C’è una soglia che non deve essere mai valicata. Pure se il lavoratore è uno di quelli che di lavorare non ne vuole proprio sentire parlare. A dirlo è una sentenza della Cassazione che ha stabilito che "la vigilanza sul lavoro, ancorché necessaria nell'organizzazione produttiva" va "mantenuta in una dimensione 'umana' e cioé non esasperata dall'uso di tecnologie" che violano la privacy del dipendente stesso”. Insomma il Grande Fratello nelle imprese non può andare in onda.
La sentenza 15892 della Cassazione ha annullato su queste basi il licenziamento che era stato inflitto ad un dipendente dell'Eni che a dire del datore di lavoro, aveva mostrato un "comportamento malizioso e ripetutamente inadempiente, o comunque idoneo ad ingenerare sfiducia".
Per la Cassazione quindi, pure in presenza di un comportamento grave “svoltosi in maniera sistematica tale da avere spezzato il vincolo fiduciario", il dipendente va immediatamente "reintegrato nel suo posto di lavoro". Allo stesso tempo l’impresa dovrà un risarcimento al lavoratore per i danni pari alla retribuzione di circa 1.500 euro per quattrodici mensilità, ovvero dal giorno del licenziamento a quello della reintegrazione.
La Suprema Corte ricorda che sussiste il "divieto di utilizzazione di mezzi di controllo stabilito dallo Statuto dei lavoratori. La richiesta da parte del datore di lavoro può essere solo condizionata a “esigenze di sicurezza del lavoro". In ogni caso il tutto deve essere condizionato con accordi tramite rappresentanze sindacali aziendali o con la commissione interna, o in difetto, all'autorizzazione dell'ispettorato del lavoro".
D'altronde il diritto alla privacy del dipendente si estende anche durante le attività di lavoro in ufficio. Il Garante nella sua ultima relazione annuale ha ribadito, in occasione di un caso relativo a un lavoratore licenziato per avere consultato siti a contenuto religioso, politico e pornografico, che il datore non può copiare direttamente dalla directory intestata al lavoratore le pagine web senza informare preventivamente il lavoratore. Tale trattamento può essere effettuato senza il consenso solo “se necessario per difendere in giudizio un diritto di pari rango pari a quello dell’interessato della personalità o un altro diritto fondamentale.”