Secondo la giurisprudenza costante della Corte di Cassazione, “lo jus variandi del datore di lavoro, in quanto costituisce un potere che trova la propria fonte nel contratto, non può essere esercitato in modo arbitrario; esso soggiace innanzitutto al criterio generale della buona fede, che è regola generale di esecuzione del contratto; e deve ritenersi contrario a buona fede l’esercizio dello jus variandi, quando esso sia svincolato da comprovate esigenze produttive e organizzative”.
La Cassazione ha individuato, quale limite al potere organizzativo datoriale, l'obbligo di non recare danno alla sicurezza, alla libertà e alla dignità umana e, richiamati l'art. 32 primo comma Cost. e l'art. 2087 c.c., l'obbligo del datore di lavoro, costituzionalmente imposto, di adottare tutte le misure necessarie a tutelare la integrità fisio-psichica del lavoratore. La più accorta e recente dottrina ha poi evidenziato le responsabilità risarcitorie del datore di lavoro anche per il risarcimento del danno esistenziale derivante da atti illegittimi di esercizio dello jus variandi relativo all’orario di lavoro.
La determinazione dell'orario di lavoro spetta al datore, in funzione delle esigenze produttive; è pertanto illegittimo un mutamento dell'orario di lavoro che, tenuto conto delle dette esigenze, risulti irragionevole e sia in contrasto con l'esecuzione del contratto secondo correttezza e buona fede; in tal caso deve ordinarsi il ripristino del precedente orario di lavoro (Pret. Milano 29/11/94, est. Atansio, in D&L 1995, 378)
Il potere del datore di lavoro di modificare unilateralmente orario e giorni di lavoro non è assoluto, ma trova un limite nei diritti e nei principi dell'ordinamento giuridico, quali tra gli altri il diritto al riposo, il diritto alla salute ed il principio di ragionevolezza. (Trib. Lodi 22/11/2002, Est. Giuppi, in D&L 2003, 125, con nota di Giovanni Paganuzzi, "Collocazione dell'orario di lavoro nel full-time: esistenza e limiti dello ius variandi del datore di lavoro")
Il Codice Civile e l'art. 2087
L'art. 2087 c.c. detta un principio generale:
“L'imprenditore è tenuto ad adottare, nell'esercizio dell'impresa, le misure che, secondo la particolarità del lavoro, l'esperienza e la tecnica, sono necessarie a tutelare l'integrità fisica e la personalità morale dei prestatori di lavoro”: il datore di lavoro, proprio perchè esercita un'attività economica, deve perciò garantire l’adozione di tutti i sistemi in possesso della tecnica atti a prevenire e proteggere la salute e la sicurezza dei lavoratori nonchè a salvaguardare la personalità morale degli stessi. La giurisprudenza è orientata a riconoscere inadempiente agli obblighi in materia di igiene e sicurezza del lavoro il datore di lavoro che, pur avendo osservato tutte le specifiche disposizioni in merito, non sia riuscito a tutelare idoneamente l’integrità fisica dei lavoratori.
Secondo quanto prescritto dall’art.1176 c.c., il datore di lavoro deve comportarsi con la diligenza necessaria, così espressa:
“Nell'adempimento dell’obbligo inerente all’esercizio di un’attività professionale, la diligenza deve valutarsi con riguardo alla natura dell'attività esercitata”.
Al datore di lavoro viene richiesta una particolare accuratezza sia nell'individuazione dei fattori di pericolo, sia nella scelta delle misure di prevenzione necessarie a tutelare l'integrità fisica del lavoratore, anche se non specificamente previste da norme di prevenzione o da altre prescrizioni di organi competenti. Il precetto amplia notevolmente il dovere di sicurezza del datore di lavoro, in quanto tale dovere non è più fissato da regole precise e statiche che inevitabilmente col tempo verrebbero superate, ma da princìpi che devono essere continuamente aggiornati, tenendo conto dei tre criteri scaturiti dall’art.2087:
la particolarità del lavoro;
l'esperienza;
la tecnica.