di Emilio Miceli
segretario generale della Filctem-Cgil
C'è qualcosa di più nella scompostezza dell'attacco nei confronti di Susanna Camusso e della Cgil. Sembra esserci ormai l'idea che le relazioni industriali debbano essere regolate per legge o attraverso tribunali. E' l'idea di chi ha già perso, di chi pensa che la contrattazione abbia finito ormai il suo tempo, e il sindacato non debba fare altro che aggiungersi o, peggio, sottomettersi al quadro desolante di partiti e partitini.
Con l'accordo sulla rappresentanza invece noi vogliamo cambiare il modo di fare sindacato: è questo che preoccupa!
Parliamoci chiaro: ad oggi, l'unica grande riforma prodotta in questo paese è questo accordo sindacale che rompe radicalmente con il passato, con gli usi ed anche con la vecchia presunzione di immaginare le Confederazioni sindacali eterne e non riformabili. Da oggi la rappresentanza sociale diventa contendibile e nuovi soggetti possono venire avanti. Le condizioni sono al tempo stesso banali e radicali, se le guardiamo dal punto di vista di una normale concezione democratica.
La prima condizione è la trasparenza della rappresentanza attraverso la certificazione degli iscritti, tramite la delega, che ne misura la maggiore rappresentatività. La prima suggestione è semplice: i sindacati non si inventano, esistono se hanno forma organizzata ed iscritti. La seconda è che le RSU vengono elette con un metodo proporzionale puro, senza correzioni, quote di solidarietà e 'para porcellum' riservati alle organizzazioni sindacali; la terza è che per avere una rappresentanza bisogna raccogliere il 5% dei voti; la quarta è che per sottoscrivere una ipotesi di accordo bisogna avere il 50% + 1 della rappresentanza; e la quinta, infine, è che attraverso la consultazione certificata, chi avesse dubbi può ribaltare, attraverso il voto dei lavoratori, la stessa ipotesi di accordo.
Quindi, l'efficacia “erga omnes” dei contratti da oggi ha una base giuridica forte. E non è poco!
Da oggi, credo si possa dire, il sistema di rappresentanza sociale è il migliore di cui la democrazia italiana dispone in attesa della riforma elettorale promessa. Da oggi finisce l'era dei sindacati “pirata” costruiti ad arte dall'impresa; da oggi le imprese non fanno accordi con chi vogliono, “riconoscendosi epidermicamente” con gli interlocutori sindacali: dovranno trattare con chi ha vera rappresentanza. Ovviamente, come succede quando si vuole proteggere una regola in uno Stato di diritto, bisognerà costruire sanzioni per imprese e sindacati (non lavoratori) che, una volta accettato il campo di gioco, decidessero di non rispettarlo. Reciprocità, dunque, tra impresa e sindacato, di fronte alle regole ed alle sanzioni. E questo sarà compito della sovranità contrattuale. Tutto il contrario di quello che è successo fin qui perchè, finalmente, le relazioni industriali escono dalla notte fonda della democrazia sostanziale, in virtù della quale si può giustificare di tutto, ed entrano - finalmente benvenute - nel campo della democrazia intesa anche come forma separata dalla sostanza. Non c'è alcuna ragione per sparare a palle incatenate contro un regolamento che consegna finalmente alla democrazia, alla normale democrazia, le relazioni sindacali.
C'è una sproporzione tra le legittime critiche che possono essere avanzate, nessuna intesa è perfetta, ed il fuoco di sbarramento di questi giorni, di fronte al quale si trasmette la sensazione di negare alla radice qualsiasi processo di nuova democrazia. Non si può negare il cambiamento ineludibile se le organizzazioni dei lavoratori vogliono avere un futuro. Non si può legare tutto ai rapporti di forza perchè non è nell'interesse dei lavoratori.
C'è bisogno di una legge? Si, perchè milioni di lavoratori sono fuori dal raggio di influenza dell'accordo sulla rappresentanza. Ma è bene che il legislatore abbia chiara la dinamica, le scelte, i valori cui si ispirano le forze sociali nel regolare la rappresentanza. Una rappresentanza sociale incapace di offrire il proprio punto di vista, di avere il coraggio dell'autoriforma, sarebbe condannata al fallimento. Così come un sindacato che immagina la sola legge e non l'autonomia contrattuale la soluzione di tutti i problemi, ad un certo punto rischia di divenire superfluo.