp da parte di Facebook per 19 miliardi di dollari, il rivale russo Telegram sta facendo il pieno di nuovi utenti, al ritmo di un milione di download al giorno.
La app di instant messaging che sta drenando utenti a WhatsApp consente ai proprietari di smartphone Android e iOs di inviare messaggi, foto, video e documenti criptati agli altri utenti che hanno un account Telegram.
Secondo TechCrunch, i fondatori di Telegram, Pavel e Nikolai Durov - i due fratelli già creatori di Vkontakte, il Facebook russo - hanno lanciato Telegram puntando sulle preoccupazioni per la privacy degli utenti russi del web, alle prese ogni giorno con un alto rischio di censura online. 
La differenza principale fra WhatsApp, che ha un bacino di utenti maggiore, e Telegram riguarda appunto la maggior vulnerabilità del primo nei confronti di potenziali attacchi hacker e spioni che si annidano in Rete.
Telegram è più piccolo di WhatsApp, ma è più sicuro perché punta sulle "secret chat", che consentono agli utenti di cancellare in real time le tracce digitali delle conversazioni virtuali, per proteggere le comunicazioni private tramite sistemi di crittografia e messaggi che si autodistruggono dopo la lettura.
Un sistema di comunicazione top secret, disegnato per aggirare le intercettazioni dei servizi segreti russi. Non è quindi escluso che uno dei motivi principali che hanno spinto milioni di utenti a migrare su Telegram dopo il deal WhatsApp-Facebook sia una reazione legata agli strascichi del post-Datagate: Edward Snowden non ha mai taciuto il ruolo delle web company Usa, fra cui Apple e Facebook, a sostegno dell'NSA nell'opera di raccolta e monitoraggio dei dati degli utenti.
Oltre a Telegram, sono molti gli OTT asiatici che minacciano lo stro strapotere di WhatsApp, fra questi i maggiori sono Kakao, Line e WeChat.



26 febbraio 2014

Tutele individuali per i diritti di tutti

Ripartire dalla tutela individuale per riaffermare i diritti sociali e del lavoro. È questa, in estrema sintesi, la richiesta che arriva dal Sistema servizi e della tutela individuale della Cgil riunito in assemblea a Roma il 24-25 febbraio in vista del Congresso di Rimini. Due giorni di approfondimento e dibattito che hanno visto come protagonisti il consorzio nazionale Caaf, il Sol (Servizio orienta lavoro), l'Uvl (uffici vertenze e legali) e il Patronato Inca.
"Siamo al quarto governo in sei anni di crisi, e questo dice molto, ma la crisi non basta a spiegare perché 9 milioni di persone hanno difficoltà ad accedere ai servizi sanitari", osserva nelle conclusioni il segretario generale della Cgil, Susanna Camusso. Al centro delle sue riflessioni c'è il ruolo e il futuro della Pubblica amministrazione. "Si parla tanto di riduzione della spesa e di tagli, parole spesso agitate come clave. Alla base di tutto, però, dovrebbe esserci la riforma dell'accreditamento che porterebbe trasparenza e costringerebbe a capire bene cosa tenere all'interno della Pa e cosa può essere portato fuori".
L'altra priorità è la semplificazione: "Chiunque vorrebbe un sistema più semplice. La gran parte delle complicazioni, però, deriva dalle leggi, e alla fine i lavoratori agli sportelli passano come torturatori dei cittadini. Nel sentire comune non hanno nessun problema, ma sappiamo che non sempre è così. Si deve partire da un'idea di riorganizzazione che migliora il servizio. Tra il blocco totale delle assunzioni e la ricostruzione di un turn over ragionevole - aggiunge la dirigente sindacale - ci sono molti spazi. Nessuna amministrazione può immaginarsi un futuro se non entrano i giovani al fianco di chi ha già le competenze".
Lo scenario è quello della frantumazione che "porta con sé la progressiva corporativizzazione e una disuguaglianza sistematica. Ecco perché il rapporto tra Pa e servizi è decisivo per ricostruire la solidarietà alla base dell'esistenza stessa dello Stato", specie in un periodo nel quale si assiste a una "campagna di svalorizzazione e di rancore verso il lavoro pubblico". Il congresso Cgil punta proprio a un salto di qualità nei processi di integrazione: "Come patronati siamo stati una grande forma di risparmio per la Pa, tuttavia non ci viene riconosciuto il fatto che abbiamo risolto una serie di problemi allo Stato. Siamo pronti a ragionare sulla nostra trasformazione, ma non siamo tenuti a rincorrere le risorse"

Quanto alla spending review, "l'orizzonte deve essere quello dei diritti dei cittadini, non l'idea secondo cui nella spesa pubblica c'è un serbatoio infinito di risorse. Anche perché, quando si dice ''partiamo dai beni e servizi'', poi si fa fatica a trovare 2 miliardi e mezzo. Si può semplificare la Pa, certo, i livelli sovrapposti sono troppi. Ma in realtà abbiamo un problema di qualificazione della spesa, non solo di riduzione. Interi settori sono ormai scoperti dalle tutele. Le infrastrutture, oltre a quelle classiche, sono anche gli asili, i servizi collettivi, l'assistenza alle persone che invecchiano".

Call center extra Ue, giro di vite del Garante Privacy

Giro di vite del Garante Privacy sui call center delocalizzati nei paesi extra Ue. Il nuovo piano ispettivo dell'Autorità prevede nel secondo semestre 2014 una serie di controlli approfonditi e di ispezioni sul rispetto delle norme di trasparenza sul trattamento dei dati degli utenti nei call center extra Ue, in linea con quanto già prescritto in un provvedimento ad hoc dello scorso 18 dicembre.

L'annuncio del Garante Privacy è un'implicita risposta ai sindacati, che la settimana scorsa, contro il fenomeno delle delocalizzazioni selvagge, hanno annunciato denunce a tappeto nei confronti delle aziende  che non rispettano la normativa in vigore in materia di call center, contenuta nell'articolo 24 Bis del Decreto Sviluppo legge n. 83 del 2012, oggi convertito in legge, su "Misure a sostegno della tutela dei dati personali, della sicurezza nazionale, della concorrenza e dell'occupazione nell'attività svolta da call center" e segnalando, ove sussista il caso, l'erogazione degli incentivi pubblici di cui alla Legge 407/1990.

In particolare, nel mirino di Slc-Cgil, Uilcom-Uil e Fistel-Cisl ci sono la mancata comunicazione al ministero del Lavoro dei trasferimenti di attività all'estero e il mancato rispetto della privacy degli utenti italiani che ricevono chiamate da paesi extra Ue.
Secondo stime sindacali, nel 2013 il settore dei call center in outsourcing occupava 43 mila operatori in bound, in calo rispetto ai 45 mila del 2012, a fronte di 33.500 operatori out bound, in flessione rispetto ai 35 mila del 2012. Il 63% dei lavoratori è concentrato nelle aree del Sud, il 37% al Centro Nord. Il 62% degli operatori in bound è rappresentato da donne, l'83% con contratto part time. Gli operatori out bound hanno contratti a progetto. L'età media del settore è 30 anni.
Paolo Anastasio




Lettera aperta al Presidente della Repubblica dei lavoratori del Teatro Stabile di Catania

I lavoratori dell’Ente Autonomo Teatro Massimo “V.Bellini” di Catania, preoccupati per il loro futuro e per quello di una delle più importanti Istituzioni Teatrali e culturali della Sicilia, unica al mondo a portare il nome del grande M° Vincenzo Bellini che qui ebbe natali e che il mondo intero ci invidia, sperano, in queste pochi righe, di renderla edotta della gravissima situazione che questo caposaldo della lirica italiana possa venire definitivamente cancellato dal panorama musicale mondiale.
Il Bellini, che nei decenni ha dato il via alle carriere di tantissimi grandi artisti di fama internazionale, (Muti, Callas, Del Monaco, Tebaldi, Ricciarelli etc…), oggi, complice la grave crisi globale e ancor peggio, l’incuria e la assoluta inefficienza di quegli organi che dovrebbero fare del patrimonio artistico e culturale italiano tesoro, così come ci invita l’UE in una recente relazione, rischia l’inevitabile e definitivo oblio.
Il tanto paventato calo del sipario su un centinaio d’anni di storia della città di Catania non è più solo un rischio ma una certezza.
Di seguito ci permettiamo di allegarle una relazione che gli organi del Teatro hanno inoltrato un anno fa al Sig. Presidente della Regione Sicilia e ai Sig. Assessori regionali con grafici e numeri che al di la delle belle parole e delle grandi promesse è rimasta assolutamente inascoltata.
Per l’anno in corso, a causa anche della impugnativa del Commissario dello Stato, il nostro contributo, unica fonte di finanziamento per il Teatro Massimo Bellini, non essendo questo Fondazione ma Ente Regionale, sarà ulteriormente ridotto a 10.400.000 di €, ciò causerà la fine del teatro, della speranza per centinaia di studenti dei Conservatori e delle Accademie che vedevano in esso uno sbocco professionale, un depauperamento del tessuto culturale del territorio e delle sue possibilità di ripresa fondate sull’indotto culturale, quindi sul turismo, e la perdita di centinaia di posti di lavoro.
Sappiamo Eccellenza che lo sciorinare dei numeri e delle tabelle che le alleghiamo alla presente, pur sembrando sterili statistiche, le daranno sicuramente il polso della situazione e toccheranno quell’animo sensibile che Ella, Padre della Nostra Patria, ha sempre dimostrato di avere.
Cordiali saluti
I lavoratori dell’ E.R. Teatro Massimo “V.Bellini” di Catania

Emergenza Teatro: un capitolo drammatico all’interno dell’ampia impasse che mortifica il mondo artistico e culturale. La vicenda del Teatro Stabile di Catania è in questo senso emblematica. Con i suoi 55 anni di storia e di successi, l’istituzione teatrale etnea ha dimostrato da subito di sapere dar voce allo spirito di una grande cultura come quella siciliana, portando i suoi valori universali a conoscenza di tutti i palcoscenici del mondo, con memorabili tournée al di qua e al di là dell’oceano. Eppure l’ente, il terzo Teatro Stabile in Italia per volume produttivo,si dibatte in una crisi finanziaria sempre più grave, da addebitare all’incertezza, alle decurtazioni e al ritardo con cui vengono devoluti gli emolumenti pubblici.
Siamo, più in generale, al capolinea di un paradosso che corrode la società civile dall’interno. L’universale riconoscimento che Arte e Saperi siano le fondamenta di ogni civiltà s’infrange di fatto nella letale riduzione del sostegno pubblico. Si vanifica così la possibilità di alimentare quella linfa dello spirito da tutti ritenuta, ma solo virtualmente, vitale. E ne deriva un “danno” che virtuosa gestione e partecipazione privata possono solo in minima parte colmare, vista l’ampiezza che la missione culturale postula in sé.
In ciò sta il paradosso: istituzioni culturali pur di grande prestigio e rigore, anziché essere valorizzate e premiate per gli obiettivi prefissi e raggiunti, sono ridotte a questuanti nei confronti delle pubbliche amministrazioni.
Eppure, non è forse lo Stato il garante primo della Cultura, non è da essa che mutua la propria identità? E tra tutte le arti, è il Teatro, per sua natura così affine all’agorà, quella che concorre più potentemente alla formazione delle coscienze democratiche. Soprattutto da ciò, crediamo fermamente, discende l’opportunità e il diritto ad adeguati finanziamenti.
In particolare lo Stabile etneo ha subito nel 2011 una grave discriminazione in sede regionale: mentre gli altri teatri hanno subito tagli dall’11 al 20%, lo Stabile addirittura del 34%, un danno di oltre un milione di euro che ha avuto conseguenze gravi non previsto e operato, come dire, in corso d’opera. A nulla è servito rimarcarne il retaggio ultracinquantenario e la funzione di baluardo al degrado e al disagio sociale in una terra nobile ma dai gioghi pesanti come la Sicilia. Insieme al teatro rischiano di scivolare verso un fondo buio l’occupazione e la sopravvivenza delle maestranze e degli artisti che operano nello Stabile e ne costituiscono la forza.
Non ignoriamo che è la gravissima crisi finanziaria in atto ad imporre restrizioni e rigorosi meccanismi di controllo, mirati ad evitare sprechi e premiare i risultati. Altri teatri ed enti culturali hanno preferito rischiare, speranze in miracoli e chimere, ragionare di pancia. Noi siamo rimasti lucidi, optando per scelte necessarie, rigore amministrativo e trasparenza. produzioni di alto livello ma decisamente meno sontuose. In altre parole, abbiamo preferito prevenire che curare. Ci siamo assunti l’onere di rinunce virtuose, per scongiurare scenari altrove già in atto: commissariamento, licenziamenti, blocco delle assunzioni, porte chiuse agli stagionali e ai precari.
I dati ci danno ragione. Le presenze a Catania nel 2010 sono state 194.000, in tournée 50.000. Nonostante i pesantitagli, la programmazione del TSC mira a proseguire senza pregiudizio delle aspettative del pubblico, garantendo la qualità che da sempre contraddistinguono l’offerta dell’ente, che gode di ottima salute artistica, testimoniata dalle ripetute affermazioni in campo nazionale: i premi conquistati anno dopo anno agli Oscar del Teatro, la presenza in manifestazioni di primissimo piano come il Festival dei due Mondi di Spoleto, l’eclatante successo delle tournée di spettacoli campioni d’incasso come La concessione del telefono e Il birraio di Preston, riduzioni drammaturgiche dai romanzi storici di Camilleri, concesse in esclusiva dall’autore al TSC.
Lo Stabile etneo ha reagito e reagisce così a quella che abbiamo definito emergenza teatro. Ora lancia un ulteriore appello che si auspica non resterà inascoltato. C’è bisogno,infine, di ribadire ciò che è ovvio? evidentemente sì. Il pensiero culturale illuminato è il fondamento stesso dei valori di libertà e democrazia. Arte e Bellezza salveranno il mondo: fiumi di parole, di inchiostro e di retorica sottolineano un concetto che è scolpito nelle carte costituzionali e dovrebbe esserlo nel dna dei cittadini e di chi li governa. In questa visione non temiamo anzi auspichiamo l’intervento della Politica, che indubbiamente dovrebbe interessarsi di più alla realtà culturale, quella vera, non certo ai surrogati che certa tv e certa comunicazione vorrebbero imporre. La Cultura è stata di fatto abbandonata dalla Politica. Ora auspichiamo che la Politica veda in concreto nella Cultura e dunque anche nell’universo teatrale una risorsa in grado di arricchire la società in ogni fibra del suo cuore pulsante. Il Teatro Stabile di Catania è pronto da oltre mezzo secolo a fare la sua parte.

Cda Telecom, Patuano scopre le carte

Marco Patuano presenterà domani ai consiglieri d’amministrazione di Telecom Italia la proposta di rinnovo della governance dell’azienda. Nelle intenzioni dell’amministratore delegato, tra i punti qualificanti del nuovo assetto ci sarebbe uno snellimento del consiglio d’amministrazione, con i membri che passerebbero da 15 a 11, e un aumento da sei a sette dei consiglieri indipendenti. 
Nella proposta dell’amministratore delegato, inoltre, non sarebbe previsto che la nomina del presidente debba ricadere su uno dei consiglieri indipendenti, fatto sul quale aveva molto insistito Marco Fossati e che rischia di creare tensioni durante la riunione.
Nell'attuale consiglio, dopo le dimissioni il mese scorso di Elio Catania, siedono in qualità di consiglieri indipendenti Luigi Zingales, Mauro Sentinelli, Massimo Egidi, Jean Paul Fitoussi e Lucia Calvosa.
Proprio quest’ultima è la firmataria di una proposta alternativa di rinnovo della governance, che, presentato nel corso del comitato controllo e rischi (composto dalla stessa Calvosa, Jean Paul Fitoussi, Mauro Sentinelli, Luigi Zingales) ha messo nero su bianco diverse possibili opzioni, tra cui per il Cda a 11 il sistema di nomine proporzionale, che assegnerebbe alla lista di maggioranza i 2/3 del board, rispetto agli attuali 4/5.
Una proposta sostanzialmente in linea con le indicazioni dell'Asati, l'Associazione dei piccoli azionisti Telecom, che nei giorni scorsi aveva manifestato il proprio dissenso nei confronti di una eventuale decisione dei vertici di Telecom di "mettere ai voti del prossimo cda una proposta che al massimo si limita soltanto a emettere una generica formulazione di indicazioni e raccomandazioni in merito al concetto di indipendenza".
Ciò significa che, secondo Asati, la società proporrà semplicemente un cda a 11 membri a maggioranza indipendenti, pur aspettandosi un'apertura o una sorta di mediazione da parte dell'ad Marco Patuano.







24 febbraio 2014

WhatsApp, arrivano le telefonate gratuite


Dopo l’acquisto da parte di Facebook e i recenti problemi di connessione WhatsApp lancia una sfida a Viber e Skype annunciando le videochiamate. Il popolare servizio di messaggi istantanei offrirà ai suoi utenti anche servizi ‘vocè, ovvero sfiderà un colosso come Skype e altri servizi tipo Viber per le telefonate via internet. Lo ha annunciato il ceo Jan Koum dal palco del Mobile World Congress inaugurato oggi a Barcellona. La possibilità di chiamare gratuitamente, sfruttando la rete internet, sarà disponibile a partire dal secondo trimestre di quest’anno.
 La novità rappresenta un’offensiva ancora più agguerrita a simili servizi di comunicazione e anche una boccata d’ossigeno dopo il pesante disservizio che la chat ha avuto nel week-end. La concorrenza non è solo a Skype di Microsoft ma anche a BlackBerry Messenger (che da oggi è disponibile pure per gli utenti Windows Phone) e Viber, appena comprata dal colosso giapponese dell’e-commerce Rakuten per 900 milioni di dollari. Ben altra la cifra che Facebook sborserà per l’acquisizione annunciata di WhatsApp: 19 miliardi di dollari. WhatsApp, ha sottolineato Koum, non cambierà: «Per continuare ad avere successo dovrà davvero restare indipendente». Gli utenti attivi mensili di WhatsApp, ha aggiunto Koum, al momento sono 465 milioni, circa 330 milioni gli utenti giornalieri. E 15 milioni sono gli utenti che si sono aggiunti nell’ultima settimana. Segno che non si sono fatti condizionare dai timori per l’acquisizione di Facebook. La compagnia oggi compie cinque anni di attività: è stata fondata il 24 febbraio 2009.


Telecom Italia: Intervista a Michele Azzola (Slc Cgil): "Renzi sostenga la ricapitalizzazione di Telecom"


“Sostenere politicamente il piano di ricapitalizzazione di Telecom Italia a cui sono interessati investitori istituzionali e fondi stranieri”. Per Michele Azzola, segretario nazionale della Slc Cgil, è questa la prima azione che il nuovo governo Renzi dovrà mettere in campo per rilanciare il settore delle Tlc.
Renzi ha sempre detto che non è importante la nazionalità di un’azienda, l’importante è che investa. La ricapitalizzazione potrebbe sembrare uno “sgambetto” a Telefonica…
Nessuno sgambetto. C’è necessità di un intervento di ricapitalizzazione di Telecom con l’obiettivo di garantire gli investimenti nelle reti di nuova generazione e mettere in tranquillità la situazione finanziaria dell’azienda da realizzarsi attraverso la partecipazione di Cdp. Altro investitore da valorizzare sono i fondi interessati ad investire nel lungo periodo e non già nel breve, come purtroppo avvenuto finora con altri tipi di investitori. Sostenendo politicamente questo progetto, inoltre, il governo Renzi metterebbe fine anche ad un’anomalia tutta italiana, mettendoci in linea con il resto d’Europa.

Quale anomalia?
Il fatto che lo Stato sia assente da un settore strategico fondamentale per gli interessi del Paese dal punro di vista economico e si sicurezza nazionale. Mentre tutte le altre compagnie telefoniche vedono una partecipazione decisiva del pubblico nella compagine azionaria, l’Italia rischia di essere il secondo Paese, dopo la Grecia, in cui l’azienda è controllata da un diretto competitor.

Perché ritiene così strategico l’intervento dello Stato?
Perché il futuro delle Tlc deve essere vincolato a precise scelte di politica industriale. In gioco non c’è solo – ed è già tanto – il futuro di Telecom Italia, dei suoi lavoratori e del suo know how tecnologico, ma il raggiungimento degli obiettivi dell’Agenda digitale europea. Si tratta di un rischio evidenziato anche nel rapporto Caio dove viene precisato che sull'obiettivo di portare al 50% della popolazione i 100 mega entro il 2020 non c'è nemmeno un progetto degli operatori.

Slc, Fistel e Uilcom invieranno una lettera-appello al Capo dello Stato proprio su questi temi. Cosa chiedete nella missiva?
Chiederemo a Giorgio Napolitano di farsi parte attiva con la politica sui temi della banda larga e dell’Agenda digitale di cui si parla molto, ma si agisce poco. Chiederemo di intervenire per non perdere un'ennesima occasione, dopo aver perso quella legata alla tv via cavo - la “killer app” della banda larga - anche per interessi contrari al decollo della banda larga in Italia.

A chi fa paura la banda larga?
Il mio dubbio è che ci sia l'interesse di poteri forti a mantenere lo status quo, perché lo sviluppo di Internet veloce cambierebbe non solo le Tlc, ma anche il settore della tv. Che la banda larga sia una priorità per il Paese è innegabile e la sua mancata diffusione si spiega solo pensando che qualcuno abbia interessi contrari. Chi potrebbe essere? Forse i big come Rai e Mediaset? Ma le mie sono considerazioni, supposizioni. Le prove non ci sono e non se ne possono avere.

di Federica Meta

Controlli sanitari ed inidoneità parziale, temporanea o totale

il D.Lgs. n. 81/2008 art. 42 prevede che il datore di lavoro, qualora il medico competente giudichi un lavoratore inidoneo alla mansione specifica, debba adibirlo, “ove possibile”, ad altra mansione equivalente, superiore o inferiore che sia, compatibile con il suo stato di salute, con diritto alla conservazione della retribuzione corrispondente alle mansioni precedenti. Nel caso in cui il medico competente esprima un giudizio di inidoneità parziale o temporanea o totale, ne informa per iscritto il datore di lavoro e il lavoratore.Il decreto non indica limiti temporali per l'invio di tale comunicazione, ma è evidente che essa debba avvenire in tempi rapidi onde non esporre ulteriormente il lavoratore a un rischio che, secondo le conclusioni del medico, ha già iniziato a determinare un danno alla salute.
Dunque il primo atto è fare sì che, anche alla luce dei protocolli sanitari e delle risultanze diagnostiche, siano attuate tutte le misure di prevenzione e protezione finalizzate all'abolizione o quantomeno alla riduzione del rischio.
Nel caso di sopravvenuta inidoneità alle mansioni lavorative assegnate va riconosciuto al lavoratore il diritto di pretendere, e correlativamente affermato l'obbligo, ex art. 2087, c.c., del datore di lavoro di ricercare, una collocazione lavorativa non pretestuosa, idonea a salvaguardare la salute del dipendente, nel rispetto dell'organizzazione aziendale, dimensionata in modo plausibile e rispettosa delle regole poste a salvaguardia della salute (...), che costituiscono, nel loro insieme, la disposizione di legge (art. 32 Cost., v. Cass. 10339/2000, cit.), che sancisce, anche sanzionandone le omissioni, gli obblighi posti dall'ordinamento a presidio della salute dei collaboratori del datore di lavoro.In altre parole, se non è garantita al lavoratore l'assegnazione a mansioni diverse da quelle che incidono sul suo stato di salute, per l'impossibilità oggettiva di offrirgli, in base all'assetto aziendale, una collocazione alternativa dirimente (per dirla tutta: una mansione sedentaria), tuttavia questo dato non esime l'imprenditore dall'obbligo di ricercare ed assicurare che il contesto operativo delle mansioni da espletare sia in linea con le disposizioni appena citate, poste non inutilmente a salvaguardia della salute dei lavoratori, attuando quelle riconversioni strutturali che ricadono nel normale sviluppo delle tecnologie applicate. Lo jus variandi non identifica solo una posizione soggettiva tutelata, a certe condizioni, in capo al datore di lavoro, bensì è soprattutto diretto a tutelare il lavoratore, attribuendogli il diritto di sindacare la scelta imprenditoriale, pur formalmente diretta alla conservazione delle mansioni, in tutti quei casi in cui si verifichi, obiettivamente, un pregiudizio per la sua salute, che non sia tale, ovviamente, da precludergli il diritto allo svolgimento di un'attività lavorativa alternativa, apprezzabile anche dalla controparte.
I valori espressi dall'art. 41 della Costituzione " giustificano una valutazione negativa, da parte del legislatore, dei comportamenti dell'imprenditore che, per imprudenza, negligenza o imperizia, non si adoperi, anche al di là degli obblighi specificamente sanzionati, per ridurre l'esposizione al rischio dei propri dipendenti.
Ciò implica per il datore non solo il divieto di compiere qualsiasi comportamento lesivo dell'integrità fisica e della personalità morale del dipendente, ma anche il dovere di prevenire e scoraggiare simili condotte nell'ambito dello svolgimento dell'attività lavorativa. L'inadempimento di tale obbligo genera la responsabilità contrattuale del datore di lavoro.

Scuola: iscrizioni online, come evitare tranelli sulle tasse scolastiche

Le iscrizioni alle scuole per l'anno scolastico 2014/2015 prevedeono il pagamento di tasse e contributi che si aggiungono alla già molto pesante pressione fiscale. Meglio dunque che le famiglie siano correttamente informate in merito al cosiddetto contributo volontario e alle modalità di pagamento.
Quest'anno le scuole chiedono tipicamente due pagamenti:
un contributo scolastico, da versatre direttamente alla scuola dove viene iscritto l'alunno. Tale contributo varia da scuola a scuola ed è volontario. La scuola non può richiederne il versamento obbligatorio, a nessun titolo; Intrage consiglia di pagarlo comunque, se non si hanno problemi economici particolari, ma si sappia che non è obbligatorio;
una tassa scolastica vera e propria, da versare allo Stato, e in particolare al "centro operativo di Pescara" dell'Agenzia delle Entrate. L'importo della tassa scolastica è fisso:
- tassa di iscrizione (per il primo anno di un ciclo speriore), 6,04 euro;
- tassa di frequenza (da pagare ogni anno), 15,13 euro;
- tassa di esame (da pagare per sostenere l'esame di maturità), 102,09 euro;
- tassa di diploma (per poter ritirare il titolo doi studio), 15,13 euro.
Un'altra cosa importante da sapere è che la legge impone a tutte le amministrazioni pubbliche di indicare l'IBAN per effettuare qualsiasi pagamento tramite bonifico bancario, in modo da evitare al cittadino di recarsi all'ufficio postale. Ogni scuola deve indicare il proprio, ma anche quello per il pagamento delle tasse scolastiche, che è il seguente:
Agenzia delle Entrate - Centro operativo di Pescara - Tasse scolastiche
IBAN: IT45 R 0760103200 000000001016


Morta a 110 anni Alice Herz-Sommer, più anziana superstite Olocausto


E' morta a Londra all'età di 110 anni Alice Herz-Sommer (o più semplicemente Alice Sommer), pianista ceca naturalizzata britannica, ritenuta la più anziana sopravvissuta all'Olocausto.
Ebrea originaria di Praga, Alice Sommer era stata deportata in un campo di concentramento a Terezin, oggi Repubblica ceca, dove, grazie alle sue esecuzioni al pianoforte era riuscita a sottrarsi in parte alle sofferenze degli altri detenuti. Secondo suo nipote, Ariel Sommer, "Alice Sommer è morta in pace (...), con la famiglia accanto".
La vita di Alice Sommer, amica di Franz Kafka, ha ispirato il film "The Lady in Number 6: Music Saved My Life", candidato nella categoria di miglior film documentario agli Oscar che saranno annunciati domenica.

Nella pellicola di 38 minuti, la donna racconta la sua vita e l'importanza della musica e di saper ridere per condurre una vita felice. "Sono ebrea, ma Beethoven è la mia religione", aveva di recente dichiarato in un video. In un'altra intervista aveva affermato di non avere "mai odiato", perché l'odio porta solo altro odio.

22 febbraio 2014

Damiano contro Teleperformance: «Basta soldi a chi delocalizza»

http://corrieredelmezzogiorno.corriere.it
TARANTO - «Ridiscutere le norme che danno incentivi alle aziende che delocalizzano. Riaprire il tavolo nazionale con imprese, sindacati e committenti, per scorporare il costo del lavoro e della sicurezza dal computo degli appalti». Cesare Damiano, ex ministro del Lavoro dell'ultimo governo Prodi e attuale presidente della commissione Lavoro della Camera, torna sulla questione call center, e lo fa in un'assemblea dei lavoratori dello stabilimento Teleperfomance di Taranto, su invito della Slc Cgil.
Il suo intervento arriva in un momento di tensione tra la multinazionale francese e i lavoratori, dopo la decisione dell'azienda di portare nella sede in Albania gli uffici di back office, tra i più remunerativi perché addetti all'attività documentale. «Va rivista la norma che permette alle aziende di call center che hanno stabilizzato lavoratori tra il 2006 e il 2008 di ricevere finanziamenti da parte dello Stato - ha spiegato l'ex ministro - perché così non va bene. Se le imprese prendono soldi pubblici e poi portano il lavoro altrove, per lo Stato si presenta un doppio danno, dato dai finanziamenti e dagli ammortizzatori sociali da attivare per le persone che perdono il posto di lavoro».
Il totale dei finanziamenti previsti dall'ultima manovra di governo è di 30 milioni di euro. A questi problemi si aggiungono quelli del massimo ribasso degli appalti, che si ripercuotono sui costi del lavoro e della sicurezza. «Lavoro e sicurezza non andrebbero calcolati nel computo per le gare d'appalto, ma garantiti con degli standard minimi» propone Damiano. A Taranto, Teleperformance occupa 1.800 lavoratori distribuiti su due stabilimenti. In Albania alcune centinaia. «A gennaio 2013 - spiega Andrea Lumino, segretario Slc Cgil - abbiamo firmato un accordo che comporta pesanti sacrifici per i lavoratori, disposti a farli pur di salvare la propria occupazione. A distanza di una anno Teleperformance annuncia di voler trasferire uffici e competenze in Albania. Noi non ci stiamo - prosegue Lumino - e contrasteremo l'azienda con azioni sindacali, politiche e anche giudiziarie».