(Cassazione Sezione Lavoro n. 3898 del 17 marzo 2003, Pres. Dell’Anno, Rel. Cellerino)
Anna S. è stata assunta come impiegata alle dipendenze della Pellegrini s.p.a. con contratto a tempo parziale che prevedeva un orario giornaliero di quattro ore dalle 10.00 alle 14.00, dal lunedì al venerdì. Nel luglio del 1993 la società datrice di lavoro, in applicazione di un accordo sindacale aziendale ha stabilito per Anna S. un nuovo orario di lavoro: dalle 17.30 alle 21.00 dal lunedì al venerdì e dalle 10.30 alle 13.00 il sabato. La lavoratrice ha chiesto al Pretore di Latina di ripristinare in via d’urgenza l’orario inizialmente convenuto, facendo presente che l’azienda non aveva diritto di modificarlo e che l’accordo collettivo aziendale non poteva incidere sul suo contratto individuale, pur essendo ella iscritta alla organizzazione sindacale stipulante.
Il Pretore ha rigettato il ricorso ex art. 700 c.p.c. in quanto ha escluso la sussistenza di un pericolo nel ritardo. L’azienda, in seguito a ciò, ha ripristinato quasi integralmente il vecchio orario, continuando però a richiedere la prestazione lavorativa nella giornata di sabato per un’ora e mezza dalle 10.25 alle 12.05. La lavoratrice ha rifiutato di lavorare il sabato, per motivi familiari, ed è stata perciò licenziata. Ella ha impugnato il licenziamento davanti al Pretore di Latina, che lo ha annullato in quanto ha ritenuta illegittima la modifica dell’orario. Questa decisione è stata riformata, in grado di appello, dal Tribunale di Latina, che ha ritenuto legittimo il licenziamento, affermando che la lavoratrice avrebbe dovuto attenersi all’orario modificato, anche in considerazione del fatto che il suo ricorso in via d’urgenza era stato rigettato. Anna S. ha proposto ricorso per cassazione sostenendo che ella non era tenuta ad osservare l’ordine di rispettare l’orario modificato senza il suo consenso.
La Suprema Corte (Sezione Lavoro n. 3898 del 17 marzo 2003, Pres. Dell’Anno, Rel. Cellerino) ha accolto il ricorso, affermando che il Tribunale ha errato nel ritenere legittima la modifica dell’orario della lavoratrice in quanto attuata in base ad un accordo sindacale aziendale. Se è vero che l’art. 5 della legge 19.12.1984 n. 863 conferisce alla fonte collettiva anche aziendale, il potere di determinare le modalità temporali di svolgimento delle prestazioni a tempo parziale – ha osservato la Corte – non può essere trascurato il principio generale secondo cui la contrattazione collettiva non può disporre, se non in senso migliorativo, dei diritti attribuiti al dipendente dal contratto individuale di lavoro, salvo che il dipendente stesso non consenta espressamente alla modificazione dei patti (art. 2077 cod. civ.).
La lavoratrice aveva, pertanto, il diritto-dovere soggettivo perfetto, ad essa attribuito pacificamente dal contratto di lavoro individuale, ad onorare e vedere rispettato il turno settimanale previsto dal lunedì al venerdì dalle ore 10.00 alle ore 14.00; infatti, nel caso di prestazione a tempo parziale, il lavoratore è interessato alla puntuale osservanza del suo impegno lavorativo presso l’azienda, onde conciliarlo con le proprie esigenze familiari e/o con altre attività di lavoro. Ne consegue – ha affermato la Corte – che questa tipologia contrattuale esclude dal potere gestionale del datore di lavoro la possibilità di una definizione unilaterale dei tempi della prestazione; nella specie, essendo pacifico che inizialmente la prestazione giornaliera fosse “spalmata” dal lunedì al venerdì dalle 10.00 alle 14.00, il diritto di Anna S. non poteva essere violato unilateralmente dall’imprenditore, pur sorretto da una contrattazione aziendale a lei, come visto, non opponibile, non essendo sufficiente la semplice adesione al sindacato, come limitatamente eccepito da parte imprenditoriale, bensì risultando essenziale un esplicito ed espresso mandato. Pertanto la Corte, pronunciando nel merito, ha confermato la sentenza del Pretore.