Il diritto di difesa prevale sul diritto alla riservatezza aziendale. È sulla base di questa premessa che la Cassazione, con la sentenza 20163 dello scorso 16 novembre, ha stabilito che è illegittimo il licenziamento del dipendente che usa documentazione aziendale riservata per difendersi in giudizio.
Il caso trae origine dall'abusivo impossessamento di corrispondenza riservata da parte di un lavoratore di una banca. In particolare, i documenti sarebbero serviti per far valere in giudizio la richiesta di risarcimento del danno subito a seguito del comportamento vessatorio di alcuni suoi superiori. Così, l'istituto bancario licenzia il dipendente per violazione dell'obbligo di fedeltà. Sia il tribunale, sia la Corte di appello accolgono il ricorso del lavoratore annullando il licenziamento e ordinando la reintegra.
La vicenda arriva in Cassazione. E la Suprema corte, rigettando il ricorso della banca, afferma che non integra la violazione dell'obbligo di fedeltà l'uso di documenti aziendali finalizzato all'esercizio di diritti. In sostanza, a fronte di una condotta non corretta del proprio datore di lavoro, il dipendente può utilizzare per la propria difesa documenti aziendali riservati e non si può invocare l'abusivo impossessamento. Infatti, l'uso delle carte è pienamente giustificato poiché il lavoratore, anche sindacalista, ha denunciato i propri responsabili per comportamenti delittuosi, e sebbene costoro siano stati assolti in sede penale, sono comunque rei di comportamenti emulativi: fra l'altro, hanno concordato addebiti disciplinari inesistenti e formulato ingiuste valutazioni negative.
La pronuncia conferma il cambio di rotta sulla produzione in giudizio di documenti aziendali riservati. In passato infatti la Suprema Corte ha ritenuto illegittimo questo comportamento perché la violazione dell'obbligo di riservatezza comporta inevitabilmente la lesione dell'elemento fiduciario e può quindi integrare gli estremi della giusta causa o del giustificato motivo di licenziamento (si veda la sentenza 13188/2001 della Cassazione).
Di segno opposto la sentenza 12119 dello scorso 16 luglio, con cui la Cassazione si è pronunciata sul caso di un lavoratore sospeso dal servizio che si è introdotto in azienda per prelevare copia di documenti contenuti in un fascicolo. I giudici, respingendo il ricorso del datore di lavoro, hanno considerato ammissibile la produzione in giudizio del lavoratore di documenti aziendali riservati e ottenuti senza l'autorizzazione dell'azienda se fondamentali per discolparlo. In sostanza, anche se la raccolta di atti aziendali sotto forma di fotocopia o di copia su supporto informatico senza il consenso del datore è da considerare comportamento illegittimo, è scusato se l'uso avviene per finalità di difesa.
Nella medesima direzione va la sentenza 7993 del 21 maggio scorso, che si è pronunciata sul caso di un dipendente accusato di scarso rendimento che ha prodotto nel procedimento disciplinare atti riguardanti l'attività di ricerca e sviluppo cui era addetto. La Cassazione, non condividendo il ragionamento della società, ha sostenuto che la produzione in giudizio di copie di atti ai quali il dipendente abbia avuto accesso non può integrare violazione dell'obbligo di fedeltà. Del resto, ha precisato l'estensore, questa produzione, avendo a oggetto copie, e non originali, da un lato, non ha costituito sottrazione di documenti in senso proprio e, dall'altro, essendo finalizzata all'esercizio del diritto di difesa non ha comportato divulgazione del contenuto dei documenti, con violazione dell'esigenza di riservatezza propria del datore di lavoro.