22 febbraio 2014

Damiano contro Teleperformance: «Basta soldi a chi delocalizza»

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TARANTO - «Ridiscutere le norme che danno incentivi alle aziende che delocalizzano. Riaprire il tavolo nazionale con imprese, sindacati e committenti, per scorporare il costo del lavoro e della sicurezza dal computo degli appalti». Cesare Damiano, ex ministro del Lavoro dell'ultimo governo Prodi e attuale presidente della commissione Lavoro della Camera, torna sulla questione call center, e lo fa in un'assemblea dei lavoratori dello stabilimento Teleperfomance di Taranto, su invito della Slc Cgil.
Il suo intervento arriva in un momento di tensione tra la multinazionale francese e i lavoratori, dopo la decisione dell'azienda di portare nella sede in Albania gli uffici di back office, tra i più remunerativi perché addetti all'attività documentale. «Va rivista la norma che permette alle aziende di call center che hanno stabilizzato lavoratori tra il 2006 e il 2008 di ricevere finanziamenti da parte dello Stato - ha spiegato l'ex ministro - perché così non va bene. Se le imprese prendono soldi pubblici e poi portano il lavoro altrove, per lo Stato si presenta un doppio danno, dato dai finanziamenti e dagli ammortizzatori sociali da attivare per le persone che perdono il posto di lavoro».
Il totale dei finanziamenti previsti dall'ultima manovra di governo è di 30 milioni di euro. A questi problemi si aggiungono quelli del massimo ribasso degli appalti, che si ripercuotono sui costi del lavoro e della sicurezza. «Lavoro e sicurezza non andrebbero calcolati nel computo per le gare d'appalto, ma garantiti con degli standard minimi» propone Damiano. A Taranto, Teleperformance occupa 1.800 lavoratori distribuiti su due stabilimenti. In Albania alcune centinaia. «A gennaio 2013 - spiega Andrea Lumino, segretario Slc Cgil - abbiamo firmato un accordo che comporta pesanti sacrifici per i lavoratori, disposti a farli pur di salvare la propria occupazione. A distanza di una anno Teleperformance annuncia di voler trasferire uffici e competenze in Albania. Noi non ci stiamo - prosegue Lumino - e contrasteremo l'azienda con azioni sindacali, politiche e anche giudiziarie».