di Davide Colella, RadioArticolo1
Un taglio dopo l’altro. Continuano le sforbiciate di Poste italiane al sistema di appalti esterni. Nei giorni scorsi, il gruppo guidato da Massimo Sarmi ha annunciato la riduzione di due terzi dei fondi destinati alla movimentazione della corrispondenza. Il servizio è gestito da una miriade di piccole imprese mono committenti che, da oltre 50 anni, garantiscono la vuotatura delle cassette postali, la consegna delle lettere nei centri di meccanizzazione e, ogni sabato, il recapito dei quotidiani in abbonamento. Contro questa decisione oggi (lunedì 25 luglio) sono scesi in piazza gli addetti alla logistica. In presidio davanti alla sede nazionale del gruppo hanno chiesto di non cancellare un comparto che dà lavoro a oltre tremila persone. Una funzione che, soprattutto nelle località periferiche, garantisce la continuità del servizio universale. L’azienda vuole affidare il servizio ai propri dipendenti: per farlo assumerà nuovo personale, ma solo a tempo determinato.
A partire da quest’anno, i principali paesi hanno dato vita a una progressiva liberalizzazione del servizio postale. Un principio che garantisce concorrenza tra le aziende, nuove occasioni di lavoro e maggiore qualità per gli utenti finali. La condotta del governo italiano, che attraverso i ministeri dell’Economia e dello Sviluppo controlla il 100% del gruppo, è stata oggetto di aspre critiche anche da parte dell’Antitrust. "Per i lavoratori delle piccole imprese si tratta di una tremenda beffa", afferma ai microfoni di RadioArticolo1, Barbara Apuzzo, segretaria nazionale della Slc Cgil. "L’azienda riduce in povertà intere famiglie, fagocitando tutte le ditte che le gravitano intorno. A perdere il lavoro saranno uomini e donne che hanno acquisito un notevole grado di professionalità nel settore. Al loro posto ci saranno nuovi precari. In questa scelta non è possibile ravvisare nessuna strategia di ottimizzazione e sviluppo, tantomeno di liberalizzazione del servizio."
Una situazione non facile da districare per il sindacato di Corso d’Italia, che chiede l’immediata apertura di un tavolo di trattativa. A cambiare non sarà il numero di posti a disposizione. Ciò che lascia perplesso il sindacato è la logica di mettere uno contro l’altro i lavoratori: verranno licenziati duemila impiegati per assumerne altrettanti cui verrà attribuita un’etichetta diversa. Nicola Di Ceglie, coordinatore nazionale dei lavoratori dei servizi postali, è convinto che l’operazione non porterà benefici economici al gruppo. Tutti servizi esterni di Poste Italiane incidono sul bilancio per appena il 3%. Secondo il sindacalista, internalizzare queste funzioni è una scelta lobbistica, da carrozzone pubblico, che provocherà solo aggravi a livello organizzativo. La scelta di assumere personale flessibile sui medesimi segmenti, evidenzia un atteggiamento irresponsabile da parte del committente.
Il contratto nazionale del settore è scaduto nel 2009. Negli ultimi due anni la Cgil ha tentato più volte di ridiscutere norme e salari per questi lavoratori. Una missione che rischia di diventare impossibile se, in tutto il comparto, rimarranno meno di un migliaio di addetti. Nelle ultime settimane le poste sono state nell’occhio del ciclone. A Lecce, la guardia di finanza ha scoperto 29 quintali di corrispondenza in procinto di essere distrutta in un centro di raccolta carta del Salento. Nel giugno scorso, un problema al sistema informatico ha bloccato per un’intera settimana decine di migliaia di uffici, impedendo la spedizione di raccomandate, il pagamento di bollette e la riscossione delle pensioni. In una lettera indirizzata al numero uno di Poste Italiane, il segretario generale della Slc Cgil, Emilio Miceli, ha chiesto all’azienda di rinunciare alle logiche monopolistiche, per concentrarsi, in una logica di competitività internazionale, sulla qualità dei prodotti. La scelta di cancellare queste piccole imprese non è condivisibile soprattutto sotto il profilo etico. Un criterio che ci si potrebbe aspettare da un’impresa controllata dallo Stato.