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Ho partecipato lunedì scorso al convegno organizzato dalla Slc-Cgil incentrato sul mondo dei call center e, in particolare, sull’odiosa pratica delle delocalizzazioni all’estero che si ripete sempre più spesso anche tra le società che avevano sede a Catania. Un fenomeno pericoloso, non solo per il tessuto sociale ma per la sicurezza di ognuno di noi, su cui avevo anche presentato un’interrogazione in Parlamento. Ecco un estratto del mio intervento e una breve intervista.
Sin dagli anni novanta, con la liberalizzazione delle telecomunicazioni e grazie alle incentivazioni regionali ed agli sgravi fiscali, la Sicilia è stata la meta di numerose iniziative imprenditoriali nel campo dell’assistenza ai clienti che ha vissuto in quegli anni una intensa crescita.
Successivamente, più o meno a partire dal 1998, c’è stata la seconda ondata di grande sviluppo dei call center susseguente allo sviluppo dell’outsourcer, con società incaricate di gestire grandi commesse per varie aziende, soprattutto quelle delle telecomunicazioni (Vodafone, Telecom, Wind, 3, Fastweb, Tiscali, Tele tu), successivamente per quelle energetiche (Enel, Eni, Edison, Sorgenia, ecc), poi per i media (SKY, Mediaset, Rai, ecc), e vari altri settori tra cui quello bancario e assicurativo.
Quando sono nati questi enormi call center i lavoratori impiegati hanno colto le opportunità pensando si trattasse di occupazione transitoria, spesso part-time, in attesa di una carriera migliore.
Un impiego nato come occupazione di passaggio verso una carriera migliore ma che, specie in tempi di crisi, si è spesso trasformato nel lavoro di una vita.
Con il tempo i call center sono assurti a simbolo della precarietà, di una transitorietà infinità, diventando i luoghi in cui più che altrove la presunta flessibilità ha mostrato il volto peggiore dell’incertezza: bassi salari, assenza di possibilità di carriera o specializzazione.
Da qualche anno è iniziato un processo lento di delocalizzazione verso Paesi a bassissimo costo del lavoro e caratterizzati da bassissime tutele sindacali. Una pratica odiosa, purtroppo molto diffusa an che tra i call center catanesi, che provoca un grave danno economico, un impoverimento del tessuto produttivo italiano e della collettività in generale.
Mi auguro che il governo Monti assuma concrete iniziative al fine di introdurre misure per disincentivare la delocalizzazione produttiva all’estero, in tutte le forme in cui si presenta, accogliendo le proposte che il Partito Democratico ha avanzato.
In questo senso, raccogliendo le opportune sollecitazioni della CGIL-FLC, mi sono impegnato personalmente – oltre che assieme al Pd – per proporre:
1. UNA REGOLAMENTAZIONE CHE AFFRONTI IL GRANDE TEMA DELLA GESTIONE E DEL TRASFERIMENTO DI DATI SENSIBILI.
Delocalizzando i call center, vengono trasferite quantità indefinite di dati personali sensibili di cittadini italiani (codice fiscale, dati bancari, numeri di carte di credito) in Paesi che non garantiscono un’adeguata tutela dei dati sensibili e che sono tra i primi al mondo per tasso di pirateria informatica, dove la corruzione e la criminalità hanno livelli altissimi.
I call center in Italia vengono giustamente vigilati da AGICOM e Guardia di Finanza e, per fare alcuni esempi, i lavoratori di Vodafone e Telecom vengono identificati attraverso l’impronta digitale. Cosa succede negli altri Paesi, specie quelli extra Ue? ci sono analoghe garanzie sulla tutela dei dati personali e sensibili?
Ho presentato un’interrogazione per sapere se i trasferimenti di questi dati siano stati autorizzati dal Garante per la protezione dei dati personali, spero che presto il Governo risponda perché temo che queste aziende abbiano trasferito i dati senza rispettare la legge, risparmiando sulla pelle dei lavoratori ed eludendo alcune norme del codice delle comunicazioni considerate troppo onerose dalle aziende, ma che sono a tutela dei dai dei clienti/utenti
2. TRASPARENZA.
Chi trasferisce i dati dei clienti in Paesi fuori dall’Unione Europea deve informare i propri clienti/utenti di quali misure adotta per la tutela dei dati e, se presenti dati sensibili, si deve rendere obbligatoria la procedura di identificazione degli operatori (strong autentication), come avviene in Italia.
Delocalizzare è tradire l’Italia, è una pratica che va scoraggiata e penalizzata perché provoca gravi danni ai lavoratori, all’economia, alla collettività. E allora non è ammissibile che le “aziende di Stato”, di bandiera, portino all’estero, direttamente o indirettamente, i propri call center di assistenza al cliente o di outbound. Alitalia, considerato quanto è costato il suo salvataggio, per la sua importanza strategica, non può avere un call center all’estero. Stesso discorso deve valere per tutte quelle aziende che gestiscono reti pubbliche (come Enel) o titolari di concessioni (vedi Mediaset). Non è possibile che siano considerate strategiche quando si tratta di tutelarle dall’acquisto da parte di stranieri o di aiutarle nei momenti di crisi e non siano patrimonio pubblico quando si tratta di promuovere politiche attive per la tutela dei lavoratori e della sicurezza dei nostri dati.
3. INCENTIVI E DISINCENTIVI.
Pretendiamo che un’azienda che decida di spostare l’attività di call center, il ramo d’azienda ovvero appaltare all’estero una parte della produzione debba darne comunicazione, almeno 120 giorni prima del trasferimento, al Ministero del Lavoro e delle Politiche sociali indicando i lavoratori coinvolti. Inoltre deve essere revocato ogni sistema di incentivazione o defiscalizzazione nei confronti delle aziende che delocalizzano attività in Paesi esteri.
Il mondo dei call center dopo anni di crescita sregolata deve diventare adulto, trasformarsi in un vero e proprio settore industriale, investire sull’innovazione tecnologica, sulla qualità dei servizi, sulla formazione dei propri dipendenti, isolare gli approfittatori e i “pirati” che lo hanno indebolito dall’interno. Occorre costruire una filiera della legalità e della responsabilità che coinvolga committenti, outsorcer, organizzazioni sindacali, politica. E’ l’unico modo per assicurare regole e dignità ad un settore che ne ha proprio bisogno.
Interpellanza ON. Berretta ( PD ) su call center, delocalizzazioni e trattamento dati sensibili all'estero
Interpellanza Onorevole Giuseppe Berretta
Il sottoscritto chiede di interpellare il Ministro dell’Interno. Per sapere -premesso che:
sin dagli anni novanta, con la liberalizzazione delle telecomunicazioni e grazie alle incentivazioni regionali ed agli sgravi fiscali, la Sicilia è stata la meta di numerose iniziative imprenditoriali nel campo dell’assistenza ai clienti che ha vissuto in questi anni una intensa crescita;
sarebbero oltre 30 le società che gestiscono call center in Sicilia, occupando oltre 16mila operatori telefonici, degli oltre 30mila su tutto il territorio nazionale;
a causa del basso salario, delle scarse possibilità di carriera, del bassissimo turn over, che ha provocato un innalzamento dell’età media dei lavoratori dei call center, un impiego nato come occupazione di passaggio verso una carriera migliore, in tempi di crisi, si è spesso trasformato nel lavoro di una vita;
nel comparto outbound, in cui sono gli operatori a contattare gli utenti, le condizioni dei lavoratori sono anche peggiori: i contratti più diffusi sono di 3 mesi e non superano i 300 euro mensili, in Sicilia, secondo quanto denunciato dalle organizzazioni sindacali, sarebbero circa 6 mila i lavoratori di questo sistema;
con la fine degli sgravi fiscali e delle agevolazioni è iniziato un lento trasferimento delle sedi dei call center verso località estere, economicamente più convenienti;
ad oggi sarebbero circa 12.000 i posti di lavoro persi e circa 3.000 le richieste di ammortizzatori sociali, numeri che il prossimo anno potrebbero aumentare ulteriormente se si seguisse l’attuale trend di delocalizzazioni;
le destinazioni sono soprattutto l’Albania, la Romania, la Croazia, la Tunisia e l’Argentina, dove gli aspiranti operatori vengono scelti in base alla conoscenza dell’italiano;
tali Paesi sono contraddistinti da tutele sindacali minime o inesistenti e da bassissimi salari, lo stipendio medio per un operatore in Albania sarebbe di soli 80 euro al mese;
il trasferimento di tali attività verso l’estero ha comportato una grave crisi occupazionale, specie in città come Catania e Palermo, già fortemente segante dalla crisi economica;
tale pratica di delocalizzazione rischia soprattutto di indebolire complessivamente il sistema Paese a causa del trasferimento di quantità indefinite di dati personali sensibili di cittadini (codice fiscale, dati bancari, numeri di carte di credito) in Paesi che non garantiscono un’adeguata tutela dei dati sensibili e che sono tra i primi al mondo per tasso di pirateria informatica;
in riferimento a tale rischio la Prefettura di Catania ha richiesto un parere al Ministero dell’Interno, dal quale emergerebbe che potrebbero essere effettuate delle verifiche sui casi di cui la Prefettura venisse a conoscenza;
considerata l’importanza dei dati e delle procedure di cui si occupano i call center, vengono periodicamente sottoposti ad ispezione da parte enti istituzionali come AGICOM e Guardia di Finanza in merito alle varie attività contrattuali,
-: se, in ottemperanza al d.lgs 30 giugno 2003, n. 196, gli ordinamenti di Albania, Romania, Croazia, Tunisia, l’Argentina, in cui aziende italiane hanno delocalizzato attività di call center assicurino livelli di tutela dei dati delle persone adeguati;
ovvero se tali trasferimenti siano stati autorizzati dal Garante per la protezione dei dati personali;
se i Paesi su menzionati adottino presso i call center che gestiscono dati personali e sensibili procedure di strong autentication, come avviene in quelli italiani;
quali iniziative intenda assumere, ai fini della tutela dei dati personali e sensibili dei cittadini italiani e per evitare che tali dati vengano trasferiti all’estero, specie in Paesi non appartenenti all’Unione Europea;
quali provvedimenti intenda assumere al fine di instaurare un sistema di controlli volti a verificare la piena attuazione del Codice in materia di protezione dei dati personali d.lgs 30 giugno 2003, n. 196 in merito al trasferimento di ingenti dati personali e sensibili di cittadini italiani all’estero;
se il Governo non ritenga di emanare indirizzi nei confronti delle aziende di cui detenga partecipazioni azionarie, ovvero controllate da esse, e nei confronti di aziende che gestiscano reti pubbliche, operatori assegnatari di licenze nazionali, per impedire il ricorso a società outsourcing, con localizzazione all’estero, per la gestione dei customer care o dei servizi in outbound;
se non ritenga che la pratica di delocalizzazione, specie nei Paesi non appartenenti all’Unione Europea, dei call center possa favorire una elusione delle norme contrattuali, penalizzando gli utenti/consumatori italiani che si troverebbero privi delle necessarie tutele.
Onorevole Giuseppe Berretta