07 febbraio 2013

Negli ultimi 15 anni internet ha creato 700.000 nuovi posti di lavoro

- di Cristina Maccarrone -
L’avrete sentito dire spesso: se c’è un settore che crea occupazione, quello è sicuramente internet. Se poi non vi siete fermati al sentito dire e, così come abbiamo fatto noi, avete fatto una ricerca magari su Linkedin usando come parola chiave “web”, ecco che vi sono comparse decine e decine di posizioni al momento aperte. Social media strategist, community manager, ditgital Pr. E ancora: content manager, web analyst. Sono solo alcuni dei profili richiesti e la sensazione è che mentre per altri settori (con le dovute eccezioni), non ci sia tanta offerta, il web con annessi e connessi qualche speranza la dia.

Ma è davvero così? Stando al rapporto curato nel 2011 dal Mc Kinsey Global Institute per il Digital Advisory Group, negli ultimi 15 anni internet ha creato 700.000 nuovi posti di lavoro, generandone 1,8 per ogni posto perso. Di questi, il 60 per cento è collegato direttamente al web, sia nei settori altamente digitalizzati (sviluppo software, telecomunicazioni, portali web) che nei settori più tradizionali, come nelle funzioni di web marketing o di Ict nel settore bancario. Conta – ed è il restante 40 per cento – anche il lavoro “indotto”, ossia tutte quelle posizioni che sono state create a supporto indiretto dell’economia digitale. L’analisi Crescita Digitale, come internet crea lavoro, come potrebbe crearne di più – pubblicata nel giugno 2012 e curata da Marco Simoni (insegnante alla London School of Economics) e Sergio de Ferra (Ph student), per Italia Futura e in collaborazione con Google Italia – dice ancora che cresciamo, sì, ma meno rispetto a Francia e Germania: in Italia, infatti, ci sono un minor numero di aziende pubbliche e private e di famiglie che usano la rete. Eppure, se da noi internet fosse diffuso come tra i cugini d’oltralpe (dati del 2010) avremmo 200.000 posti di lavoro in più “In un ipotetico paese ‘medio’ – si legge nello studio – l’aumento della diffusione di internet del 10 per cento comporta un aumento dell’occupazione complessiva dello 0,44 per cento e un aumento dell’occupazione giovanile dell’1,45 per cento”. L’effetto occupazione diventa poi più forte quando cresce il capitale umano del paese, ossia il numero dei laureati: ma anche in questo caso in Italia non ce la passiamo molto bene.

Le competenze che mancano
Questi i numeri, ma è così anche nella realtà? Parrebbe proprio di sì. Come dimostra il caso di Contact Lab, azienda specializzata in soluzioni e consulenza di digital direct marketing (che quindi ha il suo business essenzialmente online), con uffici a Milano, Parigi, Monaco di Baviera, Madrid e Londra, e che ha visto incrementare nel 2012 le assunzioni del 30 per cento, arrivando ad avere in totale 130 dipendenti. Massimo Fubini, amministrato delegato della società, precisa fin da subito: “Il settore è uno dei più vivaci. Di spazio ce ne è abbastanza, ma il digitale ha bisogno di persone e competenze rilevanti e ben qualificate. Quello italiano, paragonato a Francia e a Regno Unito, è un mercato ancora piccolo, anche se offre tanto nella sua dimensione. Certo, all’estero si compra di più online e ciò comporta un maggior bisogno di fare advertising, di fare social, di fare Seo (l’attività che ottimizza la visibilità sui motori di ricerca, ndr) e questo produce più investimenti nel settore. Tuttavia, anche in Italia stiamo crescendo”.

Il problema maggiore che lamentano le aziende del settore riguarda le competenze. Si fatica non tanto a trovare i cosiddetti profili junior, ma figure che abbiano esperienza e competenza di lungo corso. “Oggi bisogna essere molto preparati e conoscere a fondo la propria area di specializzazione”, spiega Fubini. Sulla stessa lunghezza d’onda anche Luca Zambrelli, ceo di Ideolo, agenzia milanese che si occupa di Proximity e Digital marketing, filosofia commerciale che cerca di potenziare gli strumenti di comunicazione sia digitali che non in prossimità dell’acquisto. Anche per Zambrelli “l’area del marketing e della comunicazione digitale è tra pochi settori ad avere bisogno di rafforzare gli organici attraverso l’assunzione di nuovo personale”, ma spesso non ci sono persone all’altezza delle competenze richieste. “Questo era sicuramente valido nel 2012, nell’ultimo mese ho invece ricevuto curricula di gente molto più motivata e in linea con i nostri bisogni. L’Italia è in crescita, ma dobbiamo prendere coscienza del fatto che tra il livello più basso e quello più alto esiste tutta una catena di nuove professioni da creare. I cicli d’innovazione durano in genere tre mesi, il che vuol dire che in pochissimo tempo un prodotto viene digerito dal mercato che lo assorbe o lo espelle.

Non esistono dunque modelli certi a cui riferirsi e la formazione è purtroppo ancora troppo generalista e non all’altezza della frequenza di questi mutamenti”. Ma quali sono le professioni più richieste? Nel caso di Contact Lab la ricerca è sempre aperta: “Le esigenze e le opportunità mutano continuamente quindi abbiamo sempre bisogno di persone motivate, con attitudine al cambiamento e alla ricerca costante”, riprende Fubini. Solo per fare un esempio, l’azienda ha necessità di software developer da inserire nel team di sviluppo software (trovate l’annuncio su Linkedin e alla pagina lavora con noi di www.contactlab.com). “Abbiamo appena assunto un addetto nel settore commerciale (il cosiddetto “lavoro indotto” di cui parlava la ricerca citata, ndr) e abbiamo chiuso assunzioni nell’area technology e account. Quanto alle figure junior, siamo alla ricerca di due marketing analyst. Vista la mancanza di alcune competenze, in questo caso puntiamo su persone da formare”.

Come si lavora nel digitale
Ve lo starete sicuramente chiedendo: che tipo di contratti si fanno nel mondo del digitale? Le aziende assumono per lo più a tempo indeterminato. “Privilegiamo rapporti di lunga durata – dice Fubini –, ma ovviamente non mancano anche i contratti a termine in base al carico di lavoro o, nel caso dei giovani, l’apprendistato”. Gli fa eco Zambrelli: “Tutte le persone che lavorano con noi fanno parte di un ingranaggio dove il lavoro di uno influenza quello dell’altro, per questo si prediligono rapporti più duraturi”. Ma non è solo il digitale ad assumere personale nel settore web. Per fare qualche esempio: al momento Swaroski, l’azienda che crea gioielli e beni di lusso, sta ricercando a Milano un media planner e social media specialist, così come Amer Sports, che raggruppa marchi di abbigliamento sportivo, è alla ricerca di un Communication & Digital Marketing Specialist a tempo.

“Leghiamo da sempre il nostro successo alla comunicazione che è sempre più indirizzata al mondo digitale”, dice Augusto Prati, direttore Marketing & Comunicazione di Amer Sports Italia. Un’altra professione richiesta “è quella del web analyst che è più trasversale e di cui sicuramente hanno bisogno tutte le aziende”, afferma Giulio Xhaet, autore del libro Le nuove professioni del web (Hoepli) e consulente aziendale per i nuovi media. “Senza un’analisi statistica di questo tipo ogni società perde il 50 per cento del suo potenziale. Il web analyst ha un ruolo chiave perché la sua analisi consente di ottimizzare la navigazione dei clienti e delle vendite di prodotti/servizi”. Le nuove professioni del web non è solo un libro, ma anche un progetto che prevede vari incontri nelle città d’Italia per definire le professionalità richieste dal web soprattutto nel futuro: “In Italia – spiega l’autore – si stanno ritagliando sempre più un proprio spazio: il content curator, che si occupa non tanto di scrivere contenuti, quanto di raccoglierli districandosi tra le mole di notizie che ci sono nel web 2.0; il trans media web editor, che crea contenuti di nuova generazione, crossmediali e partecipativi; il digital Pr, che ha il compito di attivare e gestire una rete di relazioni; il community manager che interpreta le parole e i comportamenti degli utenti dentro e fuori la rete e gestisce i fenomeni legati alla reputazione di un marchio; l’all-line advertiser che conosce, comprende e progetta strategie di marketing all-line (il marketing globale, non solo sul web, ndr).

A questi si aggiungono il web analyst e il Seo (search engine optimization, ndr) che non è un mestiere nuovo, ma sempre necessario perché permette di ottimizzare la visibilità dei contenuti”. Quanto alle conoscenze, “bisogna avere una base di tutto – continua Xhaet – perché le aziende fanno delle ricerche a tutto tondo e si aspettano che ogni profilo abbia delle competenze trasversali. Oltre ai corsi ad hoc, l’autoformazione e l’aggiornamento continuo sono molto importanti: grazie al web si possono davvero avere tantissime nozioni, basta sapere dove cercare”. Da non trascurare, infine, il fatto che tante aziende, anziché assumere direttamente, si affidano a esterni. Quindi lavorare come imprenditore di se stesso è sicuramente un altro sbocco che il mondo di internet offre a chi ha una certa esperienza. Racconta Cristina Simone, consulente in ambito social media: “Lavoro con piccole e medie aziende di diversi settori, dal fashion al food, ai servizi, ma anche con più agenzie su progetti specifici. Il lavoro da freelance non è male ma dipende dal carattere. Non hai uno stipendio fisso né nessuna certezza, ma impari a gestire meglio il tuo tempo, a selezionare i clienti e i progetti e puoi relazionarti con un numero maggiore di persone”. E continuare a formarsi, il che, vista l’evoluzione continua di internet, è un aspetto da non sottovalutare.