di PASQUALE NOTARGIACOMO
"Se gli infortuni nel settore edile diminuiscono, è perché si lavora meno. Non sono infortuni che dipendono da tecnologie particolari, per i quali si possono produrre processi di apprendimento... la caduta dall'alto, per esempio è un fenomeno abbastanza primitivo". Chi parla è il presidente dell'Inail, Massimo De Felice. Dalle sue parole "l'ineluttabile fatalità" sembra essere ancora una componente imprescindibile quando si parla di sicurezza sul lavoro (in questo caso nell'ambito dell'edilizia). Eppure ai progetti di prevenzione nella costruzione di edifici l'Inail ha destinato il maggior importo di finanziamenti alle imprese, nel 2011, con circa 23 milioni di incentivi assegnati sui 205 totali (155 l'importo nel bando per il 2012).
Fatalità e prevenzione. Stesso settore: cambio di scena. Michele Russo è un sindacalista gambizzato dalla camorra. Attualmente fa parte del Cpt (Comitato paritetico territoriale) di Caserta, un organo che opera grazie a un accordo tra costruttori e organizzazioni sindacali per la prevenzione nei luoghi di lavoro. Il suo territorio, da trent'anni, è compreso tra il Nord della Campania e l'agro aversano: una zona tradizionalmente ad alta densità di imprese edili. Le persone che prova a tutelare sono i 'favricatori'. "Gente per lo più analfabeta" - racconta, "che però ha costruito l'alta velocità". Le prime volte che visitava un cantiere lo scambiavano per un camorrista: "Avevo il codino e la prima reazione immediata era la paura. Poi pensavano che fossi dell'ispettorato e avevano ancora più timore. Quando capivano che non ero neppure quello, la felicità massima. Non teniamo tempo da perdere... lasciateci in pace, mi dicevano. Eppure siamo riusciti a farci aprire cantieri dove non vanno neanche gli ispettori del lavoro". Oggi, però, di grandi cantieri neanche l'ombra: "Non saprei dove portarvi", ammette. La crisi economica morde, con ricadute pesanti anche sul versante della sicurezza. "Se negli ultimi dieci anni qualche miglioramento c'era stato, adesso stiamo tornando indietro. Chi lavora nei cantieri fa cose che aveva imparato a non fare, perché è troppo grande il rischio di essere mandati a casa".
La distanza tra De Felice e Russo, lo iato tra fatalismo e prevenzione, incarna la prima contraddizione in cui ci imbattiamo nel nostro viaggio tra infortuni e morti da lavoro. Una strage per taluni ancora 'inevitabile' e troppo spesso silenziosa. La fotografia dell'ultimo rapporto Inail (relativo al 2011): 725mila infortuni denunciati, (-6,6% rispetto al 2010, -5% al netto dell'effetto perdita quantità di lavoro), 920 casi mortali (680 sul luogo di lavoro e 240 in itinere, complessivamente -5,4% rispetto al 2010, -4% tenendo conto della contrazione occupazionale), 46.558 malattie professionali (+9,6%). Cosa resta fuori? Sempre secondo le stime dell'istituto i circa i 165mila infortuni 'invisibili' derivati da lavoro nero. Il 90% degli infortuni denunciati rientra nella gestione Industria e servizi, il 6% in Agricoltura, il 4% riguarda lavoratori statali. Per quanto riguarda i casi mortali 115 sono avvenuti nell'agricoltura, 425 nell'industria (tra cui 195 nelle costruzioni), 380 nei servizi. Le cause più ricorrenti: caduta dall'alto (33%), caduta di gravi (27%), variazione di marcia del veicolo (13%). Altra notazione: il 60% del fenomeno infortunistico si concentra al Nord, con Lombardia, Emilia Romagna e Veneto che da sole sommano il 42% dei casi.
Primato europeo. Tentiamo con cautela un raffronto europeo (la materia è spesso gestita diversamente, soprattutto per quando riguarda gli infortuni in itinere, cioè accaduti nel viaggio verso il posto di lavoro). Secondo statistiche Eurostat (aggiornate a dicembre 2012) considerando le attività del Nace-R2 (una sorta di 'paniere' delle 13 attività economiche comuni ai paesi della Ue) l'Italia tra il 2008 e il 2010 è stato per valori assoluti il Paese con più morti sul lavoro (718 vittime nell'ultimo anno considerato, contro le 567 della Germania, le 550 della Francia, le 338 della Spagna e le 172 della Gran Bretagna). Situazione leggermente migliore per gli infortuni con Germania e Spagna, che precedono il nostro Paese, in valori assoluti.
La guerra dei dati. Anche in Italia, accanto ai dati ufficiali dell'Inail, altre voci provano a raccontare una realtà differente. Carlo Soricelli è un operaio metalmeccanico in pensione, che vive a Casalecchio di Reno (alle porte di Bologna). Dal 2008 cura l'Osservatorio indipendente di Bologna morti sul lavoro. "Lo faccio da solo, mi danno una mano i miei figli e qualche altro volontario". I suoi dati si discostano sensibilmente da quelli dell'ente pubblico: nel 2011, secondo Soricelli, ci sono stati più di 1170 vittime (+11,6% rispetto al 2010), e anche per il 2012 il valore si manterrebbe costante, con una stima di 1180. Ecco perché non nasconde le sue critiche su quelli che sono ritenuti le statistiche più autorevoli del settore. "L'Inail non tiene conto dei lavoratori che non hanno nessuna assicurazione e muoiono in nero" - spiega l'ex operaio - "senza dimenticare le vittime nei nostri corpi militari o delle forze dell'ordine e la difficoltà di classificare tutte le morti che avvengono sulle strade". Nonostante da tempo sia diventato un punto di riferimento della materia, il suo Osservatorio non trova sponde istituzionali: "I politici non mi rispondono", rivela.
Risarcimenti: una vita vale poco. Altre polemiche si sono accese attorno alle prestazioni erogate dall'Inail ai familiari di due vittime sul lavoro di quest'ultimo anno: Matteo Armellini, morto a marzo, a Reggio Calabria, sotto il palco di Laura Pausini e Nicola Cavicchi, che ha perso la vita nel crollo di un capannone nel sisma dell'Emilia. Alle loro famiglie l'istituto ha versato soltanto un assegno funerario di 1936,80. "C'è una legge", spiega il presidente dell'Inail Massimo De Felice, "E l'Inail non può non applicarla, non ha gradi di libertà". La norma in questione è il Testo Unico 1124/65. L'art. 85 disciplina, infatti, anche le rendite ai superstiti (che si aggiungono ai 560mila invalidi titolari di rendita per infortunio e ai 150mila per malattie professionali). Punto controverso: la legge in questione non prevede indennizzi in caso di vittime che non abbiano mogli e figli e non partecipino al mantenimento dei genitori. Una norma che ignora, contrariamente a quanto succede nei principali paesi europei, la convivenza more uxorio e penalizza i lavoratori più giovani. Visto che le loro condizioni, infatti, per salari e contratti sono spesso peggiorate rispetto ai loro genitori, mentre il meccanismo di calcolo della rendita è rimasto immutato. Marco Bazzoni, un operaio metalmeccanico (responsabile sindacale della sicurezza nell'azienda dove lavora in provincia di Firenze), ha lanciato una petizione per la revisione del TU. "Valutare la vita di un lavoratore meno di duemila euro è un'elemosina", spiega. La sua iniziativa è stata recepita da una proposta di legge (n.5523) di alcuni deputati del Pd, che rischia però, di non fare molta strada, vista anche la fine della legislatura. Non è l'unico fronte su cui è attivo l'operaio toscano. Nel 2009, grazie a una sua petizione, Bazzoni ha sollecitato l'apertura di una procedura d'infrazione ai danni dell'Italia per le modifiche apportate dall'allora governo Berlusconi, con il dlgs 106/2009, al Testo Unico del 2008. Due i punti sotto accusa."Hanno stravolto l'impianto della legge con la deresponsabilizzazione del datore di lavoro" - attacca Bazzoni -, "e la proroga del documento di valutazioni dei rischi per le nuove aziende". Il 21 novembre l'Ue ha inviato un parere motivato all'Italia, che ha due mesi di tempo per evitare pesanti sanzioni
Il mondo misconosciuto delle malattie. La situazione non appare più nitida per le malattie professionali. I dati, a riguardo, indicano un aumento ininterrotto negli ultimi anni (+9,6% nel 2011). E l'Inail stima che i quasi 300 decessi indennizzati relativi al 2011 siano destinati nel lungo periodo ad attestarsi attorno alle 1000 unità (705 nel 2009 e 623 nel 2010). I tumori professionali rappresentano la prima causa di morte (oltre il 90%) per malattia tra i lavoratori: 1200 denunce all'anno più le ulteriori 2000 denunce per patologie tumorali legate all'amianto (e secondo l'Istituto Superiore di Sanità il picco di mortalità per l'esposizione all'asbesto arriverà tra il 2015 e il 2020). Un dato di cui la stessa Inail ammette la probabile sottostima. In forte crescita anche le malattie osteo-articolari e muscolo-tendinee che costituiscono il 66% del totale delle denunce. Resta comunque la percezione di muoversi tra confini ignoti agli stessi addetti ai lavori. Come conferma Vincenzo Di Nucci presidente dell'Aitep (Associazione italiana tecnici della prevenzione): "E' un mondo misconosciuto con una grande zona grigia. Se l'infortunio è un fenomeno che ha un qui e ora, l'esposizione a un agente di rischio può durare anche tutta la vita lavorativa così ricostruire l'inizio del processo diventa molto complicato. Gli epidemiologi ci dicono che sul totale dei morti all'anno per tumore in Italia è possibile stabilire un range tra il 4 e il 10% dovuto a un'esposizione avvenuta sul posto di lavoro".
Il registro che non c'è. De Felice, nominato ai vertici dell'Istituto dal ministro Fornero a maggio 2012 depotenzia così le polemiche sui dati: "Riteniamo che l'Inail debba essere un fornitore ufficiale, quindi non debba né rispondere a richieste né entrare in dibattiti troppo animati, deve fissare un calendario per la diffusione dei dati e una chiave di lettura, una sorta di Istat, col vantaggio che noi non dobbiamo raccoglierli ex novo". Quello che è fuori di dubbio è che la difficoltà di avere dati omogenei tra tutti operatori del settore è nota da tempo. Per questo tra le novità introdotte dal TU 81/2008 una delle più attese, prevista dall'art.8, riguardava il SINP (Sistema informativo nazionale prevenzione), un flusso di dati comune tra tutti gli operatori del settore (tra gli altri Ministero del Lavoro, della Salute, delle Regioni e delle Province di Trento e Bolzano, Inail, ex Ipsema e Ispesl). Una sorta di database, gestito dall'Inail, costantemente aggiornato con tutte le statistiche relative al fenomeno. A più di 4 anni dall'emanazione del Testo unico il SINP, però, non è ancora partito. "Ne abbiamo sollecitato l'attivazione agli ultimi due ministri del lavoro" - spiega Oreste Tofani presidente della Commissione Parlamentare d'Inchiesta sugli infortuni sul Lavoro - "Ci dicono che è tutto è a posto, però non parte". "Abbiamo avuto un lungo periodo di confronto con il Garante, trattandosi di dati personali" - risponde Giuseppe Piegari, il responsabile Coordinamento vigilanza tecnica del Ministero del Lavoro -,"i ritardi sono dovuti alla delicatezza della materia, e ci sono state anche osservazioni del Consiglio di Stato, ma siamo in dirittura d'arrivo". Al momento in cui si scrive, tuttavia, non è ancora possibile sapere con certezza quando entrerà in funzione il Sinp.