In riferimento alle recenti notizie di stampa circa una eventuale vendita di Tim Brasil, l’Ufficio studi di Asati ha effettuato una simulazione sulle conseguenze per Telecom Italia di una potenziale vendita di cui riportiamo di seguito la sintesi.
Il potenziale del Brasile: tassi di crescita elevati, Pil pro-capite ancora basso rispetto alle economie avanzate ma in espansione, debito pubblico al di sotto al 50% e in sensibile calo, popolazione di oltre 198 milioni di persone con tasso di fecondità più alto della media, presenza di 263 milioni di linee mobili, mercato dati e servizi a valore aggiunto, quasi interamente da sviluppare.
Quanto può crescere Tim Brasil: uno studio che mette in relazione il Pil pro-capite e L'ARPU in 15 Paesi significativi mostra che l’elasticità della domanda rispetto al reddito è superiore a 1 e pari a 1.74 (per ogni aumento dell’1% del Pil, l’ARPU aumenta di 1.74%). L’Arpu medio del Brasile è leggermente sotto la media in relazione al Pil.
Considerando l’utile netto medio, la crescita in base al Pil, l’elasticità della domanda, le sinergie e l’ottimizzazione dei costi, il tasso di attualizzazione, senza considerare il premio per il controllo, e quindi non applicando il metodo dei multipli di mercato, proprio per i motivi sopra esposti, il valore minimo di valutazione per una potenziale vendita non può essere inferiore ai 15 miliardi di euro.
Anche in questo scenario, tuttavia, tenendo presente l’effetto delle tasse sulla vendita e facendo un piano di sostenibilità per TI, senza il Brasile, nel periodo 2014-2018, anche con una ipotesi conservativa su Ebitda di piano, il rapporto debito su Ebitda al 2018 salirebbe addirittura di oltre il 10% rispetto a quello attuale con Tim Brasil (ben diverso da 2.1 come annunciato a fine 2016 nell’attuale piano triennale 2014-2016), con la conseguenza di ridurre TI alla dimensione di un operatore locale regionale senza nessun appeal per nuovi investitori disposti ad aumenti di capitale per finanziare nuovi investimenti.
La vendita, tra l’altro, non porterebbe alcun beneficio agli azionisti in quanto, al di là di brevi fuochi di artificio dovuti a effetti speculativi, il titolo ritornerebbe ai valori medi degli ultimi tre mesi se non peggiori.
Infine, risulta incomprensibile il silenzio assordante del Governo sulle vicende di TI, che non prendendo posizione favorisce gli interessi di Telefonica, e quindi potenzialmente l’eventuale vendita della partecipata brasiliana, aprendo così successivamente la strada alla fusione di TI con TE, agevolando nel contempo gli interessi di alcuni soggetti anche politici, con il risultato finale di ridurre TI a una piccola divisione di Teléfonica con la perdita inevitabile di diverse migliaia di posti di lavoro diretti e altrettanti nell’indotto manifatturiero.
Almeno questi aspetti dovrebbero interessare un Governo che assicura di essere attento allo sviluppo industriale, ma trascura il destino di una delle più grandi aziende del Paese, pensando che il problema possa essere risolto con i pareri “mirati” di commissioni di esperti (vedi commissione Caio e company). Ciò fa supporre che siano all’opera interessi personali, nemmeno tanto oscuri, legati al giro di incarichi prestigiosi che, in sede europea, seguiranno alle elezioni del 25 maggio e ai quali sono interessate personalità del Governo stesso alla ricerca di appoggi da parte della Spagna, nonché di altri importanti soggetti politici che vogliono replicare in Italia il modello delle sinergie tra TLC e Televisione oggi in attuazione in Spagna.
Fiduciosi nell’attività perseverante e continua della Consob, che ha chiesto sia a TI sia alla stessa TE di rispondere su possibili offerte di Tim Brasil, aspettiamo inoltre la conclusione delle indagini sulla svendita dell’Argentina, sul convertendo e su eventuali segnalazioni di potenziale conflitto di interessi svoltesi anche nelle votazioni nell’assemblea del 20 dicembre scorso, soprattutto su azionisti privilegiati favoriti dalla sottoscrizione notturna dello scorso 7 novembre del convertendo.
di Mauro Introzzi