Il decreto uscito dal Consiglio dei Ministri sulla detassazione del salario di produttività è un provvedimento inadeguato e sbagliato nella forma e nella sostanza. Nella forma in quanto riprende e addirittura peggiora i contenuti dell'accordo separato sulla produttività, nella sostanza in quanto è sprovvisto di criteri che possano effettivamente incidere su una autentica crescita della produttività.
Il decreto infatti da una parte vincola la detassazione ad una diversa modulazione dell'orario di lavoro e dall'altra cancella in via definitiva qualsiasi riferimento a voci previste dai contratti nazionali di lavoro (turni, lavoro notturno, lavoro festivo e domenicale) che costituiscono prestazioni che più di altre incidono sulla produttività e sulla competitività delle imprese con il risultato di ridurre così le retribuzioni dei lavoratori interessati a queste prestazioni in quanto non più beneficiari della detassazione riconosciuta negli anni passati.
In alternativa vengono introdotti criteri del tutto avulsi da questi contesti di orario, quali la
fungibilità delle mansioni (leggi demansionamento), l'impiego delle nuove tecnologie in rapporto alla salvaguardia dei diritti dei lavoratori (leggi controllo a distanza) che possono al contrario deprimere la produttività in quanto peggiorano le condizioni di lavoro e i diritti delle persone.
Altrettanto grave è l'intervento sull'autonomia della contrattazione e quindi sull'attuale previsione dei contratti nazionali laddove il decreto prevede il criterio del non superamento delle due settimane di ferie consecutive e della programmazione non continuativa delle giornate residue per poter usufruire della detassazione.
L'unico aspetto salvaguardato dal decreto è la conferma della detassazione sui premi di produttività che costituisce una prassi per larga parte della contrattazione svolta in questi ultimi anni. Infine sugli importi se da una parte è stata recepita la richiesta dell'innalzamento a 40.000 euro del reddito di riferimento su cui agisce la detassazione, dall'altra è stato ridotto a 2.500 euro il tetto dei benefici per singolo lavoratore che negli anni passati era previsto fino a 6000 e poi sceso grazie ai tagli intervenuti.
Per queste ragioni il nostro giudizio sul decreto è negativo. Si tratta ora di verificare nel rapporto con le controparti se esistono le condizioni concrete entro le quali la contrattazione collettiva può esercitare comunque una funzione positiva per affrontare il rapporto tra salari e produttività in un quadro di corrette relazioni tra le parti.