24 gennaio 2014

Controlli a distanza. Art. 4 dello Statuto dei lavoratori

L’art. 4 dello Statuto dei lavoratori, rubricato “Impianti audiovisivi", così recita: «È vietato l’uso di impianti audiovisivi e di altre apparecchiature per finalità di controllo a distanza dell’attività dei lavoratori.
Gli impianti e le apparecchiature di controllo che siano richiesti da esigenze organizzative e produttive ovvero dalla sicurezza del lavoro possono essere installati soltanto previo accordo con le rappresentanze sindacali aziendali, oppure in mancanza di queste, con la commissione interna.
In difetto di accordo, su istanza del datore di lavoro, provvede l’Ispettorato del lavoro, dettando, ove occorra, le modalità per l’uso di tali impianti». La norma individua due fattispecie, che differiscono tra loro per le finalità cui l’uso degli impianti è diretto:
il primo comma sancisce un divieto assoluto di utilizzo di apparecchiature finalizzate al mero controllo dell’attività lavorativa (c.d. controllo intenzionale), sul presupposto che la vigilanza sul lavoro, ancorché necessaria all’organizzazione produttiva, vada mantenuta in una dimensione “umana”, non esasperata, cioè, dall’uso di tecnologie che possano eliminare ogni zona di riservatezza e di autonomia nello svolgimento del lavoro;
il secondo comma attenua il divieto, consentendo al datore di lavoro di installare e utilizzare quegli impianti che, pur potenzialmente idonei a controllare a distanza i lavoratori, siano tuttavia diretti a soddisfare esigenze organizzative, produttive o di sicurezza e siano “autorizzati” dalle rappresentanze sindacali o dall’Ispettorato del lavoro (c.d. controllo preterintenzionale). In presenza di determinate esigenze aziendali, dunque, il conflitto di interesse tra i lavoratori, titolari di un diritto soggettivo a non essere controllati a distanza, e il datore di lavoro, titolare dell’opposto interesse a installare apparecchiature necessarie per la gestione dell’impresa o per la sicurezza di persone e cose, è stato risolto attraverso la predisposizione di una forma di tutela preventiva dei lavoratori, costituita dalla necessità di un accordo con le rappresentanze sindacali o di una autorizzazione amministrativa che, previo accertamento dell’esistenza di tali cause, stabilisca modalità e limiti del funzionamento degli impianti.
Dalla violazione dell’art. 4 dello Statuto dei lavoratori possono derivare le seguenti conseguenze:
1. penali: ammenda da 154,94 euro a 1549,37 euro o arresto da 15 giorni a un anno1 (salvo che il fatto non costituisca più grave reato. Il contravventore può essere ammesso all’oblazione, previa valutazione discrezionale del giudice penale, con conseguente estinzione del reato);
2. civili: i dati acquisiti dal datore di lavoro attraverso apparecchiature vietate non hanno valore probatorio nell’eventuale contenzioso con il dipendente (si pensi a un licenziamento intimato a seguito degli accertamenti compiuti. Sull’utilizzabilità in sede penale, cfr. Cass. pen. 14 dicembre 2009, n. 47429, infra);
3. sindacali: ove il comportamento del datore di lavoro, tenuto alla preventiva consultazione con le rappresentanze sindacali (ove presenti), integri gli estremi di una condotta antisindacale (art. 28 Statuto dei lavoratori).

La condotta antisindacale - art. 28 dello Statuto dei lavoratori -

L’art. 28 dello Statuto dei lavoratori, come modificato dalla legge n. 847 del 1977 stabilisce che "Qualora il datore di lavoro ponga in essere comportamenti diretti ad impedire o limitare l’esercizio della libertà e dell’attività sindacale nonché del diritto di sciopero, su ricorso degli organismi locali delle associazioni sindacali nazionali che vi abbiano interesse, il pretore del luogo ove è posto in essere il comportamento antisindacale, nei 2 giorni successivi, convocate le parti ed assunte sommarie informazioni, qualora ritenga sussistente la violazione di cui al presente comma, ordina al datore di lavoro, con decreto motivato e immediatamente esecutivo, la cessazione del comportamento illegittimo e la rimozione degli effetti.
Rientrano in tale termine tutti quei comportamenti diretti ad impedire o limitare l’esercizio della libertà sindacale ed il diritto di sciopero.
Fino a qualche anno fa, al fine di poter parlare di comportamento antisindacale da parte del datore di lavoro, dovevano essere riscontrati due requisiti: l’elemento oggettivo e più precisamente l’attitudine anche potenziale del datore a ledere gli interessi tutelati dall’art. 28 dello Statuto dei lavoratori, e l’elemento soggettivo consistente nel porre in essere intenzionalmente (e quindi con coscienza e volontà) un comportamento antisindacale.
La difficoltà di accertare l’intenzionalità del datore di lavoro, ha portato la Cassazione ad escludere l’elemento soggettivo quale presupposto per poter esercitare un ricorso. Con sentenza n. 5296 del 1997 le Sezioni Unite della Corte di Cassazione hanno affermato il principio dell’irrilevanza, per la concretizzazione della condotta sindacale, dell’elemento psicologico (colpa o dolo), essendo necessaria solo la circostanza che il comportamento del datore di lavoro avesse determinato un pregiudizio alla libertà sindacale e al diritto di sciopero.
La sentenza recita: "Per integrare gli estremi della condotta antisindacale di cui all’art. 28 dello Statuto dei lavoratori, è sufficiente che tale comportamento leda oggettivamente gli interessi collettivi di cui sono portatrici le organizzazioni sindacali, non essendo necessario (ma neppure sufficiente) uno specifico intento lesivo da parte del datore di lavoro né nel caso di condotte tipizzate perché consistenti nell’illegittimo diniego di prerogative sindacali (quali il diritto di assemblea, il diritto delle rappresentanze sindacali aziendali a locali idonei allo svolgimento delle loro funzioni, il diritto ai permessi sindacali), né nel caso di condotte non tipizzate ed in astratto lecite, ma in concreto oggettivamente idonee, nel risultato, a limitare la libertà sindacale, sicché ciò che il giudice deve accertare è l’obiettiva idoneità della condotta denunciata a produrre l’effetto che la disposizione citata intende impedire, ossia la lesione della libertà sindacale e del diritto di sciopero"
Ciò che infatti è fondamentale rilevare è la sussistenza di un comportamento lesivo di diritti sindacali elencati nello Statuto dei lavoratori, indipendentemente dalla intenzionalità o meno di porlo in essere.
Alcuni esempi di diritti sindacali che potrebbero essere lesi dalla condotta antisindacale:
* diritto di assemblea ex art. 20 S.L. : in tal caso la condotta antisindacale si manifesta tramite il rifiuto da parte del datore di lavoro di consentire tale diritto ai lavoratori o nell’effettuare una illegittima trattenuta sulla retribuzione; Il diritto di assemblea si inquadra tra i diritti del lavoratore alla libera manifestazione del proprio pensiero.
* diritto di affissione ex art. 25 : le R.S.A. hanno il diritto di affiggere pubblicazioni, testi e comunicati inerenti materie di interesse sindacale e del lavoro in appositi spazi che il datore di lavoro ha l’obbligo di predisporre. Se il diritto di affissione viene meno, il datore compie un comportamento antisindacale
* il trasferimento dei dirigenti delle R.S.A. senza il nulla osta dell'associazione sindacale di appartenenza previsto dall'art.22 dello statuto (Pret. Roma 14 novembre 1995). Lo spostamento all’interno dell’unità produttiva o il mutamento delle mansioni del rappresentante sindacale aziendale, possono configurare un comportamento antisindacale se implicano l'allontanamento definitivo dalla specifica base rappresentata (Pret. Catania 30 novembre 1998) permessi sindacali ex artt. 23, 24, 30, 32: il datore che si rifiuti di concedere ai dirigenti di R.S.A., o ai dirigenti provinciali o nazionali i permessi sindacali (sia che siano retribuiti sia che con rientrino tra quelli retribuiti) mette in atto una condotta antisindacale;
* il comportamento ostativo, la troppa fiscalità nei confronti dello sciopero, permessi sindacali retribuiti e non o qualsiasi altra attività inerente al normale svolgimento da parte degli organi sindacali.
Primo grado di giudizio
1° fase:
Legittimati ad agire sono tramite RICORSO gli organismi locali delle associazioni sindacali nazionali che vi abbiano interesse.
E’ competente il giudice del lavoro del luogo in cui è stato posto in essere il comportamento antisindacale.
Il primo grado del giudizio è un procedimento d’urgenza a cognizione sommaria. Infatti il giudice entro 2 giorni dal deposito del ricorso, convoca le parti ed assume sommarie informazioni. Nel caso in cui ritenga sussistere la violazione oggetto del ricorso, ordina al datore di lavoro, con decreto motivato ed immediatamente esecutivo, la cessazione del comportamento illegittimo e la rimozione degli effetti.
2° fase:
Il datore di lavoro, può chiedere l’OPPOSIZIONE AL DECRETO entro 15 giorni dalla comunicazione dello stesso davanti allo stesso giudice del lavoro che ha emesso il decreto.
Tale seconda fase del giudizio, seguirà la disciplina prevista dal nuovo rito del lavoro.
Il giudice si pronuncerà con una sentenza immediatamente esecutiva.
Se il datore di lavoro non ottempererà al decreto (che chiude la prima fase) o la sentenza (che chiude la seconda fase), sarà punito ex art.650, 4 comma del codice penale
Secondo grado di giudizio
La parte soccombente potrà ricorrere alla Corte d’Appello che deciderà nel secondo grado di giudizio con sentenza.