17 settembre 2011

Delocalizzazioni nel settore delle TLC

Il settore delle TLC continua a rappresentare nel Paese un settore ricco e non in particolare difficoltà, con margini di fatturato ampi e con una liquidità mediamente alta. Eppure come SLC-CGIL denunciamo oggi pubblicamente il comportamento delle grandi aziende (Telecom, Vodafone, Wind, H3G, Fastweb, BT Italia, SKY) in materia di esternalizzazioni e delocalizzazioni. Un comportamento sbagliato ed ingiusto, che recherà danni all’occupazione e – più in generale – alla qualità del settore.

In particolare, dopo una sommaria indagine e uno studio sui principali contratti commerciali in essere e in via di definizione, è evidente la scelta dei principali operatori (scelta inedita per quantità e qualità), di avviare nei prossimi mesi un processo massiccio di delocalizzazione di attività oggi lavorate in Italia. Una delocalizzazione verso quei paesi (Tunisia, Albania, Romania in particolare) cui costo del lavoro è pari circa ad un quarto di quello italiano.

Inutile dire che tali lavoratori, in quei paesi, sono oggi privi di tutele collettive anche lontanamente paragonabili alle nostre, di un Contratto Collettivo Nazionale con minimi salariali dignitosi. E che in molti casi non vi sono quelle libertà sindacali minime come definite dall’Organizzazione Internazionale del Lavoro (ILO).

Nello specifico, solo analizzando le politiche di delocalizzazione avviate dalle sette aziende sovra indicate, riteniamo siano a rischio nel breve periodo (anno 2010) circa tre/quattro mila posti di lavoro, con evidente sottrazione di volumi di attività all’intera filiera delle TLC.

Ed il tutto esclusivamente per aumentare gli attuali profitti a vantaggio degli azionisti, come risposta ad un calo dei guadagni, in un settore che genera comunque profitti e liquidità.

In particolare come SLC-CGIL denunciamo una politica non solo di esternalizzazioni di attività verso imprese di outsourcing italiane (Comdata, Almaviva, Teleperformance, E-Care, ecc.), ma - tramite subappalto delle stesse - verso aziende oggi operanti in Romania, Albania, Tunisia, Turchia, Sud America.

Una scelta questa sbagliata socialmente e industrialmente, in contraddizione con la produzione normativa dell’Autorita Garante per la Comunicazione (AGCOM) che, anche ultimamente, ha sottolineato l’esigenza di una maggiore trasparenza, una maggiore responsabilità delle imprese titolari di licenza, una maggiore attenzione alla qualità verso i consumatori (si veda per tutte la delibera n. 79/09).

Una scelta sbagliata socialmente in sé ma che si colloca oggi in un momento di difficoltà dell’economia nazionale con una delle più gravi crisi occupazionali degli ultimi decenni: il sistema delle imprese (soprattutto quelle che si basano su servizi avanzati, sulla capacità commerciale di fornire soluzioni personalizzate, ecc.) dovrebbe salvaguardare i livelli occupazionali, eventualmente ripensando le politiche di esternalizzazione di volumi di attività, non certo incoraggiandole.

Lo scandalo delle imprese che riducono la forza lavoro ed intanto esternalizzano e delocalizzano.

Vi è poi uno “scandalo nello scandalo”. Da un lato assistiamo da parte di queste aziende (Telecom, H3G, BT) ad una politica di riduzione dei livelli occupazionali interni (tramite contratti di solidarietà, cassa integrazione, mobilità incentivata, ecc.) con forti sacrifici da parte dei lavoratori più sindacalizzati; dall’altra vi è una politica di sistematica riduzione di attività fino ad oggi lavorate in casa (per esempio di Telecom) su cui potrebbero essere riconvertiti gli esuberi dichiarati.

Per di più secondo un modello che “stressa” le imprese di outsourcing con politiche sugli appalti basati al massimo ribasso, tanto da rendere difficile anche la stessa tenuta occupazionale negli outsourcing che sono - quindi - “invitati” a sub appaltare all’estero.

Insomma, siamo alle prese con una vera e propria strategia che rischia di:

a- ridurre le attività lavorate internamente dalle grandi aziende, riducendo i livelli occupazionali interni ed impedendo possibili riconversioni degli attuali occupati;

b-“stressare”con gare al massimo ribasso anche la parte finale della filiera,con outsourcing sempre più ridotti a divenire stazioni appaltanti di altre aziende (con fenomeni di sub appalto, che fanno perdere poi “le tracce” delle stesse attività di customer);

c-incentivare la delocalizzazione di attività a forte valore aggiunto,verso paesi dove le condizionidei lavoratori sono drammatiche.

Il tutto per aumentare i margini di profitto, con grande danno verso tutti: i lavoratori dipendenti delle grandi aziende, i lavoratori degli outsourcing, i clienti finali (cui dati vengono lavorati presso aziende estere, con buona pace della qualità, della trasparenza, della tutela della privacy). E questo in un momento di difficoltà del sistema paese, con centinaia di migliaia di disoccupati in più.