Sono sempre di più i giovani locali che parlano italiano, molti migranti di ritorno o figli emigrati. Un’inchiesta del mensile “Terre di Mezzo”.
Informazioni, supporto tecnico o pubblicità per offerte commerciali: sono i call center delle aziende italiane sempre più localizzati in Albania e Romania e che vedono al lavoro immigrati di ritorno.
È quanto emerge dall’inchiesta del mensile milanese Terre di Mezzo che riporta le testimonianze di lavoratori albanesi impiegati, a Scutari, nei terminal telefonici delle principali compagnie telefoniche o di indagini statistiche italiane.
Secondo il mensile, dopo calzaturifici e aziende manifatturiere, anche i call center si stanno trasferendo in Albania, ma anche in Romania, Tunisia e Turchia. Paesi in cui molti giovani parlano italiano, grazie alla nostra tivù che hanno visto fin da piccoli. A chiamare l’Italia sono soprattutto studentesse universitarie, per le quali il lavoro nei call center è un’opportunità da non perdere: guadagnano da 1,5 ai 2,5 euro all’ora, per un totale che va dai 150 ai 450 euro al mese. Non male visto che lo stipendio medio di un dipendente statale è di circa 200 euro.
La delocalizzazione dei call center è iniziata cinque anni fa, non è illegale ma le imprese italiane preferiscono non farlo sapere ai loro clienti per una questione di immagine. E così le operatrici dicono di chiamare da Milano o Roma e se qualche cliente si insospettisce e chiede che tempo fa, “rispondono consultando velocemente Google”, scrive la giornalista Stefania Prandi.
Telecom, Wind, Infostrada, Doxa, Sara Assistance: sono solo alcune delle società per cui hanno lavorato i giovani intervistati.
L'altra faccia della medaglia è la perdita di posti di lavoro nei call center italiani. Secondo il Sindacato dei lavoratori della comunicazione della Cgil, lo spostamento delle commesse all'estero da parte di Wind, Tim, H3g, Vodafone, Telecom, Fastweb, Sky e Alitalia ha portato alla perdita di 9 mila posti di lavoro, dal settembre 2009 ad oggi. E altri 13 mila sono a rischio.